I molteplici inganni della spiritualità confusa. Assisi ha ancora da insegnare
Mentre si cercano impossibili “giustificazioni” all’ennesima manifestazione di sincretismo, tra le mura del Duomo di Firenze risuonano i canti dei maomettani. I frutti velenosi dello “spirito di Assisi”.
di Cristiano Lugli
.
L’incontro interreligioso “Sete di pace”, che si è tenuto dal 18 al 20 settembre ad Assisi, non ha evidentemente scosso abbastanza le coscienze di molti cattolici, che, presumiamo in buona fede, hanno cercato di porre obiezioni quanto mai deboli e imprecise rispetto a quanto avvenuto.
Il messaggio passato da questa nuova profanazione sarebbe quello di un rinnovato appello per la pace nel mondo, in tempi in cui questa è certamente messa a repentaglio dai nuovi moti islamisti – peraltro mai menzionati durante l’incontro interreligioso – o comunque scaturiti dalla follia dell’uomo moderno, volutamente staccatosi da Dio.
La reazione più preoccupante, se non altro per incompletezza, è quella che proviene dalle tante voci perplesse a seguito di quanto accaduto nuovamente ad Assisi, ma che tuttavia dimostrano di non aver capito l’enormità e la gravità del problema complessivo.
Torniamo per un attimo al 27 ottobre 1986. Lo stesso Giovanni Paolo II, alla fine del primo e più importante scandaloso raduno sincretista, così parlò ai rappresentanti di tutte le “religioni” presenti nella Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco:
“Professo di nuovo la mia convinzione, condivisa da tutti i cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace.”
Qualcuno da questa parole si sentì di ricavare chissà quale chiarimento rispetto a quanto era accaduto, ma ciò era assurdo, poiché queste parole furono pronunciate dopo la profanazione della Basilica, in cui sciamani appoggiavano sugli altari i buddha e i cattolici si affiancavano a maomettani, ebrei e protestanti. Dopo l’avvenuto sacrilegio, il Pontefice affermava ciò che definiva “la sua convinzione”, si badi bene; non proclamava la Verità. Si comportava come un privato che esprime una legittima “opinione”, seppur seguita da molti (“condivisa da tutti i cristiani”).
In questi giorni c’è anche chi ha voluto riportare qualche estratto delle dichiarazioni di Ratzinger nel libro “Fede, Verità e tolleranza“, edito nel 2005 da Cantagalli, in cui l’allora cardinale spiegava le motivazioni per le quali non partecipò al raduno del 1986:
“Un tale avvenimento porta quasi necessariamente ad interpretazioni sbagliate, all’indifferenza rispetto al contenuto da credere e da non credere, e in tal modo al dissolvimento della Fede reale.”
Queste obiezioni del cardinale bavarese portarono a qualche cambiamento nell’organizzazione del successivo incontro di Assisi.
Ratzinger partecipò quindi alla giornata svoltasi nel 1993, per il semplice motivo che i rappresentanti delle diverse religioni vennero “divisi” è smistati in luoghi diversi, a differenza della prima volta in cui convogliarono tutti in Basilica.
Leggiamo quanto lui stesso ha detto a Peter Seewald, nel libro intervista “Ultime conversazioni“:
“Quello fu un incontro meglio organizzato. Le obiezioni che avevo sollevato erano state accolte e la forma che la manifestazione aveva assunto mi permetteva di partecipare.”
Successivamente, divenuto Papa, partecipò al quarto incontro interreligioso organizzato nel 2011, ribadendo l’importanza dell’impegno per giornate di dialogo e di preghiera, per la pace e la giustizia nel mondo.
Con questi precedenti risulta difficile comprendere come molti ambienti tradizionalisti e anche molti sacerdoti etichettati come tali – quindi teoricamente più sensibili rispetto agli errori del sincretismo – abbiano cercato di giustificare l’ultimo avvenimento. Qualcuno sostiene persino che “le autorità romane si sono accorte” del problema di queste giornate, e del fatto che le diverse “religioni” non possano pregare insieme. Anzitutto questa convinzione può essere definita, al più, una pia illusione, dal momento che a trent’anni dal primo raduno di Assisi si è affermato sempre più spesso, anche con pubbliche dichiarazioni di autorità religiose, che l’importante è pregare un “dio” non ben precisato, che ognuno chiama a modo suo. Si è affermato il sincretismo.
