VERSO UN NUOVO PAGANESIMO ?
Senza la preghiera e la Grazia scivoliamo in un nuovo rovinoso paganesimo. L’essenza del paganesimo è il naturalismo, prospettiva corretta dal Cristianesimo che ci ricorda che non tutto nella natura è buono
di Francesco Lamendola
Scriveva la poetessa Saffo, in una delle sue composizioni più sofferte e più belle (24 D; traduzione di Salvatore Quasimodo):
Tramontata è la luna
E le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.
Ecco: qui è veramente racchiusa l’anima dell’uomo antico, dell’uomo pagano (e della donna, ovviamente, come in questo caso). Sola di fronte al mistero di Eros, dell’amore-passione, del desiderio indomabile, che persiste e cresce nonostante l’avanzar degli anni, e irrompe come un vento impetuoso d’inverno, scuotendo il fogliame in un bosco di querce: l’anima è come sorpresa, sbigottita, trema e ha paura, non sa che dire, non sa che fare, rabbrividisce e resta come folgorata. L’amore passionale è una forza spaventosa, davanti alla quale l’uomo non possiede alcuna risorsa, alcuno strumento per resistere: è lì, inerme, avvinto, schiavo della bellezza, torturato dal desiderio anche quando sa di non esser più desiderabile; si agita e si contorce nel letto vuoto, agitato da fantasmi erotici, davanti ai quali è più inerme di un bambino. Brama e soffre, e non sa darsi pace, e rabbrividisce di vergogna e desiderio: ma non può fare a meno di bramare.
In alternativa a quest’uomo pagano, schiavo dei sensi, prigioniero di passioni funeste, il cristianesimo ha proposto un nuovo modello umano: colui che sa amare di un amore più alto, l’amore di carità, che tutto desidera per l’altro e nulla chiede per se stesso; un amore che dà pace, e non inquietudine, perché non brama follemente, ma spera e crede in Dio, al quale si rivolge come all’oggetto principale del proprio amore e come garante e protettore di ogni altro amore, purché lecito e onesto, purché disinteressato e puro: purché vero amore spirituale, e non sfrenato e disordinato furore sensuale. L’uomo nuovo, di cui parla san Paolo, che sa amare in tal modo, rappresenta un immenso progresso rispetto all’uomo vecchio, concupiscente, iracondo, geloso, invidioso, bramoso, perennemente insaziato e insoddisfatto, assai poco padrone di sé, perché sempre proiettato verso nuovi desideri, verso più roventi concupiscenze.
Eppure, molti segni paiono indicare che è in atto un regresso, uno scivolamento, un ritorno verso il modello dell’uomo vecchio, dell’uomo pagano, che non sa amare, ma solo bramare, e che non fonda il suo amore in Dio, ma nell’inseguimento, impossibile e distruttivo, della carne, che invecchia e muore: e dunque intriso di disperazione, carico di cupa malinconia, perché destinato a non trovare mai pace, ma a soffrire vanamente e a generare sempre nuova sofferenza.
L’essenza del paganesimo è il naturalismo: la concezione secondo cui la natura è l’origine e il principio delle cose, e anche la legge suprema del mondo e della vita; e che tutto ciò che è naturale, è giusto e legittimo, mentre ingiusto e illegittimo è solo ciò che ad essa si oppone. Il cristianesimo ha corretto questa visione, ricordando agli uomini che non tutto, nella natura, è buono per se stesso; che non tutti gli istinti e le passioni sono buone; che neppure sul piano fisico la natura è sempre buona: infatti, che facevano i padri spartani, davanti alla nascita di un figlio deforme, se non gettarlo dalla cima del Monte Taigeto? È stato il cristianesimo a insegnare all’uomo antico che ogni vita è infinitamente preziosa, non perché la natura produca dei corpi sempre perfetti, o delle menti ammirevoli, ma perché ogni uomo è una persona, dotata direttamente da Dio di un’anima immortale, e, perciò, unica e insostituibile.
