PROMESSE DEI FALSI PROFETI
«I falsi profeti promettono libertà ma essi stessi sono schiavi della corruzione». Niente di nuovo sotto il sole: è quel che fanno da sempre le 100 e 100 eresie che accompagnano la storia della Chiesa
di Francesco Lamendola
I falsi profeti ci sono sempre stati e sempre ci saranno; e così pure i falsi maestri: anzi, negli ultimi tempi questa mala razza è destinata ad aumentare ancor di più, perché nei tempi di grande confusione la gente è assetata di novità e di parole che lusinghino le umane passioni e giustifichino ogni sorta di licenza e di turpitudine, e i falsi maestri insegnano proprio tali cose.
È scritto, infatti, nella Seconda lettera di Pietro (2, 1-22; traduzione della Bibbia di Gerusalemme):
Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di improperi. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato.
Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio; non risparmiò il mondo antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore di giustizia, mentre faceva piombare il diluvio su un mondo di empi; condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie. Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore.
Temerari, arroganti, non temono d’insultare gi esseri gloriosi decaduti, mentre gli angeli, a loro superiori per forza e potenza, non portarono contro di essi alcun giudizio offensivo davanti al Signore. Ma costoro, come animali irragionevoli nati per natura a essere presi e distrutti, mentre bestemmiano quel che ignorano, saranno distrutti nella loro corruzione, subendo il castigo come salario dell’iniquità. Essi stimano felicità il piacere d’un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna: si dilettano dei loro inganni mentre fan festa con voi; han gli occhi pieni di disonesti desideri e sono insaziabili di peccato, adescano le anime instabili, hanno il cuore rotto alla cupidigia, figli di maledizione! Abbandonata la retta via, si sono smarriti seguendo la via di Balaam di Bosor, che amò un salario di iniquità, ma fu ripreso per la sua malvagità: un muto giumento, parlando con voce umana, impedì la demenza del profeta. Costoro sono come fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è riserbata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi gonfi e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto.
Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e salvatore Gesù Cristo, ne rimangono di nuovo invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che era stato loro dato. Si è verificato per essi il proverbio:
“Il cane è tornato al suo vomito
e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago”.
Ritorna, in questo brano, un solenne ammonimento: quello a non confondere la "libertà", come la dà il mondo, con la libertà in senso cristiano: che è la sola, vera e legittima forma di libertà. I falsi maestri faranno un gran parlare di libertà; presenteranno il Vangelo come la dottrina della libertà (ma in senso puramente umano); e, di conseguenza, si permetteranno d’interpretare liberamente le parole e le azioni di Gesù. Niente di nuovo sotto il sole: è quel che fanno, da sempre, le cento e cento eresie che accompagnano la storia della Chiesa; ed è quello che hanno fatto, in particolare, i protestanti, traviati da Lutero e Calvino, i due grandi cattivi maestri della cristianità moderna; e poi, di nuovo, giusto un secolo fa, i modernisti: i vari Tyrrell, Loisy, Buonaiuti, salvo poi atteggiarsi a povere vittime, ingiustamente perseguitate da una Chiesa bigotta e oscurantista, e salvo poi prendersi una rivincita, postuma, sì, ma pressoché totale – e proprio ai nostri giorni - con una certa chiesa post-conciliare, culminata nell'attuale pontificato di papa Francesco. E infatti è ancora papa Francesco, in una delle sue omelie nella Chiesa di Santa Marta, a parlare di libertà, dicendo che i cristiani "rigidi" non camminano nella libertà del Signore; laddove, per rigidi, egli intende tutti quei cattolici, e non sono pochi, che non capiscono, con condividono e non approvano la sua linea pastorale, o, per dir meglio, il suo aperto tentativo di cambiare la Chiesa cattolica in qualcosa di radicalmente diverso: una neochiesa modernista e progressista, l'esatta antitesi della Chiesa cattolica di ieri e di sempre, confermando i timori di san Pio X che vide per tempo l'avvicinarsi del pericolo e prese immediati ed energici provvedimenti, scomunicando il modernismo con l'enciclica Pascendi Dominici gregis, nel 1907.
