Il Giubileo della misericordia. In cauda venenum
Misericordia et Misera chiude l’Anno della Misericordia con la sorpresina finale: Aborto? Sì, è peccato… però… insomma, non facciamone un dramma… E appare più chiaro perchè il bilancio in rosso del Giubileo non ha scosso Bergoglio. Aveva in serbo altri programmi…
di Elisabetta Frezza
.
Mio figlio più piccolo è venuto da me, ieri sera, dopo aver sentito non so quale spezzone di tiggì, a dirmi che Papa Francesco aveva bestemmiato Gesù.
Dal suo punto di vista, aveva rinunciato a proteggere i suoi colleghi bambini nel grembo della loro mamma. Di fatto – aggiungo io dal mio punto di vista – assolvendo ex ante le strutture di morte e i loro boia e becchini, ha rinunciato anche a proteggere le povere mamme, mollate senza più imbracature nel precipizio dell’omicidio/suicidio, seriale e sterilizzato, in balia del sinistro tamtam che le coarta a fare “scelte consapevoli” distruttive.
Ed è proprio così, la notizia vera è questa, appena nascosta dietro il velo non più pietoso delle parole vuote che servono solo a farla digerire agli esegeti acculturati, che si affretteranno a dire che la dottrina è salva perché l’aborto resta un “peccato grave”.
L’innocenza dei bambini, che scopre prima la verità, è sfregiata due volte in unica soluzione: da un lato l’istigazione alla strage degli innocenti, dall’altro lo scandalo “a questi piccoli che credono in me” additato da Cristo come irredimibile.
Ecco perché il bilancio in rosso del giubileo della Misericordia, risoltosi in un sostanziale fallimento, non preoccupava affatto il suo ideatore, che ostentava una beata superiorità di fronte all’arida logica dei numeri.
Aveva in serbo altri programmi e aveva in mente altri numeri.
Il giubileo della Misericordia – ora appare chiaro – era solo un ombrello grande e lungo un anno, pensato e costruito per tenerci sotto Misericordia et misera, una letterina quasi informale.
In cauda venenum.
A ben guardare gli indizi non mancavano, a partire da quell’intervista alle rivista dei Gesuiti, con annessa interpellanza ai confessori: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”.
Ma poi, indirettamente, mille e mille altri segni, anche sin troppo appariscenti, della propria professione di specchiata fede onusiana: allo sviluppo sostenibile, alla pianificazione famigliare, alla salute sessuale e riproduttiva, all’omosessualismo e al gender. In una parola sola, alla necrocultura.
Tuttavia, la magnitudine della manovra programmata era francamente imprevedibile.
La chiesa di Overton, dunque, si libera felicemente anche di questo estremo tabù e diventa complice confessa della macchina degli aborti al riparo delle leggi inique del mondo. Liquida la legge naturale e divina che impone di difendere sempre la vita innocente, ovvero abdica a se stessa e al proprio mandato, una volta di più, se c’era ancora bisogno di qualche conferma con buona pace di quanti stanno ancora lì ad arrovellarsi pensosi sulle note a piè di pagina dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia.
La stampa di regime applaude, canta vittoria e prepara l’apertura finale. Suggerisce addirittura le argomentazioni teologiche disquisendo, con Sant’ Agostino, San Tommaso e sant’Alfonso, di feti animati e inanimati (cioè, con e senza anima), coll’autorevole conforto dell’arcivescovo Rino Fisichella e della sua omologa di futura nomina Lucetta Scaraffia (vedi sulCorriere cliccando qui e qui).
Il vento che soffia inaspettato dall’America, e si incrocia sopra l’Europa in asfissia con quello proveniente dalla Russia, dà evidentemente parecchio fastidio ai tenutari del potere costituito, quel blocco poderoso e monolitico che è finalmente riuscito ad espugnare persino il Soglio di Pietro, come da qualche parte era scritto dovesse accadere.
E allora, la mano invisibile interviene dall’alto a pareggiare le sorti della guerra in corso.
