Quando abbiamo letto la “Lettera agli amici” distribuita da Alleanza Cattolica e firmata da Marco Invernizzi, siamo rimasti allibiti. Non che noi si abbia particolare dimestichezza con gli scritti prodotti negli ultimi anni da Alleanza Cattolica, ma abbiamo sempre considerato questa benemerita organizzazione come un porto dove tanti cattolici per anni si sono trovati al riparo dal maremoto che ha travolto la pratica della fede a partire dagli anni ’70.
Vero è che negli ultimi decenni si sono aperte delle vistose brecce in questo rifugio, ma mai avremmo pensato di arrivare a leggere una confessione di resa incondizionata come questa “Lettera agli amici” del 13 settembre 2016.
Sconcertati, abbiamo subito chiamato alcuni vecchi amici di Alleanza Cattolica e ci siamo sentiti apostrofare: “ma dove vivi?… non lo sai che ormai Alleanza Cattolica è diventata ‘alleata dei neocattolici’!”
Un po’ mortificati, e un po’ dispiaciuti, ci siamo detti che saremmo venuti meno al nostro dovere di correzione fraterna se non avessimo vergato queste righe.
Eccoci dunque ad assolvere questo penoso dovere.
Lo faremo riportando lo scritto per intero e commentando i punti salienti di questa “lettera” di Marco Invernizzi: dal maggio scorso “reggente nazionale” dell’organizzazione.
La “teologia del lamento” e le divisioni nella Chiesa
Questo il titolo della “Lettera”.
Una importante meditazione di Papa Francesco ci invita a riflettere sulle divisioni nella vita della Chiesa. Commentando il 12 settembre le parole della prima lettera di San Paolo ai Corinzi (11, 17-26), il Pontefice ha ricordato le «divisioni ideologiche, teologiche, (che) laceravano la Chiesa: il diavolo semina gelosie, ambizioni, idee, ma per dividere! O semina cupidigia: pensiamo ad Anania e Saffira, ai primi tempi». Perché, ha rimarcato, «sin dai primi tempi le divisioni ci sono state e quello che fa la divisione nella Chiesa è distruzione: le divisioni distruggono, come una guerra: dopo una guerra tutto è distrutto e il diavolo se ne va contento».
La divisione si insinua astutamente nel nostro cuore, senza farsi riconoscere inizialmente e nascondendosi dietro pretesti assolutamente legittimi. È vero o no che tante cose non vanno nella Chiesa? È vero o no che tante persone, anche autorevoli, seminano eresie più o meno consapevolmente, oppure danno scandalo con la loro vita, oppure sono avare, mentono e si comportano con arroganza?
E allora ogni occasione è buona per criticare, accusare e scoraggiare. Nasce la “teologia del lamento”.
La divisione si insinua astutamente nel nostro cuore, senza farsi riconoscere inizialmente e nascondendosi dietro pretesti assolutamente legittimi. È vero o no che tante cose non vanno nella Chiesa? È vero o no che tante persone, anche autorevoli, seminano eresie più o meno consapevolmente, oppure danno scandalo con la loro vita, oppure sono avare, mentono e si comportano con arroganza?
E allora ogni occasione è buona per criticare, accusare e scoraggiare. Nasce la “teologia del lamento”.
Ecco, fermiamoci per un momento e vediamo cosa c’è scritto:
C’è scritto che è vero che tante cose non vanno nella Chiesa, che tante persone, anche autorevoli, seminano eresie più o meno consapevolmente – gli interrogativi sono chiaramente retorici, perché se fossero provocatorii sarebbero menzogneri, dal momento che è proprio vero… ed è vero non da ieri, ma dall’altro ieri, da quel dì degli anni ’70, quando la vecchia Alleanza Cattolica si schierò compatta e agguerrita contro lo sfascio dilagante e le eresie germoglianti copiose.
Ma ecco che improvvisamente c’è anche scritto che: allora ogni occasione è buona per criticare, accusare e scoraggiare.
Ma come sarebbe a dire?!
Se ci sono cose che non vanno, se autorevoli persone seminano eresie… cosa dovrebbero fare i cattolici se non criticare e accusare… anzi protestare indignati e offesi?
