Tra le reazioni seguite alla lettera dei quattro cardinali con iDubia sull'interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia, alcune, le più articolate, risolvono le questioni centrandosi sul rapporto tra situazione oggettiva di peccato e imputabilità soggettiva del peccatore. Questa sarebbe la porta entro cui far passare una pastorale del “caso per caso”.
«Il gioco delle opposizioni tra “soggettivo” e “oggettivo”assomiglia ad una specie di quadratura del cerchio», dice allaNuova BQ lo studioso tedesco Armin Schwibach, oggi incaricato all'Ateneo pontificio Regina Apostolorum, professore di filosofia con studi in teologia alla Gregoriana e alla Lateranense.
Lo abbiamo contattato per una riflessione sulle interessanti considerazioni che il professor Rocco Buttiglione ha pubblicato sul portale web Vatican Insider in risposta ai dubia dei quattro cardinali.
Nella soluzione data da Buttiglione al primo dubium, egli risponde che sì, un confessore può dare l'assoluzione nel caso di una coppia di divorziati risposati conviventi more uxorio, mentre, nello stesso tempo, il professore ribadisce che gli atti sessuali fuori dal matrimonio sono illegittimi.
Professor Schwibach, pare che Buttiglione da una parte sostenga che un confessore può dare l'assoluzione nel caso indicato, ma poi il penitente deve impegnarsi “ad uscire dalla situazione di peccato”. A questo punto il “sì” al primo dubia sembra risolversi in una sorta di conferma indiretta di quanto già espresso da Familiaris consortio al n°84. Cosa ne pensa?
Penso innanzitutto che il Prof. Buttiglione tenti una specie di quadratura del cerchio, impresa impossibile, ma schema “allettante” nel costante gioco delle opposizioni tra “soggettivo” e “oggettivo”, che è presente in tutte le sue risposte ai “dubia”. Spesso tale opposizione si usa per nascondere la fondamentale contraddittorietà dei principi applicati. Il metodo è quello di una forzata ermeneutica di “riforma in continuità”, dove la “riforma” consiste nell’accettazione di situazioni soggettive determinate da circostanze (anche estreme) e dove la “continuità” vorrebbe essere garantita dall’affermazione assoluta di un principio, visto però nella sua idealità.
Quindi l’affermazione di Familiaris consortio 84 si presenta come affermazione di un ideale, mentre prima di giungervi è possibile anche altro (lecito benché illegittimo). Questo rappresenta il nucleo dell’ambiguità del testo in oggetto, che è poi la motivazione che ha spinto i signori cardinali a formulare le loro domande.
In un'altra risposta il professor Buttiglione richiama il canone 915 del codice di diritto canonico. E afferma che tale «canone non esprime un precetto né di diritto naturale, né di diritto divino». Ma leggendo la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 2000 si evidenzia, invece, che questo canone offre una proibizione [all'accesso all'eucaristia per i divorziati risposati] che «per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l'ambito delle leggi ecclesiastiche positive». Come mai questa differenza?
E' una differenza essenziale. Ciò che afferma la “Dichiarazione” coincide con la dottrina della Chiesa e chiarisce inoltre che le leggi positive ecclesiastiche non permettono modifiche che si oppongano alla dottrina della Chiesa. La “Dichiarazione” spiega che è il peccato grave, che impedisce l’ammissione alla Santa Comunione, a prescindere da quello che potrebbe verificarsi nel soggetto. Questo peccato grave è da comprendere nella sua oggettività, perché nessuno è in grado di conoscere lo stato soggettivo della persona.
A ciò si aggiunge un altro aspetto che la “Dichiarazione” evidenzia: «Nel caso concreto dell’ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio. Tale scandalo sussiste anche se, purtroppo, siffatto comportamento non destasse più meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende più necessaria nei Pastori un’azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli». San Giovanni Paolo II, tra l'altro, conferma questa dottrina nella sua enciclica “Ecclesia de Eucaristia”.