C’è chi, oltreoceano, interprete verace semi-consapevole dell’insopprimibile verità delle cose, minaccia di revocare leggi e sentenze assassine, di seccare i fiumi di denaro versati dallo Stato per ammazzare i suoi figli (Trump ammorbidisce le proprie posizioni sull’immigrazione, ma non sull’aborto – vedi sul New York Times)? E dall’altra parte del mondo, qualche altro sovversivo venuto dal freddo si permette di condividere un atteggiamento tanto blasfemo verso la religione unica universale del nuovo ordine mondiale?
Siccome il tributo di sangue innocente non può diminuire, deve anzi aumentare in questi tempi ultimi, ecco pronto a scendere in campo l’alleato più potente, quello davvero universale e davvero trascendente. Che, nientemeno, incoraggia – pastoralmente – i sacrifici umani graditi al principe di questo mondo.
La chiesa dichiara guerra a Dio e alla Sua immagine, cioè a Gesù Concepito e all’Eucarestia.
E nella melassa velenosa propinata fino alla nausea sotto il nome profanato della Misericordia spicca una endiadi significativa.
Il paragrafo dodicesimo della lettera riunisce insieme due disposizioni riferite al sacramento della riconciliazione. La prima contiene un’estensione relativa all’oggetto e derubrica l’aborto, la seconda relativa al soggetto, e strizza un altro occhio ai lefebvriani per attrarli tra le spire di una istituzione apostata e traditrice.
Speriamo almeno che questa mossa li offenda.
Entrare a Roma ora sarebbe come entrare in un ventre lacerato, svuotato dell’immagine di Cristo e della sua stessa carne.
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Mio figlio più piccolo è venuto da me, ieri sera, dopo aver sentito non so quale spezzone di tiggì, a dirmi che Papa Francesco aveva bestemmiato Gesù.
Dal suo punto di vista, aveva rinunciato a proteggere i suoi colleghi bambini nel grembo della loro mamma. Di fatto – aggiungo io dal mio punto di vista – assolvendo ex ante le strutture di morte e i loro boia e becchini, ha rinunciato anche a proteggere le povere mamme, mollate senza più imbracature nel precipizio dell’omicidio/suicidio, seriale e sterilizzato, in balia del sinistro tamtam che le coarta a fare “scelte consapevoli” distruttive.
Ed è proprio così, la notizia vera è questa, appena nascosta dietro il velo non più pietoso delle parole vuote che servono solo a farla digerire agli esegeti acculturati, che si affretteranno a dire che la dottrina è salva perché l’aborto resta un “peccato grave”.
L’innocenza dei bambini, che scopre prima la verità, è sfregiata due volte in unica soluzione: da un lato l’istigazione alla strage degli innocenti, dall’altro lo scandalo “a questi piccoli che credono in me” additato da Cristo come irredimibile.
Ecco perché il bilancio in rosso del giubileo della Misericordia, risoltosi in un sostanziale fallimento, non preoccupava affatto il suo ideatore, che ostentava una beata superiorità di fronte all’arida logica dei numeri.
Aveva in serbo altri programmi e aveva in mente altri numeri.
Il giubileo della Misericordia – ora appare chiaro – era solo un ombrello grande e lungo un anno, pensato e costruito per tenerci sotto Misericordia et misera, una letterina quasi informale.
In cauda venenum.
A ben guardare gli indizi non mancavano, a partire da quell’intervista alle rivista dei Gesuiti, con annessa interpellanza ai confessori: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”.
Ma poi, indirettamente, mille e mille altri segni, anche sin troppo appariscenti, della propria professione di specchiata fede onusiana: allo sviluppo sostenibile, alla pianificazione famigliare, alla salute sessuale e riproduttiva, all’omosessualismo e al gender. In una parola sola, alla necrocultura.
Tuttavia, la magnitudine della manovra programmata era francamente imprevedibile.
La chiesa di Overton, dunque, si libera felicemente anche di questo estremo tabù e diventa complice confessa della macchina degli aborti al riparo delle leggi inique del mondo. Liquida la legge naturale e divina che impone di difendere sempre la vita innocente, ovvero abdica a se stessa e al proprio mandato, una volta di più, se c’era ancora bisogno di qualche conferma con buona pace di quanti stanno ancora lì ad arrovellarsi pensosi sulle note a piè di pagina dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia.
