PRETI "SINISTRI"
La Chiesa dovrebbe buttar fuori a pedate questi preti di sinistra che sputano su di lei. Ci sono preti che non esitano a sparare giudizi temerari su uomini e cose anche su papi naturalmente su quelli che non riflettono la loro idea
di F. Lamendola
Ci sono preti che non esitano a sparare giudizi temerari su uomini e cose, anche su dei papi, naturalmente su quei papi che non riflettono la loro idea, progressista e modernista, di quel che dovrebbe essere il papato; che non si fanno il benché minimo scrupolo di alterare la verità storica e, quel che è peggio, di turbare la coscienza dei fedeli, tanto sono presi dalla smania del protagonismo, del farsi vedere aperti e dialoganti con il mondo, di raccogliere consensi sbraitando che i laici sono stati troppo a lungo “sottomessi” al clero: insomma, tutti presi dal loro io, dal loro narcisismo, a dispetto del narcisismo che rimproverano agli altri; ma è sempre più facile riprendere il prossimo per la sua pagliuzza, che non se stessi, per la trave che si ha nell’occhio e che impedisce di veder le cose in modo equanime. Preti sempre alla ribalta, sempre alla tribuna, sempre al microfono, a gridare ai quattro venti il vangelo secondo me, non ad insegnare fedelmente e umilmente il Vangelo secondo Gesù Cristo.
Pio XII? Un “imperatore”, un “faraone”, un narcisista, un uomo afflitto da manie di grandezza, che incoraggiò il culto della sua personalità. Nemmeno una parola sui molti aspetti ammirevoli del suo pontificato, sulla sua dedizione, sulla sua assoluta integrità; soltanto secchiate d’insulti contro gli aspetti di un papa che certi preti di sinistra proprio non possono digerire: il conservatorismo, o quello che essi giudicano tale; la scomunica ai comunisti e ai socialisti (anche se non esplicitamente ricordata: ma si vede lontano un chilometro che quello è il problema…); l’aver ostacolato tendenze e atteggiamenti che sarebbero poi “esplosi” con il Concilio Vaticano II, che, come è noto, è l’unico vero concilio nella storia della Chiesa che interessi ai cattolici progressisti, e che, per essi, si identifica con la Chiesa tout-court…
Inutile dire che sono gli stessi preti che masticavano fiele durante il pontificato di Giovanni Paolo II, reo di avere condannato la teologia della liberazione; e soprattutto durante quello di Benedetto XVI; che non hanno risparmiato un’occasione per criticare ferocemente la mentalità “ristretta”, “conservatrice”, “autoritaria” di papa Ratzinger, e che hanno gridato quasi allo scandalo quando, con il motu proprio Summorum pontificum, ha reintrodotto la Messa in latino, o quando ha osato togliere la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani (alla faccia della carità). Preti così, che si autodefiniscono di strada (anche se vanno sempre in televisione), di battaglia, al fianco degli ultimi; preti che hanno fatto proprie le categorie del marxismo e della lotta di classe, che odiano i ricchi (Gesù non li odiava affatto, semmai li compativa), che pensano che il “povero” abbia sempre e comunque ragione: anche se il “povero” è un immigrato spesato e mantenuto in albergo dallo Stato, senza far niente di niente, in cambio dell’ospitalità che riceve, mentre i poveri italiani sono quelli che hanno lavorato una vita, ma che non ce la fanno a vivere con seicento euro di pensione, e per i quali lo Stato non fa un bel nulla, anzi, lascia che vengano tagliati loro i fili della luce, e chiuso il contatore del riscaldamento, visto che non riescono a pagare l’affitto e le bollette.