Altro che “ogni occasione è buona”! Il dovere dei cattolici, dei veri cattolici, è: “opportune importune”, ammonire, rimproverare, esortare con ogni magnanimità e dottrina (cfr. 2 Tim. 4, 2); possibile che ad Alleanza Cattolica abbiano dimenticato questo fondamentale imperativo?
Possibile che Alleanza Cattolica si sia ridotta al punto da considerare l’esortazione di San Paolo come un’istigazione alla “teologia del lamento”?
Siamo allibiti!
Spesso serve a giustificare il proprio “fare nulla”, ma molte volte si traduce in un attivismo frenetico, ma che porta soltanto o soprattutto rancori, maldicenze, pettegolezzi, che sembrano partire dallo scandalo per il comportamento degli uomini importanti della Chiesa (e qualche volta sono scandali autentici), ma che molte volte sono semplicemente l’espressione di un rancore profondo, che può avere origini diverse.
Quindi, non solo i cattolici che praticano la correzione fraterna sarebbero diventati dei “lamentosi”, ma questa stessa correzione “molte volte” non sarebbe altro che “rancore”, “maldicenza” e “pettegolezzo”, il tutto mosso sì dagli scandali, ma dagli scandali che solo “qualche volta sono autentici”, mentre le altre tante volte sarebbero falsi, inventati o supposti.
E così veniamo a sapere, con non poca sorpresa, che i cattolici che pensano - maldestramente? – di ammonire, rimproverare, esortare i loro fratelli, non farebbero altro che passare dal lamento alla calunnia, mossi “molte volte” solo da “un rancore profondo”, qui indefinito e in loro incontrollato: frutto del loro abituale oziare che “molte volte si traduce in attivismo frenetico”… magari a causa di un improvviso attacco di tarantolismo… aggiungiamo noi.
Siamo allibiti!
Certamente esiste la crisi della Chiesa. Esiste dal tempo del beato Paolo VI, che la denunciò con parole diventate famose, ed esisteva anche prima, come per esempio si comprende dalla lettura dell'ultimo libro-intervista di Benedetto XVI, dove parla di come negli Anni cinquanta molti come lui erano consapevoli di come la teologia neoscolastica del tempo non fosse più in grado di comunicare con l’uomo contemporaneo e fosse necessario un nuovo approccio per parlare agli uomini di quell’epoca.
E qui siamo un po’ alla farsa e un po’ al grottesco.
Intanto precisiamo che se di crisi nella Chiesa – e non della Chiesa – si vuole parlare è opportuno ricordare che occorre andare un po’ più indietro nel tempo… quando Pio IX, Leone XIII e San Pio X fustigavano i cattolici, chierici e laici, che volevano sovvertire la Chiesa dall’interno; quando sferzavano il modernismo e l’insana smania del “rinnovamento”; quando venivano allontanati i sovversivi dalle fila del clero e dei religiosi; anche se tutto quel lavoro non diede i frutti sperati, fino al punto che con Giovanni XXIII e Paolo VI quelli cacciati dalla porta furono fatti rientrare dalla finestra.
Come è opportuno ricordare che se Paolo VI parlò allora del “fumo di Satana” che “da qualche fessura” era entrato “nel tempio di Dio”, fu perché, evidentemente, era distratto, dal momento che non ricordava più che era stato lui a spalancare le finestre aperte da Giovanni XXIII.
Quelle stesse finestre, ormai quasi divelte, da cui erano penetrati fin nelle più segrete stanze certi chierici affamati di novità e refrattari agli insegnamenti e agli ammonimenti dei Papi: come il giovane Ratzinger che giunse al Vaticano II con la convinzione che bisognasse accantonare San Tommaso ed affidarsi ai nuovi teologi con la loro “nouvelle theologie” ripulita della “scolastica” e intrisa di protestantesimo; proprio come è da anni che ricorda, orgogliosamente e impunemente, lo stesso Joseph Ratzinger e che pare abbia ulteriormente ribadito poco tempo fa.
