UMILTA' VIENE DA DIO
di Francesco Lamendola
Gesù non amava mettersi in mostra. Spesso, dopo aver operato una guarigione miracolosa, ordinava severamente – gli evangelisti adoperano proprio questo avverbio, severamente – di non dir niente a nessuno. Non voleva che il popolo credesse in Lui solo perché conquistato dalla spettacolarità e dalla fama dei suoi miracoli; e, soprattutto, non voleva che il popolo credesse in Lui in quanto taumaturgo, invece che per ciò che insegnava e per la fede nella sua filiazione divina. Non voleva diventare una superstar, per adoperare il termine di un noto film hollywoodiano a Lui dedicato; né che la gente lo vedesse come un santone, un guaritore, un personaggio di grande attrazione, di gran richiamo, ma pur sempre umano. E non voleva che lo riconoscesse come il messia tanto atteso, ma in un senso tutto mondano, politico e nazionale: non voleva farsi strumentalizzare dall’esclusivismo giudaico, ma rivolgere una Parola di salvezza all’umanità intera. La sua modestia, la sua mitezza, la sua riservatezza, traspaiono da numerosi episodi, fin dalle nozze di Cana, quando esitò prima d’intervenire in aiuto dei due giovani sposi; anche se non si sottrasse mai alla verità, fino all’ultimo istante, e, davanti alla domanda maliziosa del sommo sacerdote Caifa: Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, rispose con franche parole, senza sottrarsi o tergiversare, pur sapendo di fornire, con ciò stesso, il preciso capo d’accusa che i suoi nemici avevano invano cercato fino a quel momento: Tu l’hai detto, gli rispose Gesù; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio di Dio seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del Cielo (Matteo, 26, 63-64), citando due celebri profezie messianiche della Scrittura (Salmo 109, 1, e Daniele, 7, 13).
Del resto, Gesù ha esortato a fare il bene con la massima discrezione e sobrietà, e ha raccomandato perfino che la mano destra non sappia quel che fa la sinistra: il suo invito ad agire con modestia non avrebbe potuto essere più esplicito. Cosa pensare, allora, della crescente spettacolarizzazione cui stiamo assistendo nella Chiesa, incentrata sulla figura del vicario di Cristo, il papa? Bisogna ammettere che anche questa è una delle novità portate dal corso post-conciliare: prima del Vaticano II, nessun papa aveva mai abusato della propria immagine pubblica, pretendendo per sé le luci della ribalta, quasi che il solo e vero capo della Chiesa non sia Gesù Cristo, e tutti gli altri dei “servi inutili”; e nessun cardinale, nessun arcivescovo o vescovo - e, a maggior ragione, nessun teologo, per quanto blasonato, per quanto in amicizia con le alte sfere vaticane – avevano mai osato atteggiarsi a protagonisti di una qualsiasi “svolta”, di un qualsiasi “aggiornamento”; nessuno di loro aveva mai avuto la tendenza a rilasciare interviste con tanta facilità, a posare per i fotografi, ad assumere il tono ispirato del profeta, specialmente davanti agli osservatori esterni. Invece, proprio dal Concilio Vaticano II, il partito dei “riformatori” sfruttò sino in fondo, e fin dal primo giorno, la risonanza mediatica dell’evento, che fu veramente enorme, e che vien da chiedersi, anche se con il senno del poi, quanto fosse sincera e disinteressata, volta, cioè, unicamente ad informare in maniera obiettiva l’opinione pubblica, e quanto fosse pilotata secondo una regia prestabilita, con lo scopo preciso di “caricare” quell’evento di aspettative smisurate, e di presentare al pubblico l’assemblea conciliare come una specie di arena in cui si affrontavano due fazioni, l’una buona e meritevole di stima e simpatia, quella dei riformisti, l’altra cattiva e antipatica, quella dei tradizionalisti.
In effetti, a partire da quel momento, si è assistito a un fenomeno inedito: la ricerca della visibilità e della popolarità da parte degli alti rappresentanti della Chiesa. Il vertice di questi fenomeno, probabilmente, è stato toccato durante il pontificato di papa Giovanni Paolo II, il quale non esitò a incentrare su di sé la massima attenzione mediatica e a sfruttarla per annunciare il Vangelo: il fine era lodevole, ma i modi erano discutibili, ambigui. La sovraesposizione della sua persona, dei suoi gesti (anche privati, come le nuotate in piscina; per quanto un papa abbia una vita privata), dei suoi innumerevoli viaggi apostolici, e una certa qual teatralità della sua pastorale, finivano inevitabilmente per spostare l’attenzione del pubblico dal messaggio al messaggero. Peggio di tutto, le Giornate Mondiali della Gioventù divennero quasi fin dall’inizio, da un lato occasioni di disordine e promiscuità, dall’altro forme discutibili di idolatria del pontefice: eventi chiassosi, caotici, meramente quantitativi, dove non si vede ombra di spiritualità, e ai quali molti giovani si recano con intenzioni tutt’altro che caste. Papa Wojtyla aveva, da giovane, una forte passione per il teatro, e questo, senza dubbio, ha favorito certi suoi atteggiamenti un po’ sopra le righe nei confronti degli aspetti mediatici del suo pontificato. Il saggista Marcello Veneziani lo aveva definito “un perdente di successo”, alludendo al fatto che egli sapeva, sì, riempire le piazze, ma quasi solo per la simpatia che egli personalmente suscitava, e senza che le sue omelie arrivassero a scalfire le coscienze e ad operare, o favorire, una revisione negli stili di vita dei molti cattolici, e anche dei non pochi extracattolici, che pure lo seguivano e lo ammiravano.