Del resto, da sempre le false dottrine abusano del concetto di libertà: lo agitano davanti alla gente come una bandiera, come un simbolo di progresso e addirittura di felicità; lo assolutizzano, senza mai specificare che ad ogni libertà corrisponde una responsabilità, e che la libertà assoluta non esiste; che non esiste - e non sarebbe neppure desiderabile - una libertà radicale, perché la vera libertà deve sempre esprimersi all'interno di un limite e perché la vera libertà non è la facoltà di fare quel che si vuole, ma quello che è giusto. Per il cristiano, fare quello che è giusto significa uniformarsi alla volontà di Dio: nessun bene, infatti, e neanche la libertà, è concepibile separatamente o contrariamente alla volontà di Dio, che è il Bene in senso assoluto. E come potrebbe darsi l’esistenza di un singolo bene, se fosse contrario al Bene in sé? E come potrebbe una singola libertà, essere contraria alla libertà del cristiano, che è uniformarsi in tutto all'amore di Dio?
L’idea cristiana del Bene implica, fra le altre cose, un atteggiamento del tutto nuovo nei confronti della sofferenza. Per il cristiano, la sofferenza non è un male da evitare ad ogni costo; nella misura in cui essa viene da Dio (e non da cause umane che si possano eliminare, perché ingiuste in se stesse), la sofferenza, ossia la croce, diventa una realtà da assumere volontariamente e fiduciosamente, non uno spauracchio da cui fuggire. Si può essere liberi, anche su un letto d'ospedale, anche in un polmone d'acciaio; viceversa, si può essere schiavi anche in una reggia o nel'ufficio di presidenza di una grande banca. La libertà del cristiano non è la libertà dalla sofferenza, o dalle costrizioni esterne: è la libertà del figlio di Dio, che riconosce la voce del Padre e che risponde, con l'offerta di sé, alla offerta d'amore di Lui.
Ora, i falsi profeti e i falsi maestri abusano dell'idea di libertà, e la presentano come un fine in se stessa, mentre per il cristiano la libertà non è il fine, ma il risultato dell'abbandono a Dio, che, dal punto di vista del mondo e della carne, coincide con la crocifissione della propria libertà egoistica e distruttiva, in nome di una libertà più alta, ossia della vera comunione con l'amore del Padre. Il primo falsificatore del concetto di libertà è stato il serpente nel Giardino dell'Eden, quando spinse Eva (e, attraverso di lei, Adamo) a voler conquistare una libertà illusoria, intesa come libertà totale, anche da Dio, cioè, in pratica, come rifiuto del vincolo amorevole e fiducioso nei confronti di Lui. Anche Lucifero, quando era un angelo, fu spinto nella sua ribellione a Dio dal fantasma di una libertà assoluta, e quindi dal rifiuto di riconoscersi creatura e di accettare i limiti che comporta la condizione creaturale.
Una vola che nella Chiesa si sia introdotto lo spirito sedizioso di una libertà egoistica e puramente negativa, cioè come libertà da qualcosa e non per fare qualcosa, ha inizio un fatale processo di disgregazione e dissoluzione: perché una libertà così intesa porta a rivendicare tutta una serie di ulteriori libertà, sempre più individualistiche e sempre più pretenziose, quasi che il mondo intero debba inchinarsi alla rivendicazione di libertà soggettiva da parte del singolo individuo. In pratica, non c'è fine alle sempre rinnovate richieste di libertà, alla pretesa di una incessante libertà ulteriore, perché è venuto meno il senso del limite e, insieme ad esso, il senso del misero: che sono i due presupposti necessari e le due condizioni preliminari perché si dia un atteggiamento religioso nei confronti della vita. La pretesa della libertà assoluta, pertanto, coinvolge necessariamente la sfera dell'etica e tende ad abolire ogni limite alla piena fruizione della libertà soggettiva, ad abbattere qualsiasi ostacolo le si frapponga. Così, dall'uso improprio del concetto di libertà in teologia, si passa inevitabilmente ad una interpretazione lassista, permissiva, utilitarista del Vangelo: non è più il Vangelo a costituire una salda norma di vita per gli uomini ma sono gli appetiti, gli istinti e i desideri degli uomini, intesi nel senso più soggettivo, ad ispirare sempre nuove e "moderne" letture del Vangelo. Nessuna meraviglia che, un poco alla vola, divorzio, aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, siano stai visti, dai cattolici modernisti e progressisti, come realtà con le quali anche il credente deve confrontarsi, senza giudicarle in partenza, anzi, sforzandosi di vedere in esse un riflesso di ciò che Dio stesso desidera per l'uomo, ossia il pieno esercizio della sua libertà. L'assolutizzazione della libertà umana porta all'edonismo e al capovolgimento del Vangelo, che si fonda, non bisogna mai dimenticarlo, sull'accettazione volontaria della croce, per l'amore di Dio e del prossimo.
