ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 1 settembre 2016

Una decisione perlomeno insolita

MIGRANTI/PAPA IN AZIONE E LE RIFLESSIONI DIVERSIFICATE DI 'LIMES'

Oggi 31 agosto lil Vaticano ha annunciato la creazione di un nuovo Dicastero, quello “del servizio dello sviluppo umano integrale”, una cui Sezione (“per profughi e migranti") sarà diretta temporaneamente dal Papa. Intanto, nel quaderno mensile di ‘Limes’, rivista italiana di geopolitica, emerge una riflessione a più voci (discordanti) attorno alle cause dell’ondata immigratoria verso l’Italia e sui modi di affrontarla.
Nell’attualità italiana – già dolorosamente e pesantemente caratterizzata dalle gravi conseguenze anche sociali del sisma di una settimana fa ad Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto (i morti continuano ad aumentare, mentre molti tra chi ha perso tutto sono costretti a vivere in tendopoli precarie) -  irrompe di nuovo con fragore il tema delicatissimo dell’immigrazione dal Mediterraneo: basti pensare che negli ultimi quattro giorni sono sbarcati sulle coste della Penisola in oltre tredicimila. E le previsioni per settembre sono anche peggiori. 
Proprio questa mattina, poi, è stato reso noto dalla Sala Stampa Vaticana l’accorpamento in un solo dicastero, quello “per il servizio dello sviluppo umano integrale” (operativo dal primo gennaio prossimo), dei Pontifici Consigli per i Migranti, della Giustizia e della Pace, ‘Cor Unum’ e  per la pastorale degli Operatori Sanitari. Presieduto dal cardinale (molto ‘onusiano’, in ottimi rapporti con i principali ‘filantropi’ miliardari e globalisti) Peter Kodwo Appiah Turkson, il nuovo Dicastero comprenderà una sezione di evidente importanza, che riguarda profughi e migranti, “posta ad tempus (si legge nel ‘Motu proprio’) sotto la guida del Sommo Pontefice che la esercita nei modi che ritiene opportuni”. 
PAPA FRANCESCO GUIDERA’ PERSONALMENTE LA SEZIONE ‘PROFUGHI E MIGRANTI ‘ DEL NUOVO DICASTERO “PER IL SERVIZIO DELLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE”
E’ quest’ultima una decisione perlomeno insolita, che fa – almeno temporaneamente - del successore di Pietro anche un capo-sezione di un dicastero pontificio. Non rientra certo tale decisione nell’ambito dell’infallibilità pontificia e appare in ogni caso assai nebulosa per quanto riguarda l’operatività concreta in materia di papa Francesco (ad esempio: dove troverà il tempo? Lo troverà sicuramente… ma a scapito di che cosa?). Senza dubbio però la decisione indica con chiarezza cristallina – ancora una volta e in modo clamoroso – il fenomeno migratorio come una priorità assoluta di questo Pontificato, accanto (tutto singolarmente accade in pochi giorni) alla custodia del Creato (domani primo settembre, la seconda giornata mondiale in tal senso insieme con la Chiesa ortodossa), alla sollecitudine per i poveri (canonizzazione il 4 settembre di Madre Teresa di Calcutta) e al dialogo ecumenico e interreligioso (Assisi il 20 settembre, Lund in Svezia/Riforma/Lutero il 31 ottobre). Il resto (tema della famiglia a parte, poiché vi ha voluto dedicare due Sinodi consecutivi… comunque creando o accrescendo la confusione in materia nel popolo cattolico) per papa Francesco sembra contare meno, molto meno.

IL QUADERNO DI ‘LIMES’ SU IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE
Viene qui a fagiolo il quaderno 7/2016 della rivista ‘”Limes”, che si occupa in particolare delle “migrazioni che scuotono l’Europa”, tentando di rispondere con una ventina di contributi a quesiti fondamentali come “Quanti sono e da dove arrivano i migranti?” oppure “Come (non?) integrarli” o ancora “Aiutarli per aiutarci?”. Nel quaderno trova spazio anche l’attualità turca dopo i recenti avvenimenti, con approfondimenti tra gli altri di Fabio Mini (“Tecnica di un golpe fallito”) e di John C. Hulsman (“Il colosso del Bosforo ha i piedi d’argilla”).  
Paura di perderci” è il titolo dell’editoriale del quaderno, che come sempre è corredato di numerose cartine, molto utili per una migliore comprensione di quel che accade. “L’Italia – vi si afferma- sta cambiando pelle” e “immaginare che mutamenti tanto profondi possano impattare sull’Italia senza produrvi strappi, a tessuto sociale e politico-istituzionale costante, implica l’uso di sostanze stupefacenti”. Purtroppo “i governi italiani, a prescindere dal colore, procedono per inerzia, aggiustamenti, reazione retorica alle emergenze”. Perché “rimuovono la cogenza della demografia, declassano le ondate immigratorie a fenomeni estivi – mentre nel pubblico si diffonde la sindrome dell’invasione – rinviano alla Chiesa, al volontariato e agli enti locali i compiti di prima accoglienza, rifiutano ogni scelta sul modello di inclusione di chi sbarca in Italia per restarvi”. E qui si constata una novità importante: nel 2016 “da Paese di transito siamo diventati Paese obiettivo”. Ovvero, rileva Limes: “Chi sbarca nella Penisola, sopravvivendo al Canale di Sicilia, tende a restarvi, non tanto per volontà quanto per assenza di alternative”. Si legge ancora nell’editoriale: ”In ogni caso la pressione da sud è strutturale. Lo confermano l’apparentemente irreversibile liquefazione della Libia, dai cui porti tripolitani continuano a fluire verso l’Italia barconi di disperati; il disastro dell’economia egiziana, accentuato dal crollo del turismo (…); la tensione diffusa nel Maghreb; i conflitti nel Corno d’Africa e in Nigeria, che alimentano la transumanza di centinaia di migliaia di africani dal Sahel al Mediterraneo via Sahara”.

