LA CASA DI EFESO
Quella casa fra gli alberi, sulla collina, donde s’intravede lo scintillio del mare. Anna Katharina Emmerick e le singolari circostanze del ritrovamento della casa di Efeso. Ben 3 pontefici vi si sono recati in pellegrinaggio
di Francesco Lamendola
C’è un’antica dimora in pietra, ad alcuni chilometri da Efeso, verso sud, non lontana dalle azzurre rive del Mediterraneo, immersa nel verde dei pini, delle acacie e degli olivi e nella pace del silenzio. Un incendio era divampato nei boschi circostanti, nel 2003, ma, inspiegabilmente, le fiamme si arrestarono a un metro dalla casa, lasciandola intatta. Si tratta di una dimora antichissima, che è stata datata al I secolo dell’era volgare. Secondo la tradizione, quella è stata l’ultima dimora terrena di Maria Vergine, la madre di Gesù Cristo (in turco: Meryem Ana Evi.), ai piedi del monte Solmisso, che è, in realtà, una collina alta appena 500 metri, dalla quale si vede, però, lo scintillio delle acque dell’Egeo. Il modo in cui quel venerabile edificio è stato ritrovato merita senz’altro un approfondimento ed una riflessione.
A mettere sulle sue tracce un archeologo francese è stata la lettura di uno strano libro, La dolorosa Passione di Nostro Signore Gesù Cristo: libro sorprendente e ben diverso dalla solita storia, più o meno romanzata, della passione di Gesù, che il titolo potrebbe lasciar immaginare. Anche se pubblicato a cura dello scrittore Clemens Maria Brentano, il capofila dei poeti romantici tedeschi, (Ehrenbreitstein, 9 settembre 1778-Aschaffenburg, 28 luglio 1842), l’autrice è una donna, Anna Katharina Emmerick (Coesfeld, 8 settembre 1774-Dülmen, 9 febbraio 1824). Non certo una donna qualsiasi, o una delle tante visionarie cresciute nel clima un po’ esaltato, e a volte torbido, del Romanticismo; bensì una mistica, una veggente, una stigmatizzata, che trascorse a letto, immobilizzata da una gravissima malattia, quasi tutta la sua vita, e che, ciò nonostante, godeva fama di santità e riceveva la visita quotidiana di numerose persone, attratte dalla sua bontà, dal suo dolce sorriso, dalla sua comprensione spirituale, dalla sua accoglienza, che neppure le disperate condizioni di salute riuscivano ad offuscare.
Di famiglia povera, con numerosi fratelli e sorelle, sin da bambina aveva avuto delle strane visioni della vita di Cristo, che lasciavano sbalorditi i suoi genitori; crescendo, aveva fatto la domestica e la sarta, prima di entrare in un convento di suore agostiniane, dal quale dovette uscire allorché, nel 1811, venne soppresso nel contesto del processo di secolarizzazione degli Stati europei fra XVIII e XIX secolo. Accolta come domestica nella casa di un sacerdote francese fuggito dalla Rivoluzione, l’Abbé Lambert, vide peggiorare continuamente le sue condizioni di salute e infine dovette allettarsi, per non più rialzarsi, fino alla morte, che accolse con molta serenità, così come aveva fatto con la sua malattia, per la quale si era sempre detta felice di poter unire le proprie sofferenze a quelle di Gesù Cristo, in riparazione dei peccati del mondo. Il fascino spirituale che da lei emanava era talmente forte che un medico ateo, Franz Wesener, che seguiva le condizioni dell’ammalata, finì per convertirsi al cattolicesimo e per diventare il suo principale confidente ed estimatore, almeno fino a quando la fama di lei portò nella casa di Dülmen, nel 1818, il poeta Clemens Brentano, il cui fratello ella aveva già conosciuto. Fu un colpo di fulmine spirituale a prima vista: Brentano, che era partito malvolentieri da Berlino, interrompendo la corte a una ragazza che lo apprezzava come amico, ma non voleva fidanzarsi con lui, si era ripromesso di effettuare solo un breve soggiorno in quella cittadina della Renania; invece vi sarebbe rimasto per ben sei anni, quasi ininterrottamente, fino alla morte di lei (alla quale assistette), e dalle cui labbra raccolse tutte le visioni soprannaturali, che lei gli dettava e che lui, più tardi, avrebbe riordinato e pubblicato, con fedeltà sostanziale ai racconti originali.