Questo concetto è ben illustrato nella vicenda storica dei Paesi protestanti: i primi a rivendicare la libertà d'interpretazione del Vangelo (e ciò, curiosamente – ma neanche tanto - mentre Lutero negava con la massima energia l’esistenza del libero arbitrio); i primi a mercificare completamente il lavoro dell'uomo e ad instaurare la dittatura della finanza; i primi ad attuare in pieno il laicismo, il secolarismo, e a scoprire e diffondere il Vitello d'Oro del consumismo; i primi a liberalizzare il sesso, la droga, l'aborto, l'eutanasia, i matrimoni omosessuali, l’utero in affitto. Essi, dunque, si distinguono per essere stati i primi che hanno fatto dell’affermazione esasperata dei diritti individuali lo scopo e la ragion d’essere della società umana, la quale a null’altro servirebbe, se non a garantire il godimento della massima libertà al singolo individuo (salvo poi, all’atto pratico, sfociare in una qualche forma di vero e proprio sfruttamento della maggioranza da parte di alcune élites particolarmente abili e spregiudicate). E non paghi di aver perseguito questo obiettivo, fatalmente distruttivo perché intimamente anti-sociale e, in fondo, anti-umano - se è umano, come crediamo, conservare il senso del limite e il senso del mistero -, ora essi hanno preteso di esportare il loro modello culturale, giuridico e morale, in tutto il mondo, dando per scontato che ogni popolo e ogni società dovranno seguire la strada da loro percorsa, e riconoscere che quella, e soltanto quella, conduce verso la “civiltà” ed il migliore dei mondi possibili.
Molti cattolici nutrono un senso d'inferiorità nei confronti delle culture protestanti; le vedono come più "avanzate", più "moderne" e, sopratutto, più efficienti; ma sbagliano, perché si limitano a vedere una sola faccia della medaglia. Se guardassero meglio, si accorgerebbero che non c'è nulla da invidiare e che, in quei Paesi, non c'è proprio nulla di cui la cultura protestane possa andare fiera. Le chiese sono vuote, e nella società civile dominano tristezza, solitudine, depressione, tendenza al suicidio. Sono i frutti avvelenati di una cultura (non solo luterana, ma anche calvinista) della "libertà" puramente soggettiva, e che si disperde e si auto-distrugge nell'inseguimento di innumerevoli piccole libertà, mentre va fatalmente perduta la sola che conti: la libertà di essere figli di Dio. Pertanto, che cosa ci sia da festeggiare nella ricorrenza dei cinquecento anni da che ebbe inizio questa malattia mortale del cristianesimo, e che cosa vada a fare in Svezia il vescovo di Roma, che assai a stento e a malincuore si è rassegnato a promettere che celebrerà una Santa Messa anche per i cattolici di quel Paese, nessuno lo sa.
Cari preti neomodernisti, avete compreso? Rileggetevi la Lettera di Giuda: Dio…condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Non le risparmiò, monsignor Galantino, come lei ha detto, ma le distrusse. In nome della “libertà”, i cattivi maestri vorrebbero abolire la nozione stessa del peccato...