Qualcuno potrebbe osservare che, fino a Pio XII, la questione mediatica non si poneva, o si poneva in misura ben diversa dai decenni successivi, perché, allora, l’unico medium era la radio, oltre alla stampa; e in questa osservazione c’è del vero. Tuttavia, non si tratta di negare alla Chiesa il diritto di servirsi dei moderni mezzi di comunicazione di massa per far sentire la sua voce, in un mondo nel quale chi non li utilizza è fatalmente tagliato fuori e relegato nel silenzio. Don Giacomo Alberione (Fossano, Cuneo, 1884-Roma, 1971) aveva avuto una giusta e brillante intuizione: e, infatti, la stampa cattolica e l’editoria cattolica, sotto il suo impulso e la sua guida intelligente, conobbero una preziosa fioritura – una sua creatura furono le gloriose e benemerite Edizioni Paoline - i cui effetti positivi si son fatti sentire nella prima metà del XX secolo, e anche più in là. Ma anche qui, le cose sono cambiate a partire dal Concilio Vaticano II, allorché il problema dei rapporti con i mass media si è inserito nel quadro, più ampio, dei rapporti della Chiesa con il mondo moderno: e la linea prevalente che è emersa da quella stagione non ci sembra sia andata nella direzione giusta. Vi è stato, a nostro pare, un gravissimo scadimento nella qualità sia della stampa, che dell’editoria; quanto alla televisione, le frequenti apparizioni di religiosi e sacerdoti, e la possibilità di realizzare dei programmi propri, non solo domenicali, ma anche infrasettimanali, si è concretizzata attraverso presenze e interventi che, molto spesso, lasciano parecchio a desiderare quanto alla qualità della sostanza teologica, pastorale e catechistica; per non dire che essi hanno dato voce solo ad una delle anime della Chiesa, quella che si autodefinisce volentieri “progressista”, ad esclusione pressoché totale delle altre. A volte quei programmi sono monopolizzati da teologi che si definiscono cattolici e passano per sacerdoti, senza esserlo, come nel caso di Enzo Bianchi, e trasmettono al pubblico con molta sicurezza, quasi con sfida, delle idee e degli insegnamenti che, di genuinamente cattolico, hanno poco. E intanto le piazze non sono più così piene, mentre le chiese son quasi vuote.
Tutto questo non può non lasciare gravemente pensosi, in un momento storico caratterizzato da un diffuso turbamento delle coscienze e da un notevole grado di confusione dottrinale. Mai come oggi, forse, il cattolico medio è giunto a un livello così inquietante d’ignoranza circa le cose della propria fede, a cominciare dalla conoscenza delle Scritture, della filosofia cristiana e della storia della Chiesa; e mai come oggi, mentre i cattolici, come del resto tutti quanti, sono bombardati da una vera e propria offensiva culturale irreligiosa e anticristiana, vagamene camuffata da deismo gnostico, ci sarebbe bisogno che la Chiesa offrisse una guida sicura, assumesse delle posizioni chiare, spazzasse via il fumo di molte ambiguità, di molte incrostazioni d’origine estranea che, profittando di svariate circostanze, si sono depositate sulla vera dottrina cattolica. C’è un pensiero non cattolico – aveva osservato, infatti, Paolo VI, prima di morire – che avanza nel pensiero cattolico. Sta accadendo, invece, esattamente il contrario: dal Magistero arrivano segnali contrastanti, confusi, tali da aumentare il disorientamento: ne sono un esempio i due recenti documenti di papa Francesco, Amoris laetitia e Misericordia et misera, l’uno per ciò che riguarda la situazione dei divorziati risposati, l’altro per il peccato di aborto. La situazione è talmente caotica che quattro cardinali si sono rivolti ufficialmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, per avere chiarimenti.
Molti indizi fanno pensare che la situazione presente indichi l’imminenza di una gravissima prova cui verrà sottoposta la Chiesa. In uno dei messaggi ricevuti da Gesù, nel 1944, alla mistica Maria Valtorta furono rivolte queste parole: Verrà un uomo, farà gesta di beneficenza; mostrerà grande stabilità; farà del bene, e tanta gente lo amerà, e crederà nelle sue gesta. Ma ricordate che l’umiltà viene da Dio e chi viene da Dio non si mette in mostra. Vigilate!