Un esempio di questo nuovo tipo di prete è dato Paolo Farinella, che non si firma “don” (sarebbe troppo clericale, come dice Bergoglio), ma semplicemente “prete”, nemmeno sacerdote: ma solo “prete”, come nel film con Jean-Paul Belmondo (tratto da un romanzo di Beatrix Beck): Leon Morin, prete: fa più prete del popolo, che sta dalla parte dei poveri, come padre Tuck nella banda di Robin Hood. Costui firma una rubrica fissa sulla rivista missionaria Missioni della Consolata; e, nel numero di dicembre del 2016, dice fra l’altro:
[All’inizio degli anni Cinquanta] al governo vi erano uomini cattolici indiscussi, come Alcide De Gasperi. E Roma ebbe un nuovo “imperatore”, Pio XII, che si offrì come unica autorità morale e politica che di fatto condizionò il parlamento italiano, il governo, l’economia e il paese, attraverso il cosiddetto “partito cattolico” della Democrazia Cristiana, erede del più laico e sano “Partito Popolare” di don Luigi Sturzo. Sul piano religioso, Pio XII fu un faraone che, dall’alto della sua sedia gestatoria imperiale, dominava non una Chiesa, ma una cristianità rigorosamente separata in clero e laicato, quest’ultimo sottomesso al primo. Con l’escamotage della formazione delle coscienze, il clero sottomise i laici che erano sempre e solo “chiesa obbediente e ossequiente”. Pio XII non fu scevro da una componente psicologica narcisistica, sfociata nel culto della personalità che lo portò a isolarsi e a diventare diffidente tanto da assommare in sé anche le funzioni subalterne, fino al punto di non nominare neppure il Segretario di Stato, ruolo delicato e importante che riservò per sé, limitandosi ad avere due “sostituti” nella persona di Domenico Tardini e Giovanni Battista Montini, il primo segretario di stato di Giovanni XXIII e il secondo futuro Paolo VI.
Durante il corso del Giubileo [del 1950] ci furono tre eventi, attentamente studiati e programmati da Pio XII nel contesto della sua politica [politica? Avrebbe adoperato questa parola, parlando di papa Francesco?].
1. La beatificazione di Maria Goretti (24 giugno)…. […] 2. L’enciclica “Humani Generis” (12 agosto) con cui il papa condannò gli “errori” che, secondo lui, minacciavano le fondamenta della religione cattolica, come lassismo, relativismo teologico, alcune interpretazioni della Scrittura e anche la teoria dell’evoluzionismo. Senza mai nominarli condannò l’insegnamento di giganti della teologia come Chenu, Congar, De Lubac e tanti altri che nemmeno dodici anni dopo sarebbero stati gli artefici del concilio Vaticano II che sancirà il loro insegnamento e le loro ricerche non solo come “cattoliche”, ma come essenziali nel cammino di fede dell’intera Chiesa. 3. La proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo (1 novembre)…
Ma caro don Farinella, se non le dispiace essere chiamato “don”, che cosa le dà il diritto di affermare che il Partito di don Sturzo (chissà perché lei scrive “Partito Popolare” fra virgolette) era più sano e più laico della Democrazia Cristiana? Oppure, per lei, “più laico” equivale, automaticamente, a “più sano”? Lei è un cattivo storico, perché mette i suoi giudizi davanti ai fatti, invece di motivare e di spiegare perché fa certe affermazioni; inoltre, come prete, lei dimostra una forte dose di arroganza intellettuale, perché pontifica dall’alto in basso, come se lei fosse moralmente migliore di coloro che cadono sotto i suoi strali, pontefici compresi. E questo, cristianamente parlando, non va bene: è mancanza di carità Si rilegga san Paolo, Prima lettera ai Corinzi, siamo certi che la consce bene: Se parlassi le lingue degli uomini, e anche quelle degli Angeli, ma non avessi la carità, sarei un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto… La carità è paziente e generosa, non è invidiosa, non si gonfia d’orgoglio… La carità tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza. Non ha mai sentito parlare di correzione fraterna? Di riprendere il fratello che sbaglia, in modo tale da non umiliarlo pubblicamente? E allora perché lei, prete, si permette di riprendere in modo così insolente un pontefice, che, ad ogni modo, secondo il giudizio di gran parte degli storici, è stato un personaggio di gran valore, insomma un uomo al cui confronto lei è una piccola persona? Ah, intendiamo: lei non è sempre così severo nei suoi giudizi; se il papa in questione risulta di suo genio, allora la musica cambia. Certo non si permetterebbe mai di fare una critica così feroce, così spietata, così unilaterale, di papa Francesco; sarà forse perché lui e lei avete un sentire comune? Se, invece, si tratta di un papa “conservatore”, alla Ratzinger, o, Dio non voglia, alla Sarto, lei si scalda, le bolle il sangue, le monta alla testa, non può tacere, si agita, deve gridare ai quattro venti la sua sacra indignazione, altrimenti scoppia, le farebbe male alla salute. Be’, questo è un problema suo, non nostro, e tanto meno dei suoi lettori e dei fedeli che, in un prete, si aspettano di trovare un obbediente servitore della Chiesa, non un trinciatore di giudizi, non un giustiziere solitario, e neppure un rivoluzionario che, non avendo barricate dove andare a battersi, cerca di trasformare il Vangelo di Gesù in una specie di Manifesto di marxiana memoria.