Ma c’è un’altra importante considerazione da fare: se il problema di pregare con le altre “religioni” nel medesimo spazio – e nel nostro caso fu una chiesa cattolica – fosse l’unico e solo problema, allora tutto si sarebbe già risolto con la revisione attuata nel 1993 su consiglio di Ratzinger; anche nel raduno di quest’anno non vi sarebbero stati problemi, visto che i rappresentanti di diverse religioni hanno pregato in luoghi diversi.
E invece la gravità rimane: anzitutto per l’equivoco fondamentale che è alla base di questi inutili e dannosi raduni (ossia una sorta di inaccettabile “equivalenza” tra la vera Fede e le false religioni), e poi perché all’interno della Basilica non si è dato spazio al Sacrificio di Cristo nella Santa Messa; si è tenuta invece una “celebrazione ecumenica” tra cristiani.
Insomma, alla ricerca della “pace”, non si è però affermato che la sola vera pace per l’uomo viene da Cristo e dal Suo Sacrificio. Evidentemente non si volevano turbare i buoni rapporti con i luterani, con gli scismatici…
Quali sarebbero insomma “le buone intenzioni vaticane” nel partecipare a questi raduni?
Ogni raduno di Assisi, dal primo all’ultimo, mostra al mondo una chiesa modernizzata, a cui nessuno finora si è realmente opposto. Quasi tutti tacciono, mentre i pochi che hanno parlato si sono impegnati nell’assurda impresa di criticare i raduni di Assisi, giustificando però le autorità vaticane, quasi che la colpa fosse di qualche misterioso motore esterno.
Invece di ascoltare le impossibili giustificazioni di questi incontri sincretisti, è utile riflettere sulle angosce che angustiavano quel Vescovo che forse si può definire come l’ultimo Vescovo cattolico, S.E. Mons. Lefebvre, che, come ci ricordava di recente Alessandro Gnocchi, dovrebbe essere meglio conosciuto e amato da tanti cattolici “tradizionalisti” (più o meno sedicenti…).
Il fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, desideroso – come richiesto dal suo ministero – di difendere la Santa Chiesa e di portare quante più anime possibile alla Salvezza, così scriveva scriveva a sette cardinali due mesi prima del primo incontro interreligioso di Assisi del 1986:
“(…)Cosa possono pensare di questo i Santi e le Sante dell’Antico e del Nuovo Testamento? Cosa farebbe la Santa Inquisizione se esistesse ancora?
È il primo articolo del Credo e il primo comandamento del Decalogo che sono derisi pubblicamente da colui che è seduto sulla Cattedra di Pietro.
Lo scandalo è incalcolabile nelle anime dei cattolici.
La Chiesa è scossa nelle sue fondamenta.
Se la fede nella Chiesa Cattolica, unica arca di salvezza sparisce, è la Chiesa stessa che scomparirà.”
Alla luce di queste sacrosante parole si trovano i motivi per prendere totalmente le distanze da ciò che da trent’anni avviene ad Assisi, senza cercare impossibili giustificazioni e “buone intenzioni vaticane”.
Se realmente esistessero le “buone intenzioni vaticane”, dovrebbero portare alla totale rimozione del pensiero espresso nella dichiarazione “Nostra ætate“, nonché in “Dignitatis Humanæ” e forse ancora non sarebbe sufficiente, visti i danni ormai incalcolabili causati dal Concilio Vaticano II.
Intanto, per capire i frutti avvelenati del cosiddetto “spirito di Assisi”, è interessante vedere quanto è accaduto nel Duomo di Firenze giovedì scorso.
Il Duomo, con oltre settecentoventi anni di storia, ha ospitato per la prima volta dei canti islamici, rimbombati nelle navate di Santa Maria del Fiore.
