ABUSIVI E ANCHE INFEDELI
Non solo abusivi ma anche infedeli. Abbiamo delle istituzioni profane che non sono più credibili e degli uomini delle istituzioni che non sono autorevoli. Il gregge è allo sbando perché i pastori sono venuti meno al loro dovere
di Francesco Lamendola
La nostra crisi attuale, tanto nella società profana che in quella religiosa, è, fra le altre cose – ma non fra le ultime – una crisi di legittimità e, quindi, di autorevolezza.
Una istituzione è tanto più credibile, quanto più sono credibili i suoi rappresentanti; ed è tanto più autorevole, quanto più tali rappresentanti sono autorevoli. La loro autorevolezza viene sia dai comportamenti, dagli atti, dalla serietà, dall’onestà, dalla trasparenza, dalla preparazione e dalla dedizione, sia dalla legittimità del loro insediamento, sia, infine, dal fatto d’interpretare fedelmente il proprio ruolo istituzionale e di svolgere la propria parte nel perseguimento di obiettivi comprensibili e condivisibili, coerentemente con il mandato ricevuto.
Se manca anche una sola di queste caratteristiche, l’autorevolezza s’incrina e il patto di fiducia fra la società e i suoi rappresentati incomincia a scricchiolare; si aprono le crepe nell’edificio sociale, si deteriorano e si logorano le relazioni reciproche fra governati e governanti, e aumentano la perplessità, la sfiducia, la frustrazione.
In questo particolare momento storico, le prime istituzioni ad aver perso di autorevolezza sono quelle della sfera politica. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per esempio, anche se si atteggia a super-premier, non è mai stato votato dagli italiani, non è mai stato eletto in Parlamento – e, infatti, non è né deputato, né senatore; per giunta, ha la doppia carica di Presidente del Consiglio e di segretario del suo partito, il Partito Democratico; e solo a stento e con fatica si è deciso a sbarazzarsi della terza, quella di sindaco di Firenze: tutto questo ha indebolito fatalmente la sua credibilità e la sua autorevolezza.
Se si aggiunge che è il terzo consecutivo Presidente del Consiglio a non essere stato scelto dagli italiani, ma imposto da uno stesso Presidente della Repubblica – Giorgio Napolitano - e, forse, se non imposto, certo “suggerito”, e comunque gradito, dalla trojka dell’Unione Europea, ce n’e abbastanza per capire come gli italiani, espropriati del diritto di voto dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi - caduto proprio per una manovra della trojka e per gli armeggi di Napolitano -, non possano guardare a lui, per usare una perifrasi edulcorata, con quella fiducia e con quel senso di sicurezza di chi vede nel proprio Primo ministro il rappresentante e il custode dei più alti interessi della nazione, al di sopra degli interessi particolari e delle mene dei grandi poteri internazionali, sia politici che finanziari. Inutile dire che, per la stessa ragione, né Mario Monti, né Enrico Letta hanno goduto, a suo tempo, di un maggiore prestigio o di una maggiore autorevolezza di quelli riservati ora a Renzi. Governi tecnici, in gergo burocratico; miseri governicchi, nella realtà delle cose, dediti al piccolo cabotaggio, naviganti a vista, impegnati a vivere alla giornata, a strappare qualche settimana o qualche mese in più di vita dai foglietti del calendario: e questo proprio in uno dei momenti più drammatici in cui si è trovata la Repubblica, anzi, in cui si è trovata l’Italia, da che esiste come Stato indipendente e sovrano.