Lei e quelli come lei rendono un pessimo servizio alla Chiesa. Forse non ve ne rendete conto, ma state infiggendo delle ferite gravissime a quella Chiesa di Cristo (non vostra) che avete giurato di servire; siete montati in superbia, vi credete infallibili, chiusi e autoreferenziali nel vostro progressismo, nel vostro modernismo; pretendete di aver sempre ragione e di essere in diritto di “spingere” la navicella di san Pietro là dove voi vorreste che andasse: a sinistra. Ma la state tradendo, né più, né meno. Non siete servi buoni e fedeli, come quelli lodati da Gesù nel Vangelo; siete servi infedeli e presuntuosi, che vorreste sostituire la vostra verità, il vostro vangelo, all’unico Vangelo vero e vivo, quello di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma la cosa più brutta, più amorale, è che lei si serva della stampa cattolica, che lei si serva del suo abito di prete per dir male della Chiesa e dei papi: di quei papi e di quel Magistero della Chiesa che non collima con le sue idee progressiste e moderniste. Perché non se ne esce, allora, e non fonda la sua chiesa, insieme a tanti altri che la pensano come lei? Perché vuol restare dentro la Chiesa, riservandosi di condannarla o di approvarla a seconda che il suo infallibile e insindacabile giudizio, ammantato di falsa e ipocrita umiltà, le suggerisca, di volta in volta? Infine, se papa Francesco ha detto la frase solenne (e abusata): Chi sono io per giudicare?, ci permetta di domandarle: Chi è lei per giudicare un papa come Pio XII? Quali titoli possiede - intellettuali, spirituali, morali o culturali, o di qualunque altro genere – per esprimersi in maniera così irriverente, così canzonatoria nei confronti di quel papa? Che cosa le fa credere di essere migliore, come uomo di Dio, di quanto lo sia stato lui?
Quanto ai suoi giudizi storci, sono dettati dalla sua ideologia progressista e antistorica, perché pretende di giudicare un papa degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento con la mentalità di oggi; e non tiene conto che, nel Magistero e nella figura del romano pontefice, c’è, c’è sempre stata, e sempre deve esserci, una dimensione perenne, non soggetta agli umori e agli sbalzi dei tempi e delle mode: perché il papa e il sacro Magistero custodiscono una Verità eterna, che non si aggiorna, non si cambia, non modifica a piacere, come si farebbe in una qualsiasi repubblica assembleare. Culto della personalità, in Pio XII? In un uomo così schivo, così riservato, fino alla timidezza? Imperatore, un papa che aborriva da ogni forma di ostentazione? Semmai, queste cose valgono per papa Francesco: il quale, dietro tutti i suoi sorrisi (tiratissimi) e le sue belle parole (si fa per dire), non esita a trattare chi dissente da lui come l’ultimo dei reprobi, a disprezzarlo, a umiliarlo, a commissariarlo, a esonerarlo, a diffamarlo, a insultarlo dal pulpito di santa Marta, un giorno sì e un giorno no… Proprio come fa lei, caro don: ecco, siete fatti della stessa pasta, non solo sul piano teologico e pastorale, ma proprio come tipo di sensibilità e di umanità. E poi, non vede che si contraddice da se stesso? Prima afferma che Pio XII regnò come un “imperatore”, anzi, addirittura come un “faraone” (ma lei si ascolta, quando adopera certe parole?; e non sente nulla di sconveniente, in esse?), e poi ammette che si scelse proprio i collaboratori che sarebbero emersi nella stagione a lei tanto cara, quella del Vaticano II: Tardini e Montini. Strano imperatore, dunque: dopotutto, non si sceglieva troppo male i suoi uomini di fiducia, visto che piacciono anche a lei.