La stampa di regime applaude, canta vittoria e prepara l’apertura finale. Suggerisce addirittura le argomentazioni teologiche disquisendo, con Sant’ Agostino, San Tommaso e sant’Alfonso, di feti animati e inanimati (cioè, con e senza anima), coll’autorevole conforto dell’arcivescovo Rino Fisichella e della sua omologa di futura nomina Lucetta Scaraffia (vedi sulCorriere cliccando qui e qui).
Il vento che soffia inaspettato dall’America, e si incrocia sopra l’Europa in asfissia con quello proveniente dalla Russia, dà evidentemente parecchio fastidio ai tenutari del potere costituito, quel blocco poderoso e monolitico che è finalmente riuscito ad espugnare persino il Soglio di Pietro, come da qualche parte era scritto dovesse accadere.
E allora, la mano invisibile interviene dall’alto a pareggiare le sorti della guerra in corso.
C’è chi, oltreoceano, interprete verace semi-consapevole dell’insopprimibile verità delle cose, minaccia di revocare leggi e sentenze assassine, di seccare i fiumi di denaro versati dallo Stato per ammazzare i suoi figli (Trump ammorbidisce le proprie posizioni sull’immigrazione, ma non sull’aborto – vedi sul New York Times)? E dall’altra parte del mondo, qualche altro sovversivo venuto dal freddo si permette di condividere un atteggiamento tanto blasfemo verso la religione unica universale del nuovo ordine mondiale?
Siccome il tributo di sangue innocente non può diminuire, deve anzi aumentare in questi tempi ultimi, ecco pronto a scendere in campo l’alleato più potente, quello davvero universale e davvero trascendente. Che, nientemeno, incoraggia – pastoralmente – i sacrifici umani graditi al principe di questo mondo.
La chiesa dichiara guerra a Dio e alla Sua immagine, cioè a Gesù Concepito e all’Eucarestia.
E nella melassa velenosa propinata fino alla nausea sotto il nome profanato della Misericordia spicca una endiadi significativa.
Il paragrafo dodicesimo della lettera riunisce insieme due disposizioni riferite al sacramento della riconciliazione. La prima contiene un’estensione relativa all’oggetto e derubrica l’aborto, la seconda relativa al soggetto, e strizza un altro occhio ai lefebvriani per attrarli tra le spire di una istituzione apostata e traditrice.
Speriamo almeno che questa mossa li offenda.
Entrare a Roma ora sarebbe come entrare in un ventre lacerato, svuotato dell’immagine di Cristo e della sua stessa carne.
– di Elisabetta Frezza
22/11/2016
http://www.riscossacristiana.it/il-giubileo-della-misericordia-in-cauda-venenum-di-elisabetta-frezza/
La stampa "libera" e sciacalla che usa Sacramenti e corpo delle donne per sdoganare l'aborto
Tutto secondo copione. La decisione canonica di Papa Francesco di concedere ai sacerdoti la facoltà di assolvere il peccato di aborto diventa un pretesto per spacciare un'inestistente rivoluzione della Chiesa. La stampa italiana è allineata su un unico obiettivo: far passare l'idea che ora l'aborto non sia più peccato. E pazienza se non è così, quel che conta è dare la caccia agli obiettori di coscienza negli ospedali. E la Cirinnà non lo nasconde neppure.
La stampa "libera" e sciacalla che usa Sacramenti e corpo delle donne per sdoganare l'aborto
Il più malizioso e smaccato è senza dubbio il Manifesto che, titolando “Il Buon Pastore” con la gigantografia di Papa Bergoglio, aggiunge un catenaccio falso: “L’ostilità della curia conservatrice non ferma il papa, che abolisce di fatto la scomunica per le donne che abortiscono e consente ai sacerdoti di assolvere anche i medici”. Piccolo dettaglio, che i cronisti dell’organo comunista non hanno voluto cogliere per pura ideologia: la scomunica rimane. Ma bisognerebbe spiegare ai giornalisti improvvisati esperti di morale e di diritto canonico che la scomunica è una “pena finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza”. Quindi non è un’ingiusta punizione, ma la più grande delle carità e delle misericordie visto che ha come obiettivo il pentimento in vista della vita eterna. O almeno così dice l’Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II Papa, che non si pretende che i giornalisti del foglio comunista abbiano letto.
