PECORE, LUPI E PASTORI MALDESTRI
Se il pastore non pasce le pecorelle, ma le maltratta e le allontana. Papa Francesco, notoriamente, possiede una cultura teologica molto povera, e lo fa vedere ogni volta che parla, improvvisando, sui temi più disparati
di Francesco Lamendola
Nel Vangelo di Giovanni (21, 15-17), Gesù Cristo, risorto da morte e tornato per un poco fra i suoi, raccomanda a Simon Pietro, con particolare insistenza, di “pascere le pecorelle” del Suo gregge:
Dopo mangiato, Gesù disse a Simon Pietro; “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di questi altri?” Simone disse: “Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene”. Gesù replicò: “Abbi cura dei miei agnelli!”.
Poi gli disse una seconda volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami davvero?”. Simone gli disse: “Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene”. Gesù replicò: “Abbi cura delle mie pecore”.
Una terza volta Gesù disse: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami davvero?”.
Pietro fu addolorato che Gesù gli dicesse per la terza volta: “Mi ami tu?”. Rispose: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che io ti amo”. Gesù gli disse: “Abbi cura delle mie pecore…”
Dunque la ragion d’essere del sacerdozio è quella di pascere le pecorelle ed aver cura di esse: delle pecorelle del gregge di Cristo, che il pastore non deve mai considerare come cosa propria.
Gesù, infatti, per tre volte, dice a Pietro di aver cura delle Sue pecorelle: gliele affida, gliele raccomanda, gli fa capire che si tratta della missione più delicata di cui avrebbe potuto investirlo; e poi gli preannuncia il martirio nell’espletamento di quella missione.
Il papa Pio XII aveva sempre in mente la delicatezza e la sublime importanza della vocazione sacerdotale, proprio in funzione di custodia del gregge cristiano. A questo proposito, Giacinto M. Giuriato scriveva nel suo libro Menti nostrae… Considerazioni ascetiche sull’Esortazione al clero di Pio XII (Roma, Edizioni Paoline, 1955, pp. 97-98):
… Sono anch’io pastore, ho anch’io delle pecorelle da conoscere. Devo quindi studiare bene l’esempio di Gesù. Prima di tutto egli vuole che io sia un vero Pastore: “Pastor ovium”, un pastore cioè che senta di amare le proprie pecorelle; non quindi un pastore mercenario, “cuius non sunt oves propriae”. Ciò posto, ecco la prima dote del vero e buon pastore: conoscere le pecorelle: “Cognosco oves meae”. Gesù però non si accontenta di una conoscenza generica; vuole conoscere le sue pecorelle una per una, affin di poterle chiamare per nome: “Proprias oves vocat nominatim”. Il buon pastore si fa poi conoscere dalle sue pecorelle: “Cognoscunt me meae”. In che modo lo conoscono? Dall’udito e dalla voce: “Oves vocem ejus audiunt, sciunt vocem ejus”. Le mie pecorelle devono sentire la mia voce nelle prediche e nelle istruzioni : altrimenti “fugiunt ab eo, quia non noverunt vocem”. E devo ricordarmi che Gesù mi ha dato un espresso comando sulla necessità di far udire la mia voce alle pecorelle: “Ite, docete omnes gentes” (Mt., XXVIII, 19). Ma l’insegnamento di Gesù non è ancora finito. Il buon pastore deve condurre le pecorelle ai pascoli ubertosi, precedendole: “Et educit eas, et ante eas vadit, et oves illum sequuntur”, perché sono sicure che il pastore “pascua inveniet”. Ora, come è possibile che io possa pascere le mie pecorelle, se sono digiuno della scienza necessaria? E non mi basta certo una scienza ordinaria. Oggi i lupi tentano le mie pecorelle con le novità di mille errori; bisogna che io stia in guardia e conosca molto bene le armi da usare per scovare le tane dei lupi e scacciarli fuori senza misericordia: “Mercenarius et qui non est pastor, cujus non sunt oves propriae, videt lupum venientem, ed dimittit oves, et fugit”. Questo fa il sacerdote mercenario, ma il vero sacerdote “dat animam suam pro ovibus suis”.