Poi se la prende con l’enciclica Humani Generis e la liquida al livello di opinione di Pio XII. No, caro lei: una enciclica è una enciclica: cioè una verità dogmatica del Magistero. Lei non può fare così: non ha il diritto di screditare un documento del Magistero, solo perché non le piace. Lei ritiene che fu un “errore” condannare la teologia dei Chenu, dei Congar, dei De Lubac (anche se ammette che Pio XII non li nominò espressamente), e giudica che essi furono dei “giganti”? Queste sono le sue opinioni; ma la Chiesa, per secoli e secoli, ha ritenuto che il gigante, semmai, fosse san Tommaso d’Aquino; i Congar e i De Lubac, vedremo fra qualche anno chi li ricorderà ancora, e cosa dirà di loro. Quanto al fatto che, neanche dodici anni dopo, il Concilio diede loro ragione, questo è un altro discorso: ci mostri dove sta scritto che la teologia di quei signori è “essenziale”, come lei dice, nel cammino di fede di un cristiano, e noi le crederemo. Se no, si tenga per sé le sue opinioni; oppure abbia l’onestà di presentarle come tali. La cosa più grave è che un cattolico, sfogliando una rivista cattolica, trovi simili tirate da parte di sacerdoti che ostentano di parlare in nome della verità. Ma noi conosciamo una sola Verità: Gesù Cristo, Figlio di Dio e Redentore…
La Chiesa dovrebbe buttar fuori a pedate questi preti di sinistra che sputano su di lei
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10815:preti-di-sinistra&catid=121:lo-smemorato-siberiano&Itemid=152
PIO XII E COMPLOTTO DEL SILENZIO
Il mito del “silenzio”di Pio XII fu creato per fare pressioni sulla Chiesa. Il suo silenzio sugli ebrei durante gli anni del nazismo è un mito totalmente privo di fondamenta: e i silenzi assordanti di Churchill Roosevelt Stalin?
di Francesco Lamendola
Che quello di Pio XII sul dramma degli ebrei durante gli anni del nazismo e della Seconda guerra mondiale sia un mito totalmente privo di fondamenta, lo si è sempre saputo; o, almeno, lo hanno sempre saputo gli storici e gli studiosi seri e intellettualmente onesti, tanto più se si raffronta quel “silenzio” con quello altrettanto assordante, ma meno o per nulla operoso, dei vari Churchill, Roosevelt, Stalin; perché, mentre Pio XII non denunciò apertamente il genocidio, però si diede da fare in ogni modo per salvare la vita di tutti gli ebrei che era umanamente possibile salvare, gli altri non fecero assolutamente nulla. Anzi, negli anni precedenti la guerra, Gran Bretagna e Stati Uniti brillarono per la loro politica di respingimento degli ebrei in fuga dalla Germania hitleriana. Valga per tutti il caso del transatlantico St Louis che, al comando del capitano Gustav Schröder, nel 1939 lasciò la Germania con quasi 1.000 ebrei a bordo, ma venne respinto dalle autorità portuali americane, benché si sapesse benissimo quale destino avrebbe atteso quei poveretti, se la nave si fosse vista costretta a ritornare in patria. La situazione disperata dei “maledetti”, respinti come lebbrosi, venne salvata unicamente dalla tenacia, dal coraggio e dallo spirito d’iniziativa del comandante, un tedesco non ebreo, il quale, con grave rischio personale, fece di tutto per trovare una soluzione e alla fine poté attraccare con la sua nave ad Anversa, dove i passeggeri vennero smistati e accolti, in piccoli contingenti, da alcuni Paesi dell’Europa occidentale.
