Quanti cattolici nella politica italiana (e americana). Fin
troppi. Ma irrilevanti
La sfortunata polmonite di Hillary Clinton ha fatto rispuntare i possibili rimpiazzi, nella corsa dei democratici alla Casa Bianca, con in testa l'attuale vicepresidente Joe Biden e il segretario di Stato John Kerry.
Sono l'uno e l'altro cattolici. Così come sono cattolici, oggi negli Stati Uniti, una schiera nutritissima di politici, di magistrati e di capi militari d'alto livello, come mai era accaduto in passato in questa misura.
Sono infatti cattolici praticanti, oltre ai due citati, il capo di gabinetto della Casa Bianca, il consigliere alla sicurezza nazionale, il consigliere alla sicurezza interna, il presidente della camera dei rappresentanti, il leader dei democratici alla camera, il direttore e il vicedirettore dell'FBI, il direttore della CIA, il capo di stato maggiore e quello dell'aviazione, il comandante dei marines. Senza contare che sono cattolici il 31 per cento dei membri del congresso, il 38 per cento dei governatori, più di un terzo dei membri del governo e ben sei giudici su nove della corte suprema.
La tesi di Graziano è che l'odierna ascesa dei cattolici – espressione di una Chiesa che è tra le più solide e strutturate nel multiforme paesaggio religioso degli Stati Uniti – si radica nel loro apparire portatori di quelle certezze morali di cui la società americana è assetata, nel declino di tante altre certezze.
Questo non significa però – e Graziano lo fa notare – "una traduzione immediata dei principi difesi dalla Chiesa nell'arsenale legislativo degli Stati Uniti", nemmeno col pontificato "di successo" di papa Francesco, il primo papa al quale "è stata concessa la tribuna del congresso per parlare a trecento milioni di americani attraverso i loro rappresentanti in parlamento".
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Il libro di Graziano è tutto da leggere. Ma il pensiero va anche all'Italia, perché anche qui accade qualcosa di simile e persino di ancor più contraddittorio: una presenza inusitata di cattolici in campo politico, sia al governo che all'opposizione, non accompagnata però da una rilevanza del "cattolicesimo politico" proporzionata al loro numero.
Ed è un altro studioso di vaglia ad analizzare questo fenomeno: Luca Diotallevi, professore di sociologia all'università di Roma Tre, già politologo di riferimento della conferenza episcopale italiana e vicepresidente del comitato scientifico delle settimane sociali dei cattolici italiani, relatore al convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006.
L'ha fatto in un saggio di 27 pagine sul "Journal of Modern Italian Studies", una rivista on line specializzata edita a Londra, in un numero tutto dedicato alla "mappatura della politica cattolica nell'Italia contemporanea", messo in rete il 22 giugno 2016:
Diotallevi ha buon gioco nel mostrare come con i governi di Mario Monti, di Enrico Letta e ora di Matteo Renzi i cattolici abbiano occupato un gran numero di posti nei palazzi del potere, a cominciare dagli stessi presidenti del consiglio, tutti e tre cattolici praticanti e il terzo addirittura di radici democristiane. Per non dire dell'attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Non solo. Il governo tecnocratico di Monti nacque proprio con l'ostentato appoggio di una parte dell'episcopato e di esponenti di associazioni e movimenti cattolici, alcuni dei quali entrarono nello stesso governo, grazie a una spregiudicata operazione orchestrata nella cittadina umbra di Todi e apertamente patrocinata dal maggior quotidiano della borghesia laica, "Il Corriere della Sera".
Ma invece di una nuova "stagione d'oro" del cattolicesimo politico italiano, proseguita nei governi Letta e Renzi, Diotallevi mostra che si è avverato l'opposto.
E questo perché i nuovi attori cattolici nella politica italiana sono sì numerosi, persino più che in passato, ma sono lontanissimi dall'esprimere una visione politica complessiva, cattolicamente ispirata e con la capacità di incidere, del livello di quella di uno Sturzo o un De Gasperi.
I cattolici ci sono, ma il "cattolicesimo politico" non c'è più, sostiene Diotallevi. E spiega questa apparente contraddizione con il cambio di natura del religioso nelle società occidentali di oggi.
Pur con una presenza della Chiesa nella società italiana che continua ad essere massiccia, infatti, prende sempre più piede un cattolicesimo a "bassa intensità", sia nella dottrina che nella pratica, nel quale i principi cattolici giocano un ruolo minore e marginale nella sfera politica e nella vita sociale. E di conseguenza i laici cattolici che vi operano non sono più capaci di elaborare un incisivo progetto politico d'insieme per la società italiana, riconoscibile come cattolico.