Insomma, Invernizzi, per giustificare il suo ragionare, si rifà alla datazione della crisi citando proprio due dei principali autori di essa.
E’ penoso dover constatare che oggi Alleanza Cattolica sia “retta” da cattolici che sembra abbiano cambiato completamente pelle rispetto a quando iniziarono il loro impegno in difesa dell’insegnamento della Chiesa.
Questa crisi ha una storia e dei personaggi che la hanno sostenuta, dal giansenismo al modernismo fino al progressismo postconciliare. Però questa crisi non deve diventare un’ossessione e trasformarsi in un continuo lamento, come se nella Chiesa non ci fosse sempre qualcosa di buono, come se lo Spirito santo avesse smesso di sostenere e guidare il corpo di Cristo, pur nelle molte contraddizioni.
Noi pensiamo che questo periodo dev’essere scappato involontariamente dalla penna di Invernizzi, tanto appare inconsistente e contraddittorio.
Allora: la crisi c’è, ed è sostenuta dal “progressismo postconciliare”, anche se i personaggi a cui si fa cenno rimangono senza nome nello scritto di Invernizzi, forse perché sono proprio quelli che abbiamo appena ricordato.
Quindi si tratta di un “fatto” che Invernizzi condivide. Ma, cos’è il “progressismo postconciliare” se non quella corrente o tendenza o semi-organismo a cui appartengono innumerevoli Ordinarii e porporati che da decenni occupano le Diocesi e la Curia romana?
Che fare, dunque? Invernizzi raccomanda che “questa crisi non deve diventare un’ossessione e trasformarsi in un continuo lamento”… come se si trattasse di un semplice raffreddore di poco conto e come se i cattolici soffrissero tutti di ipocondria.
Ora, questa si chiama leggerezza o superficialità, che per un argomento come quello in questione, non solo è inaccettabile, ma perfino colpevole; al punto che non ci si può impedire di chiederci se l’autore dello scritto è inconsapevole, e quindi da ri-preparare, o consapevole, e quindi da riprovare e da denunciare “all’assemblea” con la speranza che “ascolti” e non costringa a considerarlo “come un pagano e un pubblicano” (cfr. Mt. 18, 15-17).
E ancora. Mentre non v’è dubbio che nella Chiesa c’è “sempre qualcosa di buono”, è ancora più certo che in essa c’è e ci sarà sempre “molto di buono”, se non altro perché essa è opera del Signore e non degli uomini. Ma questo non può e non deve indurre i cattolici a sottovalutare o a trascurare ciò che c’è di cattivo, ciò che va doverosamente denunciato e combattuto, piaccia o non piaccia ai sempre gioiosi neo-cattolici che rifuggono i lamenti e si compiacciono di qualunque cosa, paghi solo di crogiolarsi nella loro inviolabile personale acquiescenza.
E, per favore, si lasci in pace lo Spirito Santo: è possibile che ogni volta che nella Chiesa gli uomini commettono delle gravi mancanze, c’è sempre qualcuno che chiami in causa lo Spirito Santo per sminuirne la gravità e per trasformare le contraddizioni in coerenze?
Infatti, un atteggiamento del genere divide invece di risanare, ferisce l'unità del corpo invece di rinnovarla. Come possiamo pensare di attirare le persone a Cristo e alla sua Chiesa se di quest’ultima mostriamo sempre e soltanto il volto dilaniato dalle divisioni ideologiche e dalle debolezze esistenziali?
E come si fa a capire che non bisogna praticare la “teologia del lamento”? Usando le parole magiche divenute ormai i tabù del moderno paganesimo dei neo-cattolici: condivisione,unità, rinnovamento.
Il medico pietoso fa la piaga verminosa, dice un vecchio proverbio. Meglio amputare e cavare, dice Nostro Signore (cfr. Mc. 9, 42-48), piuttosto che andare uniti alla perdizione condividendo e rinnovando.
Senza contare l’acquisizione acritica dell’altro nefasto luogo comune dell’“apparire” belli e puliti per evangelizzare efficacemente, invece che “essere” semplicemente testimoni della Verità.
Siamo allibiti!