Pensiamo al caso delle due ex suore di Pinerolo: un caso emblematico. In Africa, le due suore francescane hanno scoperto di amarsi e hanno lasciato la tonaca per convolare a nozze, davanti al sindaco della loro città e con la presenza di un ex prete disposto a benedire il loro “matrimonio”. Non solo hanno rotto voti; non solo hanno tradito la loro vocazione: può succedere, la creatura umana è fragile. Ma hanno anche voluto sposarsi, hanno anche preteso la benedizione del Cielo. Alla stampa hanno detto: Dio vuole le persone felici, che vivano l’amore alla luce del sole. Chiediamo alla nostra Chiesa di accogliere tutte le persone che si amano. Povera Isabel e povera Federica: che abbaglio, che situazione falsa hanno scelto di creare. Propagandiste del matrimonio omosessuale e promotrici di una svolta omosessualista nella “loro” Chiesa, anche se sanno benissimo che la Chiesa, da sempre, la pensa in tutt’altro modo. Hanno voluto creare un caso, come lo sventurato monsignor Charamsa: hanno voluto mettere la Chiesa sotto pressione, per rivendicare il loro “diritto alla felicità”. E siccome la Chiesa non si è mai sognata di riconoscere un tale diritto, né, tanto meno, di promettere la felicità ai religiosi e alle religiose, e in genere ai cristiani, in questa vita, loro hanno fatto appello direttamente a Dio. Per questo hanno voluto il prete; e pazienza se era un ex prete cacciato, a sua volta, dalla Chiesa. Come i due omosessuali maschi che, dopo il loro matrimonio civile, sono andato in viaggio di nozze a Lourdes: a chiedere la benedizione della Madonna. E per difendere i quali è sceso in campo il quotidiano cattolico L’Avvenire. Tanto per dire fino a che punto la Babele è arrivata nel mondo cattolico e nelle file del clero.
Come Saffo nel suo letto deserto, le due poverine si sono trovate sconvolte dalla passione, a cui non hanno saputo resistere: le ha investite come il vento d’inverno fra le querce. Ma poi, da brave “cattoliche”, si sono ricordate di essere cristiane: e hanno chiesto consiglio a Dio. E Dio ha risposto loro di star tranquille, che è tutto a posto, che Lui non vuole nient’altro che la felicità degli esseri umani. C’è solo un piccolo problema da risolvere: che Dio non cerca la nostra felicità secondo il mondo e secondo la carne, ma secondo lo Spirito; e questo è il Vangelo. Non c’è una sola pagina della Bibbia, e tanto meno del Nuovo Testamento, da cui si possa ricavare questa nuovissima, mirabolante teologia: che Dio vuole la nostra felicità così come la vogliamo noi. Perché noi, che siamo fragili e limitati, non sappiamo cosa sia la nostra vera felicità: o meglio, lo sappiamo, lo intuiamo, solo quando ci abbandoniamo a Dio: non per chiedergli di farsi garante dei nostri “diritti”, e mallevadore dei nostri peccati, ma per chiedergli di essere come Lui ci vuole: creature spirituali, che amano di un amore di carità, e non che ardono per un amore di desiderio e di lussuria. E come può essere buono un amore che ci far venir meno ai nostri più sacri doveri? Che ci fa rompere una promessa solenne, un voto fatto proprio a Dio? Non si può giocare con Dio; non si può prenderlo in giro. Non si può fargli una promessa, infrangerla clamorosamente, e poi chiamarlo a testimone che stiamo facendo la cosa giusta. Questa non è solo follia: è anche improntitudine.
Non stiamo giudicando le persone; stiamo giudicando le azioni. Le azioni parlano, e così le parole che sono state dette. Qui c’è la pretesa di rovesciare la morale cristiana per giustificare una propria debolezza e una propria colpa. Questo non è intellettualmente onesto: pur di mettere a posto la coscienza, si nega che il peccato sia peccato, che il male sia male; si pretende di ribaltare il senso del Vangelo, si sapere quel che Dio vuole, meglio di quella Chiesa, due volte millenaria, alla quale si era giurata completa obbedienza. Che razza di vocazione era, la loro? E chi doveva valutarla, lo ha fatto veramente? Che cosa sta succedendo, oggi, nei seminari e nei conventi?