Tra quelle sacre mura si è tenuto un concerto facente parte del festival “O flos colende” promosso dall’Opera del Duomo, al fine di unire le tre religioni del Libro attraverso melodie musulmane, cristiane ed ebraiche. L’evento non è nuovo in realtà, visto che era già stato portato nella chiesa di Santa Maria della Passione di Milano, sotto il titolo “Tre fedi, un solo dio“.
Uno dei canti islamici intonava la frase “Il Corano è la giustizia“. Tra le navate del Duomo di Firenze sono risuonati i versetti del libro sacro ai musulmani. Le melodie islamiche sono state affiancate a quelle cristiane ed ebraiche, come se nulla fosse.
Patrizia Bovi, una delle tre cantanti esibitesi, si è così espressa nel ruolo di portavoce:
“Intoniamo testi mistici e liturgici che permettono a ciascuna tradizione di specchiarsi e riconoscersi nell’altra; è un’operazione di dialogo e apertura che getta ponti tra le sponde del Mediterraneo.”
Rimarcando il mantra del “gettare ponti”, si scopre infine che questa iniziativa interreligiosa era nata a seguito della strage del commando islamista all’interno della redazione parigina di Charlie Hebdo (guarda caso) , proponendo una visione sincretista e gnostica attraverso la musica:
“La gran parte delle musiche, se si tolgono le parole, a orecchie occidentali suonano simili – ha spiegato Bovi – in effetti sono tutte apparentate. E anche metafore e simboli usati nei testi si assomigliano. Ritorna spesso l’idea del giardino di delizie, e si usa l’immagine del giglio candido e della rosa per significare purezza virginale. Dunque, a conoscere bene questi repertori, si capisce quanto siano reciprocamente connessi. A dividere, insomma, non è la religione, ma l’incultura”.
C’è poco da fare, questi sono i frutti dei raduni di Assisi. Questo è lo scenario della grande tragicommedia anticristica che rovescia la vera spiritualità per lasciare spazio a ciò che è falso, artificiale, a ciò che è contraddittorio, e quindi galvanizzato da una volontà infernale. Tuttavia sarà proprio quando Satana arriverà all’apice del suo potere che capirà quanto vani siano stati i suoi sforzi.
Sursum corda!
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L’incontro interreligioso “Sete di pace”, che si è tenuto dal 18 al 20 settembre ad Assisi, non ha evidentemente scosso abbastanza le coscienze di molti cattolici, che, presumiamo in buona fede, hanno cercato di porre obiezioni quanto mai deboli e imprecise rispetto a quanto avvenuto.
Il messaggio passato da questa nuova profanazione sarebbe quello di un rinnovato appello per la pace nel mondo, in tempi in cui questa è certamente messa a repentaglio dai nuovi moti islamisti – peraltro mai menzionati durante l’incontro interreligioso – o comunque scaturiti dalla follia dell’uomo moderno, volutamente staccatosi da Dio.
La reazione più preoccupante, se non altro per incompletezza, è quella che proviene dalle tante voci perplesse a seguito di quanto accaduto nuovamente ad Assisi, ma che tuttavia dimostrano di non aver capito l’enormità e la gravità del problema complessivo.
Torniamo per un attimo al 27 ottobre 1986. Lo stesso Giovanni Paolo II, alla fine del primo e più importante scandaloso raduno sincretista, così parlò ai rappresentanti di tutte le “religioni” presenti nella Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco:
“Professo di nuovo la mia convinzione, condivisa da tutti i cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace.”
Qualcuno da questa parole si sentì di ricavare chissà quale chiarimento rispetto a quanto era accaduto, ma ciò era assurdo, poiché queste parole furono pronunciate dopo la profanazione della Basilica, in cui sciamani appoggiavano sugli altari i buddha e i cattolici si affiancavano a maomettani, ebrei e protestanti. Dopo l’avvenuto sacrilegio, il Pontefice affermava ciò che definiva “la sua convinzione”, si badi bene; non proclamava la Verità. Si comportava come un privato che esprime una legittima “opinione”, seppur seguita da molti (“condivisa da tutti i cristiani”).