La storia della Chiesa è piena di divisioni e di tradimenti. Di fronte al male e agli errori si può reagire in modi diversi, lasciandosi annichilire oppure ricordandosi che il primo dovere del nostro apostolato consiste nel lasciare trasparire la gioia di essere stati “presi” da Cristo e da Sua Madre. Le divisioni hanno avuto diverse origini: il denaro e l'ambizione, ma anche le ideologie o le diverse posizioni teologiche. Ci sono diversi modi di reagire di fronte a esse: San Francesco ha ricordato con la testimonianza della propria vita il valore inestimabile nel cristianesimo della povertà evangelica, ma lo ha fatto nell'obbedienza assoluta. Lutero ha risposto alla crisi della Chiesa rompendo la comunione. Spesso le parole sono armi letali, come sono diventate le 95 tesi di Lutero del 1517, quando diedero inizio alla ribellione protestante. Sono come un'azione terroristica, dice Papa Francesco, perché portano alla divisione.
Ed ecco che anche il “reggente” di Alleanza Cattolica si arrende incondizionatamente alla leggenda marrone del Francesco d’Assisi sempliciotto, buonista e demagogo; e alla suggestione sudamericana del terrorismo praticato da chi vuole rimanere fedele alla dottrina della Chiesa e radicato nell’insegnamento di Nostro Signore.
Con l’aggiunta tutta moderna, e modernista, del paragonare la sacrosanta condanna degli scandali perpetrati e delle eresie predicate dai moderni uomini di Chiesa alla ribellione luciferina del monaco tedesco lussurioso e asservito al potere del mondo.
Invero un ridicolo ritornello che non dovrebbe essere cantato da cattolici che pretendono di essere intelligenti, se non altro perché ormai è supremamente ridicolo tacciare i confratelli cattolici fedeli alla dottrina di sempre dell’epiteto di “luterani”, quando da anni i papi del post-concilio si sono industriati per rivalutare Lutero e l’ultimo di essi, tanghero e venuto dalla fine del mondo, si appresta ad esaltarlo in attesa di beatificarlo.
Per decenni le calunnie contro Pio XII hanno trovato sponde dentro la Chiesa, anche se erano infondate, perché si voleva fargli pagare il suo anticomunismo. Per decenni, in senso contrario, si sono levate voci contro Paolo VI, accusandolo di essere favorevole al neomodernismo, nonostante il suo magistero sostenesse il contrario. In questo caso il risultato è stato uno scisma, quello di Ecône, ma contro Pio XII è esistito ed esiste uno “scisma sommerso” fatto di ostracismo e oggettiva “collusione con il nemico”.
E come sempre accade quando ci si lascia prendere dalla foga – e mentre lo diciamo pensiamo a noi stessi -, ecco che se non ci si controlla si finisce col dire delle enormità senza alcun fondamento oggettivo.
Forse che le “calunnie contro Pio XII” che “hanno trovato sponde dentro la Chiesa”, sarebbero da addebitare a qualche sagrestano, piuttosto che, com’è vero, a certi alti prelati assisi in posti di responsabilità? E non son queste, cose da stigmatizzare come sembra timidamente fare qui anche lo stesso “reggente”?
Forse il “reggente” crede che nessun cattolico abbia mai letto le esortazioni e i discorsi gnostici, panteisti e omocentrici del poco compianto Montini, tanto da credere ingenuamente alla sua fantasia interessata di un Paolo VI professante e insegnante l’anti neomodernismo?
Non possiamo non essere tolleranti anche nei confronti delle abitudini da lacchè di certi moderni cattolici “adulti”, ma, vivaddio, a tutto c’è un limite!
Ed allora ecco qualche perla montiniana, tanto per rinfrescare la memoria:
«Non capiterà forse all’uomo moderno, mano mano che i suoi studi scientifici progrediscono, e si vengono scoprendo leggi e realtà sepolte nel muto volto della materia, di ascoltare la voce meravigliosa dello spirito ivi palpitante? Non sarà codesta la religione di domani?» (conferenza del 1960).
«La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio… e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (discorso del 1965).
