22 settembre: “Fertility Day” o “Provetta Day”?
Col
sostegno incondizionato di sedicenti pro-life e di diversamente
cattolici, va in scena il grande evento che prepara il nostro futuro di
gioiosi utenti di sessualità ludica e di produzione di esseri umani on
demand con la fecondazione artificiale.
di Elisabetta Frezza
.
Il 22 settembre prossimo “si celebrerà” il primo Fertility Day, parente stretto del Family Day e di tutti i days che seguiranno a beffare un popolo stordito; un popolo capace ancora di illudersi che i lacchè del regime – incardinati o free lance, in scena o dietro le quinte – guardino al bene dei suoi figli. Un popolo ormai incapace di resistere alle lusinghe del pifferaio che lo chiama verso il precipizio senza più nemmeno il bisogno di schermirsi.
Ne avevamo scritto con largo anticipo, di questo evento, quando i rulli dei tamburi e gli squilli di tromba risuonavano di lontano ad annunciarlo (clicca qui). Avevamo parlato di festival della provetta e di diabolici intrecci. Se si vuole comprendere la magnitudine dell’operazione in corso, quel quadro va assimilato, e da lì bisogna riprendere il filo.
Era già evidente allora quale sarebbe stata la musica del settembre a venire, perché lo spartito è noto, leggibile da chiunque sia disposto ad andare alla fonte e guardare poco più in là del proprio naso; è prevedibile il programma di un’orchestra stabile, e rodata, a prescindere dall’avvicendarsi sul palco dei suoi squallidi figuranti al soldo e sotto la direzione di un unico gran maestro.
Questo happening imbarazzante sfornato dalle fervide menti governative – dove il genio femminile è tanto ben rappresentato – non è che una delle molteplici espressioni surreali della propaganda ebetizzante e omologatrice spacciata a masse già inebetite e già omologate da un indottrinamento di lungo corso basato sul potere fuorviante di ritornelli orecchiabili ormai percepiti come famigliari, e quindi normali e quindi buoni, ma capaci di imporre su ampia scala sovversioni profonde oltre ogni immaginazione. Tipo, in questo caso, il cambio di paradigma nella procreazione, da naturale a sintetica, ovvero (su un piano altro) da sacra a demoniaca. Cosette da nulla.
Le ultime cronache ci distraggono con la polemica divampata dopo un commento compunto e struggente del tuttologo Saviano, pensoso pensatore di pensieri equosolidali sempre correttissimi. Egli ha definito il fertility day “un insulto a tutti: a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro” e ha dato la stura ai rigurgiti dei benpensanti e delle belle persone, pronti a fargli eco sfoderando l’armamentario di tutte le libertà e le autodeterminazioni, delle scelte rivendicate e delle offese subite. Fino all’intervento di Renzi in persona che, fiutando l’aria e null’altro, com’è in grado di fare, ha preso le parti dell’elettorato più à la page e scaricato senza troppi complimenti la ministra insieme al suo bel bagaglio promozionale, che tanto impegno le era costato. Il risultato è che, ora, è in programma qualche ritocco cosmetico della pietanza salutista, al fine di renderla più gradita anche alle squadriglie di femministe e femministi in servizio permanente effettivo. Dopo di che scoppierà di nuovo la pace anche sulla salute sessuale e riproduttiva degli italiani.
Queste scaramucce estemporanee non intaccano certo la sostanza del prodotto, esito ormai conclamato di una volontà istituzionale ben precisa: cambiare i connotati della riproduzione umana. Spostare l’asse della procreazione dalla idea della maternità a quella della fertilizzazione. Sul modello zootecnico. È da tempo, del resto, che il terreno veniva preparato, con pazienza, regolarità, abnegazione.
