MARXISMO E CATTOPROGRESSISMO
di Francesco Lamendola
Il marxismo, si pensa e si dice comunemente, è morto: materialmente non esiste più, teoricamente ha mostrato ad abundantiam tutti i suoi limiti, i suoi errori, le sue semplificazioni arbitrarie, la sua incapacità di comprendere e descrivere correttamente i fenomeni della modernità, non parliamo poi d’interpretarli.
Fino agli anni Sessanta e Settanta era quasi impossibile leggere un libro sulla storia di Roma antica, o un saggio sulla letteratura di consumo, o una recensione cinematografica, senza doversi sorbire un certo numero di citazioni di filosofi marxisti e persino di leader comunisti, come Lenin e Stalin, chiamati a fare da garanti sulla bontà di determinate affermazioni e a certificare l’esattezza di certi ragionamenti; oggi non si sente quasi più nominare neppure Marx ed Engels medesimi, neppure quando si legge un libro di analisi economica, o politica, o sociale.
Se ne dovrebbe concludere che l’ubriacatura è passata, che i baccanali sono finiti; e che una pletora d’intellettuali a suo tempo folgorati sulla via di Damasco dalla lettura del Capitale, hanno smaltito la sbronza e sono passati ad altre esperienze e ad altre letture. Le cose, però, non stanno affatto così; o meglio, questa è solo l’apparenza del fenomeno.
La sostanza, però, è un’altra: e cioè che il marxismo, proprio come ideologia che pretende di spiegare la realtà, è più vivo che mai, e perfino – se possibile - più aggressivo, più intollerante e totalitario di quanto non lo fosse allora; di quanto non lo fosse allorché gli intellettuali sfuggiti ai gulag sovietici, come Solgenitsin, i quali avevano il torto di spiegare ai loro “colleghi” progressisti dell’Europa occidentale cosa fosse, in realtà, il comunismo, venivano ignorati o liquidati, con disprezzo, come “reazionari”, o, addirittura, come “fascisti” (qualunque cosa volesse dire tale espressione, adoperata trent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e del fascismo stesso).
Ma come, si dirà, ancora vivo e vegeto? Non è possibile; lo vedono tutti che è morto e sepolto, e che gli hanno fatto, in gran silenzio, il funerale. Nemmeno i Cinesi ci credono più, ossia nemmeno gli ultimi che non si decidono ad abbandonare la bandiera – ma solo la bandiera – del marxismo. Figuriamoci gli altri. E invece il comunismo marxista è ancora vivo e vegeto, e proprio lì dove meno lo si potrebbe immaginare: nel cuore del mondo capitalista; e, in modo particolare, nei Paesi europei che vantano una forte tradizione cristiana, specialmente cattolica. Italia in testa. Che cosa è accaduto, dunque? È accaduto che il marxismo, nell’atto di morire, soffocato dal cumulo dei suoi crimini e da quello, se possibile, ancor più grande dei suoi errori, ha trovato il modo di trasmigrare in un’altra ideologia: quella cristiana, appunto; e particolarmente, quella cattolica. Per essere più precisi ancora: quella cattolica di sinistra, progressista, neomodernista. Vi è trasmigrato armi e bagagli, senza aver fatto alcuna autocritica, senza aver riconosciuto né le colpe, né gli errori, di cui s’era macchiato, ma conservando inalterata la sua arroganza, cioè la sua pretesa di avere in tasca una lettura onnicomprensiva del reale. Onnicomprensiva e infallibile: cioè una lettura squisitamente teologica. I cattolici hanno il loro Dio, Gesù Cristo; i marxisti avevano e hanno il loro: che non è Marx – Marx è un semplice profeta; e morto un profeta, se ne può fare un altro – ma l’Idea comunista, l’idea dell’Uguaglianza, dell’instaurazione della Giustizia sulla terra.
C’è un film del 1998, Fallen (titolo italiano: Il tocco del male) nel quale il regista americano Gregory Hoblit immagina che un demone di nome Azazel, dopo essersi impadronito di un uomo, trasformandolo in un serial killer, incominci a perseguitare il poliziotto che ha fatto condannare quest’ultimo, e che lo faccia trasmigrando da un corpo all’atro, ogni qual volta si vede smascherato o in pericolo, perfino in punto di morte: ottenendo, così, di fatto, una autentica immortalità, che lo rende praticamente indistruttibile. Vana, contro un simile avversario, elusivo e sfuggente, risulta qualsiasi arma, qualunque strategia: anche se individuato, anche se colpito, anche se ucciso, egli riesce sempre a “passare” in un altro essere umano, a impadronirsene fulmineamente e a trasformarlo in un docile automa ai suoi ordini, pronto a contrattaccare, a distruggere qualsiasi nemico, fosse pure il più astuto e il più intrepido. Come è, appunto, il caso dell’agente John Hobbes, che, infatti, finirà per sacrificarsi invano, poiché Azazel riuscirà a trasmigrare all’ultimo istante in un semplice animale, un gattino che si trovava lì vicino, e così a restare in circolazione, perpetuamente affamato di anime da possedere e da spingere al male.