Il sacerdote, bisogna ricordalo sempre, è un alter Christus, un altro Cristo, proprio perché, e nella misura in cui, ama le sue pecorelle come le ha amate Gesù, e le protegge e le difende anche a rischio della propria vita, come ha fatto Gesù; e perché esse riconoscono la sua voce, che non è la voce di quel singolo uomo che indossa l’abito sacerdotale, ma la voce stessa di Cristo, che parla per bocca di quell’uomo.
Ma che cosa succede se le pecorelle non riconoscono la voce del pastore? Evidentemente, quel pastore non ha saputo parlare con la voce di Cristo; non ha trasmesso fedelmente il Vangelo. Se così non fosse stato, esse avrebbero riconosciuto la sua voce: si sarebbero sentite chiamare per nome, e sarebbero accorse a lui, fiduciose, miti e piene di riconoscenza; ma così non è stato. Ebbene, questo è ciò che sta accadendo nella Chiesa dei nostri giorni: e a non riconoscere la voce di Cristo sono non poche pecorelle del gregge, proprio nel momento in cui odono la voce del pastore supremo sulla terra, cioè del papa. Non riconoscono, nella sua voce, la voce di Cristo; e non riconoscono, nelle regioni ove egli vorrebbe condurle, i pascoli ubertosi promessi da Cristo: perciò non si avvicinano a lui, non lo seguono, ma si disperdono in varie direzioni, piene di rammarico e di tristezza, sconfortate, deluse, senza saper cosa fare e dove andare.
Sono cose gravissime, quelle che stiamo dicendo; avremmo voluto che non dovesse mai arrivare un momento simile; e ci siamo chiesti se, per caso, il difetto non stia in noi, non stia nelle pecorelle che non riconoscono la voce di quel pastore. Eppure, un tempo, tutte le pecorelle riconoscevano la voce del pastore; e chi non la riconosceva, era perché aveva deciso di uscire dal gregge, e rifiutava di prestare obbedienza alla fedele trasmissione del Vangelo. Ora, però, le cose stanno in tutt’altro modo. A non riconoscere la voce del pastore non sono dei peccatori (non più di quanto sia peccatore qualsiasi altro uomo), né gli apostati o gli eretici; non sono le pecorelle che hanno smesso di credere nel Vangelo, ma appunto quelle che si tengono strette al Vangelo, così come la Chiesa lo ha fedelmente trasmesso e insegnato, per secoli e secoli. È questo lo scandalo, è questa la cosa senza precedenti, la ferita gravissima che è stata inferta nel corpo della Chiesa: quella di un pastore supremo che allontana le pecorelle più fedeli, che parla con disprezzo di esse, che le sfida, che le rimprovera aspramente, che le provoca, che le apostrofa con parole gravi, cariche d’insofferenza e d’ironia.
Gesù non ha mai parlato a nessuno in quel modo. Quando parlava con severità, o con asprezza, lo faceva rivolgendosi ai suoi nemici, cioè a coloro nei quali leggeva benissimo, come su un libro aperto, la loro ostilità preconcetta, il loro rifiuto totale, la loro pretesa di essere “giusti” anche senza la grazia di Dio, e la loro assoluta mancanza di umiltà. Gesù, da parte sua, era umile: parlava con autorità, qualche volta si adirava (come con i profanatori del tempio), ma non si è mai mostrato superbo verso chicchessia, neppure una volta: ciò non faceva parte della sua pedagogia, perché non apparteneva alla sua natura. Del resto, sapeva di essere umile e raccomandava, a sua volta, l’umiltà a quanti volevano seguirlo: Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore. Questo, Gesù, che era il Buon Pastore in persona, e che, per far entrare in testa ai suoi discepoli il concetto dell’umiltà e dello spirito di servizio, volle lavar loro i piedi, uno dopo l’altro, proprio in occasione dell’Ultima Cena che condivise con loro, poche ore prima della Passione.
