IL DIAVOLO PER PADRE
Voi che avete per padre il Diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro è un'espressione adoperata da Gesù. La teologia che si oppone alla Verità o che la adultera e mistifica è una teologia che non viene da Dio ma dal Diavolo
di F.Lamendola
C’è un passo del Vangelo di Giovanni nel quale assistiamo a un durissimo scambio di battute fra Gesù e alcuni Giudei, a Gerusalemme, negli ultimi giorni della Sua vita terrena, poco prima della congiura ordita dal Sinedrio per processarlo e farlo condannare a morte dalle autorità romane. Esso si colloca subito dopo l’episodio della donna adultera, che ha Gesù letteralmente strappata dalle mani di quanti volevano lapidarla, la guarigione del cieco nato, che, a sua volta, precede di poco il miracolo della risurrezione di Lazzaro. L’oggetto della discussione è la discendenza da Abramo: Gesù afferma che chi crede in lui conoscerà la Verità, e questo lo farà libero; essi insorgono indignato, affermando di essere discendenti di Abramo e di non essere mai stati, pertanto, schiavi di qualcuno.
A Gesù che promette loro la libertà per mezzo della fede in Lui, essi rispondono chiedendogli, con sfida, che cosa intenda dire con tali parole e come possa apostrofarli dicendo: Diventerete liberi. Sono colmi di sospetto e di malanimo verso di Lui, anche se, poco prima, alcuni hanno mostrato di credere alle Sue parole, quando egli aveva affermato di non esser venuto a fare nulla in proprio nome e di propria iniziativa, ma di aver sempre parlato e operato in nome del Padre, secondo quanto gli è stato insegnato di fare. La tensione è fortissima: alla fine del dialogo, i Giudei metteranno addirittura mano alle pietre per lapidarlo. Attorno a Gesù sta maturando lo stato d’animo di totale rifiuto e di scandalo religioso che porterà al suo arresto.
Riportiamo il dialogo per la parte che qui ci interessa (Giovanni, 8, 34-59):
Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal Padre vostro!. Gli risposero: “Il nostro padre è Abramo”. Rispose Gesù: “se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro”. Gli risposero: “Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!”. Disse loro Gesù: “Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio”. Gli risposero i Giudei: “Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?”. Rispose Gesù: “Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”. Gli dissero i Giudei: “Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: ‘Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte’. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?”. Rispose Gesù: “Se io glorifico me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: ‘È nostro Dio!’, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vistro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” Gli dissero allora i Giudei: “Non hai ancora cinquant0anni e hai visto Abramo?”. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”. Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Questo dialogo duro, teso, serrato, decisamente sgradevole, sospeso fra l’incredulità dei Giudei e il progressivo rivelarsi di Gesù nella sua natura e nella sua missione divina, mentre già l’idea dell’omicidio comincia a farsi strada nei sacerdoti che ritengono di aver udito una gravissima bestemmia, proprio in un luogo sacro come il tempio di Gerusalemme, è la migliore risposta a quegli studiosi del cristianesimo i quali vorrebbero che la fede in Gesù sia una specie di mito o di leggenda fabbricata dai suoi discepoli dopo la sua morte, quasi a mo’ di consolazione e di risarcimento per le loro speranze deluse. Qui, al contrario, Gesù proclama apertamente la sua filiazione da Dio e la sua stessa divinità: quando dice: prima che Abramo fosse, Io Sono, ha spazzato via ogni dubbio e annientato qualunque possibile ambiguità; tanto è vero che i Giudei non sopportano quelle parole, si scandalizzano a morte e mettono mano alle pietre per ucciderlo lì, sul posto. Gesù, pertanto, dimostra di aver avuto piena ed intera coscienza della propria natura divina, accanto alla natura umana: ma, da uomo appunto, non volle mai presentare se stesso come l’autore della Verità che veniva ad annunziare, ma solo come il Figlio obbediente che onora il Padre e che rivela tutto quello che il Padre gli ha comunicato. Così, proprio mentre dichiara di essere Dio egli stesso, Gesù si fa umile e rifiuta la paternità di ciò che è venuto a insegnare, dichiarandosi solo il fedele esecutore della volontà del Padre suo, per insegnare agli uomini il modello perfetto della vita secondo Dio e non secondo il mondo. Inoltre, chiama Dio a testimone della Verità che insegna, proprio perché la Verità rende testimonianza a se stessa. Il suo ragionamento è semplice e chiaro, e non presta il fianco a sofismi e cavilli di alcun tipo: chi è dalla Verità, è da Dio, e parla come desidera Dio, e compie le azioni che sono gradite a Dio, e ascolta senz’altro la parola di Dio; ma chi rifiuta la Verità, dopo averla udita, non è da Dio, ma dal Diavolo, e desidera soddisfare la volontà del padre suo.