Ma l’aspetto più incredibile di tutta la faccenda, coi suoi epigoni da farsa, è che, nella farsa, hanno ritenuto doveroso entrarci tutti a recitare la propria parte, pure i sedicenti pro life – categoria perduta, si sa, nel gorgo vorace del democristianismo italico. E la reazione unanime di questi ultimi è stata di sostegno incondizionato all’iniziativa della “brava ministra Lorenzin” (copyright Francesco Agnoli, clicca qui), tutrice della nostra salute, cattolicissima, molto mamma e quasi sposa, che si preoccupa di rilanciare la natalità per invertire la curva demografica. Cioè, tutti a giocare a mosca cieca, tutti a bearsi ad ammirare il dito messo lì a bella posta, lisciando completamente la luna che si staglia chiara all’orizzonte. E giù coi complimenti, con le lodi, con le difese d’ufficio scattate per riflesso pavloviano e poi dilagate per contagio, correndo dietro a qualche formula suggestiva buttata lì dagli strateghi della comunicazione necrofila a incipriare tutt’un mondo, il mondo nuovo.
Ma come è possibile che proprio nessuno, neanche tra i più o meno diversamente credenti, tra i più o meno militanti probiotici – e figurarsi un qualche prelato – non si dia la briga di leggere, di vedere, di capire di cosa si tratta veramente? Di qual è la narrativa che ci viene imposta, a noi popolo bue, dai solerti badanti della nostra sanità (sessuale e riproduttiva)?
A partire dal logo di questa sceneggiata, che esprime figurativamente l’alienazione della filiazione dalla sua naturalità, che è unione nella carne tra un uomo e una donna, tra quell’ovulo e quello spermatozoo, secondo un disegno superiore. Campeggia infatti, tronfio, un cuore rosa, a significare l’Amore che tutto muove e giustifica ogni perversione. Per finire con la parola d’ordine su cui ruota il sistema intero, la sinistra “pianificazione famigliare” (letteralmente: planned parenthood) che, in combinato disposto con la salute riproduttiva – id est: aborto e contraccezione per tutti – costituisce l’ossatura onomastica della politica onusiana di controllo della popolazione sul pianeta.
Il cortocircuito dovrebbe apparire evidente, l’ossimoro tra il corredo malthusiano e la fertility lorenziniana dovrebbe pur sollevare qualche perplessità. E invece no. Il livello di inquinamento raggiunto grazie a decenni di cattocompromissioni fa sì che nemmeno un prelato si alzi in piedi e levi, sul mare di menzogne davvero apocalittiche, una voce di verità.
La “Lectio magistralis” che qualificherà l’alto livello della manifestazione sarà tenuta (vedi il Programma) da Eleonora Porcu. È lei l’auctoritas titolata di tutto l’impianto, la signora della crioconservazione di vite e di pezzi di vita, artefice principale di quel “Piano nazionale per la fertilità” da cui la propaganda prende origine, la scienziata creata in provetta da Casini e da Flamigni e vidimata dalla CEI per mezzo del carrozzone episcopale Scienza e Vita di cui è, nientemeno, che socia cofondatrice (per un suo profilo più approfondito si rimanda all’articolo “Il diabolico intreccio”, clicca qui).
Non le manca dunque alcuna credenziale per fare da testimonial della provetta pigliatutto e da pioniera delle nuove frontiere della biotecnologizzazione della riproduzione umana su cui, depennato misericordiosamente il peccato della fecondazione extracorporea, scende pure la benedizione della neochiesa ecumenica. Anzi, il suo profilo è stata creato apposta, in laboratorio, dal sodalizio adulterino tra il padre-padrone del movimento per la vita (Carlo Casini) e il genio della sua fabbricazione (Carlo Flamigni). È stata voluta femmina, come le collaboratrici della squadra “di lotta e di governo”, le Lorenzin, le Morresi, le Roccella, le Kustermann, perché l’utero è loro e se lo gestiscono loro, donne amiche di donne, e guai a chi osa contraddirle.
Cari voi che vi proclamate cattolici, ammesso che la qualifica abbia ancora un senso, cari voi che vi dite “pro life”, cari genitori, ma è questo che desideriamo per i nostri figli? Perché sono loro i destinatari di questa campagna. Infatti, c’è un’area dedicata ai bimbi, agli adolescenti, ai ragazzi, per introdurli al bello della salute riproduttiva, per iniziarli al sesso sotto la guida di “esperti” della materia e “operatori” vari. C’è un fertility game. Ci sono i fertility village, e giuro che non è uno scherzo.
Vogliamo che i nostri figli sguazzino in questo brodo?
Vogliamo che i nostri bimbi imparino la procedura per usare il preservativo quotidiano (clicca qui), quello appeso al filo con la molletta colorata?