Restava da capire chi e perché abbia fabbricato il mito del “silenzio” di Pio XII. Una interessante, e, per molti aspetti, valida chiave interpretativa è stata avanzata da un ebreo eccezionalmente lucido e onesto, un rabbino statunitense che è stato anche uno storico, e che ha scritto una parola di verità, mentre alcuni elementi del giudaismo internazionale alimentavano, invece, la campagna denigratoria nei confronti del papa: David Gil Dalin, nato a San Francisco nel 1949, il cui libro The Myth of Hitler’s Pope: How Pius XII rescued Jewish from the Nazis (Il mito del papa di Hitler: come Pio XII salvò gli Ebrei dai nazisti), del 2005, ha ristabilito la verità non solo su Pio XII, ma su tutti i pontefici. L’autore, infatti dimostra come sempre, nella storia della Chiesa, i papi abbiamo difeso gli ebrei da ogni forma di razzismo e persecuzione, e abbiano combattuto l’antisemitismo; per poi passare a Pio XII, riconoscendogli pienamente il merito della salvezza di almeno 700.000 Ebrei destinati, altrimenti, a morte certa per mano dei nazisti (il libro è stato tradotto in Italia nel 2007 con il titolo La leggenda nera del papa di Hitler dalla casa editrice Piemme). A lui spetta il merito di aver dimostrato che Pio XII svolse un ruolo non solo indiretto nell’opera di assistenza e salvataggio dispiegata dalla Chiesa cattolica, in Italia e in tutta Europa, nei confronti degli ebrei perseguitati, nel senso che ne era infornato e lasciò fare, ma che egli ebbe certamente un ruolo attivo, in quanto fu proprio lui la mente operativa di tutta l’operazione, ed il clero cattolico si adoperò in quella difficile e rischiosa impresa per sua esplicita volontà; anche se, ovviamente, una tale direttiva non poté essere mai ufficializzata apertamente.
Ma c’è di più. A Dalin spetta il merito di aver individuato la radice della calunnia contro Pio XII, a proposito della sua pretesa indifferenza sulla sorte degli Ebrei, o, peggio, della sua tacita accondiscendenza con la politica del genocidio messa in opera dal regime nazista, e delle sue (indimostrate) simpatie filo-tedesche. E lo ha fatto in maniera estremamente chiara, affermando che le polemiche antipapali di ex seminaristi come Gary Willis e John Cornwell (autore de “Il papa di Hitler”), di ex sacerdoti come James Carroll e di altri apostati o cattolici liberali risentiti sfruttano la tragedia del popolo ebraico durante l’Olocausto per sostenere oggigiorno la propria agenda di cambiamenti forzati della Chiesa cattolica.
Certo, rovesciare tutta la regia del “complotto” contro Pio XII sui soli cattolici liberali è, a nostro avviso, assai limitativo; senza dubbio vi furono anche altri attori a monte di quella oscura operazione di deliberata distorsione della verità storica, e cioè proprio certi ambienti paramassonici del giudaismo, specialmente il B’nai B’rith, interessati a premere sulla Chiesa in vista di un “dialogo” che doveva tradursi in una sorta di mea culpa collettivo del cattolicesimo nei confronti del giudaismo: obiettivo in gran parte realizzato con la pubblicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, pubblicata il 28 ottobre 1965 (ma la cui bozza, sul giudaismo appunto, era già stata completata sin dal novembre 1961, e cioè prima della convocazione del Concilio stesso), seguita dalla Dignitatis Humanae, il 7 dicembre 1965. Ne abbiamo già parlato in un recentissimo articolo (cfr. Come il B’nai B’rith ha infiltrato e condizionato il Concilio Vaticano II, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 09/01/2017).