In questo scenario drammatico, come si vede, non c’è posto per una posizione di neutralità o di attesa: bisogna prendere posizione, essere con o contro la Verità. Questo è anche il tema dell’ultimo colloquio che avrà Gesù con un altro essere umano, prima della morte sulla croce: con Ponzio Pilato. Al procuratore romano che lo sta interrogando e che gli chiede se egli sia re, Gesù risponde: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato “Che cos’è la verità?” (Giovanni, 18, 37-38). La vita è una battaglia fra il Bene e il Male, fra la Verità e la Menzogna. L’essenza del bene è la verità; l’essenza del male, la menzogna. Il Diavolo è mentitore e omicida fin dal principio: per prima cosa, egli ha levato la mano contro la verità, ha ucciso la verità che era in lui stesso. Tutti i peccati nascono da questa prima radice: il rifiuto della Verità; la quale non va intesa in senso intellettualistico, alla maniera dei filosofi. Gesù, infatti, non è una figura paragonabile a Socrate: la Verità che insegna, non è quella dell’intelletto, ma quella di Dio stesso, direttamente rivelatosi a Lui e del quale Egli si fa tramite e testimonio, in primo luogo con la sua stessa vita. Socrate non potrebbe chiamare la sua vita a testimonianza della verità insegnata, e meno ancora lo potrebbero gli altri filosofi greci. Vi sono degli angoli bui, in esse; vi sono degli episodi non belli, delle azioni di cui nessuno potrebbe vantarsi troppo. Pur senza essere vergognose, vi sono delle passioni ambigue, fuorvianti, dalle quali traspare una umanità non purificata, non ancora del tutto spirituale. Il culto per la bellezza, ad esempio, che tende a divenire una vera e propria ossessione; e la pretesa – tipica, in particolare, del platonismo - di fare della bellezza fisica una scala verso la contemplazione della bellezza spirituale. Invece non è così: a comprendere e amare la bellezza spirituale non si arriva mediante la bellezza fisica, ma mediante il senso spirituale della vita, e specialmente mediante l’amore di Dio: cioè vedendo nelle cose e negli esseri umani delle creature di Dio. San Francesco ha “scoperto” la bellezza del mondo incontrando ed abbracciando un lebbroso, non innamorandosi di Alcibiade, come accadde a Socrate. Gesù, dunque, non è venuto ad insegnare una verità che parte dal mondo e arriva a Dio: ma la Verità di Dio stesso, incarnata nella sua persona, il Verbo, la Parola vivente del Creatore. E chi odia la Verità, odia Gesù; chi ascolta la sua parola, ascolta la Parola del Padre suo.