In questi giorni c’è anche chi ha voluto riportare qualche estratto delle dichiarazioni di Ratzinger nel libro “Fede, Verità e tolleranza“, edito nel 2005 da Cantagalli, in cui l’allora cardinale spiegava le motivazioni per le quali non partecipò al raduno del 1986:
“Un tale avvenimento porta quasi necessariamente ad interpretazioni sbagliate, all’indifferenza rispetto al contenuto da credere e da non credere, e in tal modo al dissolvimento della Fede reale.”
Queste obiezioni del cardinale bavarese portarono a qualche cambiamento nell’organizzazione del successivo incontro di Assisi.
Ratzinger partecipò quindi alla giornata svoltasi nel 1993, per il semplice motivo che i rappresentanti delle diverse religioni vennero “divisi” è smistati in luoghi diversi, a differenza della prima volta in cui convogliarono tutti in Basilica.
Leggiamo quanto lui stesso ha detto a Peter Seewald, nel libro intervista “Ultime conversazioni“:
“Quello fu un incontro meglio organizzato. Le obiezioni che avevo sollevato erano state accolte e la forma che la manifestazione aveva assunto mi permetteva di partecipare.”
Successivamente, divenuto Papa, partecipò al quarto incontro interreligioso organizzato nel 2011, ribadendo l’importanza dell’impegno per giornate di dialogo e di preghiera, per la pace e la giustizia nel mondo.
Con questi precedenti risulta difficile comprendere come molti ambienti tradizionalisti e anche molti sacerdoti etichettati come tali – quindi teoricamente più sensibili rispetto agli errori del sincretismo – abbiano cercato di giustificare l’ultimo avvenimento. Qualcuno sostiene persino che “le autorità romane si sono accorte” del problema di queste giornate, e del fatto che le diverse “religioni” non possano pregare insieme. Anzitutto questa convinzione può essere definita, al più, una pia illusione, dal momento che a trent’anni dal primo raduno di Assisi si è affermato sempre più spesso, anche con pubbliche dichiarazioni di autorità religiose, che l’importante è pregare un “dio” non ben precisato, che ognuno chiama a modo suo. Si è affermato il sincretismo.
Ma c’è un’altra importante considerazione da fare: se il problema di pregare con le altre “religioni” nel medesimo spazio – e nel nostro caso fu una chiesa cattolica – fosse l’unico e solo problema, allora tutto si sarebbe già risolto con la revisione attuata nel 1993 su consiglio di Ratzinger; anche nel raduno di quest’anno non vi sarebbero stati problemi, visto che i rappresentanti di diverse religioni hanno pregato in luoghi diversi.
E invece la gravità rimane: anzitutto per l’equivoco fondamentale che è alla base di questi inutili e dannosi raduni (ossia una sorta di inaccettabile “equivalenza” tra la vera Fede e le false religioni), e poi perché all’interno della Basilica non si è dato spazio al Sacrificio di Cristo nella Santa Messa; si è tenuta invece una “celebrazione ecumenica” tra cristiani.
Insomma, alla ricerca della “pace”, non si è però affermato che la sola vera pace per l’uomo viene da Cristo e dal Suo Sacrificio. Evidentemente non si volevano turbare i buoni rapporti con i luterani, con gli scismatici…
Quali sarebbero insomma “le buone intenzioni vaticane” nel partecipare a questi raduni?
Ogni raduno di Assisi, dal primo all’ultimo, mostra al mondo una chiesa modernizzata, a cui nessuno finora si è realmente opposto. Quasi tutti tacciono, mentre i pochi che hanno parlato si sono impegnati nell’assurda impresa di criticare i raduni di Assisi, giustificando però le autorità vaticane, quasi che la colpa fosse di qualche misterioso motore esterno.
Invece di ascoltare le impossibili giustificazioni di questi incontri sincretisti, è utile riflettere sulle angosce che angustiavano quel Vescovo che forse si può definire come l’ultimo Vescovo cattolico, S.E. Mons. Lefebvre, che, come ci ricordava di recente Alessandro Gnocchi, dovrebbe essere meglio conosciuto e amato da tanti cattolici “tradizionalisti” (più o meno sedicenti…).