Inoltre, Dalin si riferisce particolarmente ad alcune opere recenti, come quella dell’inglese John Cornwell, Il Papa di Hitler, apparsa nel 1999, o quella di Susan Zuccotti, Under His Very Windows: the Vatican and the Holocaust in Italy (Sotto le sue stesse finestre: il Vaticano e l’Olocausto in Italia), del 2000: pertanto, la manovra dei cattolici liberali sarebbe diretta contro il pontificato di Giovanni Paolo II, considerato “conservatore” e, da taluni, perfino con sfumature antisemite (cfr. il nostro precedente articolo: Giovanni Paolo II mancò di tatto verso gli ebrei durane la sua visita ad Auschwitz?, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 26/08/2015). Noi, invece, riteniamo che si debba considerare la nascita del mito sul “silenzio” di Pio XII fin dall’inizio, dunque collocandola storicamente, e metterla in relazione con il grande evento che si andava preparando nella Chiesa cattolica, dopo la morte di Pio XII e l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII: il Concilio Vaticano II. L’assalto alla diligenza dei cattolici liberali venne sferrato allora; negli anni e nei decenni successivi, per loro, si è trattato solo di procedere sulla via già iniziata, rafforzando le loro posizioni e guadagnandone sempre di nuove, silenziosamente e sistematicamente, fino ad arrivare in cima alla piramide con il pontificato attuale, quello dell’argentino Jorge Mario Bergoglio, nel marzo 2013, dopo le clamorose (e misteriose) “dimissioni” del suo predecessore, il tedesco Joseph Ratzinger.
Nondimeno, è quanto mai verosimile che i cattolici liberali, e specialmente i vescovi e gli arcivescovi di matrice progressista e neomodernista, abbiano colto la palla al balzo per saldare i loro conti, e sia pure postumi, con Pio XII, il papa che non volle convocare il concilio, e per fare pressione sui Padri del Vaticano II, sfruttando il senso di colpa collettivo, per quanto ingiustificato, che si era diffuso nelle file del clero cattolico dopo che erano apparsi libri come quello, già citato, di John Cornwell, o della storica americana Susan Zuccotti, estremamente duri e impietosi nel giudizio sul ruolo svolto da Pio XII nel contesto politico della Seconda guerra mondiale e della hitleriana “soluzione finale” del problema ebraico. In altre parole, ci sembra che la spiegazione più vicina al vero delle ingiuste accuse rivolte a Pio XII – che si levarono, si badi, oltre un decennio dopo la fine della guerra, quasi come un bomba a scoppio ritardato, perché, sulle prime, unanime era stato il riconoscimento, soprattutto da parte ebraica, per l’azione meritoria svolta dal papa nell’opera di salvataggio degli ebrei perseguitati – sia quella di una convergenza d’interessi fra certi settori del giudaismo e alcuni circoli liberali cattolici, entrambi volti a far sì che il Concilio Vaticano II imboccasse con molta decisione la via delle riforme radicali, sia per ciò che riguarda il rapporto con il giudaismo, sia per ciò che riguarda la struttura interna della Chiesa cattolica, tanto sul piano liturgico e pastorale, quanto, e sia pure in forma velata, su quello teologico e disciplinare.