Stando così le cose, il sospetto è che la decisione canonica di Papa Francesco di concedere la facoltà di assolvere i peccati di aborto anche ai sacerdoti, eliminando il vincolo della remissione della scomunica da parte del vescovo, pubblicata con l’esortazione Misericordia et misera, sia già stata presa e utilizzata per altri scopi. Come ad esempio far passare il messaggio che in fondo l’aborto sia un peccatuccio come un altro, quindi che senso ha la battaglia che la Chiesa faceva e continua a fare contro il più orrendo dei crimini?
Il sospetto si fa concreto nel passare in rassegna le prime pagine dei giornali di ieri dove la novità canonica introdotta da Bergoglio, secondo l’evangelico principio che ciò che sarà legato e sciolto sulla terra sarà sciolto e legato nei cieli, non è stata presa per quello che realmente è, cioè un’estensione della facilità di accesso ad un sacramento per non lasciare nulla di intentato nel rapporto tra Dio e il cuore pentito dell’uomo, ma uno sdoganamento tout court dello stesso peccato.
Basta leggere solo alcuni titoli: Corriere della Sera: “Aborto, il perdono del Papa”, titolo eccessivamente superficiale dato che il perdono spetta a Dio e non certo al Papa, ma lo scopo è quello di mettere questa decisione in contrasto con le guerre culturali “dei valori non negoziabili”. E’ forse stato derubricato l’aborto da peccato grave a bagatella? No. Però per Massimo Franco il gesto è comunque “simbolico”. Di che cosa? Della vittoria del Bene sul Male, quest’ultimo impersonificato da una curia arcigna e ottusa. Una forzatura disarmante.
Decisamente più malizioso il titolo di Repubblica: Il Papa e l’aborto: “sì al perdono per donne e medici”. Forse che prima la Chiesa non perdonava a donne e medici pentiti? Assolutamente no, però l’occasione è propizia per dipingere un passato tutto odio e chiusura a fronte di un oggi così rivoluzionario. E il fatto che a tutt’oggi l’aborto resti un peccato grave che separa dalla comunione con la Chiesa? Derubricato a puro passaggio di inchiostro tra le colonne estatiche: “Alla comunione adesso potranno accedere sia le madri che i medici che hanno causato un aborto. Finora per loro scattava la scomunica in automatico che poteva essere sciolta solo da un vescovo”, dice Marco Ansaldo su Rep. Ma anche prima potevano farla, sempre alle solite condizioni, che restano. Detta e scritta così sembra che la scomunica non scatti più, in effetti Repubblica fatica a parlare di questa parola tabù così vecchia, dal sapore così ottuso.
E se qualcuno – come l’arcivescovo Gianfranco Girotti intervistato di taglio basso – si limita a dire che “avere a disposizione qualsiasi sacerdote per essere assolti potrebbe minimizzare il senso del peccato”, ecco che si replica prontamente con l’articolo successivo dove si getta la croce addosso ai teologi morali che hanno costruito carriere importanti sulla difesa di una interpretazione ristretta dell’enciclica Humanae Vitae a rimarcare che adesso non si faranno prigionieri. Pazienza se l’Humane Vitae non ha mai avuto interpretazioni ristrette, tanto era chiara, ma soltanto interpretazioni contrarie, da parte di teologi e anche giornalisti che la loro bella carriera l’hanno fatta, eccome. Anche oggi.
E’ chiaro però che l’operazione che Repubblica vuole fare, sia di tutt’altro tenore, spiegato a pagina 4. “I medici obiettori restano in trincea: è solo un gesto di misericordia”. Ecco svelato l’arcano: la persecuzione dei medici obiettori di coscienza, ultimo avamposto legale e morale ad uno sdoganamento dell’aborto a semplice estrazione dentaria. Ecco che un provvedimento canonico che investe la coscienza di un peccatore diventa un’arma di battaglia in più per la strisciante guerra contro l’obiezione di coscienza. Se non è malafede questa come la chiamiamo? Chi usa il corpo di chi?