Vogliamo che le nostre bambine siano vaccinate in batteria a undici-anni-undici contro l’infezione da HPV, sul presupposto che siano sessualmente attive? Senza che nulla sia detto sulle pesantissime controindicazioni del farmaco, copiosamente documentate?
Dietro al paravento di carta velina della cura del varicocele, della campagna antifumo, della prevenzione postuma (nel senso che ci si fregia di prevenire conseguenze di comportamenti malsani dati per assodati e considerati normali), il messaggio centrale della comunicazione ministeriale è il seguente: la sessualità in ogni sua forma e declinazione è un’attività ludico-ricreativa, un intrattenimento alla portata di tutti e meritevole di promozione indiscriminata; va praticata sin dalla più tenera età, con l’unica accortezza di evitare le malattie collegate, tra cui le eventuali gravidanze; quando poi si decida di procurarsi un bebè, aspirazione degna di lode anche nell’interesse della collettività, lo Stato è pronto a farsene carico, raccogliendo l’ordinazione e fabbricando il prodotto on demand.
La filosofia del progetto, del resto, è illustrata espressamente in termini inequivoci: «Educare alla procreazione. Identificare i difetti nella riproduzione. Aiutare la procreazione, quando necessario, con percorsi di fecondazione omologa ed eterologa». E ancora, riferendosi alla fecondazione artificiale: «quella che era nata come risposta terapeutica a condizioni di patologia specifiche e molto selezionate, sta forse assumendo il significato di un’alternativa fisiologica».
Più chiaro di così.
Risuona all’orecchio la profezia risalente di Shulamith Firestone, la femminista lesbica morta suicida, teorizzatrice estrema dell’indifferentismo sessuale, laddove diceva nei lontani anni 70: «dobbiamo tornare a una pansessualità senza ostacoli: la perversità polimorfa di Freud può sostituire l’etero, l’omo, la bisessualità…la riproduzione della specie sarà affidata alla riproduzione artificiale…la tirannia della famiglia biologica sarà spezzata».
La traiettoria segnata pare proprio quella lì, dove si coglie la stretta contiguità tra la linea della rivoluzione sessuale e quella della fabbricazione dell’uomo in laboratorio. Una trama da horror fantascientifico che si sta realizzando sotto i nostri occhi appannati.
In fin dei conti tutta questa storia, dipinta dalla cronaca come vicenda di costume semiseria di ordinaria amministrazione, in realtà sta a significare ben altro. Sta a significare che chi ci governa a suon di leggi e di sentenze e – ancor prima – ci domina a suon di propaganda vuole semplicemente snaturalizzare la vita, reificare e mercificare l’uomo; vuole decretare il trionfo della necrocultura, del transumanismo e dell’eugenetica. Sta a significare, anche, che l’operazione perversa di somministrazione graduale del male, condotta sfruttando le strutture fatiscenti del cattolicesimo degenerato, è riuscita davvero a deprimere la capacità di reazione di ogni strato di una società ormai completamente asservita.
L’uomo sintetico è tra noi, lo Stato lo acclama. E tutti acclamano lo Stato. Viva l’Italia che si preoccupa della nostra salute e del nostro futuro.
di Elisabetta Frezza
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Il 22 settembre prossimo “si celebrerà” il primo Fertility Day, parente stretto del Family Day e di tutti i days che seguiranno a beffare un popolo stordito; un popolo capace ancora di illudersi che i lacchè del regime – incardinati o free lance, in scena o dietro le quinte – guardino al bene dei suoi figli. Un popolo ormai incapace di resistere alle lusinghe del pifferaio che lo chiama verso il precipizio senza più nemmeno il bisogno di schermirsi.
Ne avevamo scritto con largo anticipo, di questo evento, quando i rulli dei tamburi e gli squilli di tromba risuonavano di lontano ad annunciarlo (clicca qui). Avevamo parlato di festival della provetta e di diabolici intrecci. Se si vuole comprendere la magnitudine dell’operazione in corso, quel quadro va assimilato, e da lì bisogna riprendere il filo.