Stando nel suo letto di malattia, dunque, e senza mai aver visto la Palestina, anzi, senza mai essersi allontanata dal paese natio – tutta la sua vita si svolse entro un orizzonte geografico di pochi chilometri di diametro - Anna Katharina ebbe una lunga serie di visioni della vita di Gesù e di Maria, e particolarmente della Passione, caratterizzate da un altissimo grado di precisione e da un realismo che, sovente, si faceva assai crudo (il regista Mel Gibson si è ispirato anche alle visioni della Emmerick per il suo film La Passione di Cristo, del 2004); visioni che comprendono anche molti episodi della vita nascosta di Gesù, quella dell’infanzia, e altri particolari che non sono riferiti dai Vangeli canonici e neppure da quelli apocrifi, ma che hanno trovato conferma, almeno parziale, negli studi archeologici successivi, come nel caso della dimora di Maria a Efeso. Per molti aspetti, questa vicenda ricorda quella di un’altra grande mistica, più recente, l’italiana Maria Valtorta (Caserta, 14 marzo 1897-Viareggio, 12 ottobre 1961), della quale altra volta abbiamo avuto occasione di parlare (cfr. l’articolo L’Anticristo, per Maria Valtorta, sarà un eminente uomo di Chiesa, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 23/02/2016).
Dobbiamo solo aggiungere che anche la Emmerick, come tante altre mistiche e mistici, non sempre venne adeguatamente compresa; che subì persecuzioni, sia nel convento delle agostiniane, sia fuori, nel mondo; che le autorità prussiane, dopo che la Vestfalia e la Renania furono annesse al Regno di Prussia, ordinò una inchiesta severissima, durante la quale ella fu prelevata brutalmente, con tutto il letto, e trasportata in un luogo ove fu sottoposta a stretta osservazione, giorno e notte, per due settimane, con la luce sempre accesa, subendo strapazzi che la portarono vicina alla morte. Ma ella accettò ogni cosa senza protestare, con mansuetudine angelica. Si sperava di coglierla in fallo, di smascherare l’inganno; in particolare, si riteneva di poter dimostrare che ella si nutrisse di nascosto, e che era impossibile che realmente non mangiasse, né bevesse, come si diceva in paese. L’inchiesta, al contrario, non approdò a nulla: benché osservata giorno e notte, nessuno poté cogliere il più piccolo segno d’impostura: del resto, in quelle condizioni, immobilizzata e lontana dalle persone care, ciò le sarebbe stato semplicemente impossibile. Pertanto, dopo essere stata riportata a casa, più nessuno le recò molestia ed ella poté riprendere i colloqui, pressoché quotidiani, con il poeta Brentano, al quale raccontava, o meglio dettava, tutto quel che le era apparso nelle sue visioni, fino a sfinirsi per la stanchezza.
Una delle cose più stupefacenti di questa donna – che è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II, il 2 ottobre 2004 – è la circostanza che non riusciva ad assumere nessun tipo di cibo solido e che ingeriva con estrema difficoltà anche i liquidi: in pratica, si sosteneva con la sola particola della Comunione. Comunque, di queste cose avevamo già parlato in un precedente articolo (cfr. Ave Maris Stella,pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 23/11/2016), per cui non vi insisteremo oltre. Resta il fatto sorprendente, e umanamente inspiegabile, di una persona che, malata, e senza varcare la porta di casa, in Europa, “vede” lontano sia nello spazio che nel tempo, e il cui racconto trova puntuali conferme, a distanza di decenni, da parte di quanti si sono presi la briga di verificare direttamente se quelle visioni avessero un fondamento di verità.