Certo, mai come il Sole 24 Ore che dovendo riassumere su due colonne il titolo di prima pagina se n’è uscito con un fuorviante: “Svolta di Papa Francesco: assoluzione per l’aborto”. Anche qui verrebbe da fare la solita domanda: ma prima non era così? Stessa domanda che si potrebbe porre al segretario della Cei mons. Nunzio Galantino che si augura come questo provvedimento faccia “comprendere che non deve esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione sennò si fatica a capire la bontà della concessione estesa a tutti i sacerdoti”. Come se il problema della consapevolezza di chiedere perdono non fosse dettato dalla facilità e dalla superficialità con le quali si ricorre all’aborto, ma fosse esclusivamente una impervia pratica burocratica.
Epica e apocalittica Lucetta Scaraffia sulle colonne del Corriere: “Così la donna cessa di essere la grande peccatrice”. Quando mai lo è stato? La Scaraffia conosce vescovi che abbiano esposto alla pubblica gogna donne che hanno praticato aborti? Ha visto liste di proscrizione? Non ha forse visto tanta comprensione e tanta misericordia anche fino a un anno fa? Cos’era la Chiesa, prima, un lager? Forse la Scaraffia non ha letto le pagine commoventi che pontefici come Giovanni Paolo II o Benedetto XVI hanno scritto in altre encicliche. Si sarà distratta un attimo.
Il tenore è sempre lo stesso, tanto che ci si chiede ormai a che cosa serva avere tanti giornali se poi danno tutti la stessa lettura delle notizie. Il Giorno: “Perdonate l’aborto”, che detta così sembra: “So’ ragazzi, non è niente di grave”; Il Giornale: “Anche chi abortisce merita la misericordia di Dio”; Dacia Maraini sul Mattino che si lancia su un’iperbolica “apertura importante nell’era Trump”; Il Tempo: “Abortite pure, il Papa vi perdona”; Il Gazzettino: La svolta del Papa: “assolto” l’aborto; Il Messaggero: Aborto, il Papa rompe il tabù. Si potrebbe continuare scandagliando tutti gli scaffali delle edicole.
In realtà tutti questi titoli sono viziati da un virus di fondo: instillare il dubbio che adesso l’aborto non sia più un peccato, o se lo è, in definitiva, non è poi così grave, perché il Papa l’ha depenalizzato. Esaustivo il Giornale che riesce a fermare per un attimo il cardinale Kasper, il quale svela come il Papa si sia impossessato della sua agenda tanto da spoilerare anche la prossima rivoluzione: “Il celibato dei preti e le donne sacerdote”. Ma il Papa ha detto di no. “No? Diciamo che la sta ancora approfondendo”.
In definitiva il tutto serve per far tuonare i soliti tromboni: Monica Cirinnà è sicura: “Finalmente, ora non ci sono più scuse. Basta medici obiettori, deve essere garantito sempre e ovunque il diritto delle donne”. Che se non è sciacallaggio, cecchinaggio e killeraggio questo, come lo chiamate, libera stampa: è forse questa la vostra misericordia?
23-11-2016
Quell'equivoco su scomunica e perdono
È un’esperienza straniante leggere Misericordia et Misera e poi leggere gli articoli o ascoltare i servizi radio tv che ne parlano e la spiegano all’opinione pubblica. Si fa davvero fatica a capire come si possa travisare così il contenuto della Lettera del Papa, al punto che il messaggio che arriva alla gente è così radicalmente diverso dal testo che chiunque può leggere (cosa però che faranno in pochissimi).
Bisogna però riconoscere che ormai giornali e opinione pubblica si aspettano sempre dal Papa la prossima spallata all’edificio dottrinale della Chiesa; è un pregiudizio che inficia all’origine qualsiasi cronaca o analisi. Chi in Vaticano si occupa di comunicazione sarebbe il caso che si facesse qualche domanda al proposito: se questo effetto non è voluto, come mai accade? Prendersela con l’ignoranza o la malafede dei giornalisti non è più una scusa, è evidente che c’è dell’altro. Non a caso ieri un giornale chiedeva al cardinale Walter Kasper, dopo aver sistemato l’aborto quale sarebbe stata la prossima spallata del Papa e lui ovviamente ha risposto con l’agenda dei prossimi mesi.