Traiamo ora qualche spunto di riflessione sul fenomeno migratorio da alcuni dei contributi più interessanti del quaderno, sulla situazione libica e sulla possibilità dell’integrazione di chi approda sulle coste della Penisola.

SULLA LIBIA, ‘PORTA D’EUROPA’ : MATTIA TOALDO E ‘EURAFRICANUS’
Di “Miti e realtà della Libia Porta d’Europa” scrive Mattia Toaldo, che contesta con vari argomenti l’idea assai diffusa che, se la Libia non fosse stata destabilizzata e ci fosse ancora Gheddafi, l’immigrazione in Italia sarebbe molto minore. Per Toaldo tale ‘nostalgia’ non ha nulla di realistico e l’Italia “dovrà coesistere per diversi anni, anche nell’ipotesi più rosea, con un Paese altamente instabile”. Dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, “la Libia ha vissuto alcuni anni in cui gli oppositori hanno cercato di spartirsi le risorse, basandosi su ricchi proventi petroliferi e su una generosa distribuzione di soldi pubblici a tutti i miliziani”. Dal maggio 2014 “la Libia si è avvitata in un conflitto interno con forte partecipazione delle potenze regionali che ha portato alla frammentazione istituzionale” e a un intervento mediatore dell’ONU. Il risultato è che oggi la Libia “ha tre esecutivi di cui nessuno veramente controlla o governa granché”. Resta, rileva Toaldo, un “Paese di destinazione” per l’immigrazione intra-africana. Perciò “parte di una risposta realistica dovrebbe concentrarsi proprio su questo elemento invece che aspettarsi soluzioni miracolose per bloccare quella frazione di migranti che dalla Libia poi prosegue verso l’Italia e l’UE”.
Diversa l’opinione di chi si firma con lo pseudonimo Eurafricanus, che subito all’inizio del suo contributo scrive: “Il crollo del regime di Gheddafi nel 2011 e la conseguente frammentazione della Libia sono stati i principali fattori che hanno riportato in auge la rotta delle migrazioni che va dall’Africa all’Europa attraverso il Mediterraneo centrale”. Perciò “la Libia balcanizzata è diventata il ventre molle del Nord Africa, in cui riescono a prosperare particolarmente bene le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani”. Non c’è dubbio: “La stabilità libica, e del governo di Gheddafi, garantiva un importante filtro nei confronti dei flussi migratori che dal Sahel e dal Sahara si dirigevano verso l’Africa mediterranea e l’Europa”. Del resto “nella primavera del 2011 lo stesso colonnello Gheddafi, in un discorso fatto pervenire in forma di lettera aperta al settimanale russo Zavtra aveva messo in guardia l’UE e la Nato: State bombardando un muro che si ergeva sulla strada della migrazione africana verso l’Europa e sulla strada dei terroristi di al-Qa’ida. Questo muro era la Libia”.Eurafricanus tratteggia poi origine e percorsi dei flussi migratori dall’interno dell’Africa e, più di recente, dalla Siria. Soprattutto l’autore si sofferma sull’ultimo tratto, quello libico e sui mezzi utilizzati per la traversata: “I mezzi di trasporto preferiti sono pescherecci che vengono acquistati in loco dai trafficanti, spesso criminali locali o anche ex-pescatori e marinai. (…) Il peschereccio, una volta acquistato, salpa come per  una normale battuta di pesca e soltanto una volta al largo viene raggiunto dai migranti, trasportati con gommoni tipo Zodiac. (…) Le modalità di utilizzo delle barche ci mostrano come sia velleitario pensare di poterle identificare in tempo utile per distruggerle, impedendone l’uso con operazioni militari mirate”. Non solo: “Peraltro le stesse imbarcazioni non vengono normalmente distrutte dalle nostre Forze armate o di polizia, neanche dopo aver tratto in salvo gli occupanti (…) Lasciate alla deriva, vengono spesso recuperate e riutilizzate fino a tre o quattro volte per altri viaggi”.