Ecco dunque la mia breve risposta: dire che il canone 915 “non esprime un precetto né di diritto naturale, né di diritto divino” è un errore (anche grave), in piena contraddizione con la dottrina.
Il prof. Buttiglione torna ancora nella distinzione tra una situazione oggettiva ed una soggettiva del peccatore, arrivando poi a teorizzare una differenza tra peccato grave e peccato mortale. Ma Giovanni Paolo II, mi pare, avesse in qualche modo stigmatizzato tale distinzione nell'esortazione Reconciliatio e Paenitentia (1984). Inoltre, la domanda posta nel dubia numero 3 si riferisce chiaramente alla situazione “oggettiva” (pubblica) della condizione di peccato abituale che due conviventi more uxorio si trovano a vivere. Forse il professore è andato “fuori tema”?
Faccio una premessa: San Giovanni Paolo II chiarisce: “Senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l'aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore. Ma dalla considerazione della sfera psicologica non si può passare alla costituzione di una categoria teologica, qual è appunto l'«opzione fondamentale», intendendola in modo tale che, sul piano oggettivo, cambi o metta in dubbio la concezione tradizionale di peccato mortale” (Reconciliatio et Paenitentia 17).
Il professore opera ancora il già menzionato “gioco” tra i livelli del “soggettivo” e dell’ “oggettivo”. Si nota una fondamentale diffidenza e limitazione della capacità cognitiva e della libertà di volontà dei singoli. Questo può senz’altro valere nella sfera di singole decisioni morali errate, ma secondo la dottrina della Chiesa sicuramente non per decisioni che riguardano la vita (dell’uomo con sé stesso e con Dio). Secondo la dottrina del Concilio di Trento, Dio all’uomo non chiede l’impossibile né lo pone davanti a puri “ideali”.
Nella risposta al dubia numero 5 Buttiglione sembra fare un esempio, quello di Zaccheo, che si riferisce ad una norma positiva (“restituire il maltolto”) e non sembra affrontare il cuore del dubium, proponendo per l'ennesima volta la distinzione tra situazione soggettiva e oggettiva. Ma di fronte alle norme morali assolute, come “non commettere adulterio”, è possibile che la coscienza in qualche modo si metta in tensione con il Comandamento divino fino a valutare come “bene possibile” la sua azione?
No. L’affermazione di una tale possibilità è il vizio di tutte le etiche che vorrebbero far derivare i loro principi da contesti e situazioni. La dottrina della Chiesa rifiuta la negazione dell’esistenza di una legge morale oggettiva e assoluta, la cui assolutezza deriva dagli oggetti ai quali si riferisce. Un’azione negativa in sé non potrà mai essere giustificata per eventuali conseguenze “buone” che ne deriverebbero. La coscienza morale è in grado di conoscere e di discernere ciò che è oggettivamente buono o cattivo. Ciò che è buono o cattivo in un’azione non dipende dalle intenzioni buone o cattive. Non è la coscienza morale che decide sulla bontà di qualcosa, ma riconosce il bene ( o il male) e agisce di conseguenza. La coscienza morale agisce secondo la verità e dipende dalla verità. Non crea nuove verità.