«I falsi profeti… promettono libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione»
di Francesco Lamendola
UOMINI EMPI E BONTA' DI DIO
«Uomini empi che usano la bontà di Dio per giustificare la loro vita immorale». La tentazione di servirsi della bontà di Dio per venire a patti con il senso del peccato è molto antica: c'è già nel Nuovo Testamento di Francesco Lamendola
Nella religione cristiana esiste una particolarità che non si trova, a quel che ci risulta, in nessun'altra religione, e che è, nello sesso tempo, il suo principale motivo di forza (parlando da un punto di vista laico, e cioè puramente umano; e indipendentemente dalla sua verità soprannaturale, che è tale per i credenti) ma che può essere, nello sesso tempo (e sempre parlando in senso puramente umano) il suo tallone d'Achille. Si tratta di questo: Il Dio cristiano, come ha mostrato Gesù nel corso della sua vita pubblica, non solo non odia il peccatore, ma lo va a cercare e lo considera il suo interlocutore privilegiato: nel senso, come viene ben chiarito nel Vangelo, che non è il sano ad avere bisogno del medico, ma il malato. Naturalmente, Dio cerca ed ama il peccatore non in quanto pecca, ma in quanto vede in lui la possibilità della conversione, cioè del pentimento e del cambiamento di via: non lo ama perché è peccatore, ma perché, in quanto peccatore, ha bisogno di essere amato, perdonato, guidato verso la salvezza. In altre parole, lo ama nonostante sia peccatore, e lo cerca appunto per offrirgli la possibilità di salvarsi, di cui ha un estremo ed urgente bisogno, mediante il pentimento e la conversione al Vangelo. Se Dio amasse il peccatore in quanto tale, vorrebbe dire che amerebbe il peccato: il che equivale a dire che il Dio cristiano è venuto a negare il peccato e a liberalizzarlo, ad approvarlo, cancellando la differenza fra il bene e il male, e affermando che tutto ciò che viene dai desideri e dagli istinti umani è legittimo e, quindi, "buono".
Una simile interpretazione del cristianesimo è assurda, ma è precisamene quel che sta accadendo da alcuni decenni a questa parte, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II (che non è stato, necessariamente, la causa di questa deriva, ma che coincide con il suo inizio, o, almeno, con il suo manifestarsi graduale, ma sempre più esplicito). Oggi siamo arrivati al punto che non pochi teologi e un certo numero di vescovi e sacerdoti, oltre a un numero consistente di fedeli laici, proclamano che il peccato non è più peccato; che la Chiesa dovrebbe accettare e santificare ciò che, fino a ieri, e da sempre, e sulla base di quanto affermato esplicitamente nell'Antico e nelNuovo Testamento, è peccato: tipico esempio, il cosiddetto matrimonio omosessuale. Ora, la domanda che dobbiamo porci è la seguente: come è possibile che dei cristiani, appellandosi proprio allo spirito del Vangelo, possano fare questo, cioè arrivare alla negazione del peccato e alla pretesa che esso sia accettato, riconosciuto e dichiarato non più peccato, ma azione lecita e intrinsecamente dotata di valore etico? Infatti, siamo persuasi che vi sia una logica, e sia pure perversa e distorta, in una simile dinamica; e, del resto, bisogna cercar di capire come una follia possa essere contrabbandata per verità da un numero crescente di cristiani, i quali, almeno in parte, ritengono di essere, e lo dichiarano continuamente, non solo (il che è ovvio) in "buona fede", ma, quel che più conta, perfettamente in linea con i valori del Vangelo e con il messaggio di Gesù.