IMMIGRATI E INTEGRAZIONE IN ITALIA: ENRICO LETTA E GERMANO DOTTORI
Una parte del quaderno è dedicata esplicitamente all’integrazione dei migranti. Vi ci si trova anche una ‘conversazione’ con Enrico Letta,a cura di Lucio Caracciolo e Niccolò Locatelli. Per l’ex-presidente del Consiglio “da un anno e mezzo a questa parte è in corso attorno all’Europa il più grande movimento di popoli al mondo dalla Seconda guerra mondiale in poi. Si tratta di tre milioni di persone solo nel Mediterraneo, una dimensione totalmente inedita per quest’area del pianeta”. Letta osserva poi che “l’Europa ha bisogno di immigrati per riequilibrare una società che invecchia con una rapidità impressionante. E ancora: “L’immigrazione è diventata di gran lunga la principale preoccupazione delle nostre opinioni pubbliche”, influenzando anche il voto inglese sull’uscita dall’UE. Possibile l’integrazione degli immigrati? Per Letta in Italia è possibile, “però servono risorse: in questi anni c’è stato invece il sovrapporsi di una durissima austerità, con tagli alla spesa pubblica, e della crisi dei rifugiati”. Che significa allora “aumentare le risorse” per l’immigrazione? “Non vuol dire dare soldi agli immigrati, ma dare soldi ai Comuni per migliorare le strutture adeguate all’integrazione dei migranti senza penalizzare i nostri connazionali”. Avverte Enrico Letta: “Non deve scattare la percezione (decisiva nel voto pro-Brexit) per cui l’immigrato è un privilegiato delwelfare rispetto al cittadino autoctono sfortunato”. Per l’integrazione “elemento essenziale è la lingua. Poi la diffusione sul territorio – non la concentrazione in comunità isolate dal resto del Paese”.
“Non sarà l’immigrazione a rilanciare l’Italia”: così suona il titolo del contributo di Germano Dottori, uno studioso noto ai lettori del nostro sito. Rileva il cultore di studi strategici che un ‘mantra’ gira “quasi ossessivamente” nella Penisola: “L’Italia, si dice, sarebbe un Paese in via di progressivo invecchiamento, nel quale un numero sempre più piccolo di persona in età lavorativa dovrà farsi carico di una quantità crescente di anziani in pensione e bisognosi di costose cure sanitarie. Per questo motivo, ogni anno dovremmo importare centinaia di migliaia di uomini e donne dal resto del mondo, possibilmente giovani e ben istruiti (…) Sembriamo desiderare una situazione in cui noi italiani, distrutto lo Stato e affossata la famiglia, prendiamo atto del nostro declino e affidiamo ai nostri ospiti il compito di mantenerci al posto dei nostri figli, che abbiamo rinunciato a generare per vivere più comodamente e con meno vincoli”.
E’ un’argomentazione questa che “ha il suo fascino” e tuttavia “è molto meno solida di quanto appare”. Perché “non siamo la Germania e meno che mai gli Stati Uniti, neanche sotto il profilo della capacità di accogliere immigrati e farne una risorsa per il progresso economico, sociale e tecnologico del nostro Paese, malgrado per anni ci si sia baloccati con l’idea di attrarre con incentivi di dubbia efficacia moltitudini di stranieri qualificati, per i quali non esistono veri posti di lavoro, a meno di non voler considerare tali la possibilità di vendere rose ai turisti o quella di lavare i vetri alle macchine”. Insomma, il nostro sistema produttivo si è dimostrato “incapace” di generare opportunità lavorative adeguate quantitativamente e qualitativamente a soddisfare le aspettative di chi vorrebbe trovare un’occupazione”. Come pensare di “fare dei migranti una risorsa” se “il sistema produttivo e la stessa pubblica amministrazione si stanno contraendo?” La realtà è che spesso “gli immigrati finiscono per entrare in competizione con i nostri concittadini riguardo ai lavori più pesanti e meno qualificati, quando non finiscono nelle mani della criminalità, che li sfrutta come manovalanza. Del resto, purtroppo, nelle carceri “i detenuti immigrati rappresentano ormai circa il 30% del totale: 18.166 su 54.072 complessivi dello scorso giugno” (dai ufficiali del Ministero della Giustizia).
Rileva Dottori: “E’ difficile non rendersi conto di come circostanze del genere possano contribuire all’innesco di frizioni sociali”. E’ vero che “l’area di sofferenza tra i nostri concittadini si è comunque talmente allargata che spesso dialogare su questi argomenti si rivela del tutto inutile”. Qui si tocca un altro punto dolente: “In tempi di rigore fiscale e finanziario, l’uomo della strada capisce ma non accetta il fatto che l’accoglienza dei migranti implichi dei costi che sottraggono risorse altrimenti allocabili ai servizi di cui potrebbe beneficiare più facilmente o più a buon mercato. (…) Si tagliano i posti letto negli ospedali, la manutenzione delle scuole è rimessa a chi ne fruisce, ma ai migranti richiedenti tutela internazionale si regalano sim cards e si offre quando possibile ricovero negli alberghi, anche in località turistiche di pregio”.
Conclude l’autore: “Le persone non sono merci, l’integrazione non è uno scherzo, gli equilibri sociali sono fragili e risentono criticamente dei numeri e della maggiore o minore rapidità delle loro variazioni. E sarà necessaria una grande prudenza. Il melting pot non è infatti il principio organizzatore intorno al quale si sono costituiti gli Stati europei. (…) Ecco perché non possiamo pensare realisticamente di ricostruire il processo di sviluppo del nostro Paese scommettendo sull’immigrazione, fermo restando che esisteranno sempre circostanze in cui non si potrà fare a meno di soccorrere chi scappa da guerre e persecuzioni. Occorrerà in qualche modo rallentare il flusso degli arrivi. Una cosa è il sentimento umanitario, infatti, altro è credere seriamente che i boat people siano la nostra salvezza”.
MIGRANTI/PAPA IN AZIONE E LE RIFLESSIONI DIVERSIFICATE DI ‘LIMES’ - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 31 agosto 2016
http://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/621-migranti-papa-in-azione-e-le-riflessioni-diversificate-di-limes.html