Bisogna però riconoscere che ormai giornali e opinione pubblica si aspettano sempre dal Papa la prossima spallata all’edificio dottrinale della Chiesa; è un pregiudizio che inficia all’origine qualsiasi cronaca o analisi. Chi in Vaticano si occupa di comunicazione sarebbe il caso che si facesse qualche domanda al proposito: se questo effetto non è voluto, come mai accade? Prendersela con l’ignoranza o la malafede dei giornalisti non è più una scusa, è evidente che c’è dell’altro. Non a caso ieri un giornale chiedeva al cardinale Walter Kasper, dopo aver sistemato l’aborto quale sarebbe stata la prossima spallata del Papa e lui ovviamente ha risposto con l’agenda dei prossimi mesi.
Resta il fatto che sulla Misericordia et misera si è andati oltre ogni misura, e non solo sull’aborto. Bisogna ad esempio riconoscere a papa Francesco di avere spiegato che non è lui ad avere scoperto che Dio è misericordia. Ha infatti citato diversi passi della Liturgia che dimostrano come la Chiesa da sempre e continuamente riconosce e chiede la Misericordia di Dio. Ha anche ricordato come a questo argomento Giovanni Paolo II abbia dedicato la sua seconda enciclica (Dives in Misericordia, in verità piuttosto dimenticata in questo anno giubilare), e come lo stesso Giovanni Paolo II abbia istituito la Festa della Divina Misericordia e abbia canonizzato suor Faustina Kowalska.
Sicuramente papa Francesco ha fatto di questo il centro della sua missione pastorale,ma tanto fracasso come se tre anni fa fosse iniziata una nuova Chiesa dopo secoli di bastonate e porte chiuse è piuttosto ridicolo oltre che lontano dal vero. C’è chi gioca su questo equivoco perché ne approfitta per liquidare la Chiesa e chi cade nelle esagerazioni tipiche dei “leccacalze” (così il Papa nell’ultima intervista a Tv 2000 ha definito i suoi adulatori). E quest’ultima categoria, tutta interna alla Chiesa, è anche quella che sta contribuendo al travisamento della Lettera apostolica.
Prendiamo ad esempio il titolo di apertura di ieri di Avvenire: “Misericordia sempre”. Come a dire che fino a Francesco la misericordia era qualche volta. Oppure che misericordia vuol dire assolvere sempre e senza condizioni. Ma tutte e due sono menzogne e sicuramente non corrispondono a quanto leggiamo nella Lettera del Papa: la necessità del pentimento e il proposito di non commettere ancora l’«orrendo peccato» sono ben presenti. C’è poi una fantasiosa Lucetta Scaraffia, che è coordinatrice del mensile “Chiesa donne mondo” allegato all’Osservatore Romano, che in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma addirittura che con questa Lettera «la donna smette di essere considerata la “grande peccatrice” secondo una certa tradizione». Chissà se la Scaraffia, a proposito di donne e aborto ha mai letto la Evangelium Vitae (senza considerare che comunque se l’aborto resta «un grave peccato» qualcuno che pecca ci dovrà pur essere).
Sicuramente papa Francesco ha fatto di questo il centro della sua missione pastorale,ma tanto fracasso come se tre anni fa fosse iniziata una nuova Chiesa dopo secoli di bastonate e porte chiuse è piuttosto ridicolo oltre che lontano dal vero. C’è chi gioca su questo equivoco perché ne approfitta per liquidare la Chiesa e chi cade nelle esagerazioni tipiche dei “leccacalze” (così il Papa nell’ultima intervista a Tv 2000 ha definito i suoi adulatori). E quest’ultima categoria, tutta interna alla Chiesa, è anche quella che sta contribuendo al travisamento della Lettera apostolica.
Prendiamo ad esempio il titolo di apertura di ieri di Avvenire: “Misericordia sempre”. Come a dire che fino a Francesco la misericordia era qualche volta. Oppure che misericordia vuol dire assolvere sempre e senza condizioni. Ma tutte e due sono menzogne e sicuramente non corrispondono a quanto leggiamo nella Lettera del Papa: la necessità del pentimento e il proposito di non commettere ancora l’«orrendo peccato» sono ben presenti. C’è poi una fantasiosa Lucetta Scaraffia, che è coordinatrice del mensile “Chiesa donne mondo” allegato all’Osservatore Romano, che in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma addirittura che con questa Lettera «la donna smette di essere considerata la “grande peccatrice” secondo una certa tradizione». Chissà se la Scaraffia, a proposito di donne e aborto ha mai letto la Evangelium Vitae (senza considerare che comunque se l’aborto resta «un grave peccato» qualcuno che pecca ci dovrà pur essere).