A nostro modo di vedere, l'equivoco, e il corto circuito dell'intelletto e dell'etica, che si sono creati, hanno questa origine: la confusione fra il concetto (giusto) che Gesù ama, predilige e va a cercare i peccatori, e il concetto (sbagliato, delirane e blasfemo) che li ama così tanto, da non volere, per essi, altro che la loro presente felicità. Gesù non vuole la nostra felicità: vuole il nostro bene; che è cosa ben diversa. Il bene del peccatore consiste nel suo pentimento e nella sua conversione: per questo il Figlio è venuto nel mondo, per questo ha operato e parlato (fino all'ultimo istante: si pensi al colloquio, sulla croce, con il buon ladrone); per questo ha sofferto, è morto ed è risorto. Per questo, e non per "sdoganare", legittimare o, addirittura, benedire il peccato. Gesù è stato chiarissimo, su questo punto. All'adultera, che gli era stata condotta dinanzi perché approvasse la sua lapidazione, egli, dopo averla sottratta alla morte, rimproverando ai suoi accusatori la loro ipocrisia, non le disse che l'adulterio non è peccato, ma le disse, con infinita dolcezza, di tornare a casa e cambiar vita. Ecco il punto: il Dio cristiano vuole la salvezza di tutti gli uomini, e quindi anche dei peccatori: ma non giustificando i loro peccati, bensì promuovendo in essi una conversione. Questo può generare un equivoco, ovviamente da parte di coloro che vorrebbero adattare il Vangelo alle loro passioni terrene: l'erronea credenza che il Dio cristiano, essendo amorevole e misericordioso, non condannerà nessuno, e che nessuno andrà all'inferno; che saranno tutti salvati, indipendentemente dalla conversione. L’equivoco, peraltro, si può generare soltanto fra quanti hanno una concezione non solo buonista del Vangelo, ma anche relativista ed evoluzionista: cioè fra quanti pensano che il Vangelo assolva tutti e che esso si debba, in qualche misura, adeguare ai cambiamenti culturali e morali che si verificano nel corso dell'evoluzione della società. Si tratta di una lettura molto umana, troppo umana, della figura e dell'opera di Gesù Cristo: perché la salvezza che egli annuncia, e che porta, è gratuita, ma non nel senso che non richieda uno sforzo, una cooperazione da parte dell'uomo. L'uomo è chiamato a salvarsi; ma la sua salvezza non gli è offerta incondizionatamente, non gli è assicurata anche contro la sua volontà. Il peccatore che si ostina nel peccato, che non vuol convertirsi, è destinato alla perdizione. Gesù ha detto al buon ladrone: Oggi stesso tu sarai con me in paradiso; non ha detto ad entrambi i ladroni - a quello che si era pentito e che si era affidato alla sua misericordia, e anche a quello che non si era pentito e che si faceva beffe di Lui, sfidandolo a salvare se stesso e loro - che sarebbero stati accolti entrambi in paradiso. Il paradiso, la beatitudine eterna, l'uomo se li deve guadagnare: convertendosi e pentendosi dei suoi peccati. Dichiarare che i peccati non sono tali, perché Dio non vuole la dannazione di nessuno, significa barare al gioco. La dannazione esiste, ed è una possibilità reale, molto concreta: tuttavia non si può addossarne la responsabilità a Dio, bensì unicamente all'uomo.
La stessa cosa non si può dire delle altre religioni, a cominciare da quella diffusa in Palestina al tempo di Gesù, il giudaismo: esse non hanno una pedagogia così misericordiosa, né una pazienza così grande nei confronti del peccatore. Secondo altre religioni, Dio ama chi lo obbedisce, ma odia il peccatore: non ha la pazienza di attendere che si penta e si converta, come farà il padre misericordioso con il figlio prodigo della parabola, dopo che questi si è allontanato con ingratitudine dalla sua casa. Il cristianesimo porta la bontà di Dio fino al limite estremo: fino a sacrificarsi sulla croce Egli stesso, e ad affrontare la morte per mano degli uomini, dicendo queste sublimi parole: Padre, non imputare loro questo peccato, perché non sanno quello che fanno.
La tentazione, chiamiamola così, di servirsi della bontà di Dio per venire a patti con il senso del peccato, per contrabbandare come condotta lecita il peccato, è molto antica: la troviamo attestata già nel Nuovo Testamento, pochi anni dopo la vita terrena di Gesù, ad esempio nella Lettera di Giuda (3-20; traduzione della Bibbia di Gerusalemme):
Carissimi, avevo un gran desiderio di scrivevi a proposito della nostra salvezza, ma sono stato costretto a farlo per incoraggiarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte. Si sono infiltrati infatti tra voi alcuni individui – i quali sono stati segnati da tempo per questa condanna – empi che trovano pretesto alla loro dissolutezza nella grazia del nostro Dio, rinnegando il nostro unico padrone e signore.
Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che il Signore dopo aver salvato il popolo dalla terra d’Egitto, fece perire in seguito quelli che non vollero credere, e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tenne in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno. Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all’impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno.
Ugualmente, anche costoro, come sotto la spinta dei loro sogni, contaminano il proprio corpo, disprezzano il Signore e insultano gli esseri gloriosi. L’arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: “Ti condanni il Signore!”. Costoro invece bestemmiano tutto ciò che ignorano; tutto ciò che essi conoscono per mezzo dei sensi, come animali senza ragione, questo serve a loro rovina.