Emergenza migranti: invasione sulle coste italiane mentre le TV parlavano del “burkini
di Luciano Lago
L’invasione della penisola prosegue a ritmo accelerato con sbarchi continui di migranti raccolti da navi della Marina Militare italiana come anche da navi di altri paesi che incrociano nel Mediterraneo.
“..Sono circa 13mila i migranti sbarcati sul suolo italiano negli ultimi quattro giorni, un crescendo reso possibile dalle buone condizioni meteo sul Canale di Sicilia. Soltanto oggi gli arrivi sono stati tremila (coordinati dalla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera), che vanno a sommarsi ai settemila soccorsi ieri nelle acque tra Libia e Italia, ennesimo salvataggio record realizzato dalla Guardia Costiera, che ha coordinato 53 operazioni, e dalla Marina Militare, che ha portato in salvo 2.500 persone.
Una parte, circa 650, oggi arriverà a Cagliari a bordo della nave militare irlandese James Joyce; altri 1.273 giungeranno a Lampedusa (anziché Palermo, a causa di alcune emergenze sanitarie), 1.159 hanno già messo piede al Molo Marconi del porto di Messina e 1.078 approderanno domattina a Corigliano Calabro (Cs).
La conta parziale degli arrivi si arricchisce poi di 300 altri migranti arrivati nella notte a Porto Empedocle (Ag) (di cui peraltro 133 affetti da scabbia), a cui se ne sommeranno 720 che nel pomeriggio di domani giungeranno a Brindisi (a bordo della nave mercantile norvegese ‘Enterprise’) e 850 al porto commerciale di Augusta (sulla Nave Libeccio della Marina Militare)………”(Fonte Il Giornale di Sicilia).
Questa la cronaca di ogni giorno che informa circa gli oltre 13mila migranti sbarcati e soccorsi nei soli ultimi 4 giorni. Questa è la prima grande avvisaglia di un Settembre che preannuncia un aumento record di arrivi dall’Africa e dalle coste della Libia.
Una cronaca quasi nascosta dai media che in questo periodo sono impegnati a trasmettere le notizie del terremoto ma che, qualche giorno prima, si dilungavano a discutere circa il “Burkini” e le varie polemiche suscitate da questo “costume” integrale per donne islamiche. Una voluta strategia di “distrazione di massa”.
Il Governo Renzi/Alfano non si mostra allarmato anzi, il premier fiorentino da Maranello (dove si trova per un vertice con la Merkel), tranquillizza : “Non siamo al collasso situazione sotto controllo”.
Anche la Commissione Europea, uno degli organismi che facilita e dirige l’invasione, tranquillizza, “tutto normale e secondo le previsioni” . “In Italia “negli ultimi giorni c’è stato un aumento degli arrivi di migranti dalla Libia, ma i numeri sono ancora al di sotto dei livelli dello stesso periodo dello scorso anno”.
Lo ha detto Natasha Bertaud, portavoce della Commissione europea per le questioni di immigrazione, nel corso del briefing con la stampa. Bertaud ha assicurato che l’esecutivo comunitario segue la questione, ricordando che rispetto a un anno fa la situazone è diversa perchè “l’Italia adesso ha gli hotspot”, le strutture di registrazione e accoglienza dei migranti, e “l’Ue ha il programma di ricollocamento” dei richiedenti asilo per alleviare la pressione migratoria su Italia e Grecia.
Naturalmente, nonostante i proclami, si è vista già l”efficienza” dell’Unione Europea in tema di ricollocamento dei migranti: un enorme flop con paesi dell’Est e del Centro Europa in rivolta contro le direttive della UE. Tralasciamo poi l’efficienza degli “Hot Spot” in Italia, ossia dei Centri di Raccolta dei migranti, se ne sono accorti tutti i cittadini residenti nei paraggi di questi centri, quelli che sono rimasti vittime delle azioni violente di rapine, di stupro ed in alcuni casi anche di omicidio, effettuate da migranti che alloggiavano negli “Hot Spot”, mai sorvegliati realmente, da dove entra ed esce chi vuole, come dimostrato da innumerevoli casi di cronaca. Vedi: Coppia uccisa in casa durante una rapina da un profugo livoriano di 25 anni.
In pratica mezza Africa vuole venire in Italia dopo il passaparola tra quanti sono venuti ed hanno potuto constatare la buona accoglienza ricevuta ed il vantaggio di essere alloggiati, vestiti e sfamati gratis dalle autorità italiane per poi dedicarsi alle loro attività. Non soltanto il passa parola ma anche le pressioni da parte delle ONG che sospingono grandi masse di africani verso l’Italia (come accertato dagli investigatori austriaci). Vedi: Vienna: Gli USA finanziano il traffico dei migranti