Era già evidente allora quale sarebbe stata la musica del settembre a venire, perché lo spartito è noto, leggibile da chiunque sia disposto ad andare alla fonte e guardare poco più in là del proprio naso; è prevedibile il programma di un’orchestra stabile, e rodata, a prescindere dall’avvicendarsi sul palco dei suoi squallidi figuranti al soldo e sotto la direzione di un unico gran maestro.
Questo happening imbarazzante sfornato dalle fervide menti governative – dove il genio femminile è tanto ben rappresentato – non è che una delle molteplici espressioni surreali della propaganda ebetizzante e omologatrice spacciata a masse già inebetite e già omologate da un indottrinamento di lungo corso basato sul potere fuorviante di ritornelli orecchiabili ormai percepiti come famigliari, e quindi normali e quindi buoni, ma capaci di imporre su ampia scala sovversioni profonde oltre ogni immaginazione. Tipo, in questo caso, il cambio di paradigma nella procreazione, da naturale a sintetica, ovvero (su un piano altro) da sacra a demoniaca. Cosette da nulla.
Le ultime cronache ci distraggono con la polemica divampata dopo un commento compunto e struggente del tuttologo Saviano, pensoso pensatore di pensieri equosolidali sempre correttissimi. Egli ha definito il fertility day “un insulto a tutti: a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro” e ha dato la stura ai rigurgiti dei benpensanti e delle belle persone, pronti a fargli eco sfoderando l’armamentario di tutte le libertà e le autodeterminazioni, delle scelte rivendicate e delle offese subite. Fino all’intervento di Renzi in persona che, fiutando l’aria e null’altro, com’è in grado di fare, ha preso le parti dell’elettorato più à la page e scaricato senza troppi complimenti la ministra insieme al suo bel bagaglio promozionale, che tanto impegno le era costato. Il risultato è che, ora, è in programma qualche ritocco cosmetico della pietanza salutista, al fine di renderla più gradita anche alle squadriglie di femministe e femministi in servizio permanente effettivo. Dopo di che scoppierà di nuovo la pace anche sulla salute sessuale e riproduttiva degli italiani.
Queste scaramucce estemporanee non intaccano certo la sostanza del prodotto, esito ormai conclamato di una volontà istituzionale ben precisa: cambiare i connotati della riproduzione umana. Spostare l’asse della procreazione dalla idea della maternità a quella della fertilizzazione. Sul modello zootecnico. È da tempo, del resto, che il terreno veniva preparato, con pazienza, regolarità, abnegazione.
Ma l’aspetto più incredibile di tutta la faccenda, coi suoi epigoni da farsa, è che, nella farsa, hanno ritenuto doveroso entrarci tutti a recitare la propria parte, pure i sedicenti pro life – categoria perduta, si sa, nel gorgo vorace del democristianismo italico. E la reazione unanime di questi ultimi è stata di sostegno incondizionato all’iniziativa della “brava ministra Lorenzin” (copyright Francesco Agnoli, clicca qui), tutrice della nostra salute, cattolicissima, molto mamma e quasi sposa, che si preoccupa di rilanciare la natalità per invertire la curva demografica. Cioè, tutti a giocare a mosca cieca, tutti a bearsi ad ammirare il dito messo lì a bella posta, lisciando completamente la luna che si staglia chiara all’orizzonte. E giù coi complimenti, con le lodi, con le difese d’ufficio scattate per riflesso pavloviano e poi dilagate per contagio, correndo dietro a qualche formula suggestiva buttata lì dagli strateghi della comunicazione necrofila a incipriare tutt’un mondo, il mondo nuovo.
Ma come è possibile che proprio nessuno, neanche tra i più o meno diversamente credenti, tra i più o meno militanti probiotici – e figurarsi un qualche prelato – non si dia la briga di leggere, di vedere, di capire di cosa si tratta veramente? Di qual è la narrativa che ci viene imposta, a noi popolo bue, dai solerti badanti della nostra sanità (sessuale e riproduttiva)?
A partire dal logo di questa sceneggiata, che esprime figurativamente l’alienazione della filiazione dalla sua naturalità, che è unione nella carne tra un uomo e una donna, tra quell’ovulo e quello spermatozoo, secondo un disegno superiore. Campeggia infatti, tronfio, un cuore rosa, a significare l’Amore che tutto muove e giustifica ogni perversione. Per finire con la parola d’ordine su cui ruota il sistema intero, la sinistra “pianificazione famigliare” (letteralmente: planned parenthood) che, in combinato disposto con la salute riproduttiva – id est: aborto e contraccezione per tutti – costituisce l’ossatura onomastica della politica onusiana di controllo della popolazione sul pianeta.