E la verità è una qualità assoluta, che non permette il suo dissolvimento in diverse verità solo quantitativamente descrivibili. La coscienza morale segna la presenza di un punto di vista assoluto nei limiti di un essere umano finito. Questo assoluto e questa oggettività sono già presenti nell’uomo. Il bene si mostra e in quanto tale determina l’azione, non accade il contrario. Quindi da una parte la coscienza morale conduce l’uomo al di là di se stesso, quindi essa è luogo di autotrascendenza e relativizza la propria limitatezza e immanenza, dall’altra riporta l’uomo in se stesso e lo pone davanti alle sue responsabilità, che non sono né derogabili né delegabili. Veramente buono è solo ciò che e buono soggettivamente e oggettivamente. Una presunta bontà soggettiva (che però è negativa e cattiva) non potrà mai produrre alcun bene oggettivo. Se si spacca tale unione tra soggettivo e oggettivo si spacca l’unità della persona umana
Sì, ma anche no: la tesi Buttiglione non regge
I “dubia” inviati al Papa da quattro cardinali, per «fare chiarezza» sulle «interpretazioni contrastanti del capitolo ottavo di "Amoris laetitia"», non hanno mancato di sollevare risposte o reazioni. Molte di queste sono state abbastanza stizzite, come ad esempio quella offerta da tale professor Andrea Grillo (insegna al Sant'Anselmo di Roma), che su un blog periferico della Rai Tv riduce i quattro cardinali a quattro vecchi capaci solo di argomentazioni «talmente vecchie che non costituiscono un problema», anzi sono arroganti che fingono di non aver capito. Un altro professore, Alberto Melloni, dalle colonne di Repubblica conclude degnamente il Giubileo della Misericordia parlando anche dei “dubia” dei quattro cardinali, dicendo che «chi porta attacchi come questo non è un "scontento" o un "oppositore" ma qualcuno che punta a "dividere" la chiesa. Il che nel diritto canonico è un crimine, punibile».
L'INTERPRETAZIONE DI ROCCO BUTTIGLIONE
In questo balletto delle reazioni sembra brillare per approfondimento e compostezza quella offerta dal professor Rocco Buttiglione, già consigliere di san Giovanni Paolo II, sul portale de La Stampa Vatican Insider.
Tuttavia ad una lettura attenta non manca di sollevare qualche problema. Perchè da tutto il contesto pare che l'argomentare patisca di un piccolo difetto previo. E cioè che i quattro Cardinali non siano stati bravi, e non siano andati al Catechismo. Ignorano la distinzione fra atto cattivo e imputabilità soggettiva, ed anche le condizioni necessarie per commettere un peccato mortale: materia grave, piena avvertenza, e deliberato consenso. Perché la argomentazione cardine che sostiene le risposte ai dubia del professore è quella della distinzione tra oggettività del peccato e imputabilità soggettiva, una distinzione che gli permette di rispondere sì al primodubium; quello che si propone di assolvere coloro che, pur legati da un precedente matrimonio, convivano more uxorio ed abbiano rapporti sessuali tra loro.
IL PRIMO DUBIUM: SI, MA ANCHE NO?
La questione posta dal primo dubium però sembra non vertere sulla distinzione fra peccato e colpa soggettiva, e sulle cause che diminuiscono o annullano la imputabilità soggettiva. La questione ridotta all’osso è la seguente: se il divorziato risposato ritiene che la legge evangelica dell’indissolubilità non fa al suo caso, e pertanto ritiene di essere legittimato a vivere more uxorio con il partner, il confessore agisce prudentemente se lo assolve e gli dichiara che può accostarsi all’Eucarestia, lasciandolo nella sua coscienza invincibilmente erronea?
Ora molti hanno interpretato Amoris laetitia nel senso della risposta affermativa alla domanda. Altri hanno dato risposta negativa. Secondo la dottrina sacramentale e la prassi pastorale fino ad ora insegnata e seguita si dovrebbe rispondere negativamente. D'altra parte lo stesso Buttiglione nel suo argomentare prima dice che il confessore può dare l'assoluzione, poi però indica che «bisogna impegnarsi ad uscire dalla condizione di peccato», quindi una volta incontrato il confessore al penitente rimangono sostanzialmente due vie praticabili al conviventemore uxorio: o si incammina verso la separazione, oppure si impegna a vivere come fratello e sorella. Cioè quanto già indicava Familiaris consortio al n°84.
CIRCOSTANZE E ADULTERIO
Anche rispetto al secondo dubium il professor Buttiglione sembra passare accanto al problema. La questione è se AL intende che il ragionamento appropriato per le leggi morali positive e per le leggi umane, valga anche per le leggi morali negative, quale per es. “non commettere adulterio”. Si può o non pensare che anche in questo caso, possano darsi circostanze che rendono possibile una eccezione; che si possono avere legittimamente rapporti sessuali con una donna già sposata? E’ possibile dare una risposta alla domanda suddetta diversa da quella data da Veritatis splendor?