Guai a loro! Perché si sono incamminati per la strada di Caino e, per sete di lucro, si sono impegolati nei traviamenti di Balaam e sono periti nella ribellione di Kore. Sono la sozzura dei vostri banchetti sedendo insieme a mensa senza ritegno, pascendo se stessi; come nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza frutto, due volte morti, sradicati; come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno.
Profetò anche per loro Enoch, settimo dopo Adamo, dicendo: “Ecco, il Signore è venuto con le sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di lui”. Sono sobillatori pieni di acredine, che agiscono secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce parole orgogliose e adulano le persone per motivi interessati.
Ma voi, o carissimi, ricordatevi delle cose che furono predette dagli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo. Essi vi dicevano: “Alla fine dei tempi vi saranno impostori, che si comporteranno secondo le loro empie passioni”. Tali sono coloro che provocano divisioni, gente materiale, privi dello Spirito.
Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna. Convincente quelli che sono vacillanti, altri salvateli strappandoli dal fuoco, di altri infine abbiate compassione con timore, guardandovi perfino dalla veste contaminata dalla loro carne.
Ebbene, l’antica tentazione di abusare dalla bontà e della pazienza di Dio per perseverare nel vizio e nel peccato, e per stravolgere il senso stesso del Vangelo, non solo è rimasta viva fino ai nostri giorni, ma è enormemente cresciuta, fino a presentarsi come un movimento di massa: come il tentativo di rovesciare il senso del Vangelo per giustificare agli occhi di Dio ciò che non è giustificabile, ossia il disprezzo della Sua legge d’amore. E il modernismo, sintesi di tutte le eresie, inteso non solo come movimento teologico, ma come atteggiamento di fondo nei confronti del cristianesimo, è il veicolo principale di questo pericolo diffuso, che, sempre più, si profila come una vera e propria apostasia dalla fede. Oggi tale apostasia è così ampia e generalizzata, così capillare, così proterva e così sfrontata, che riguarda non questo o quello, ma la vita della Chiesa nel suo insieme, il Magistero nel suo complesso, e la stessa fedeltà alla Rivelazione, poggiante sui due pilastri perenni della Scrittura e della Tradizione.
Abbiamo accennato prima al cosiddetto matrimonio omosessuale, come ad un classico esempio di accomodamento, tanto forzato quanto empio, fra il Vangelo e la mentalità dominante nel mondo. La cosa più sconcertante non è che tale volontà di accomodamento sia sorta in qualche sedicente cristiano il quale, per parte sua, si ritiene più “maturo” e “progredito” degli altri, e quindi ritiene di meglio interpretare il vero senso del Vangelo rispetto a quanto non sia avvenuto sino ad oggi; ma che parti consistenti del mondo cattolico, e perfino esponenti del clero, si prestino a una simile manovra; e che la maggioranza, per una ragione o per l’altra, rimanga in silenzio, quando è evidente che, se tacessero gli uomini, sarebbero le pietre stesse a parlare, a gridare la loro indignazione e a manifestare tutta la loro vergogna e la loro profonda umiliazione. In altre parole, il male si è ormai diffuso come un tumore, è andato in metastasi: il veleno modernista si è diffuso in tutto l’organismo e ogni singolo cristiano si sente in diritto di fabbricarsi il suo personale Vangelo, la sua personale idea del bene e del male e la sua personale versione della misericordia di Dio. Certo, il Dio cristiano ci lascia liberi: non vuole schiavi proni a terra, ma uomini e donne che conservano intatta la loro dignità, e che si assumono la responsabilità di scegliere il bene, non per paura o interesse, ma per una spontanea adesione al Suo amore. Perché il bene è Dio, il male è il rifiuto di Dio: tutto qui. Se i cattolici neomodernisti considerassero questa ovvia verità, non cadrebbero nello sproposito di pensare che Dio ci vuol felici secondo la carne. Ma allora sarebbero veri cristiani, non modernisti...
«Uomini empi che usano la bontà di Dio per giustificare la loro vita immorale»
di Francesco Lamendola
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