C’è però in effetti una questione che rimane sullo sfondo ma che è il punto centrale, un equivoco che ritorna e che spinge a certe chiavi di lettura: il valore da dare ai limiti che la Chiesa ha sempre posto. In questi tempi di retorica sui muri da abbattere qualsiasi limite, qualsiasi confine – anche quello che separa il bene dal male, il pentimento dall’ostinazione e dalla superbia – è visto come un intollerabile ostacolo all’azione di Dio. È la stessa questione attorno a cui gira il discorso della comunione ai divorziati risposati.
Nel caso specifico dell’aborto, la scomunica (che peraltro resta) e il rinvio al vescovo o a un suo delegato, sono percepiti come un muro nei confronti di chi vuole riconciliarsi. È ad esempio la spiegazione che dà il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, nel suo commento di ieri su Il Sole 24 Ore. Spiegando che neanche chi si pente di un peccato grave come l’aborto può rimanere «senza l’abbraccio del suo perdono», così prosegue: «Se si comprende che non dev’esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione, allora non si fatica ad accogliere la bontà della concessione ora estesa nel tempo a tutti i sacerdoti, perché assolvano quanti hanno posto fine a una vita innocente».
Nel caso specifico dell’aborto, la scomunica (che peraltro resta) e il rinvio al vescovo o a un suo delegato, sono percepiti come un muro nei confronti di chi vuole riconciliarsi. È ad esempio la spiegazione che dà il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, nel suo commento di ieri su Il Sole 24 Ore. Spiegando che neanche chi si pente di un peccato grave come l’aborto può rimanere «senza l’abbraccio del suo perdono», così prosegue: «Se si comprende che non dev’esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione, allora non si fatica ad accogliere la bontà della concessione ora estesa nel tempo a tutti i sacerdoti, perché assolvano quanti hanno posto fine a una vita innocente».
Insomma, scomunica e rinvio a penitenzieri specifici, per monsignor Galantino sono ostacoli alla possibilità di riconciliazione. È un’affermazione grave, perché contraddice ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Leggiamo Evangelium Vitae no. 62:
«La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l'aborto la pena della scomunica. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce che «chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae», cioè automatica. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza».
La scomunica dunque non solo non è un ostacolo alla riconciliazione ma addirittura è la strada più diretta perché questa avvenga e sia piena. E stessa funzione aveva il rinvio al vescovo o a suoi delegati, non era un iter burocratico come qualche altro esegeta ha voluto dire ieri. Peraltro lo stesso Giovanni Paolo II aveva già provveduto a una maggiore disponibilità di sacerdoti per confessare questo peccato, ma mantenendo quella norma che non è affatto un muro, un ostacolo. Tutt’altro. Ciò che a monsignor Galantino evidentemente sfugge è che un peccatore cosciente del proprio peccato e seriamente pentito non desidera mettersi a posto la coscienza in qualche modo e più in fretta possibile, ma desidera anzitutto la grazia di una vera conversione che si traduce tra l’altro nella disponibilità a un cammino penitenziale adeguato.
Si può comprendere quindi il timore di chi ritiene – tra gli altri il presidente del Movimento per la Vita Gian Luigi Gigli – che questa decisione del Papa possa tramutarsi in una banalizzazione del peccato di aborto, soprattutto in un contesto sociale e politico che lo sta tramutando in un diritto umano. In discussione non è tanto l’intenzione del Papa quanto l’ignoranza, la superficialità, la negligenza di tanti preti – e come abbiamo visto, vescovi – che già oggi trattano in modo inadeguato chi si reca in confessionale. E certo, le reazioni di questi giorni non aiuteranno ad accogliere correttamente quanto il Papa indica nella Misericordia et Misera.
23-11-2016
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