Ebbene: l’ideologia marxista si è comportata esattamene come Azazel nel film citato. Quando era morente, o, forse, quando era già morta la struttura sociale e culturale nella quale s’era stabilita, il suo demone ha fatto un rapido salto mortale e si è spostato in un altro ambito, quello della cultura cattolica di sinistra, nella quale si è immediatamente radicato e ora vi si trova benissimo, trionfante e pressoché inamovibile. Ci si chiederà come ciò sia potuto accadere e, soprattutto, come mai i cattolici abbiamo acconsentito a una simile “invasione”, come mai non abbiamo reagito. Non hanno reagito perché già da tempo essi erano stati segretamente conquistati da quella ideologia e l’avevano sostituita, al fondo della loro interiorità, con la “vecchia” fede in Gesù Cristo, al quale riservavano un culto poco più che formale. Per dir meglio: avevano mentalmente trasformato Gesù Cristo in un Che Guevara dell’antica Palestina, dotato dei poteri di un Dio e della infallibilità di un Redentore. Quando i marxisti si son trovati sfrattati e senza casa, screditati e per giunta orfani, e si sono presentati davanti a casa loro, essi hanno aperto la porta più che volentieri e li hanno accolti come fratelli. Di più: come fratelli maggiori. Hanno visto in loro gli unici rappresentanti di un pensiero generoso, non utilitarista, solidaristico, utopistico nel senso (secondo loro) migliore del termine. Li hanno ammirati, li hanno riconosciuti come dei maestri, dei precursori: si sono messi alla loro sequela, non senza molti complessi d’inferiorità, sentendosi da meno di loro sul piano morale, perché quelli erano stati sempre coerenti nella loro intransigenza egualitaria, mentre loro, i cattolici, avevano sbandato parecchio, e più volte si erano inchinati ai poteri ingiusti di questo mondo; o, se non loro, lo avevano fatto gli altri cattolici, quelli conservatori, ma la vergogna ricadeva su tutti i cattolici, quindi anche su di loro. Bisognava lavare quella macchia, togliersi quella vergogna, riscattarsi da quel passato (e da quella imbarazzante, penosa compagnia).
Insomma: i cattolici progressisti vissero la “fusione” con gli ex marxisti impenitenti - orfani di una struttura organizzativa ma non di una disciplina ammirevole, cacciati fuori di casa ma più saldi di prima sul piano ideologico - come un autentico dono del Cielo: come un richiamo alle “vere” radici del Vangelo, e come una occasione offerta dalla divina Provvidenza per rimettersi sulla strada giusta, quella di un Vangelo sociale e intransigente, che vuole realizzare il regno di Dio in questo mondo, il più presto possibile, mandando subito all’inferno coloro i quali vi si oppongono: i ricchi, i “capitalisti” (includendo nella categoria tutti i non operai), i politici moderati, i padri di famiglia “borghesi” ed egoisti, e, naturalmente i vescovi e i preti conservatori, che, secondo loro, abusano del nome di cristiani, mentre non lo sono affatto, ma solo spregevoli adoratori di Mammona. Così, fra gli intellettuali marxisti in cerca di un nuovo alloggio e i cattolici di sinistra bramosi di riscatto, vi è stato un matrimonio perfetto, un’autentica fusione, in seguito alla quale è divenuto impossibile distinguere più gli uni dagli altri, così come non si può distinguere le molecole di acqua e quelle di vino, una volta che dell’acqua sia stata versata in un bicchiere di vino mezzo vuoto.
Non è stato, lo ripetiamo, un matrimonio improvvisato ed estemporaneo: è stato l’ultimo atto di un graduale processo di avvicinamento che parte da lontano, e per il quale potremmo fare molti nomi: alcuni che ebbero, se non altro, il pregio della franchezza, come quel don Giulio Girardi che, da prete, andava predicando apertamente la necessità di “sposare” il comunismo; altri che agirono in maniera più subdola e ambigua, sia sul versante cattolico, come don Lorenzo Milani, sia su quello laico e marxista, come Pier Paolo Pasolini (il quale, come marxista “eretico”, era in una posizione quasi perfetta per portare avanti l’esperimento, culminato nel film Il Vangelo secondo Matteo: che, non a caso, viene ora lodato sperticatamente dalla Chiesa di papa Francesco, anche se, o appunto perché, il Cristo che esso rappresenta è un personaggio puramente ed esclusivamente umano). Mancava solo l’occasione finale: e l’occasione è arrivata con il crollo del comunismo come sistema politico, e dell’ideologia marxista come ideologia politica. Ma il marxismo ha molte maschere, molte anime e molte vite: invece di morire, ha traslocato. E ora si trova benissimo e in ottima salute.