Il cortocircuito dovrebbe apparire evidente, l’ossimoro tra il corredo malthusiano e la fertility lorenziniana dovrebbe pur sollevare qualche perplessità. E invece no. Il livello di inquinamento raggiunto grazie a decenni di cattocompromissioni fa sì che nemmeno un prelato si alzi in piedi e levi, sul mare di menzogne davvero apocalittiche, una voce di verità.
La “Lectio magistralis” che qualificherà l’alto livello della manifestazione sarà tenuta (vedi il Programma) da Eleonora Porcu. È lei l’auctoritas titolata di tutto l’impianto, la signora della crioconservazione di vite e di pezzi di vita, artefice principale di quel “Piano nazionale per la fertilità” da cui la propaganda prende origine, la scienziata creata in provetta da Casini e da Flamigni e vidimata dalla CEI per mezzo del carrozzone episcopale Scienza e Vita di cui è, nientemeno, che socia cofondatrice (per un suo profilo più approfondito si rimanda all’articolo “Il diabolico intreccio”, clicca qui).
Non le manca dunque alcuna credenziale per fare da testimonial della provetta pigliatutto e da pioniera delle nuove frontiere della biotecnologizzazione della riproduzione umana su cui, depennato misericordiosamente il peccato della fecondazione extracorporea, scende pure la benedizione della neochiesa ecumenica. Anzi, il suo profilo è stata creato apposta, in laboratorio, dal sodalizio adulterino tra il padre-padrone del movimento per la vita (Carlo Casini) e il genio della sua fabbricazione (Carlo Flamigni). È stata voluta femmina, come le collaboratrici della squadra “di lotta e di governo”, le Lorenzin, le Morresi, le Roccella, le Kustermann, perché l’utero è loro e se lo gestiscono loro, donne amiche di donne, e guai a chi osa contraddirle.
Cari voi che vi proclamate cattolici, ammesso che la qualifica abbia ancora un senso, cari voi che vi dite “pro life”, cari genitori, ma è questo che desideriamo per i nostri figli? Perché sono loro i destinatari di questa campagna. Infatti, c’è un’area dedicata ai bimbi, agli adolescenti, ai ragazzi, per introdurli al bello della salute riproduttiva, per iniziarli al sesso sotto la guida di “esperti” della materia e “operatori” vari. C’è un fertility game. Ci sono i fertility village, e giuro che non è uno scherzo.
Vogliamo che i nostri figli sguazzino in questo brodo?
Vogliamo che i nostri bimbi imparino la procedura per usare il preservativo quotidiano (clicca qui), quello appeso al filo con la molletta colorata?
Vogliamo che le nostre bambine siano vaccinate in batteria a undici-anni-undici contro l’infezione da HPV, sul presupposto che siano sessualmente attive? Senza che nulla sia detto sulle pesantissime controindicazioni del farmaco, copiosamente documentate?
Dietro al paravento di carta velina della cura del varicocele, della campagna antifumo, della prevenzione postuma (nel senso che ci si fregia di prevenire conseguenze di comportamenti malsani dati per assodati e considerati normali), il messaggio centrale della comunicazione ministeriale è il seguente: la sessualità in ogni sua forma e declinazione è un’attività ludico-ricreativa, un intrattenimento alla portata di tutti e meritevole di promozione indiscriminata; va praticata sin dalla più tenera età, con l’unica accortezza di evitare le malattie collegate, tra cui le eventuali gravidanze; quando poi si decida di procurarsi un bebè, aspirazione degna di lode anche nell’interesse della collettività, lo Stato è pronto a farsene carico, raccogliendo l’ordinazione e fabbricando il prodotto on demand.
La filosofia del progetto, del resto, è illustrata espressamente in termini inequivoci: «Educare alla procreazione. Identificare i difetti nella riproduzione. Aiutare la procreazione, quando necessario, con percorsi di fecondazione omologa ed eterologa». E ancora, riferendosi alla fecondazione artificiale: «quella che era nata come risposta terapeutica a condizioni di patologia specifiche e molto selezionate, sta forse assumendo il significato di un’alternativa fisiologica».