Con quale autorevolezza un governo così, imposto da un Presidente della Repubblica – a sua volta rieletto in maniera irrituale - e, forse, da poteri esteri, possa pretendere di attuare riforme importanti, compreso un grosso cambiamento della Carta costituzionale, non si capisce bene; non ha saputo farsi apprezzare neppure per la gestione dell’ordinario, e vorrebbe la fiducia degli italiani su questioni di amplissima portata. E si aggiunga che non è affatto vero che lui e i suoi governano dall’alto di una maggioranza relativa del 40%. Primo, quel dato si riferisce non alle elezioni politiche italiane, ma a quelle per l’elezione del Parlamento europeo; secondo, da allora, cioè dal maggio del 2014, è passata molta acqua sotto i ponti, e, a due anni e mezzo di distanza, qualora si votasse, le cose andrebbero assai diversamente; terzo, quel dato va calcolato non sul totale dei cittadini aventi diritti al voto, ma sui votanti: per cui, a conti fatti, anche nel momento del loro maggior fulgore, Renzi & Co. governano dall’alto, o dal basso, di una evidente minoranza.
Peraltro, non si deve credere che la situazione sia poi tanto diversa negli altri grandi Paesi dell’Occidente. In Francia, in Germania, in Gran Bretagna, sia pure con accenti diversi, il quadro generale non cambia; e nemmeno negli Stati Uniti, almeno fino all’avvento dell’era Trump, della quale non si può ancora dir nulla, perché è appena incominciata. Hollande, Merkel e Cameron non godono, o non hanno goduto, nei rispettivi Paesi, di una autorevolezza e di una credibilità molto maggiori del nostro Renzi; anche se loro, almeno, avevano avuto la decenza di sottoporsi, bene o male, al verdetto delle urne: differenza non da poco, però nemmeno tale da spostare veramente i termini della questione. Mai come in questi ultimi anni i popoli dell’Europa (e degli Stati Uniti) si sono sentiti poco e mal rappresentati dai loro governi; mai, come in questi ultimi anni, hanno avuto la netta sensazione che tali governi seguono un proprio disegno, una propria strategia, che risultano però incomprensibile ai comuni cittadini, e che paiono configgere nettamente con i più evidenti interessi delle loro nazioni. Per dirne una soltanto: da quando in qua è nell’interesse delle nazioni d’Europa frasi trascinare, dalla sconsiderata politica estera di Obama, in un eventuale conflitto con la Russia, oltretutto per una causa pessima come quella della Siria, o per una causa ambigua, e costruita ad arte, come quella dell’Ucraina? Eppure, ciò si è puntualmente verificato. E quando mai è stato nell’interesse dei popoli d’Europa aprire le frontiere a ondate infinite d’immigrati/invasori, di falsi profughi islamici, il cui obiettivo evidente – o, se non il loro, certo di coloro che li mandano avanti, pagando loro il viaggio, cioè i signori del petrolio sauditi – è quello di conquistare etnicamente e culturalmente l’Europa, islamizzandola e arabizzandola? Crisi di rappresentanza, dunque, crisi di credibilità; e, inevitabilmente, crisi di autorevolezza.
