Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...
Dopo la Lettera Misericordia et misera: uno scenario confuso
(di Tommaso Scandroglio)
Per la Chiesa l’aborto è sia un peccato che un delitto. Ciò a dire che
non è solo una grave offesa a Dio, ma è anche un illecito giuridico
perché reca un vulnus, oltre che al nascituro, anche a tutta la
comunità dei credenti, all’intera Chiesa. Duplice quindi sarà la pena:
la penitenza sacramentale comminata dal confessore e che dovrà essere
soddisfatta dal penitente (Codice di diritto canonico, can. 981) e una
pena giuridica che nel caso dell’aborto rientra nel genus delle “censure” e tra queste nella species della scomunica latae sententiae (cann. 1331 e 1398).
Questa particolare pena consiste nella esclusione della comunità dei
credenti intesa come corpo giuridico-sociale (can. 2257 § 1 Codice
previgente) e si incorre in essa ipso facto, cioè nel momento
stesso in cui si compie la condotta delittuosa. Una successiva sentenza
della autorità competente ha valore solo declaratorio. Chi può rimettere
la scomunica latae sententiae? Il Codice di diritto canonico
risponde che possono rimetterla l’Ordinario del luogo, un suo delegato
oppure un qualsiasi vescovo ma solo nell’atto della confessione
sacramentale (can. 1355 § 2).
Uno degli effetti della scomunica, intrinseco ad essa, – aspetto su
cui torneremo tra breve – consiste nel divieto di ricevere i sacramenti
(can. 1331, § 1, 2°). Ecco perché la donna che ha abortito – o uno dei
complici di questo delitto – prima deve ricevere dall’Ordinario del
luogo o da un suo delegato la remissione della scomunica e poi potrà
legittimamente confessarsi.
In caso contrario il penitenziere non può giuridicamente impartire
l’assoluzione, ma deve astenersi. Arriviamo ora alla Lettera Apostolica Misericordia et misera di Papa Francesco pubblicata il 20 novembre scorso in chiusura dell’anno giubilare. Al n. 12 della stessa possiamo leggere: «In
forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la
richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a
tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere
quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso
limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo».
Il Sommo Pontefice infatti all’apertura dell’anno giubilare nella sua Lettera con la quale si concede l’indulgenza in occasione del Giubileo della Misericordia del 1 settembre 2015 aveva così disciplinato: «ho
deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i
sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di
aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il
perdono».
Il Papa in entrambi i documenti ha sottolineato l’enorme gravità
della scelta abortiva e, inoltre, non ha soppresso la pena della
scomunica per questo delitto. Dalla lettura dei due passi citati sorge
però un interrogativo: il Pontefice ha voluto concedere ad ogni
sacerdote, oltre alla facoltà di assolvere dal peccato di aborto (facultas absolvendi), anche il potere di rimettere la scomunica (potestas remittenti poenam)?
Sul primo aspetto Papa Francesco è stato chiaro, ma sul secondo non
si è pronunciato e la questione non è di poco conto. Infatti come
abbiamo visto la scomunica comporta il divieto per la donna che ha
abortito di ricevere legittimamente i sacramenti, tra cui anche quello
della confessione. Quindi prima occorre che la scomunica sia rimessa e
poi si potrà accedere legittimamente alla confessione. Allora come
interpretare le parole del Papa?
Entriamo qui nel regno delle ipotesi ermeneutiche che offriamo
all’attenzione dei canonisti. Una prima ipotesi potrebbe essere la
seguente. Dato che la remissione della scomunica è condizione previa per
confessarsi e dato che il Papa ha concesso ad ogni sacerdote la facoltà
di confessare il peccato di aborto ciò significa che implicitamente il
Pontefice ha anche voluto concedere ad ogni sacerdote la potestà di
rimettere la scomunica, altrimenti quest’ultimo come potrebbe
legittimamente esercitare quella facoltà di assolvere dal peccato di
aborto concessa dal Vicario di Cristo?
L’ipotesi sembrerebbe ricevere valore particolare dal fatto che già
prima delle lettere del Papa i sacerdoti potevano assolvere validamente
ma non legittimamente la donna che aveva abortito e a cui non era stata
rimessa la pena della scomunica. L’intervento del Pontefice non può che
essere letto come un intervento novellatore e allora l’unico aspetto su
cui il Papa poteva apporre una modifica sul tema in oggetto non potrebbe
che essere quello della regolarità giuridica della confessione del
peccato di aborto impartita da un qualsiasi sacerdote, perché sul
profilo della validità sacramentale della confessione, per alcuni
canonisti, nulla quaestio.
Invece per altri studiosi – e qui il quadro si complicherebbe
ulteriormente – l’assoluzione impartita senza previa remissione della
scomunica non solo sarebbe irregolare dal punto di vista giuridico, ma
addirittura non pienamente valida dal punto sacramentale perché
configurerebbe una situazione in cui la donna sarebbe assolta dalla
colpa pur rimanendo giuridicamente scomunicata. Alla prima ipotesi, che
configurava a favore di tutti i sacerdoti una concessione implicita del
potere di rimettere la scomunica, però si potrebbe così obiettare: il
Papa si riferisce solo e in modo esplicito alla facoltà di assolvere dal
peccato di aborto, che è cosa ben diversa dalla rimessione della
scomunica su cui invece non si è espresso.
Questa obiezione ci porta a considerare una seconda ipotesi. Il Papa
ha certamente il potere di concedere ad ogni sacerdote di rimettere la
scomunica, ma, poiché si tratta di un atto di carattere giuridico che
abbisogna per la sua validità di un pronunciamento positivo-formale, è
difficilmente ipotizzabile un mutamento disciplinare così rilevante per
tramite di una inferenza logica deduttiva di carattere implicito.
Occorrerebbe invece un atto formale esplicito, cioè porre in essere un
atto giuridico di valore equipollente o superiore a quello che regola la
questione (in questo caso il Codice di Diritto canonico).
Da qui l’esigenza di una integrazione da parte del Santo Padre o, per
mandato, dell’autorità competente in merito a questo punto. In tale
prospettiva la lettera del Papa potrebbe essere considerata un documento
di tipo programmatico che necessiterebbe di un’ulteriore integrazione.
Fino a quel momento varrebbe l’usuale disciplina canonica attualmente
vigente in merito al potere di togliere la scomunica. Ma come devono
comportarsi intanto i confessori? Una terza ipotesi per cercare di
interpretare le indicazioni del Papa potrebbe essere la seguente.
Il sacerdote riceve una donna che confessa il peccato di aborto,
sospende la confessione, si reca dall’Ordinario del luogo e riceve
delega per togliere la scomunica. Però, si potrebbe ancora obiettare,
tale soluzione – seppur straordinaria – era praticabile anche prima
della lettera del Pontefice. In cosa dunque avrebbe innovato
l’intervento del Papa? Si potrebbe ipotizzare che le missive del Papa
tendono a far sì che questo iter procedurale un po’ insolito dovrebbe
ora qualificarsi come l’unico possibile e quindi doveroso perché
ordinario e istituzionale.
E se così fosse, perché non esplicitarlo? Queste diverse ipotesi ci
portano comunque a ritenere che è urgente e necessario, da parte
dell’autorità ecclesiale preposta, un chiarimento su questo aspetto
assolutamente fondamentale per il bene delle anime al fine di dissipare
un scenario confuso e contraddittorio. (Tommaso Scandroglio) http://www.corrispondenzaromana.it/dopo-la-lettera-misericordia-et-misera-uno-scenario-confuso/
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