Si sta verificando in questi mesi esattamente quella invasione dall’Africa che era stata prevista già da anni (vedi gli allarmi lanciati dal’antropologa Ida Magli) e che era incentivata, sostenuta ed appoggiata dagli organismi sovranazionali, come l’ONU, il FMI, l’Open Society, il Vaticano, la Commissione Europea, ecc.. Il tutto avviene con le complice regia degli Stati Uniti e della NATO che hanno seminato guerre e destabilizzato i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, causando poi un massiccio ed incontrollato afflusso di profughi verso l’Europa.
Si ha notizia che le mafie dei trafficanti arabo -africani stanno sospingendo sempre più gente a partire dal CentrAfrica per incrementare il proprio business e le trasferte sono sempre più organizzate, cofinanziate, come noto, anche da alcune ONG, con possibilità di sfruttamento di mano d’opera schiavizzata in Libia per alcuni mesi, prima dell’imbarco. Il traffico di esseri umani, convinti a partire con le buone o le cattive, rende molti soldi ai trafficanti, alle mafie ed agli scafisti, fino ad arrivare poi in Italia dove la gestione viene presa in carico dalle Coop, che realizzano il proprio business sulla pelle dei migranti. Un sistema ormai perfezionato che fornisce agli scafisti (dotati di telefono satellitare) persino i numeri di telefono da chiamare per essere soccorsi in mare e per sbarcare il carico umano sulle coste italiane.
Se ci saranno problemi a reperire altri alloggi, dopo aver messo a disposizione alberghi da 3 a 4 stelle, requisito strutture ed edifici pubblici, vista la nuova massa dei migranti clandestini in arrivo dall’Africa, il Governo Renzi/Alfano ha trovato ultimamente la soluzione di svuotare le caserme e destinarle ai migranti, come accaduto con la Caserma Montebello di Milano, accadrà anche con le caserme degli Alpini nel Veneto, con quelle dei Bersaglieri in Piemonte e con quelle dei paracadutisti in Toscana. Dentro i migranti e fuori i militari.
Non bisogna meravigliarsi della caparbietà con cui il Governo e la classe politica della sinistra mondialista, si ostinano ad incrementare e facilitare quella che si profila come una vera e propria invasione del territorio italiano: Renzi, Alfano, Mattarella, la Boldrini, hanno come obiettivo prioritario quello di facilitare l’invasione e di arrivare quanto prima alla sostituzione di una buona parte della popolazione italiana, lo dicono persino nei loro discorsi ufficiali (vedi la Boldrini e Mattarella), hanno ricevuto precise direttive e si devono adeguare. Vedi: La Boldrini spalanca le porte: “Ora più immigrati in Italia”.
Su questo sito noi abbiamo sostenuto già da molto tempo, nei vari articoli pubblicati, che le migrazioni di massa sono utilizzate come arma strategica da parte delle centrali del potere dominanti per scardinare e disarticolare l’assetto sociale dei paesi europei destinati ad essere assoggettati e omologati al dominio dell’impero anglo USA e della elite finanziaria. I fatti adesso ci stanno dando (purtroppo) ragione: avevamo visto giusto.
Niente avviene per caso ed il fenomeno delle migrazioni di massa è tutt’altra cosa che un fenomeno “spontaneo” ed “ineluttabile” come la propaganda della sinistra mondialista cerca di dipingerlo ad una opinione pubblica intontita dalla propaganda dei media.
Bisogna comprendere che il principale obiettivo di lungo termine delle centrali mondialiste è quello disostituire le identità nazionali e distruggere la cultura originaria che si oppone al mercato globale e che rivendica l’autonomia delle comunità locali, sostituirla con una massa indifferenziata di varie etnie e culture che risulti più facimente omologabile al sistema e che non abbia i mezzi culturali per opporsi alla catechizzazione del nuovo ordine.
Ribadiamo che contestare soltanto la presenza dei migranti, come si limitano a fare alcuni esponenti della Destra (dalla Lega a F.lli D’Italia), non serve a nulla se non si affrontano le cause vere del fenomeno e se non si denuncia la mano occulta degli organismi sovranazionali che pilotano l’invasione per i loro fini.
Si prefigura ormai quale sarà lo battaglia decisiva in Italia come in altri paesi europei per la loro sopravvivenza etnica e nazionale : difendere e preservare la propria identità nazionale, culturale ed etnica contro le imposizioni dei politici venduti ai poteri sovranazionali.
L’alternativa sarà quella di farsi sommergere nel cosmopolitismo e permettere che venga imposto lo schema della società multiculturale, globalizzata ed uniformata al mercato unico, con i suoi effetti sicuri di decadenza economica, culturale e di perdita di sovranità ed autonomia nazionale a favore di istituzioni dominate dalla finanza, obiettivo questo conclamato delle forze mondialiste e delle centrali finanziarie sovranazionali.