Se, poi, dall’ambito della politica si passa alla sfera religiosa, le cose, negli ultimi anni, non si può dire che vadano molto meglio. Che cosa cercano, e che cosa si aspettano, i fedeli cattolici, dalla Chiesa e dai suoi rappresentati, cioè dai vicari di Cristo sulla terra: vescovi, sacerdoti, religiosi? Evidentemente, si aspettano di trovare delle guide sicure, degli annunziatori credibili e autorevoli del Vangelo; si aspettano di trovare chi chiarisca i loro dubbi, sostenga la loro fede se vacilla, rincuori i loro animi se sono sul punto di smarrirsi: e Dio sa se, nel mondo contemporaneo, i dubbi non si moltiplicano, la fede non vacilla e gli animi non sono in procinto di smarrirsi. Non solo; i fedeli, di questi tempi – tempi tribolati, che evocano quanto è scritto nel libro dell’Apocalisse, o le rivelazioni di certe mistiche, come la beata Caterina Emmerich, o Maria dos Santos, Maria Valtorta, si aspettano di trovare, presso i loro pastori, esempi di vita, oltre che di dottrina: modelli di santità. E che cosa trovano, invece? Oltre agli scandali morali – preti pedofili, abati disonesti che intascano le offerte dei fedeli, cardinali maneggioni che si occupano spregiudicatamente di finanza e di potere, e non di cose spirituali – e dopo lo shock dell’abdicazione di Benedetto XVI, che la coscienza dei cattolici non ha ancora metabolizzato, anche perché le ragioni di quel gesto inaudito continuano a restare avvolte in un fitto alone di mistero, essi trovano teologi che “aprono” sul divorzio, sull’aborto, sull’eutanasia, sul cosiddetto matrimonio omosessuale; vescovi e sacerdoti che parlano come attivisti politici o sindacali, di cose anche giuste, ma assai terrene, e trascurano e perfino disprezzano la spiritualità, il soprannaturale, il culto di Maria, degli Angeli e dei Sant. E, infine, trovano un pontefice che non perde occasione per lodare i non cristiani, per ricoprirli di elogi, per domandar loro scusa, a nome della Chiesa, di colpe reali e immaginarie, vicine e lontane; ma che, nei confronti delle sue pecorelle, pare più desideroso di stupire, trovare consensi, strappare applausi, che di fornire le necessarie indicazioni di una chiara e rigorosa dottrina, in linea con il Magistero di ieri e di sempre, come se il suo obiettivo fosse – e, del resto, la ha dichiarato lui stesso, e fin dall’indomani della sua elezione - quello di cambiare la Chiesa, di santa pianta.
Cambiare la Chiesa? Ma ne ha il potere, ne ha il diritto? Rientra nelle sue mansioni? Proprio lui, che, fin dal primo giorno, non voleva essere neppure chiamato papa, perché gli sembrava un titolo troppo “forte”, quasi autoritario; proprio lui, che voleva – a parole – inaugurare una grande stagione di gestione pluralista e orizzontale della Chiesa cattolica, si prefigge invece la meta di cambiare la Chiesa, e lo dice; non solo: lo dice a Eugenio Scalfari, che lo fa pubblicare sul quotidiano La Repubblica, l’organo ufficiale del fronte massonico e anticattolico italiano? Decisamente, si è passato il limite. Il gregge è allo sbando, perché i pastori sono venuti meno al loro dovere: invece di custodire, proteggere, tramandare fedelmente la dottrina cattolica, si sono fatti, essi stessi, i campioni di una rivoluzione interna che sta andando dritta verso l’auto-demolizione di tutti i dogmi, uno dopo l’altro, e ciò nella maniera più insinuante, più melliflua, più “gesuitica”, cioè senza che i credenti se ne rendano conto più di tanto, secondo la tecnica della “rana bollita”; cosicché una mattina, svegliandosi, essi faranno la “scoperta” che la Chiesa cattolica non esiste più, che è stato tutto uno scherzo (durato duemila anni…), che il Vangelo è solo un optional, e che Gesù è stato solo uno dei grandi saggi che, come altri, hanno operato per avviare gli uomini verso il culto di un Dio generico e buono per tutti i gusti, per tutte le stagioni. In effetti, quella non sarà più una vera religione, se per religione si intende una ricerca del divino che è trascendente rispetto all’umano; sarà, piuttosto, una auto-divinizzazione dell’uomo, e dunque sarà una “religione” dell’uomo, senza dogmi, senza spiritualità, sena teologia, senza soprannaturale, senza santi, senza senso del peccato, senza bisogno di redenzione, senza nulla di nulla di ciò che ha costituito il messaggio cristiano, fin da quando Gesù Cristo si è incarnato nel mondo e poi, risalendo in cielo, ha affidato la diffusione della Buona Novella ai suoi discepoli.