Papa Francesco non sta prendendo esempio da Gesù, il Buon Pastore. Anche se, nella ricorrenza della Pasqua, lava i piedi al prossimo (peraltro, con molta ostentazione e con criteri di scelta assai discutibili), non si mostra affatto umile davanti alle critiche, alle perplessità, al disagio, al turbamento, alla confusione che il suo modo di pascolare il gregge sta provocando in una parte delle pecorelle a lui affidate. Ignora le critiche, disprezza le obiezioni, deride le perplessità: non attira a sé le pecorelle, ma le respinge, se esse non riconoscono la sua voce. Non si domanda perché esse non riconoscano la sua voce, né perché esse non riconoscano i pascoli ubertosi ove credevano di essere condotte, ma si guardino intorno stranite e angosciate, vedendo ovunque solo rocce, selve e distese paludose. Se fosse umile, se lo chiederebbe; e non avrebbe fretta di controbattere, di attaccare gli “avversari”, di rovesciare le critiche di coloro che lo criticano; ma cercherebbe piuttosto di capire se egli, magari senza volerlo, non è stato capace di rassicurare il gregge, non ha saputo far riconoscere a tute le pecore la sua voce.
Non ha mancato solo di umiltà, ma anche di carità, perché è partito dal presupposto che gli altri siano in mala fede, e lui no; è partito dalla convinzione di essere nel giusto, ed essi nel torto; e non ha prestato alcuna attenzione al fatto che le pecore che più si sentono a disagio e che si stanno allontanando, non sono affatto le più irrequiete, non sono le più inclini allo spirito di sedizione, ma, al contrario, quelle che, da sempre, hanno mostrato più amore e attaccamento filiale alla figura del pastore, fino a che esso ha trasmesso fedelmente il messaggio del Vangelo. Se papa Francesco fosse in buona fede, si chiederebbe: perché queste pecorelle non insorsero contro Pio XII, o contro Pio XI, o contro Pio X? O meglio, vedrebbe che ad insorgere contro Pio X furono proprio i lupi travestiti da pastori; furono proprio quei preti modernisti e quei cattolici progressisti che, affettando devozione e zelo di pietà cristiana, cercarono d’introdurre nell’ovile di Cristo il veleno dell’eresia, della più pericolosa di tutte le eresie, quella che compendia ogni altra: il modernismo. E Pio X è stato proclamato santo dalla Chiesa. Forse papa Francesco non riconosce quella santità? Forse non approva che Pio X abbia scomunicato i modernisti, e che li abbia definiti eretici? Forse vuole sovvertire quella solenne scomunica, quel giudizio inappellabile?
Papa Francesco, notoriamente, possiede una cultura teologica molto povera, e lo fa vedere ogni volta che parla, improvvisando, sui temi più disparati. Parla troppo: specialmente sugli aerei, durante i suoi viaggi pastorali, senza prudenza, senza riflessione, senza approfondimento: butta lì delle affermazioni sconcertanti, e infligge dei danni gravissimi alla sua Chiesa, perché non vede, o piuttosto non vuol vedere, che quelle espressioni frettolose e imprudenti, quelle frasi approssimative e semplicistiche, vengono subito riprese dai peggiori nemici della Chiesa, da coloro che la vorrebbero scardinare dall’interno, per agitarle sotto il naso dei credenti, al preciso scopo di stravolgere il Vangelo, di trasformarlo in un credo laico e laicista, dove non c’è posto per la trascendenza, dove non c’è timor di Dio, dove non esistono quasi più il senso del peccato e l’assoluta necessità della Grazia e della Redenzione di Cristo. Così è stato fin dall’inizio del suo pontificato, con quella sciagurata e imprudentissima intervista al gran papa del pensiero massonico-radicale, Eugenio Scalfari, che egli si è guardato bene dal rettificare, dal correggere, dando così ragione di credere che sottoscrivesse la lettera e il senso di quanto veniva a lui attribuito, anche in aperto contrasto con il Magistero della Chiesa, così come, fino ad oggi, è sempre stato insegnato, da tutti i papi e da tutti i concili, fino alla vigilia del Vaticano II.