Il fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, desideroso – come richiesto dal suo ministero – di difendere la Santa Chiesa e di portare quante più anime possibile alla Salvezza, così scriveva scriveva a sette cardinali due mesi prima del primo incontro interreligioso di Assisi del 1986:
“(…)Cosa possono pensare di questo i Santi e le Sante dell’Antico e del Nuovo Testamento? Cosa farebbe la Santa Inquisizione se esistesse ancora?
È il primo articolo del Credo e il primo comandamento del Decalogo che sono derisi pubblicamente da colui che è seduto sulla Cattedra di Pietro.
Lo scandalo è incalcolabile nelle anime dei cattolici.
La Chiesa è scossa nelle sue fondamenta.
Se la fede nella Chiesa Cattolica, unica arca di salvezza sparisce, è la Chiesa stessa che scomparirà.”
Alla luce di queste sacrosante parole si trovano i motivi per prendere totalmente le distanze da ciò che da trent’anni avviene ad Assisi, senza cercare impossibili giustificazioni e “buone intenzioni vaticane”.
Se realmente esistessero le “buone intenzioni vaticane”, dovrebbero portare alla totale rimozione del pensiero espresso nella dichiarazione “Nostra ætate“, nonché in “Dignitatis Humanæ” e forse ancora non sarebbe sufficiente, visti i danni ormai incalcolabili causati dal Concilio Vaticano II.
Intanto, per capire i frutti avvelenati del cosiddetto “spirito di Assisi”, è interessante vedere quanto è accaduto nel Duomo di Firenze giovedì scorso.
Il Duomo, con oltre settecentoventi anni di storia, ha ospitato per la prima volta dei canti islamici, rimbombati nelle navate di Santa Maria del Fiore.
Tra quelle sacre mura si è tenuto un concerto facente parte del festival “O flos colende” promosso dall’Opera del Duomo, al fine di unire le tre religioni del Libro attraverso melodie musulmane, cristiane ed ebraiche. L’evento non è nuovo in realtà, visto che era già stato portato nella chiesa di Santa Maria della Passione di Milano, sotto il titolo “Tre fedi, un solo dio“.
Uno dei canti islamici intonava la frase “Il Corano è la giustizia“. Tra le navate del Duomo di Firenze sono risuonati i versetti del libro sacro ai musulmani. Le melodie islamiche sono state affiancate a quelle cristiane ed ebraiche, come se nulla fosse.
Patrizia Bovi, una delle tre cantanti esibitesi, si è così espressa nel ruolo di portavoce:
“Intoniamo testi mistici e liturgici che permettono a ciascuna tradizione di specchiarsi e riconoscersi nell’altra; è un’operazione di dialogo e apertura che getta ponti tra le sponde del Mediterraneo.”
Rimarcando il mantra del “gettare ponti”, si scopre infine che questa iniziativa interreligiosa era nata a seguito della strage del commando islamista all’interno della redazione parigina di Charlie Hebdo (guarda caso) , proponendo una visione sincretista e gnostica attraverso la musica:
“La gran parte delle musiche, se si tolgono le parole, a orecchie occidentali suonano simili – ha spiegato Bovi – in effetti sono tutte apparentate. E anche metafore e simboli usati nei testi si assomigliano. Ritorna spesso l’idea del giardino di delizie, e si usa l’immagine del giglio candido e della rosa per significare purezza virginale. Dunque, a conoscere bene questi repertori, si capisce quanto siano reciprocamente connessi. A dividere, insomma, non è la religione, ma l’incultura”.
C’è poco da fare, questi sono i frutti dei raduni di Assisi. Questo è lo scenario della grande tragicommedia anticristica che rovescia la vera spiritualità per lasciare spazio a ciò che è falso, artificiale, a ciò che è contraddittorio, e quindi galvanizzato da una volontà infernale. Tuttavia sarà proprio quando Satana arriverà all’apice del suo potere che capirà quanto vani siano stati i suoi sforzi.
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