Più chiaro di così.
Risuona all’orecchio la profezia risalente di Shulamith Firestone, la femminista lesbica morta suicida, teorizzatrice estrema dell’indifferentismo sessuale, laddove diceva nei lontani anni 70: «dobbiamo tornare a una pansessualità senza ostacoli: la perversità polimorfa di Freud può sostituire l’etero, l’omo, la bisessualità…la riproduzione della specie sarà affidata alla riproduzione artificiale…la tirannia della famiglia biologica sarà spezzata».
La traiettoria segnata pare proprio quella lì, dove si coglie la stretta contiguità tra la linea della rivoluzione sessuale e quella della fabbricazione dell’uomo in laboratorio. Una trama da horror fantascientifico che si sta realizzando sotto i nostri occhi appannati.
In fin dei conti tutta questa storia, dipinta dalla cronaca come vicenda di costume semiseria di ordinaria amministrazione, in realtà sta a significare ben altro. Sta a significare che chi ci governa a suon di leggi e di sentenze e – ancor prima – ci domina a suon di propaganda vuole semplicemente snaturalizzare la vita, reificare e mercificare l’uomo; vuole decretare il trionfo della necrocultura, del transumanismo e dell’eugenetica. Sta a significare, anche, che l’operazione perversa di somministrazione graduale del male, condotta sfruttando le strutture fatiscenti del cattolicesimo degenerato, è riuscita davvero a deprimere la capacità di reazione di ogni strato di una società ormai completamente asservita.
L’uomo sintetico è tra noi, lo Stato lo acclama. E tutti acclamano lo Stato. Viva l’Italia che si preoccupa della nostra salute e del nostro futuro.
– di Elisabetta Frezza
3/9/2016Natalità. Non è una questione di soldi
Il cosiddetto “fertily day” e l'annessa campagna lanciati dal ministero della salute hanno infiammato orde di contestatori che hanno marchiato questa iniziativa come bigotta e retrograda.Al netto della solita sudditanza alla lingua inglese, della strutturazione superficiale e degli slogan rivedibili, ho ritenuto subito l’iniziativa in parte condivisibile.La denatalità è, infatti, uno dei più grandi problemi che colpiscono l’Italia e, come sostenuto da sociologi ed economisti, porterà il nostro Popolo ad un’inesorabile e lenta morte.
Non è, però, mio intento difendere l’indegno governo Renzi. Credo, anzi, che questa campagna rappresenti l’ipocrisia di un esecutivo che la Famiglia sta cercando di distruggerla da un punto di vista culturale, antropologico ed economico; un governo che la natalità non la sta certo favorendo. Con un pizzico di malizia, mi viene, inoltre, da pensare che questa non sia altro che una battaglia di retroguardia di una parte di governo che cerca di recuperare i pochi voti che aveva e che ha perso a causa della sua incoerenza. E’ poi pacifico che non potrà essere solamente questo tipo di iniziative a spingere gli italiani a ricominciare a fare figli.Ci sono, infatti, condizioni economiche sfavorevoli per coloro che volessero crescere un figlio, mentre coloro che hanno il coraggio di avere figli invece che essere tutelati vengono maggiormente vessati. Queste sono sicuramente situazioni inaccettabili e vanno risolte attraverso politiche serie e lungimiranti.
Guardiamo però in faccia la realtà, la società e noi stessi. Il problema centrale della denatalità non è quello economico. Non è vero che non si fanno più figli perché c’è la crisi, c’è precariato, non c’è lavoro. Il vero problema è di tipo antropologico e culturale. Non si fanno più figli a causa dell’egoismo e dell’individualismo che governano le nostre vite.In una società fondata sul consumismo, sul materialismo, sui falsi miti del progresso spacciati come verità dai media di regime, non c’è spazio che per l’io ed i suoi desideri. In questa società, nella quale le relazioni di coppia sono viste solamente come un mezzo per arrivare alla propria felicità e all’appagamento delle proprie pulsioni, non c’è spazio che per l’io ed i suoi desideri.
