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Fertility Day,  è notizia di poche ore fa, il ministro Lorenzin ci ripensa: “Faremo una nuova campagna”.

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La decisione è arrivata dopo le polemiche e gli attacchi sui social network che avevano preso di mira le cartoline promozionali del Ministero della Salute che riportiamo qui sotto (oppure vedi sito Ministero).
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La vicenda sta sollevando un grosso polverone sui media: giornali, radio e il mondo social si stanno occupando della questione senza risparmiare interviste, commenti, critiche, alzate di sopracciglia, sdegni e invettive. Ma, come spesso accade, si parla molto più della forma che della sostanza. Proviamo ad analizzare quello che sta succedendo attraverso 4 semplici domande:
Domanda 1) La denatalità è realmente un problema?
Nel 1970 il tasso medio di fertilità nell’Unione europea era di 2,4 bambini per ogni donna, nel 2013, secondo i dati Ocse è crollato a 1,5. Sempre secondo l’Ocse, è necessario un tasso di almeno 2,1 bambini per ogni donna, per garantire una popolazione stabile. Sotto questa soglia infatti, i paesi con una popolazione che invecchia, dovranno affrontare sempre crescenti spese per servizi sociali e assistenza sanitaria, senza avere una popolazione minima, in grado di produrre la ricchezza necessaria al sostentamento dell’intero sistema.

Domanda 2) Allora perché un governo che cerca di affrontare questo problema viene così aspramente criticato?
Per le donne, il fatto che lo stato ponga un’enfasi tale sulla maternità può essere irritante. Come se la colpa della natalità fosse loro, della loro pigrizia o paura e non degli ostacoli presenti nella società, che vedono le donne italiane che lavorano ancora lottare contro comportamenti radicati, che possono rendere la maternità un elemento di precarietà economica. In altre parole, molte donne italiane sanno già che la denatalità è un problema per il sistema attuale. Solo che non pensano, a torto o a ragione, che tocchi a loro risolverlo.
Domanda 3) Il fatto che nascano meno figli è dovuto principalmente a difficoltà economiche e/o a precarietà lavorativa?
Se così fosse non si spiegherebbe come mai nei paesi più ricchi nascano pochissimi figli mentre in quelli più poveri il tasso di natalità è molto più alto.

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Il tasso di fecondità indica il numero medio di figli per donna. Se minore di 2,1 è segno di invecchiamento e di calo della popolazione.
A livello mondiale è oggi di 2,56 figli per donna. Ma le differenze sono molte, tra le aree più o meno sviluppate nel mondo. Paesi poveri, tanti figli. Nella cartina, che indica con diversi colori il numero medio di figli per donna, questo scarto è visibile.
Grafico con dati del 2011 riportato su Focus

Alla luce di questo dato, la denatalità sembra essere il frutto soprattutto di fatturi culturali. In questa senso è significativo quello che scrive, seppur da posizioni critiche nei confronti della campagna governativa, Ida Dominijanni su Internazionale. “…Il calo della fertilità non è attribuibile solo a ostacoli di natura economica. Non si può affrontare il tema come se il desiderio di maternità fosse un dato certo, ostacolato dalla mancanza di reddito, sussidi e strutture. Un lavoro fisso, uno stipendio e un asilo nido sotto casa di certo incoraggiano a mettere al mondo un figlio più di quanto scoraggino la disoccupazione, il precariato e l’assenza di incentivi, ma poi, anzi prima, c’è dell’altro. C’è la logica, e l’ambivalenza, del desiderio, che non è mai un dato certo: c’è e non c’è, ci può essere e può non esserci, va e viene, può imporsi e può fallire, senza per questo diminuire la pienezza della vita di una donna. C’è la logica, e la fragilità, delle relazioni fra i sessi scosse dalla fine del patriarcato, che si ripercuote per vie spesso insondabili sull’infertilità delle coppie. Ci sono le incertezze dell’identità sessuale, il gender trouble che non si sa perché siamo tutte pronte a rivendicare come fattore di libertà ma non sempre facendoci carico del trouble che comporta anche sul piano procreativo. C’è la logica imprevedibile della sessualità, che ha a che fare con le ragioni dell’inconscio e non con la contabilità della spesa sociale. C’è la logica più prevedibile ma tutt’altro che certa delle tecnologie riproduttive che l’infertilità ambirebbero a risolverla. E c’è, su tutto, la libertà di non fare figli, che nel femminismo abbiamo guadagnato come libertà di grado non inferiore a quella di farli.”
Domanda 4) Quindi, andando al nocciolo della questione, i motivi ultimi delle critiche sembrano essere legati più alla “campagna di comunicazione” che non all’obiettivo del governo?
Pare proprio di si. Da un punto di vista tecnico questa campagna di comunicazione ha raggiunto il suo obiettivo (che è l’obiettivo primario di tutte le campagne di comunicazione) e cioè far parlare di sé. Da un punto di vista del gradimento o dell’apprezzamento non è piaciuto, a molti critici, il tono eccessivamente diretto e franco oppure l’accostamento strumentale della fertilità, caratteristica fisica individuale, con il concetto collettivo di “bene comune”, vedi il post di Saviano su Facebook:
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Insomma critiche aspre sulla opportunità di parole, immagini o toni. Ma silenzio sulle finalità e sull’obiettivo della campagna. Nella società della comunicazione si critica la comunicazione ma si tace sulle finalità e sugli obiettivi. Forse perché, al fondo, su questi siamo tutti d’accordo?