Naturalmente l'analisi di Diotallevi è molto più sofisticata di quella qui sommariamente descritta. La sua lettura completa è a pagamento. Una sintesi dei suo saggio e degli altri contributi della rivista – tra i quali uno del professor Gianfranco Pasquino – è nell'articolo introduttivo a firma dei curatori, Tom Bailey e Michael Driessen:
Settimo Cielo di Sandro Magister 15 set http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/09/15/quanti-cattolici-nella-politica-italiana-e-americana-fin-troppi-ma-irrilevanti/
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Hillary con gli occhiali di Fresnel
Visibilissime nella foto le scanalature tipiche delle lenti di Fresnel.
Nell’uso medico, servono a correggere in parte la diplopia, ossia il “vedere doppio” – conseguenza di certe affezioni cerebrali.
Discorso antisemita del vice presidente Usa Joe Biden?
(di Dina Nerozzi) Il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel corso del ricevimento organizzato, il 21 maggio u.s., dal Comitato Democratico Nazionale per celebrare il Jewish Heritage Month, ha ringraziato pubblicamente gli ebrei americani per il ruolo fondamentale da loro svolto nella lotta per ottenere un mondo migliore. Secondo Biden gli ebrei sono stati, se non proprio il maggiore, uno dei maggiori fattori del cambiamento culturale e sociale negli Stati Uniti. «…scommetto che l’85 % di quei cambiamenti ‒ ha detto ‒ sia che si tratti di Hollywood o dei social media, sono una conseguenza dei leader ebrei nell’industria». «L’eredità culturale ebraica ci ha formato così come siamo – tutti noi, anch’io – più di ogni altro fattore negli ultimi 223 anni. E questo è un dato di fatto».
Il vice presidente ha messo in rilievo il ruolo fondamentale svolto dagli ebrei per l’affermazione del movimento femminista («non si può parlare del movimento femminista senza parlare di Betty Friedan») e quello svolto nelle politiche relative all’immigrazione in modo da far entrare nel paese una gran massa di immigrati dal terzo mondo definito «l’abbraccio dell’immigrazione».
Ancora agli ebrei Americani si deve un ruolo trainante nel far passare la nuova morale civile «Non è stato qualcosa di legislativo che abbiamo fatto. È stato Volere e Grazia, sono stati i social media. Letteralmente questo è ciò che ha cambiato l’atteggiamento del popolo. È questa la ragione per la quale ero certo che la maggioranza avrebbe abbracciato e abbraccerà rapidamente il matrimonio gay». Sempre secondo il vice presidente «il popolo ebreo ha contribuito largamente all’America. Nessun altro gruppo ha avuto un’influenza così importante individualmente come voi tutti e tutti coloro che sono venuti prima di me e tutti coloro che sono venuti prima di voi». «Voi siete l’11 % dei rappresentanti che siedono nel Congresso. Voi rappresentate un terzo dei premi Nobel…Io credo che voi sottostimiate, come sempre, l’impatto dell’eredità culturale Ebraica».
Il discorso è terminato con «noi vi siamo debitori, noi siamo debitori alle generazioni che sono venute prima di voi». L’elogio alla comunità ebraica americana è stato certamente sincero e sentito, ma sorge una domanda spontanea: è sicuro il vice presidente Joe Biden di aver fatto un favore agli amici ebrei? Ci sono in giro complottisti che da tempo sostengono tesi del genere e, guarda il caso, si trovano niente di meno che il vice presidente degli Stati Uniti a dar loro ragione. Forse Joe Biden credeva che il suo discorso sarebbe passato inosservato, che sarebbe rimasto dentro i confini della serata, ma è possibile mai ritenere che, di questi tempi, qualcosa resti confinato dentro una stanza?
Queste preoccupazioni sono state avvertite anche da Jonathan Chait, un giornalista del “New York Times” (http://nymag.com/daily/intelligencer/2013/05/biden-praises-jews-goes-too-far.html) che addirittura arriva ad affermare che questo discorso verrà citato negli anni e decenni a venire da parte degli anti-semiti.
Non so se il solo fatto di riferire l’accaduto possa, ipso facto, catalogare questo breve scritto in messaggio antisemita, certo è che il vice presidente si è spinto un pò troppo in là nel suo discorso elogiativo. Infatti se, a suo giudizio, tutti i cambiamenti favoriti dall’élite ebraico-americana sono “buoni” non tutti sono dello stesso avviso. Non tutti infatti sono convinti che l’abbattimento delle frontiere e la globalizzazione siano un processo politicamente saggio e non tutti sono convinti che i diritti civili per le persone che si definiscono LGBT siano una cosa buona e giusta, come ha percepito chiaramente anche il giornalista del “New York Times”, Jonathan Chait. (Dina Nerozzi)