Si dice, ed è ormai un luogo comune, che scarseggiano le vocazioni. Può darsi. Però a noi sembra che di preti e suore non ce ne siano pochi, ma troppi: a giudicare dal livello medio che molto spesso evidenziano. Ci sono preti che hanno tolto il confessionale dalle loro chiese: non vogliono più che le persone vadano a confessarsi individualmente. E lo dicono dal pulpito. E i loro vescovi, che fanno? perché tacciono? Sono d’accordo? Se sono d’accordo, allora vuol dire che anche di vescovi ce ne sono troppi: qualcuno è sicuramente in più. Meglio una diocesi senza vescovo, che un vescovo titolare che dia scandalo pubblicamente innanzi ai fedeli. E questi sono silenzi che danno scandalo. Ma a volte non ci sono solo i silenzi: ci sono anche le parole; e non sono parole da vescovi cattolici. Vengono elogiati i pessimi teologi del Vangelo rivisto e corretto secondo le intenzioni della neochiesa modernista e progressista; si deride la fede dei piccoli e dei semplici, il culti dei santi e della Madonna, il sacramento della confessione e la relativa penitenza. E ci sono suore che ballano, cantano, vanno alla radio, alla televisione, si agitano e parlano come delle qualsiasi cantanti di musica leggera, senza nulla che le contraddistingua in quanto suore: senza un tocco di spiritualità, senza un’ombra di riservatezza, di discrezione, di timor di Dio. Urlano nel microfono e fanno le smorfie come chi abbia in mente qualunque cosa, tranne che Dio; e come chi trasmetta qualunque tipo di emozione, tranne che il senso del divino. Di nuovo: che cosa fanno le loro madri superiore? E che cosa fanno i vescovi? Sono d’accordo? Perché, se sono d’accordo, forse hanno sbagliato mestiere: dovevano fare gli impresari nel mondo dello spettacolo. Una professione come un’altra, per carità. Ma lasciamo stare la vita soprannaturale, la vita divina: lasciamo stare la ricerca e la salvezza delle anime. Quella, è un’altra cosa.
Ci sono, poi, dei preti che tengono delle stranissime omelie. Parlano di una “religione della natura”, con la più grande disinvoltura di questo mondo. Al funerale di un nostro conoscente, che, guarda caso, era anche stato un appassionato di caccia, il prete ha imbastito uno sproloquio su codesta “religione della natura”. Un riflesso del naturalismo di Bergoglio? Ricordiamo anche troppo bene lo spettacolo sconcertante, e angosciante, della facciata della Basilica di San Pietro profanata da quelle gigantesche immagini a colori di animali feroci, di squali, di tigri, di leoni, di scimmie, poi di cannibali con l’anello al baso: quella assurda, inqualificabile celebrazione della natura, come se fosse cosa autonoma e indipendente dall’amore di Dio, Padre e Creatore di tutte le cose. Quale contrasto con il vero spirito francescano, con il Cantico di frate Sole, dove il poverello di Assisi esalta, sì, le bellezze della natura, e chiama “fratello” e “sorella” il sole, l’acqua, il fuoco, il vento, e “madre” la terra, ma non per celebrarle in se stesse, bensì per celebrare la gloria di Dio, autore di tutte quelle meraviglie, al quale solo - dice esplicitamente – vanno l’onore, la gloria ed ogni benedizione. Altro che tigri, leoni e cannibali! Altro che religione della natura! Questi sono spropositi naturalisti: questo è scivolamento verso un paganesimo di ritorno.
Il papa le sa, queste cose? Lo sa che ogni prete, ogni suora, si sentono ormai autorizzati a predicare il Vangelo delle loro voglie, dei loro gusti, delle loro opinioni? Che oggi non abbiamo più una morale cattolica, ma ne abbiamo centomila, una per ogni membro del clero, anzi, una per ciascuno dei due miliardi di cristiani che vivono sulla terra? E si è mai preso la briga d’infornarsi, invece di sparare ogni giorno, dalla Chiesa di Santa Marta, le sue prediche neomoderniste, improvvisate, teologicamente incongrue, impregnate di relativismo e d’indifferentismo religioso? Si rende conto di quanto male ha fatto, e sta facendo, alla Chiesa, il suo Chi sono io per giudicare?Comprende quale danno gravissimo abbia provocato la sua Esortazione apostolica Amoris laetitia, quanta confusione abbia gettato tra il clero e i fedeli, quanta amarezza, quanto turbamento, e quante false e illecite speranze? Se sa tutto questo, perché insiste, rialza la posta, raddoppia le provocazioni? Perché continua a lodare i nemici del cristianesimo, perché lascia che si faccia, a suo nome, l’elogio funebre di Marco Pannella – il campione del divorzio, dell’aborto, della droga libera, della eutanasia, delle unioni i fatto e dei matrimoni omosessuali – e perché continua a bastonare, a maltrattare, a insultare e a ridicolizzare quanti non sono convinti del suo modo di agire? Lo comprende, sì o no, che se i due maschi omosessuali si sposano e vanno in viaggio di nozze a Lourdes, e le due suore lesbiche si sposano e vorrebbero il prete a benedirle, tutto questo sta avvenendo precisanente perché c’è lui sul soglio di san Pietro? Come si sente, a un simile pensiero?
Senza la preghiera e la Grazia scivoliamo in un nuovo, rovinoso paganesimo
di Francesco Lamendola
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