La sveglia è ormai suonata per coloro  che  hanno compreso la situazione mentre altri rimangono nel torpore dell’imbonimento di massa;  quando lo capiranno sarà ormai troppo tardi.
http://www.controinformazione.info/emergenza-migranti-invasione-sulle-coste-italiane-mentre-le-tv-parlavano-del-burkini/#


PROFUGHI ITALIANI DALL'ISTRIA
 

    Ma quando i profughi erano gli italiani dell’Istria né la Chiesa né i cattolici se la presero tanto calda. Oggi vediamo un presidente e un papa sollecitare i cittadini ad essere ospitali ma senza altrettanto slancio verso gl’Italiani di F. Lamendola  



Ma quando i profughi erano gli italiani dell’Istria, né la Chiesa, né i cattolici se la presero tanto calda

di

Francesco Lamendola



Certo che il mondo è ben strano, alle volte; specie di questi tempi.
Ancora più strano è il contegno della Chiesa cattolica e di tantissimi cattolici: quando i profughi che chiedevano ospitalità erano i nostri sventurati connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, non se la presero certo tanto calda come vediamo che fanno oggi, quando non passa giorno senza che il papa in persona, e il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, fino giù all’ultimo prete e all’ultimo volontario operante nella Caritas, non ci rintronino la testa con i loro discorsi sul dovere dell’accoglienza, illimitata e incondizionata.
Non importa se si tratta di una quotidiana invasione di migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia e, alla fine, milioni di persone; non importa se, mentre aspettano di sapere, ospitati gratuitamente a spese nostre, se otterranno lo status di rifugiati, che tutti indistintamente chiedono, sempre a spese nostre, benché provengano, per la maggior parte, da Paesi nei quali non vi sono né guerre, né persecuzioni, né pericoli di morte, si danno allo spaccio di droga, o allo stupro, o ad altre forme di piccola criminalità; e non importa neppure se, fra loro, si nascondono anche i lupi del terrorismo, pronti a uccidere delle persone a caso e a sgozzare i preti nelle chiese; pronti a sputare sui crocefissi, o a prendere a pugni e morsi i controllori dei mezzi pubblici sui quali viaggiano senza biglietto; e poi mandano i loro portavoce in televisione, belli, serafici, miti, a predicare la tolleranza e a scuotere la testa, con compatimento, davanti a chi osi avanzare dei dubbi sulla loro volontà di integrarsi, e, in genere, sulla sostenibilità, per l’Italia e per l’ Europa cristiana, di questa marea d’immigrati islamici: nessuna di queste cose ha importanza, perché essi sono il nostro prossimo bisognoso, e chiunque lo metta in dubbio non merita di essere definito, non che un cristiano, neppure un essere umano. E va bene.
Ma allora qualcuno ci dovrebbe spiegare perché, quando i profughi erano dei nostri fratelli che avevano già vissuto il dramma delle foibe, della pulizia etnica jugoslava, del terrore comunista di Tito: italiani di lingua, di tradizione, di sentimenti, anche più di quanto lo fossimo noi altri, moltissimi italiani della Repubblica democratica e antifascista, clero compreso, non si mobilitarono affatto per loro, anzi, li trattarono malissimo: accolsero i loro treni a fischi e sputi, li insultarono, gridarono loro di tornarsene indietro; riversarono su di essi tutto il loro disprezzo, bloccarono persino i binari, vomitarono bestemmie atroci, li chiamarono fascisti e banditi, augurarono loro gli stenti e la morte. Vennero alloggiati in fetide baracche di legno, nutriti con una sola ciotola di zuppa nauseabonda al giorno, ignorati dalla popolazione (almeno nel Nord, e in particolare nelle regioni “rosse”; perché al Sud le cose andarono un po’ meglio): e nessun prete, che noi sappiamo, e nessun operatore volontario fecero presente che il vitto era inadeguato, o che erano lasciati a tremar di freddo, senza coperte, in pieno inverno. Eppure, essi non spacciavano droga, non stupravano, non rubavano, non sporcavano, né rovesciavano, per protesta, la pastasciutta sul pavimento; non facevano manifestazioni pubbliche per pretendere che venisse concesso loro l’uso gratuito di Internet; non si lamentavano perché trenta euro al giorno sono pochi, o perché gli alberghi a loro destinati non avevano il bagno in camera. Erano silenziosi e dignitosi: vivevano il loro dramma senza mai chiedere l’elemosina, senza mai lamentarsi. Avevano perso tutto: la casa, il lavoro, perfino i morti, lasciati al cimitero (anche se qualcuno, partendo, aveva voluto portarsi dietro almeno le salme dei genitori o dei parenti più stretti).