A codesti pseudo teologi postconciliari, a codesti cardinali e vescovi massoni e gnostici, a codesti sacerdoti, frati e suore progressisti e modernisti, relativisti e storicisti, si potrebbe sottoporre un semplicissimo questionario, e poi renderlo pubblico, affinché i fedeli sappiano, almeno, come regolarsi nei loro confronti, e sia dissipato ogni ulteriore equivoco, una volta per tutte:
1. Dio esiste? È il Signore del cielo e della terra? È il Padre annunciato da Gesù Cristo, ed è Gesù stesso, il suo Figlio unigenito; ed è anche lo Spirito Santo, il Consolatore, presente nei sacramenti e nella grazia che sostiene e illumina la vita del credente?
2. Gesù, il Figlio di Dio, si è incarnato nella Vergine Maria, sì o no? È vissuto, ha predicato, poi è stato processato e crocifisso, infine è risorto e salito al cielo: sì o no? E ha affidato a san Pietro la sua Chiesa, raccomandandogli di pascere le sue pecorelle, sì o no? E i vescovi sono i successori degli apostoli, e pertanto hanno lo stesso loro mandato: quello di battezzare e predicare il Vangelo, senza nulla aggiungervi e senza nulla togliere: sì o no?
3. Gesù ha detto esplicitamente che chi viene battezzati e crede nel Vangelo, sarà salvo, e chi non vuole credere, sarà dannato: credete voi questo? Lo state insegnando? State insegnando che Gesù, e solo Gesù, è Via, Verità e Vita? Oppure insegnate, o suggerite, o lasciate intendere, che esistono altre vie, altre verità e altre vite, per giungere a Dio e alla salvezza eterna? E credete nel giudizio finale, nella resurrezione dei corpi, nella vita eterna, nell’inferno e nel paradiso: sì o no?
4. Credete voi che l’eccellenza del modello rappresentato da Gesù per gli uomini, oltre alla sua natura divina, consistesse nella perfetta sottomissione di Lui alla volontà del Padre, sottomissione che si realizzava e si rafforzava nella preghiera continua, nel digiuno, nel raccoglimento, nella ricerca e nello studio incessante di ascoltare e mettere in pratica il Suo volere, fino al totale e incondizionato sacrificio di se stesso?
5. Credete voi che il cristiano vede nella croce non un male da evitare, da rifiutare, da esecrare, ma il mezzo necessario per entrare nella familiarità di Cristo, per diventare figli di Dio, per purificarsi attraverso la prova; e credete che il mondo lo odierà e lo perseguiterà, quanto più egli sarà fedele al Vangelo, per cui dovrà attendersi non applausi e riconoscimenti, ma ogni genere di malvagità?
Francamente, abbiamo qualche dubbio sul fatto che, oggi, tutti i teologi che si dicono cattolici, tutti i cardinali e tutti i vescovi, nonché tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose, nonché i credenti laici, sarebbero disposti a rispondere affermativamente a queste semplici domande, a meno di mentire consapevolmente, per dissimulare il loro vero pensiero. La loro peculiarità, infatti, è proprio questa:portar la Chiesa all’apostasia, ma farlo in maniera subdola e quasi impercettibile, proprio per non mettere in allarme chi potrebbe accorgersi delle loro manovre e tentare di sventarle.
La situazione, dunque, è la seguente. Abbiamo delle istituzioni profane che non sono più credibili, e degli uomini delle istituzioni che non sono autorevoli; e abbiamo una Chiesa che non possiede più la serietà e l’autorevolezza di un tempo, perché i suoi stessi uomini, compresi alcuni dei più in vista e dei più potenti, stanno perseguendo un oscuro disegno di cambiamento del paradigma (per dirla col cardinale Walter Kasper) che equivale, alla resa dei conti, ad una deliberata auto-demolizione …
Non solo abusivi, ma anche infedeli
di Francesco Lamendola
Oltre Prodi e il silenzioso "voto cattolico" per il Sì
Il No deciso degli organizzatori del Family Day, il Sì dei gesuiti e del Regno. L’equilibrio di Avvenire
Roma. Parlare di “voto cattolico” nel 2016 lascia il tempo che trova, eppure è anche in quel vasto e “silenzioso” bacino che Matteo Renzi dovrà andare a pescare per portare il Sì referendario alla vittoria. Una grossa mano, in questo senso, potrebbe darla il Sì del “cattolico adulto” Romano Prodi (così si definì il Professore nel 2005, quando annunciò la partecipazione al referendum sulla procreazione assistita nonostante il consiglio opposto della Cei ruiniana), giunto ieri con una nota ufficiale: “Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio Sì, nella speranza che questo giovi al rafforzamento della nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale”.