Ma torniamo al rabbino David G. Dalin e alla sua energica difesa dell’operato di Pio XII, e alla denuncia del complotto mirante a screditare la sua opera e la sua memoria per ragioni estrinseche alla verità storica. Ha scritto Andrea Tornielli nella sua biografia Pio XII, quando il libro di Dalin nonera ancora uscito, ma era già apparso un significativo articolo dello stesso autore, che ne preannunciava i contenuti(Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2001, pp. 302-304):
L’ultima, clamorosa presa di posizione in favore di Pio XII e contro i suoi più recenti accusatori, arriva dagli Stati Uniti. È apparsa nel febbraio 2001 sulla rivista americana “The Weekly Standard” ed è firmata dal rabbino David G. Dalin. Nel suo articolato saggio, Dalin cita i tanti libri su Pio XII e l’Olocausto pubblicati negli ultimi due anni e fa un’affermazione inedita, affermando che il vero bersaglio degli ultimi attacchi non è il comportamento di Papa Pacelli verso la persecuzione ebraica, ma la Chiesa di oggi. “Fare di Pio XII un bersaglio dei nostri attacchi morali contro i nazisti e presentare il cattolicesimo nelle istituzioni come delegittimato dall’orrore dell’Olocausto, rivela un errore di comprensione storica”, scrive il rabbino americano. “Quasi nessuno dei recenti libri vuole davvero trattare di Pio XII e dell’Olocausto. Il loro vero argomento è un altro: Pio XII diventa un’arma per parlare della Chiesa di oggi, la più grande arma dei cattolici liberal contro i tradizionalisti. Un dibattito sul futuro del papato è ovviamente qualcosa in cui i non cattolici non dovrebbero immischiarsi. Ma gli Ebrei, quali che siano le loro posizioni verso la Chiesa, hanno il dovere di respinger ei tentativi di strumentalizzare l’Olocausto e di usarlo per fini partigiani in questo dibattito”. Citando i libri di John Cornwell e di Susan Zuccotti, i due attacchi più clamorosi di questi ultimi mesi contro Papa Pacelli, il rabbino Dalin fa notare la loro scarsa obiettività: “La tecnica dei recenti attacchi è semplice. Richiede solo che i fatti favorevoli siano presentati nella luce peggiore secondo i testi presi alla lettera, mentre i fatti meno favorevoli vengono presentati nella luce migliore sena basarsi sui testi”. Secondo Dalin “con la loro doppia lettura, questi scrittori hanno pochi problemi ad arrivare a due conclusioni preordinate. La prima è che la Chiesa deve prendere su di sé le colpe dell’Olocausto: Pio XII fu “il più grande colpevole dell’Olocausto”, afferma la Zuccotti. E la seconda conclusione è che la colpevolezza del cattolicesimo di allora è stata causata da elementi che ancora oggi Papa Wotjtyla rappresenta”.
Il rabbino americano cita molti esempi di questa “doppia lettura” […], e quindi analizza le molte testimonianze in favore di Papa Pacelli, i numerosissimi ringraziamenti che giunsero in Vaticano durante e dopo la guerra, tutti gli appelli rivolti da Pio XII contro la violenza e le persecuzioni. “Dal momento che questi esempi sono stati sminuiti, uno per uno, nei recenti libri che attaccano Pio XII, il lettore perde di vista la loro grande mole e il loro effetto cumulativo che non lascia alcun dubbio sulla posizione del Papa. Un esame più approfondito rivela infatti uno scenario che rimane costante”.
Secondo Dalin gli accusatori che oggi non danno importanza ai numerosissimi attestati di riconoscenza ricevuti da Pacelli, negano “la legittimità della gratitudine degli Ebrei” e ciò “equivale a negare la credibilità delle loro testimonianze personali”. “Tutti usano le sofferenze degli Ebrei di cinquant’anni fa”, conclude il rabbino statunitense, “per forzare i cambiamenti nella Chiesa di oggi. È questo abuso dell’Olocausto che deve essere respinto. Una descrizione sincera dell’azione di Pio XII deve arrivare a conclusioni opposte rispetto a quella di Cornwell. Pio XII non fu il Papa di Hitler, ma fu il più vicino agli Ebrei nel momento in cui questa vicinanza era più importante... Dalla lettura degli Atti e Documenti della Santa Sede… emerge un quadro che ci mostra un gruppo di uomini intelligenti e coscienziosi, che segue la via della pace, della giustizia, in un tempo in cui questi ideali erano spietatamente resi inefficaci in un mondo in guerra totale… Il Talmud insegna che “chi salva una vita salva il mondo intero”. Più di ogni altro, Pio XII ha rispettato questa indicazione del Talmud, quando era in gioco il destino degli Ebrei d’Europa. Nessun altro papa è stato così ampiamente lodato dagli Ebrei, e coloro che lo hanno lodato non si erano sbagliati. La loro gratitudine, come quella dell’intera generazione dei sopravvissuti dell’Olocausto, testimonia che Pio XII era, genuinamente e profondamente, un “giusto” delle nazioni.