Di conseguenza è falso, in molti casi, il fatto che non si facciano più figli per motivi di carattere economico.Gli italiani, ed in generale tutti i cittadini occidentali, decidono di non fare più figli perché questo toglierebbe loro anni di divertimento, non permetterebbe, a dire di molti, di fare carriera, non permetterebbe loro di realizzarsi a pieno, non permetterebbe loro di comprarsi ogni anno l’i-phone nuovo.
Tutto ciò è dovuto alla distorta visione del mondo, della realtà e della vita che sono state propagandate soprattutto negli ultimi decenni. Per fare figli serve fare molti sacrifici, non solo economici, è necessario donarsi in modo incondizionato e disinteressato, è indispensabile essere consapevoli della grande bellezza e delle grandi responsabilità che comporta questa scelta.
E’ evidente che la società attuale abbia abbandonato da tempo tutte queste caratteristiche essenziali.Di conseguenza i figli, o non si vogliono proprio o li si vuole come e quando decidiamo noi, del sesso e del colore di capelli di cui li desideriamo. Insomma, i figli ci servono solo quando diventano un nostro desiderio, un qualcosa che ci manca fra le mille che questo mondo moderno può fornirci.
Cosi ci è stata data la possibilità di creare i nostri figli attraverso provette e uteri in affitto e, come se non bastasse, la possibilità di sceglierli su dei cataloghi. In questo modo i pochi figli che nasceranno saranno fatti su misura e potranno davvero renderci felici. Questo è, purtroppo, quello a cui ci sta portando questa società: un figlio rappresenta una delle tante cose che questo mondo può offrirci, perciò, o ce lo offre con le modalità, i tempi e le condizioni che ci aggradano o possiamo farne a meno. Questo è quello che, come previsto incredibilmente da romanzi distopici del secolo passato, il potere vuole per noi e noi, schiavi, continuiamo ad ubbidire docilmente.La Vita, una nuova nascita, non sono più viste come un dono, ma solamente come un peso o come un desiderio da esaudire. Fino a quando continueremo a credere che queste possano essere davvero le condizioni per portarci alla felicità ed alla vera libertà, fino a quando non torneremo a vedere la maternità e la paternità come una ricchezza ed un dono immenso, noi italiani continueremo a non fare figli. Ben vengano, quindi, campagne di sensibilizzazione, se fatte con sincerità, se seguite da fatti e soprattutto se contestate dai più grandi sponsor del politicamente corretto e del progressismo.
Per tornare a fare figli, però, ci vuole un cambiamento radicale nello spirito e nella concezione della vita. Sperando e soprattutto continuando a lottare affinché questo possa accadere, nel frattempo, di fronte a molte coppie in carriera che ritengono di intralcio fare figli, continuerò a preferire quelle coppie che, nonostante le difficoltà, continuano a fare sacrifici quotidiani per crescere ed educare i più grandi doni della propria vita.
di Paolo Inselvini
http://www.campariedemaistre.com/2016/09/natalita-non-e-una-questione-di-soldi.html
Comunicazione: la forma e i contenuti nel caso Fertility Day
30Fertility Day, è notizia di poche ore fa, il ministro Lorenzin ci ripensa: “Faremo una nuova campagna”.
.
La decisione è arrivata dopo le polemiche e gli attacchi sui social network che avevano preso di mira le cartoline promozionali del Ministero della Salute che riportiamo qui sotto (oppure vedi sito Ministero).La vicenda sta sollevando un grosso polverone sui media: giornali, radio e il mondo social si stanno occupando della questione senza risparmiare interviste, commenti, critiche, alzate di sopracciglia, sdegni e invettive. Ma, come spesso accade, si parla molto più della forma che della sostanza. Proviamo ad analizzare quello che sta succedendo attraverso 4 semplici domande:Domanda 1) La denatalità è realmente un problema?Nel 1970 il tasso medio di fertilità nell’Unione europea era di 2,4 bambini per ogni donna, nel 2013, secondo i dati Ocse è crollato a 1,5. Sempre secondo l’Ocse, è necessario un tasso di almeno 2,1 bambini per ogni donna, per garantire una popolazione stabile. Sotto questa soglia infatti, i paesi con una popolazione che invecchia, dovranno affrontare sempre crescenti spese per servizi sociali e assistenza sanitaria, senza avere una popolazione minima, in grado di produrre la ricchezza necessaria al sostentamento dell’intero sistema.Domanda 2) Allora perché un governo che cerca di affrontare questo problema viene così aspramente criticato?Per le donne, il fatto che lo stato ponga un’enfasi tale sulla maternità può essere irritante. Come se la colpa della natalità fosse loro, della loro pigrizia o paura e non degli ostacoli presenti nella società, che vedono le donne italiane che lavorano ancora lottare contro comportamenti radicati, che possono rendere la maternità un elemento di precarietà economica. In altre parole, molte donne italiane sanno già che la denatalità è un problema per il sistema attuale. Solo che non pensano, a torto o a ragione, che tocchi a loro risolverlo.Domanda 3) Il fatto che nascano meno figli è dovuto principalmente a difficoltà economiche e/o a precarietà lavorativa?Se così fosse non si spiegherebbe come mai nei paesi più ricchi nascano pochissimi figli mentre in quelli più poveri il tasso di natalità è molto più alto.Il tasso di fecondità indica il numero medio di figli per donna. Se minore di 2,1 è segno di invecchiamento e di calo della popolazione.