Le gerarchie episcopali, si sa, non s’esprimono, divise come sono al loro interno e in questioni ben più gravi affaccendate (tra pochi mesi ci sarà l’elezione del nuovo presidente della Cei, e la bussola risulta ancora impazzita, incapace di segnare una rotta chiara ai presuli votanti). Una divisione che si riflette anche nell’elettorato di riferimento, con le piazze piene dei sostenitori del Family Day impegnati a brandire il No alle modifiche costituzionali come si trattasse di dire No ai ddl di Monica Cirinnà – “Un esecutivo che ha già mostrato la sua vocazione autoritaria nell’approvazione della legge sulle unioni civili e che preannuncia di voler approvare le adozioni per tutti, la regolarizzazione della maternità surrogata (utero in affitto), l’educazione gender nelle scuole, la legalizzazione della cannabis, il suicidio assistito, eccetera, va contrastato e non assecondato”, ha detto Massimo Gandolfini.
Dall’altra parte, ci sono i toni ben più favorevoli alla riforma espressi da riviste e giornali cattolici. In principio è stata la Civiltà Cattolica, con un lungo saggio primaverile in cui si definiva “auspicabile” il successo del referendum. A spiegarne le ragioni, al Foglio, era l’estensore dell’articolo, il gesuita Francesco Occhetta: “La Carta è sì un testo vivente, una sorta di bussola che orienta il cammino di un popolo. Ma non è un testo sacro”. Si tratta di uno sviluppo che, al netto di certi errori e di qualche ambiguità, “è certamente compatibile” con il progetto dei padri costituenti. Qualche giorno fa, poi, è arrivato l’endorsement anche del Regno, prestigiosa rivista d’area cattolico-progressista (fa riferimento ai dehoniani): “Se la vittoria del Sì ha l’incertezza delle scelte politiche del premier – ha scritto il direttore Gianfranco Brunelli in un editoriale – quella del No ha la certezza di una crisi profonda del sistema politico, di una crisi economica ancora più ‘cattiva’, di un arretramento di anni rispetto alla transizione istituzionale”. Quindi, la chiosa finale: “Chi immagina che ci si possa prendere la libertà di fare fallire questo governo, perché tanto non accadrà nulla, perché tutto in fondo è sempre uguale, e ce la caveremo con una crisi di governo e qualche balletto rituale, non ha da offrire al paese se non il proprio cinismo o la propria incompetenza”.
Opinione che, seppur più sfumata, pare condivisa anche dal direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani che ha mantenuto una posizione di equilibrio nella contesa. “L’importante è che teniamo salda la consapevolezza che la nostra Carta, che settant’anni fa ha dato direzione e slancio alla costruzione e ricostruzione di una nuova Italia, ha alla base idee guida, visioni e grandi intese che non sono poste minimamente in discussione da questa riforma che riguarda aspetti cruciali dell’ordinamento della Repubblica, ma non l’impianto valoriale della nostra democrazia”, scriveva Mario Tarquinio lo scorso agosto, aggiungendo che “sarebbe grave sprecare questo passaggio consegnandoci a un dibattito condizionato dal timore e, magari, dalle personalizzazioni antipatizzanti verso il premier Renzi o qualunque altro leader”.
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