L’espressione adoperata da Gesù, a un certo punto, è durissima, quasi scioccante: Voi che avete per padre il Diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Molti cristiani si sono fatti una immagine dolciastra e zuccherosa di Gesù, complice anche una certa teologia postconciliare, la quale, nella pretesa di attualizzare e modernizzare l’annuncio del Vangelo, ha finito per fabbricare un Gesù diverso da quello delle Scritture, un Gesù che sa essere immensamente misericordioso, ma anche terribilmente severo. Una teologia che ha praticamente cessato di parlare dei Novissimi: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso; ma soprattutto l’inferno: non parla più di queste cose, per non turbare gli animi delicati e sensibili, oltre che per non disturbare gl’intelletti raffinati, categorie che non sopportano più un simile linguaggio, perché sembra loro un retaggio di una mentalità “medievale”. Ora, a parte l’evidente anacronismo di una tale idea (come si fa ad accusare di “spirito medievale” il Vangelo, scritto molti secoli prima del Medioevo?), qui c’è la pretesa di “rivedere” il Vangelo secondo i parametri della cultura moderna: laicista, edonista, materialista e razionalista, sostanzialmente incredula, o quantomeno scettica. Parlare di Gesù va bene (a condizione di non specificare troppo che Gesù è il Figlio di Dio), ma parlare del Diavolo, no; parlare di Dio va anche bene (purché non si precisi di quale Dio si sta parlando), ma quanto all’Inferno, per piacere… Siamo uomini moderni, razionali e dotati di una mentalità scientifica, sì o no? E poi, un po’ di buon gusto, per favore: le fiamme, le anime che bruciano in mezzo ad esse… Lasciamo queste cose agli “ingenui” pittori e mosaicisti medievali, ai cupi predicatori ed eremiti di quel tempo lontano, appunto; noi cristiani moderni abbiamo ben altri interessi, ben altre priorità, e ben altre prospettive. Vogliamo un Dio che ci giustifichi tutti, che ci perdoni tutti, che ci accolga tutti; però non siamo disposti a lasciar morire in noi l’uomo vecchio e far sì che nasca l’uomo nuovo. Vorremmo la salvezza, ma senza alcun sacrificio: nemmeno di tipo intellettuale. Chiederci di credere nell’Inferno e nel Diavolo, è troppo davvero. Figuriamoci, poi, se si tratta di sacrifici in termini di morale pratica: di riconoscere il peccato e chiamarlo con il suo nome; di provare rimorso se lo si commette; di chiedere il perdono di Dio. No, secondo certuni cattolici “progressisti” e neomodernisti (vale a dire, non cattolici e anticattolici, perché il modernismo è la perversione e la negazione del cristianesimo), Dio è un amicone al quale si può battere una mano sulla spalla, o, comunque, un padre sempre dolce e permissivo, sempre disposto a “coprire” e scusare tutti i nostri peccati. Essi si son fatti l’idea che Dio, essendo misericordioso, non può mandare nessuno all’Inferno: non è venuto loro in mente che il malvagio impenitente, all’Inferno ci si mette da solo, senza che Dio lo voglia, anzi, contro il desiderio di Dio, che ha mandato suo Figlio tra noi, affinché tutti gli uominipossano salvarsi. Però non ha imposto la salvezza ad alcuno, perché, in tal caso, non avrebbe avuto bisogno di creare l’uomo come un essere dotato di libero arbitrio, ma sarebbe stato sufficiente farne un obbediente manichino.
Questi sono i paradossi in cui scivola la teologia neomodernista e progressista: paradossi che portano dritti verso l’apostasia dalla Verità. Chi legga senza pregiudizi il brano del quarto Vangelo che abbiamo sopra riportato, non può non trarne la convinzione che Gesù sta parlando senza fronzoli della possibilità che gli uomini, rifiutando ostinatamente la verità, meritino di tornare dal padre della menzogna: il Diavolo. Che si dannino l’anima per sempre. È un boccone troppo amaro, troppo indigesto, per i loro stomachi delicati, almeno quanto sono delicati i loro orecchi? In tal caso, pazienza. Non voler vedere questo aspetto del Vangelo, vale a dire le conseguenze che comporta il rifiuto deliberato della Verità, è la stessa cosa che scagliarsi apertamente contro di essa: significa avere per padre il Diavolo. Ed ecco la conclusione: una teologia che si oppone alla Verità, o che la adultera, la mistifica, cerca di confonderla, è una teologia che non viene da Dio, ma dal Diavolo…
Voi che avete per padre il Diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro
di Francesco Lamendola
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