Così ha ricostruito le singolari circostanze del ritrovamento della casa di Efeso la giornalista e saggista Paola Giovetti, nel suo libro, assai ben fatto, La monaca e il poeta. Anna Katharina Emmerick e Clemens Brentano (Cinisello Balsamo, Milano, Edizioni San Paolo, 2000, pp. 105-108):
Le comunicazioni relative all’ultima abitazione della madre di Gesù furono più d’una e avvennero verso la metà di agosto del 1822, subito prima della festa dell’Assunzione di Maria; Brentano provvide in seguito a dar loro un ordine logico. Ecco i testi: “Il 13 agosto 1822 ella disse di mattina: questa notte ho avuto una grande visione della morte della santa Vergine. Alla domanda quanti anni avesse la Vergine, lei rispose: “Quando morì aveva sessantaquattro anni meno ventitré giorni ho visto sei volte il segno X, poi I, poi V: non fa 64? Dopo l’ascensione di Gesù, Maria visse tre anni a Sion, tre anni a Betania e nove anni a Efeso. Maria non abitava proprio a Efeso, ma nelle vicinanze. La sua casa si trovava a circa tre ore e mezzo di cammino da Efeso, a sinistra su una montagna venendo da Gerusalemme. Questo monte scende con una certa pendenza verso Efeso, che venendo da sud-est sembra tutta raccolta ai suoi piedi, ma avvicinandosi risulta più estesa. È una zona piuttosto solitaria, con molte colline piacevoli e fertili e grotte scavate nella roccia tra piccole pianure sabbiose, con alberi dal tronco liscio a forma piramidale dal bellissimo fogliame. Quando Giovanni condusse qui la santa Vergine, per la quale in precedenza aveva fatto costruire la casa, in questa zona abitavano già parecchie famiglie cristiane e sante donne, parte in caverne adattate ad abitazione grazie a rivestimenti di legno, parte in tende. Essi erano fuggiti prima delle persecuzioni. Soltanto la casa di Maria era di pietra. Dietro alla casa un piccolo sentiero conduceva fra le rocce alla cima del monte da cui, al di là delle colline e degli alberi, si vedevano Efeso e il mare con le sue tante piccole isole. Il luogo è più vicino al mare che a Efeso, che dista dal mare alcune ore. La zona è solitaria e pochissimo frequentata. Nelle vicinanze c’è un castello dove abita un re spodestato, Giovanni si reca spesso da lui.
“La casa di Maria era di pietra, quadrangolare, solo la parte posteriore era arrotondata; le finestre erano ricavate nella parte superiore delle mura e il tetto era piatto. Era divisa in due parti dal focolare collocato al centro. Il fuoco bruciava di fronte alla porta in un infossamento del muro, che da entrambe le parti saliva fino al soffitto della casa. Un’apertura nel soffitto portava via il fumo. La parte anteriore della Casa era separata dall’altro ambiente da porte poste ai due lati del focolare. In questa stanza anteriore, le cui pareti erano abbastanza rustiche e anche annerite dal fumo, ho visto ai due lati piccoli locali creati da divisioni leggere. Se questa parte della Casa doveva servire come sala più grande, queste divisorie venivano tirate da parte. Qui dormivano la serva di Maria e altre donne che venivano a visitarla. A destra e a sinistra del focolare, attraverso le porte, si entrava nella parte più interna, scura, semirotonda della casa, ben arredata e molto gradevole. Tutte le pareti erano rivestite di legno e anche il soffitto era rivestito e ornato. La parte estrema di questo ambiente, separata da una tenda, era l’oratorio di Maria… A destra dell’oratorio, in una nicchia accanto al muro, c’era il giaciglio di Maria e accanto a questo c’era un piccolo locale dove erano custoditi i suoi abiti e altre sue cose. Queste due stanzette erano separate da una tenda. Maria era solita sedere davanti a questa tenda quando lavorava o leggeva… La santa Vergine viveva qui sola con una persona più giovane, una serva, che procurava quel poco che serviva come nutrimento. Vivevano in pace e in silenzio. In casa non abitava nessun uomo. A volte la Vergine riceveva la visita di un apostolo o di un discepolo. Più speso di tutti vidi entrare e uscire un uomo che ho sempre ritenuto essere Giovanni, ma né a Gerusalemme né qui lo vidi vivere continuativamente accanto a lei…”
Fin qui le descrizioni di Anna Katharina, protocollate da Brentano e pubblicate nel suo libro sulla vita della Vergine. Fu questo libro, ben presto tradotto in francese, a incuriosire e appassionare sacerdote di Parigi, padre Julien GoUyet, studioso di archeologia, inducendolo a mettersi alla ricerca della casa dove era vissuta la Vergine nei suoi ultimi anni, Casa della quale si erano totalmente perse le tracce. Libro alla mano, Gouyet visitò la Palestina e il vicino Oriente, trovando stupefacenti conferme a quanto la monaca, sen mai muoversi dal suo letto, aveva raccontato. Andò in Egitto alla ricerca dei luoghi dove la sacra famiglia aveva soggiornato durante la fuga da Erode e constatò che essi erano quali Anna Katharina li aveva descritti. Lo stesso avvenne a Gerusalemme, Ebron, Cafarnao, Nazareth e il monte Tabor. Incoraggiato da queste conferme, padre Gouyet partì per Efeso, ben intenzionato a individuare la Casa della Madonna. Si informò presso i padri Lazzaristi che vivevano a Smirne, che però negarono che la casa fosse nei dintorni di Efeso. Gouyet non si scoraggiò e andò dall’arcivescovo in carica, monsignor A. P. Timoni, il quale – pur con poca convinzione – gli diede un lasciapassare e un seminarista come guida. I due uomini esplorarono tutta la zona per parecchi giorni, trovarono resti di varie abitazioni e di alcune cappelle dedicate alla Madonna e infine il 18 ottobre 1881 individuarono ciò che restava della Casa di Maria: ogni dettaglio corrispondeva a quanto Anna Katharina aveva scritto! Gouyet fece rapporto all’arcivescovo, che non dimostrò alcun interesse, e poi andò a Roma, con lo stesso risultato. Dovevano passare dieci anni perché la casa fosse di nuovo ritrovata, sempre grazie alle visioni della Emmerick e agli scritti di Brentano, e questa volta presa finalmente in considerazione.