Come mai, domandiamo, i cattolici buonisti e progressisti, che allora non mossero un dito per quei nostri fratelli infelici, oggi si fanno in quattro per degli stranieri che vengono da chi sa dove, dei quali non sappiamo nulla, e che spesso rifiutano di farsi identificare, magari perché hanno una fedina penale lunga così, e tutto quel che vogliono è la libertà di delinquere a piacimento, in un Paese che è così fesso da lasciar entrare chiunque entro le proprie frontiere, e da mantenerlo gratis per dei mesi, senza chiedergli di fare nulla; sicché si vedono ogni giorno, in questa povera Italia morsa a sangue dalla crisi, dove si stenta a trovare un lavoro, frotte di giovanotti in buona salute che fumano, chattano col telefonino e stanno tutto il giorno senza far niente, guardando con aria di sfida o di compatimento i poveri fessi che se ne vanno a lavorare? Come mai allora tanti bravi cattolici non rivolsero neppure la parola a quei nostri fratelli profughi, non vollero avere con essi il minimo rapporto, li tennero lontani come se fossero appestati? Come mai allora, nelle chiese, ci furono dei preti che pensarono bene di separare, come in regime di apartheid, i loro parrocchiani da quella gente sospetta, e riservarono loro dei banchi appositi, oltre i quali non dovevano spingersi, per non contaminare con la loro fastidiosa presenza le preghiere dei giusti?
Che cosa strana: tanto disprezzo, tanta ostilità, tanta cattiveria in quel tempo, fra il 1945 e il 1948; e tanto buonismo (non bontà, che è tutt’altra cosa), oggi, verso degli stranieri che non mostrano un centesimo della dignità degli istriani, dei fiumani e dei dalmati di allora: a cominciare dal fatto che sono, al novanta per cento, uomini giovani e pieni di salute, i quali hanno abbandonato al loro Paese le moglie, le fidanzate, la madri, le figlie, che accada loro quel che deve accadere. Qualcuno si immagina i padri di famiglia di Capodistria, di Pola, di Fiume, di Zara, che passavano la frontiera jugoslava o che salivano a bordo delle navi, lasciarsi indietro le loro famiglie, le loro donne e i loro bambini? Qualcuno degli odierni progressisti e buonisti arriva ad immaginarsi una scena del genere? E che cosa avrebbero pensato, allora, i bravi italiani e gli ottimi cattolici, vedendo arrivare migliaia e migliaia di maschi giovani e forti, ma pochissime donne, pochissimi bambini e nessun vecchio? Che cosa avrebbero pensato di quei profughi? Non li avrebbero giudicarti, per caso, dei vigliacchi, che avevano abbandonato al loro destino i congiunti più deboli e avevano pensato unicamente a se stessi? E, se è così – e siamo ben certi che li avrebbero giudicati così – come mai, allora, essi non pensano, né, tanto meno, dicono proprio nulla del genere, riferendosi alle migliaia e migliaia di sedicenti profughi, che per lo più non sono tali, i quali passano tranquillamente la frontiera-colabrodo del Friuli Venezia Giulia, o sbarcano sulle coste del Meridione, oppure, con il telefonino, poco dopo essere salpati dal qualche porticciolo della Libia, si affrettano a mandare dei messaggi per chiedere che le nostre navi li vadano a prendere, a “salvare”, e che li portino nei centri di accoglienza, dove hanno pure il coraggio di lamentarsi perché gli addetti hanno osato lavarli con dei getti d’acqua (in stile nazista, ha detto pure qualcuno!), o perché si serve troppo spesso la pastasciutta, e poi perché i tempi di attesa sono troppo lunghi?
Qualcuno potrebbe pensare che stiamo caricando le tinte; che, dopo la Seconda guerra mondiale, l’accoglienza riservata ai profughi provenienti dalla Venezia Giulia non fu, dopotutto, così cattiva, come noi l’abbiamo descritta. Benissimo: lasciamo, allora, che parlino i fatti. Prendiamo un paese a caso: Maniago, nel Friuli occidentale, in provincia di Pordenone (che allora, però, non esisteva, essendo tutto il Friuli, di qua e di là dal Tagliamento, compreso nella provincia di Udine). Non se ne abbiamo a male i Maniaghesi: avremmo potuto prendere quasi qualsiasi altro luogo, relativamente a quella vicenda; ci siamo soffermati sulla loro cittadina, perché esiste una testimonianza inoppugnabile. E lo diciamo con la morte nel cuore, perché amiamo i Friulani e li consideriamo bravissime persone: però, in quella circostanza, essi mostrarono il peggio del loro carattere (e sia pure con le attenuanti generiche, se si vuole, della guerra appena finita, della miseria, della fame, della disperazione per la morte di tanti congiunti, caduti al fronte o sepolti sotto le bombe dei gloriosi “liberatori” anglosassoni).
Citiamo, dunque, una pagina dalla monografia del giornalista Fulvio Comin Storia di Maniago (Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2009, pp, 206-207), che non si può certo accusare di nostalgie destrorse, visto che si premura – e poteva farne benissimo a meno – di precisare in anticipo che il dramma dei profughi fu colpa, in ogni caso, di Mussolini:

C’era da risolvere in quel tempo la sistemazione di molti profughi istriani che, “grazie” alla guerra voluta dal regime fascista, erano dovuti scappare dalle loro abitazioni abbandonando tutto per timore di essere vittime delle pulizie etniche che i titini stavano adottando. Questi ultimi consideravano tutti gli Italiani d’Istria fascisti, anche se chiaramente non era vero. […]

Perché, vorremmo chiedere, se fosse stato vero che quegli Italiani erano dei “fascisti”, tale pulizia etnica ne sarebbero stata giustificata? Ma andiamo avanti: l’Autore passa a descrivere come le pubbliche autorità decisero di insediare i profughi istriani nella campagna di Ventunis, che, essendo in gran parte occupata dal conoide ghiaioso dei fiumi Cellina e Meduna, era rimasta, fino a quel momento, praticamente disabitata; e come i nuovi arrivati, che non avevamo certo paura di spremere il sudore dalla fronte, con il loro duro lavoro riuscirono a dissodare quelle terre ingrate e a trasformarle in una ubertosa campagna.

Le famiglie dei profughi che vi si insediarono lavorarono sodo e riuscirono a far cambiar volto a tutta quell’area che, oggi, è completamente coltivata. Molti però non resistettero e furono sostituiti da famiglie di contadini veneti.
I primi anni di vita a Ventunis, per i profughi, furono anni di sofferenza. Molti dei più giovani che avevano frequentato le scuole in Istria parlavano il croato e non conoscevano l’italiano. I ventenni che già avevano svolto il servizio militare, dovettero rifarlo perché non gli era stato riconosciuto. Follie di una burocrazia cieca ed immobile tutta attenta soltanto ad alimentare se stessa con migliaia di pratiche ed inutili carte bollate.
Attorno ai poderi poi volteggiavano continuamente i caccia che si esercitavano al poligono del Dandolo con rumori assordanti e tegole che si spostavano sui tetti cosa che non venne mai riconosciuta “perché gli aerei non spostano le tegole”. Nella chiesa di Vivaro dove gli Istriani andavano a messa c’erano posti riservati per gli “slavi”. Bel modo di essere cristiani!
“Erano come degli appestati” – ebbe a dire monsignor Angelo Santarossa – non avevano alcun rapporto con la gente locale”. Nei paesi, nessuno rivolgeva loro la parola.
Quando venne in visita, il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, non si fermò a salutare i bambini Istriani che sventolavano le loro bandierine tricolori, preferendo sostare con i bambini di Maniago.
Soltanto nel 1964, Dandolo ebbe una sua chiesa dedicata a San Francesco. Il grande artefice di questa comunità fu il parroco di Tesis, don Lino Antonini, che li conosceva tutti di persona e che non mancò mai di incoraggiarli. La gente d’Istria pianse ai suoi funerali.
Quelli che rimasero, seppero trasformare una landa desertica in un giardino a prezzo di enormi sacrifici. Oggi si sono tutti integrati ma i più anziani non sono riusciti a dimenticare. E perché dovrebbero farlo?

Oggi non sono pochi gli Italiani che decidono di ospitare in casa loro uno, due, tre, quattro o più “profughi” maghrebini, o nigeriani, o mediorientali: li accolgono in casa come figli, e aprono volentieri la porta alle telecamere e ai giornalisti, perché tutto il mondo sappia come sono aperti, generosi e privi di pregiudizi. Che bello. Allora, Italiani che vivevano a meno di cento chilometri dalle terre occupate dagli Jugoslavi, si rifiutavano di rivolgere la parola ad altri Italiani, nati e vissuti da generazioni in quelle terre, dalle quali avevano dovuto fuggire, sotto la minaccia di un destino tremendo, quello delle foibe: un altro capitolo sul quale, per quasi sette decenni, la storiografia ufficiale, progressista e filo-resistenziale, aveva steso una rigorosa e impenetrabile cappa di silenzio. E come allora il presidente Saragat, socialdemocratico, si rifiutò d’intrattenersi coi bambini profughi, i quali sventolavano, pateticamente, le loro bandierine tricolori, così anche oggi vediamo un presidente che, come del resto fa il papa, sollecita di continuo i bravi cittadini ad essere ospitali e generosi con i profughi stranieri: peccato solo che non abbiamo visto, né vediamo, altrettanto slancio, altrettanta sollecitudine, verso gl’Italiani poveri: che ormai si contano a milioni...

1 commento:

  1. Prescindo dalla catastrofe epocale che si è abbattuta sull'Italia perché ordita diabolicamente a livello mondiale.

    Riguardo a papa Bergoglio e alle sue sempre più fantasmagoriche iniziative, assisto a un dato:

    col calare dell'interesse per i suoi interventi e le sue omelie da parte di svariate reti televisive - che sempre più se la cavano con la citazione della notizia e la foto dell'interessato sullo sfondo, senza mettere in onda video e audio, e questo anche in assenza di notizie d'emergenza come quelle del recente sisma - pare che il papa sempre più alzi l'asticella delle sue decisioni, quanto a inventività e clamorosità: per risuscitare il clamore degli 'antichi' fasti, oltre che - naturalmente - per continuare senza posa l'opera in corso di sovvertimento globale della Chiesa.

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