Ora, il passaggio-chiave di tutto questo ragionamento si trova nella frase: Tutti usano le sofferenze degli Ebrei di cinquant’anni fa per forzare i cambiamenti nella Chiesa di oggi. Abbiamo già detto chi sono, secondo noi, questi “tutti”. Ribadiamo il concetto che lo sfruttamento del senso di colpa provocato dai pretesi “silenzi” di Pio XII è da mettersi in relazione, innanzitutto, con il Concilio Vaticano II, la cui convocazione fu annunciata da Giovanni XXIII fin dal 25 gennaio 1959, ossia appena tre mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio, ma che si aprì ufficialmente l’11 ottobre 1962. Ebbene: la querelle sul “silenzio” di Pio XII esplose con virulenza - dopo qualche avvisaglia negli anni precedenti, quando ancora prevalevano i giudizi largamente positivi - nel 1963, quando fu pubblicata l’opera teatrale Il Vicario del drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, di orientamento marxista (titolo originale: Der Stellvertreter. Ein christliches Trauerspiel), subito tradotta e messa in scena nei teatri di mezzo mondo, e che, forse, fu la parte visibile di una oscura macchinazione, pensata e finanziata dal servizio segreto sovietico, il KGB, in funzione anticattolica.
Se si voleva dare una “spinta” al Concilio in senso liberale, lo sfruttamento del genocidio degli ebrei sembrava la risorsa perfetta, nel senso di inoppugnabile, per portare a termine una simile operazione: una volta caricato il fardello di una così atroce, di una così schiacciante responsabilità morale sulle spalle della Chiesa, chi mai avrebbe osato opporsi a una “liberalizzazione” di essa, in senso progressista e modernista, e, aggiungiamo noi, anche in senso filo-giudaico, ovviamente per offrire una doverosa “riparazione” a quella colpa? Ma, come già abbiamo avuto occasione di dire, la “svolta” filo-giudaica, con il passaggio degli ebrei da “perfidi giudei” a “fratelli maggiori” dei cattolici, e dei cristiani tutti, portava con sé, necessariamente, anche una svolta in senso filo-islamico: e di entrambe stiamo assistendo oggi agli sviluppi, sempre più audaci e sempre più sconcertanti. A loro volta, quelle spinte hanno innescato, inevitabilmente, un processo di relativizzazione della teologia cattolica, perché, ponendo tutte le religioni, e specialmente le cosiddette “religioni del Libro”, sullo stesso piano di dignità e, sia pure implicitamente, anche di verità, il cattolicesimo ha abdicato alla propria coscienza di unica via verso la Verità, che è la Verità di Cristo, e ha fatto propria l’idea, tipicamente moderna, laica e secolarizzata, che nessuno può pretendere di giungere, da solo, alla Verità. Il che implica il suicidio, teologico e morale, della Chiesa cattolica: né più, né meno. Una Chiesa che non crede più in se stessa, ossia che non crede alla propria funzione vitale e necessaria per la salvezza delle anime di tutti gli uomini, come diretta prosecuzione dell’opera di Cristo sulla terra, è una Chiesa destinata a scomparire, per consunzione interna, in tempi relativamente brevi.
Se era questo l’obiettivo dei cattolici liberali e modernisti (ma è giusto, è appropriato, continuare a chiamarli cattolici? il modernismo non è forse un’eresia anticattolica?), possono andare giustamente fieri del loro operato: sono giunti, infatti, ormai a buon punto dell’opera. Non si illudano troppo, però. Gesù in persona ha garantito ai discepoli che la sua Chiesa non verrà mai distrutta da alcun nemico: Non praevalebunt…
Il mito del “silenzio” di Pio XII fu creato per fare pressioni sulla Chiesa cattolica
di
Francesco Lamendola
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