Il secondo ritrovamento si deve al lazzarista padre M. Jung il quale, dopo aver letto il libro sulla vita della Vergine, con quattro compagni si mise di nuovo alla ricerca della Casa e dopo parecchi giorni di faticose esplorazioni la trovò: tutto coincideva, il perimetro quadrato, arrotondato sul retro, il focolare al centro, alle spalle la montagna da cui si vede il mare con le piccole isole (Samo con le sue molte vette somiglianti a tante isole), non lontano i resti di un castello diroccato. Anche l’interno della casa corrispondeva in tutto e per tutto alle descrizioni della veggente, escluse naturalmente le paratie di legno, le tende e gli arredi. C’erano le due stanze, le finestre alte, la nicchia. Una relazione ufficiale firmata dall’arcivescovo di Smirne A. P. Timoni, questa volta attento e interessato al ritrovamento, e da una decina di altri studiosi e sacerdoti, dava notizia del ritrovamento, insistendo sul fatto che esso era dovuto alle descrizioni della monaca di Dülmen.
La Chiesa cattolica, tuttavia, non ha mai dato un riconoscimento ufficiale a questo luogo, anche se ben tre pontefici - Paolo VI nel 1967, Giovanni Paolo II nel 1979 e Benedetto XVI nel 2006 - vi si sono recati in pellegrinaggio. Di fatto, esso non è mai diventato un polo d’attrazione del turismo religioso; e, del resto, solo a partire dalla metà del XX secolo un moderato flusso di pellegrini cominciò a dirigesi verso di esso, specialmente dopo che Pio XII accordò loro le stesse indulgenze riservate a quelle degli altri luoghi sacri.
A Gerusalemme esiste una chiesa dedicata all’Assunzione in cielo di Maria, e anche altri luoghi del mondo, i più strani (come l’isola di Anglesey, in Inghilterra), si contendono il privilegio di ospitare la tomba di Maria. Probabilmente è la tradizione, molto antica, relativa alla chiesa gerosolimitana che impedisce una definitivo pronunciamento circa l’autenticità della Casa di Efeso, nella quale Maria sarebbe vissuta nei suoi ultimi anni e infine sarebbe morta, per poi venire assunta in cielo (dormizione e transito della Vergine). Nel proclamare il dogma dell’Assunzione di Maria, nel 1950, Pio XII non specificò se Maria fosse morta e poi subito risuscitata e assunta in cielo, come pensa, forse, la maggior parte dei teologi, o se sia stata assunta in cielo direttamente, senza passare per la morte fisica come gli altri esseri umani.
Lasciamo queste speculazioni, appunto, ai dotti teologi. A noi, in questo caso, risulta più che sufficiente la semplice fede popolare. E resta il mistero, pieno di grazia e di delicatezza, di quella casa nel paesino tedesco, dove una donna ammalata vegliava e pregava, e vedeva e udiva cose che gli altri non vedevano, né udivano; e di quell’altra casa, antichissima, in mezzo al verde, sulle coste dell’Asia Minore, dove un’altra Donna, la Madre di Dio, vegliò è pregò negli ultimi anni della sua vita terrena…
Quella casa fra gli alberi, sulla collina, donde s’intravede lo scintillio del mare
di Francesco Lamendola
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