«Onore all’uomo! Onore al pensiero! Onore alla scienza! Onore alla tecnica! Onore al lavoro! Onore all’ardimento umano! … Onore all’uomo, re della terra ed ora anche principe del cielo» (Angelus del 1971).
«La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio… e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (discorso del 1965).
«Onore all’uomo! Onore al pensiero! Onore alla scienza! Onore alla tecnica! Onore al lavoro! Onore all’ardimento umano! … Onore all’uomo, re della terra ed ora anche principe del cielo» (Angelus del 1971).
E volutamente non forniamo i riferimenti completi, perché è bene che qualcuno se li vada a cercare – sono tutti facilmente reperibili su internet - e magari colga l’occasione per “studiare” un po’ di vera storia della Chiesa, piuttosto che compiacersi in fantasie e luoghi comuni.
Ma la più bella battuta, davvero immaginifica, presente in questo periodo della lettera del “reggente”, è quella sullo “scisma” di Ecône, che, al di là della vena esilarante, rivela l’aspetto penosamente tragico dell’attuale stato mentale del nuovo “reggente” di Alleanza Cattolica, la quale ha certamente conosciuto tempi migliori.
Ecône, … luogo divenuto ormai ossessivo per i moderni neocattolici, tanto più ossessivo e più esecrato per quanto venne da loro gioiosamente frequentato nei tempi beati della contestazione dentro e fuori la Chiesa… frequentato, agognato, esaltato perfino dagli allora “fondatori e capi” di Alleanza Cattolica, che ad esso si rivolgevano, e al suo fondatore, l’allora da loro osannato Mons. Marcel Lefebvre, non solo per riceverne i lumi intellettuali e dottrinali – oggi trasformatisi in “ideologie” nelle menti delle “rinsavite” guide di Alleanza Cattolica -, ma perfino per riceverne i sacramenti, e in primis il sacramento dell’Ordine, contro ogni volere, direttiva e consiglio della Curia romana di allora e del suo capo il Papa.
Ora, von volendo infierire, dicendo che probabilmente si trattò di un “contrordine, compagni!”, diciamo che ognuno di noi ha la facoltà di mutare legittimamente opinione, cosa che si deve riconoscere all’incolto e all’inclito, ma tale mutazione è legittima e lodevole solo quando equivale ad un miglioramento e non quando si passa da un tenuta anche appena corretta ad una decisamente scorretta.
Per decenni abbiamo ascoltato le critiche contro certi gesti di Giovanni Paolo II, a seconda dell’impostazione ideologica: chi criticava la Dominus Jesus e chi l’incontro di Assisi, dimenticando che l’unicità salvifica di Cristo e l’ecumenismo possono e devono convivere perché non solo non sono contraddittori, ma entrambi i gesti hanno di mira l’unità.
Che dire poi di questa trovata “dell’impostazione ideologica” segnalata a carico delle critiche mosse contro “l’incontro di Assisi”?
Pensiamo di non esagerare se diciamo che certuni si muovono sulla spinta della dissociazione mentale, quando avanzano giudizi simili circa le dottrinalmente documentate apostrofi contro le blasfeme concioni, supposte “ecumeniche”, promosse da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, nelle quali si è voluto espressamente ridurre il Vero Dio al rango dei falsi dei e degli idoli, e questo non ad opera di un improvvido sagrestano confuso e stordito, ma per mano e per bocca e per iniziativa di supposti “Vicari di Cristo”, che si sono rivelati essere, così, altrettanto confusi e storditi, con l’aggravante di aver indotto i cattolici ad apostatare e i miscredenti e gli erranti a considerarsi veri credenti.
Un vero sfacelo e un inganno totale e universale: che facciamo davvero fatica a credere che possa essere difeso dal “reggente” di Alleanza Cattolica, che ci sembra proprio si sia ridotto semplicemente a reggere il moccolo dell’Avversario per far luce – sinistra – sui suoi propositi devastatori che sono destinati a infrangersi miseramente e rovinosamente contro la Verità di Dio.