Sorge perciò la domanda: papa Francesco si propone di modificare il Magistero, estendere ulteriormente la linea neomodernista emersa durante il Concilio Vaticano II, e creare, di fatto, una neochiesa modernista, con dichiarate simpatie protestanti (come altrimenti definire l’inverosimile, pazzesca ”riabilitazione” di Lutero, colui che non voleva riformare la Chiesa, come dicono, mentendo, gli storici, ma distruggerla dalle fondamenta; e un saggio se ne ebbe con il Sacco di Roma del 1527, appena dieci anni dopo l’affissione delle 95 tesi di Wittenberg); vuole insomma provocare uno scisma, sulla base di una apostasia dalla fede cattolica? Invece di custodire il gregge, vuole disperderlo e metter le pecore le une contro le altre? Se è questo che intende fare, bisogna dire che lo sta facendo benissimo. Se non è questo, come è possibile che non veda la portata dei suoi comportamenti, delle sue affermazioni, e non impari un po’ di prudenza e di carità cristiane? Si circonda di fedelissimi, disdegna quel che hanno da dire gli altri, e va avanti dritto per la sua strada, incurante delle conseguenze; pare che pensi: Tanto peggio, tanto meglio; così mi libererò di chi non condivide la mia linea; ma è questo il modo d’agire di un vero pastore?
Oggi i lupi tentano le mie pecorelle con le novità di mille errori: così diceva Giacinto M. Giuriato; e lo diceva nel 1955: sessanta anni fa. Non è forse quello che sta accadendo? E tuttavia, non solo il pastore non difende le pecorelle dalle novità di mille errori, ma si fa egli stesso motivo di scandalo per i fedeli: altro che stare in guardia per conoscere molto bene le armi da usare per scovare le tane dei lupi e scacciarli fuori senza misericordia. Ad essere scacciati non sono i lupi, ma le pecorelle più fedeli: quelle che più vorrebbero udir la voce del pastore e riconoscervi la voce di Gesù Cristo...
Se il pastore non pasce le pecorelle, ma le maltratta e le allontana
di Francesco Lamendola
L'arcivescovo della diocesi di Cagliari Miglio ci da un esempio di pastore che ha smarrito palesemente la strada: Le religioni sono fonti di speranza per chi ha sete di pace
RispondiEliminaLe comunità religiose di Cagliari condividono presso il Lazzaretto un incontro di preghiera comune
25 ottobre 2016 Martedì 1° novembre 2016 alle 16 presso il Lazzaretto di Sant’Elia (Cagliari – Via dei Navigatori), su invito dei vescovi italiani e in continuità con l’incontro di Assisi dello scorso settembre al quale ha preso parte papa Francesco, si terrà un incontro di preghiera interreligioso dal tema «Sete di pace. Le Religioni sono fonti di speranza per chi ha sete di pace».
Pregheranno insieme: Buddhisti (Soka Gakai), Chiesa Avventista del 7° giorno, Chiesa Cattolica (Diocesi di Cagliari), Chiesa Copta (Associazione Immigrati Corno d’Africa), Chiesa Evangelica Battista, Chiesa Greco Ortodossa, Comunità Musulmana di Cagliari, Ebrei, Sich, Vaisnava (Hare Krishna).Signore presto soccorrici non tardare!
"L'arcivescovo della diocesi di Cagliari Miglio ci da un esempio di pastore che ha smarrito palesemente la strada:" : altro che se l'ha smarrita, sta buttando a mare 2000 ani di civiltà cristiana e cattolica ! il Regno sociale di Cristo per lui non esiste più, le parole di Nostro Signore "Io vi do la pace, non come ve la dà il mondo, Io ve la dò". se le ricorda queste parole il caro signor Miglio ? Quando le ricnoscerà, senza se e senza ma, forse potrò ancora considerarlo vescovo, sacerdote, cristiano, fino ad allora per me è soltanto il signor Miglio, al quale dico il mio più risoluto e deciso NO ! caro Miglio NO! lei sta sbagliando di grosso.
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