E perché il papa Benedetto XVI, il 29 giugno 2010, nella solennità dei santi Pietro e Paolo, ha affermato nell’omelia della santa Messa che l’infedeltà dei suoi membri è una cosa peggiore delle persecuzioni che subisce la Chiesa? E perché, all’indomani della sua elezione, aveva detto, rivolgendosi ai fedeli: Cari amici, in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il su gregge – voi, la santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente, e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi? Sono parole un po’ anomale, specialmente se considerate alla luce di quel che è accaduto poi: la sua strana, improvvisa, misteriosa abdicazione, nel febbraio del 2013. In effetti, sembra che egli sia fuggito davanti ai lupi. Ma chi sono i lupi, ai quali faceva allusione? Non si direbbe che si tratti di personaggi, o di entità, esterne alla Chiesa; i lupi, nel linguaggio della teologia morale cattolica, generalmente indicano dei nemici di Cristo, sì, ma dei nemici che si annidano proprio all’interno della Chiesa. La Madonna apparsa a Melania Calvat e Massimo Giroud, a La Salette, nel 1846, aveva ammonito, in una delle sue profezie non riconosciute dalla Chiesa, e molto controversa per via di un preciso riferimento all’Anticristo: Tremate terra e voi che fate professione di adorare Gesù Cristo e che dentro di voi adorate solo voi stessi; tremate perché Dio sta per consegnarvi al Suo nemico, perché i luoghi santi sono nella corruzione, molti conventi non sono più le case di Dio, ma i pascoli di Asmodeo e dei suoi.
A questo proposito, come valutare lo sconcertante episodio di padre Enrico Miranti, un cappuccino di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, che, nel 2006, venne sorpreso nudo, in automobile, in una pineta che è riserva naturale, insieme a una donna, nuda anch’essa, e denunciato da una guardia forestale per atti osceni in luogo pubblico, ma strenuamente difeso dai suoi confratelli, che parlarono di una montatura ai danni del convento? Oppure che dire di don Andrea Conti, ormai ex parroco della chiesa di san Lazzaro, a Padova, indagato, nel dicembre 2016, per violenza privata e favoreggiamento della prostituzione, la cui canonica era stata trasformata in un locale a luci rosse, pieno di strumenti erotici, e che una delle sue sedicenti amanti accusa di averla spinta a prostituirsi, per soldi, con altri uomini? Guarda caso, è la stessa parrocchia padovana in cui aveva fatto parlare molto di sé il precedente sacerdote, don Paolo Spoladore, qualche anno fa molto popolare tra i fedeli, specie i giovani, e conosciuto come don Rock, oggi riciclatosi come guru spirituale, dopo che la Chiesa lo ha allontanato perché il tribunale aveva sentenziato che era proprio suo il figlio di una parrocchiana, che lo aveva tirato in causa. E che dire dell’ex abate di Montecassino, forse il santuario più importante della cristianità, dom Pietro Vittorelli, che teneva per sé le offerte destinate ai poveri, al quale la Guardia di Finanza ha già sequestrato mezzo milione di euro? L’elenco potrebbe andare avanti per parecchio, anche con episodi ancor peggiori, come quelli riguardanti il tristo fenomeno della pedofilia; ci fermiamo qui per carità verso la Chiesa e perché sono già in troppi a girare il ferro nella piaga, mossi da odio anticattolico.
D’altra parte san Tommaso d’Aquino, il più grande filosofo e teologo del Medioevo, ricordava che la verità, soprattutto quando incombe un pericolo, deve essere predicata pubblicamente, né deve farsi il contrario per il fatto che alcuni se ne scandalizzano; e ciò anche per il principio, e il dovere, della correzione fraterna, per cui un cristiano, se vede un altro cristiano agire o predicare male, lo deve riprendere, per non rendersi corresponsabile del suo peccato: proprio come fece san Paolo che, nel concilio di Gerusalemme, riprese pubblicamente san Pietro, perché questi aveva torto e, col suo atteggiamento ambiguo verso i convertiti di origine pagana, dava scandalo e seminava confusione all’interno della Chiesa. Quel che sta accadendo ai nostri giorni richiede una analoga fermezza nel denunciare gli abusi, gli scandali, le interpretazioni erronee della Scrittura e della Tradizione, che vescovi e cardinali temerari diffondono, incuranti dello scandalo. O si tratta di un piano preordinato dalla Massoneria ecclesiastica, ormai penetrata ai più alti livelli, per distruggere la Chiesa di Cristo?
«L’umiltà viene da Dio e chi viene da Dio non si mette in mostra»
di Francesco Lamendola
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