Lo stesso, o quasi, dicasi per le critiche alla Dominus Iesus, marchingegno teologico-dialettico realizzato in combutta da Wojtyla e da Ratzinger e la cui inconsistenza mista alla sua ingannevolezza sono certificate proprio da quanto abbiamo detto prima circa il concreto agire anticristico dei medesimi personaggi.
Ed è lo stesso “reggente” che ce ne fornisce giustificazione e fondamento, quando sostiene incredibilmente una cosa che neanche Borgoglio ha osato finora affermare in modo così plateale, e qui la riportiamo di nuovo, perché repetita iuvant:
l’unicità salvifica di Cristo e l’ecumenismo possono e devono convivere perché non solo non sono contraddittori, ma entrambi i gesti hanno di mira l’unità.
Espressione che merita tutta la nostra attenzione, soprattutto perché il “reggente” se la merita proprio.
Innanzi tutto: cos’è questa novità dell’“l’unicità salvifica di Cristo” che sarebbe un “gesto” al pari de “l’ecumenismo”? Quando invece nessuno dei due è certamente un “gesto”, ma la prima è l’opera redentrice di Dio e il secondo è l’opera dissolutrice dei preti moderni?
Siamo ancora allibiti!
Ma lo siamo ulteriormente nel venire a sapere, dal “reggente”, che queste due realtà incomparabili e decisamente in conflitto, esattamente come il “bene” e il “male”, non solo “possono”, ma “devono” “convivere” – Invernizzi dixit -, perché “entrambi”, nella testa ormai allo sbando di Invernizzi, “hanno di mira l’unità”.
Niente po’ po’ di meno!
Dobbiamo approfondire la confutazione di questa assurdità? No! E’ troppo assurda e merita solo un piccolo richiamo: “l’unicità salvifica di Cristo” mira all’unione con Dio, “l’ecumenismo” mira all’unione col demonio.
E se qualcuno elucubrasse modernisticamente che il moderno ecumenismo avrebbe lodevolmente in vista l’unità del genere umano, possiamo solo rispondere che Nostro Signore Gesù Cristo non è venuto a costituire l’ONU o il Nuovo Ordine Mondiale, ma è venuto al mondo ed è morto sulla Croce ed è resuscitato ed è asceso al Cielo, per offrire l’ultima possibilità di salvezza eterna a tutti noi uomini peccatori e massimamente a quelli che si lasciano ingannare dalle lusinghe del demonio seguendo le iniziative tutte umane concepite a effimero comodo e a vano godimento dell’uomo e non a gloria imperitura di Dio.
Così oggi i nostalgici di Benedetto XVI criticano ferocemente Francesco e generano amarezza e rancori, mentre esistono seguaci del regnante Pontefice che ne compromettono l’opera missionaria presentandolo per quello che non è.
Prendiamo dunque sul serio il monito del Santo Padre e facciamo un esame di coscienza sull’uso improprio delle nostre parole, che spesso feriscono e producono solo amarezza. Certo esiste sempre un buon motivo per lamentarsi, ma non esiste un lamento utile alla causa di Dio se non viene fatto con grande prudenza, con ricercata carità, con la volontà di non rompere, ma di integrare, di sanare e non di esasperare il contrasto, di amare e servire la verità ma anche di esercitare la mitezza e la pazienza di cui Gesù è sempre stato maestro.
Prendiamo dunque sul serio il monito del Santo Padre e facciamo un esame di coscienza sull’uso improprio delle nostre parole, che spesso feriscono e producono solo amarezza. Certo esiste sempre un buon motivo per lamentarsi, ma non esiste un lamento utile alla causa di Dio se non viene fatto con grande prudenza, con ricercata carità, con la volontà di non rompere, ma di integrare, di sanare e non di esasperare il contrasto, di amare e servire la verità ma anche di esercitare la mitezza e la pazienza di cui Gesù è sempre stato maestro.
Amen! Ci verrebbe da dire. E ce n’è per tutti in questa reprimenda… così che possiamo solo concludere che: “meno male che c’è Marco!… Ne avessimo di Marchi!”
di Giovanni Servodio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1647_Servodio_Teologia_del_compiacimento.html
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