Anche i cattolici progressisti, dopo il “trapianto”, o forse dovremmo dire l’innesto, stanno a meraviglia: sono addirittura rifioriti, da malinconici ed emaciati che erano. Hanno trovato le truppe fresche, e per giunta gratuite, con le quali vincere la loro battaglia interna e mettere in minoranza, almeno al livello dei quadri dirigenti, i detestati cattolici “tradizionalisti” e “conservatori”. Da soli, non ce l’avrebbero mai fatta: erano sempre stati in minoranza, fin dai tempi di don Romolo Murri e della prima Democrazia Cristiana, quella sociale. Ora si son presi la rivincita su Pio X e l’enciclica Pascendi, nonché su tutta la Chiesa pre-conciliare; hanno riscattato la vergogna delle connivenze col fascismo di Pio XI e dei “silenzi” sulla Shoah di Pio XII; hanno restituito il Vangelo a Cristo, niente di meno. Facendo di Cristo uno dei loro. Nel giro di pochi anni, hanno messo le mani su tutti i maggiori organi di stampa cattolici, Avvenire eFamiglia cristiana in testa, e si sono impadroniti di gran parte delle Conferenze Episcopali delle varie nazioni, dentro e fuori d’Europa; hanno arruolato gli intellettuali più in vista, i teologi più acclamati, e si sono impadroniti di moltissimi seminari, università e facoltà teologiche, conventi e “comunità” più o meno sperimentali, come quella di Bose (che di cattolico, peraltro per loro stessa ammissione, hanno poco o niente, cosa che li riempie di fierezza). Da ultimo, hanno raggiunto il gradino più alto: quello della Santa Sede.
Ma come si è arrivati a questo punto? Con un innamoramento reciproco, lento, e, all’inizio, poco appariscente; basato, però, su un comune denominatore potentissimo: l’impazienza rivoluzionaria. Entrambi volevano, e vogliono, veder realizzato il regno di Dio, qui e ora. Cosa che, da un punto di vista cristiano, non è affatto sbagliata, anzi, è giustissima: solo che bisogna vedere che cosa s’intende per “regno di Dio”. Essi intendono il regno, concreto, materiale e immediato, della giustizia, dell’uguaglianza, dell’accoglienza illimitata, della solidarietà a senso unico, insomma del buonismo eretto a sistema e della libertà assoluta (aspetto, quest’ultimo, che ne fa i veri eredi, non solo del marxismo, ma anche del radicalismo, tutto incentrato sui diritti del singolo individuo). Il magistero della Chiesa, invece, per duemila anni ha affermato che il regno di Dio incomincia in questo mondo, ma non nella dimensione politico-sociale, bensì in quella morale ed interiore, ossia al livello della conversione di ciascun essere umano; ma che si realizzerà pienamente solo alla fine dei tempi, con la Parusia, perché gi uomini, da soli, non sono capaci di tanto, e, se lo fossero, non vi sarebbe bisogno né di Dio, né, tanto meno, del suo Ritorno sulla terra, per giudicare i vivi e i morti. Pertanto, questo è il classico esempio di come, adoperando una certa espressione, si possono intendere, in realtà, due cose diversissime, per non dire opposte. L’equivoco, per un credente, è possibile in un caso soltanto: che costui abbia perso la fede. Solo se si perde la fede, si può cadere in una svista così sostanziale: sarebbe come immaginare che Gesù, nell’episodio delle tentazioni nel deserto, avesse accettato di farsi il Messia di un regno puramente mondano. Così, il connubio fra marxisti e cattolici si basa su due apostasie: dei marxisti che non credono più in Marx (e infatti, non lo nominano neppure più) e dei cattolici che non credono in Cristo come Figlio di Dio. Basta porre un minino di attenzione: codesti vescovi e preti progressisti, codesti teologi modernisti, parlano ancora di Gesù Cristo? E, se ne parlano, ne parlano come del Figlio di Dio, incarnato e morto sulla croce per amore degli uomini, e poi risorto? E parlano ancora della croce?
Concludiamo con una notazione psicologica. Si prenda uno di questi preti di sinistra, tutti impegnati nel sociale, tutti pieni di sacro zelo per instaurare la giustizia sulla terra. Si provi a discutere con lui per più di cinque minuti. Ben difficilmente si potrà evitare una sensazione di gelo, non appena costui si accorge che voi non siete della sua parrocchia: che non è la Chiesa, ma il marxismo. Costoro possono accogliere tutti, dialogare con tutti, ma, se l’interlocutore proviene dalla cultura marxista, egli possiede, ai loro occhi, un qualcosa in più: qualcosa che stimano, che ammirano, di cui sono segretamente innamorati. Pensano che solo i marxisti abbiamo amato davvero la giustizia, come l’amava Gesù; e hanno un segreto disprezzo (ma non troppo segreto) per chi non viene da lì…
Marxismo e cattoprogressismo: un caso di trasmigrazione diabolica
di Francesco Lamendola
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