A livello mondiale è oggi di 2,56 figli per donna. Ma le differenze sono molte, tra le aree più o meno sviluppate nel mondo. Paesi poveri, tanti figli. Nella cartina, che indica con diversi colori il numero medio di figli per donna, questo scarto è visibile.Grafico con dati del 2011 riportato su FocusAlla luce di questo dato, la denatalità sembra essere il frutto soprattutto di fatturi culturali. In questa senso è significativo quello che scrive, seppur da posizioni critiche nei confronti della campagna governativa, Ida Dominijanni su Internazionale. “…Il calo della fertilità non è attribuibile solo a ostacoli di natura economica. Non si può affrontare il tema come se il desiderio di maternità fosse un dato certo, ostacolato dalla mancanza di reddito, sussidi e strutture. Un lavoro fisso, uno stipendio e un asilo nido sotto casa di certo incoraggiano a mettere al mondo un figlio più di quanto scoraggino la disoccupazione, il precariato e l’assenza di incentivi, ma poi, anzi prima, c’è dell’altro. C’è la logica, e l’ambivalenza, del desiderio, che non è mai un dato certo: c’è e non c’è, ci può essere e può non esserci, va e viene, può imporsi e può fallire, senza per questo diminuire la pienezza della vita di una donna. C’è la logica, e la fragilità, delle relazioni fra i sessi scosse dalla fine del patriarcato, che si ripercuote per vie spesso insondabili sull’infertilità delle coppie. Ci sono le incertezze dell’identità sessuale, il gender trouble che non si sa perché siamo tutte pronte a rivendicare come fattore di libertà ma non sempre facendoci carico del trouble che comporta anche sul piano procreativo. C’è la logica imprevedibile della sessualità, che ha a che fare con le ragioni dell’inconscio e non con la contabilità della spesa sociale. C’è la logica più prevedibile ma tutt’altro che certa delle tecnologie riproduttive che l’infertilità ambirebbero a risolverla. E c’è, su tutto, la libertà di non fare figli, che nel femminismo abbiamo guadagnato come libertà di grado non inferiore a quella di farli.”Domanda 4) Quindi, andando al nocciolo della questione, i motivi ultimi delle critiche sembrano essere legati più alla “campagna di comunicazione” che non all’obiettivo del governo?Pare proprio di si. Da un punto di vista tecnico questa campagna di comunicazione ha raggiunto il suo obiettivo (che è l’obiettivo primario di tutte le campagne di comunicazione) e cioè far parlare di sé. Da un punto di vista del gradimento o dell’apprezzamento non è piaciuto, a molti critici, il tono eccessivamente diretto e franco oppure l’accostamento strumentale della fertilità, caratteristica fisica individuale, con il concetto collettivo di “bene comune”, vedi il post di Saviano su Facebook:.
.Insomma critiche aspre sulla opportunità di parole, immagini o toni. Ma silenzio sulle finalità e sull’obiettivo della campagna. Nella società della comunicazione si critica la comunicazione ma si tace sulle finalità e sugli obiettivi. Forse perché, al fondo, su questi siamo tutti d’accordo?- BY FRANCESCO FABIANO ON
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