IL CANONE 915, IL MATRIMONIO E L'EUCARISTIA
Nella risposta al terzo dubium, ossia se una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale, Buttiglione propone la solita distinzione tra oggettività e imputabilità soggettiva. Per cui risponde di sì, ma con alcune indicazioni/distinguo. Il problema posto dal dubium, invece, è di sapere se stante la condizione pubblica, oggettiva [dunque la questione dell’imputabilità soggettiva non appare pertinente], è possibile l’accesso all’Eucarestia. Il canone citato (n. 915), contrariamente a quello che scrive Buttiglione, non è diritto positivo semplicemente. La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 2000 dice: «La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive». Non è solo questione di scandalo, come scrive Buttiglione. Si tratta della relazione intrinseca, non estrinseca posta dalla legge positiva, tra matrimonio ed Eucarestia, come insegna Benedetto XVI inSacramentum caritatis 28-29. E quindi, «tenuto conto della natura della succitata norma, nessuna autorità ecclesiastica può dispensare in alcun caso da quest'obbligo del ministro della sacra Comunione, né emanare direttive che la contraddicano» (Dichiarazione, n. 4). I quattro Cardinali chiedono se dopo AL tutto questo vale ancora. Rispondere ricorrendo alla distinzione peccato-colpa è rispondere ad una domanda che i quattro non fanno.
EUCARISTIA E CARITA'
Nella risposta al dubium numero 4, ossia quello che chiede se «le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta», Buttiglione considera anche la questione della Eucaristia che, in certe condizioni, può anche essere «una medicina che dà forza nel cammino». Ma, a questo proposito, si può sollevare la considerazione che l’Eucarestia non ha principalmente finalità medicinali, ma unitive. La res del sacramento eucaristico è la carità. I due sacramenti medicinali per il battezzato sono la confessione e l’estrema unzione.
LA COSCIENZA CREATRICE
Il quinto è il dubbio più importante. L’esempio di Zaccheo che propone Buttiglione è fuorviante, perché fa riferimento ad una legge morale positiva: “restituisci il mal tolto”. Proviamo, invece, a fare un esempio che faccia riferimento ad una legge morale negativa. Una giovane vedova versa in condizioni economiche disperate. Per integrare le entrate del suo lavoro diurno, ha deciso che alla sera concede a pagamento prestazioni sessuali. Sentendo annunciare da un sacerdote il Vangelo del matrimonio, entra in un conflitto drammatico di coscienza. Da una parte risuona nella sua coscienza il divino comandamento “non commettere adultero” e “non fornicare”. Dall’altra ci sono i gravi bisogni della sua famiglia. Infine, ella decide che la via più generosa per rispondere alla chiamata di Dio, è di ricevere clienti solo durante i week-end. Ecco un perfetto esempio di coscienza creativa.
La donna considera i comandamenti di Dio referenti importanti per la sua vita, ma ultimamente guarda a fattori più concreti ed esistenziali, «che potrebbero legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale» [Veritatis splendor 56]. Per quanti propongono l’idea di coscienza creativa, i comandamenti del Signore e il giudizio della coscienza possono essere in tensione o anche in opposizione, mentre la parola finale deve essere della coscienza, la quale decide ultimamente se l’azione è buona, anche se contraria al Comandamento divino. «Su questa base», dice Veritatis splendor, «si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette pastorali contrarie agli insegnamenti del magistero e di giustificare un’ermeneutica ‘creatrice’, secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto morale negativo» [n°56].
Poiché da alcuni, anche Vescovi, Amoris laetitia è stata interpretata secondo la dottrina della coscienza creativa, dottrina che il Magistero Pontificio ha condannato, data l’enorme importanza della questione, i quattro cardinali chiedono al S. Padre di chiarire.
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