Dittatura protestante
Terzo peccato contro lo
Spirito Santo: impugnare la verità conosciuta (dal
catechismo).
Vien
da pensare che tutte le diocesi cattoliche e le facoltà teologiche abbiano
ricevuto da Roma un ordine tassativo e ineludibile, secondo il più tradizionale
stile centralistico della Curia, ma in senso esattamente opposto: quest’anno
sembra obbligatorio celebrare il cinquecentesimo anniversario della “riforma”
luterana. Ovunque un pullulare di convegni, settimane intensive, incontri
ecumenici con pastori e pastore… tutto, ovviamente, con un unico intento celebrativo
e apologetico (al contrario), quasi si trattasse di una sorta di nemesi storica
che dovesse riparare le esecrabili condanne del Concilio di Trento (le quali –
sia detto per inciso – sono dogmi di fede e non si possono contestare, sotto
pena di scomunica). Si direbbe che, senza i cosiddetti “riformatori”
protestanti, la Chiesa non avrebbe mai ritrovato la verità del Vangelo,
smarrita per strada, né la sua vera identità, deformata fin dall’epoca
costantiniana.
In
ogni regime totalitario che si rispetti, bisogna riscrivere la storia in
funzione della giustificazione e del mantenimento del potere impostosi con la
rivoluzione. Fino a quattro anni fa non avremmo mai immaginato che qualcosa del
genere potesse accadere nella Chiesa Cattolica; eppure è proprio ciò che sta
avvenendo sotto i nostri occhi. Approfittando del calo generale del livello
culturale, nonché della spaventosa ignoranza crassa che regna in seminari e
conventi, tutto uno stuolo di docenti e pubblicisti si è lanciato in una gara
indecorosa di elogi a Lutero e compagni, con una concomitante demolizione della
coeva storia cattolica. La falsificazione od omissione dei dati storici è
talmente grossolana da lasciare sbalorditi, specie se operata in ambienti
accademici. È pur vero che già da decenni, anche a casa nostra, si distorce la
realtà storica a favore dei protestanti e a detrimento della Chiesa, ma
quest’opera di volgare mistificazione non aveva ancora raggiunto un tale grado di
aggressività e spudoratezza.
In
realtà abbiamo tutte le ragioni per credere che l’anima di Lutero (e, con ogni
probabilità, quelle di altri “riformatori” come lui) si trovi all’Inferno. A conferma
di ciò, c’è la visione della beata Serafina Micheli;
ma per convincersene – pur riconoscendo che in questo campo non possiamo avere
certezze assolute, prima del giudizio universale – è sufficiente considerare i
tratti salienti della vita dell’eresiarca. Entrato nel convento agostiniano di
Erfurt per sfuggire alla giustizia dopo aver ucciso in duello un compagno d’università,
il giovane Martino perseverò in una vocazione che non aveva, fino ad accedere
al sacerdozio. Questa situazione provocò in lui un terribile conflitto
interiore, alimentato dall’incapacità di osservare la continenza perfetta cui
lo obbligava il suo stato. Dopo ben dodici anni di tormento apparentemente
senza soluzione, il professore di Sacra Scrittura credette un giorno di aver
trovato la via d’uscita.
Un
versetto della Lettera ai Romani, da lui sempre inteso in senso negativo, si
schiuse d’un tratto alla sua mente angustiata. Nel Vangelo si rivela, certo, la
giustizia di Dio, ma non una giustizia che condannerebbe il peccatore senza
appello, bensì quella che rende giusto colui che crede (cf. Rm 1, 17). Come
racconterà egli stesso, in quel momento sentì riaprirsi per sé la porta del
Paradiso. Le conclusioni che trasse da questa inattesa illuminazione, tuttavia,
non potevano venire dallo Spirito Santo, ma da un altro spirito. Ad
un’intuizione fondamentalmente vera (se inserita in un quadro cattolico del
rapporto tra natura e grazia) egli associò infatti una serie di false
convinzioni che minano alla base tutto l’edificio della fede: la negazione del
libero arbitrio, la visione della totale peccaminosità dell’uomo, una
concezione estrinseca della grazia e della giustificazione, il misconoscimento
degli effetti del Battesimo e degli altri Sacramenti… L’uomo giusto rimarrebbe
peccatore, ma agli occhi del Padre sarebbe coperto dai meriti di Cristo. Poiché
bisogna appoggiarsi esclusivamente sulla fede nella grazia divina, le opere
buone risultano non soltanto non necessarie, ma dannose: più l’uomo pecca,
anzi, più sarebbe sommerso dalla misericordia divina. Nulla di più empio… Vi
viene in mente qualcuno?
Ma
com’è possibile che da un punto di partenza giusto Lutero sia sprofondato
nell’errore in modo così vistoso? La risposta è semplice: il demonio è
abilissimo nel fuorviare le menti mescolando qualcosa di vero a un insieme di
menzogne, oppure spingendo a trarre conclusioni errate da premesse inizialmente
valide. Che cosa gli diede tanto agio con il frate agostiniano di Erfurt? Come
egli stesso confesserà, il suo conflitto esistenziale lo aveva portato fino ad
odiare la giustizia di Dio; il terreno per l’azione diabolica era pertanto ben preparato,
visto che a nessuno è lecito odiare un attributo divino (cosa che equivale a
odiare Dio stesso nel Suo modo di essere). Lutero, prima di farsi ingannare,
avrebbe certo avuto la possibilità di convertirsi rinnovando l’adesione al suo
stato di vita, come una vocazione non liberamente abbracciata, ma sempre suscettibile
di essere scelta in modo nuovo, come una forma di espiazione dei propri
peccati. Per fare questo ci sarebbe voluta una buona dose di umiltà; invece
l’orgoglio lo lanciò in un’insensata ribellione contro la Chiesa, ritenuta
responsabile dei suoi problemi. Una parte dei principi tedeschi prese la palla
al balzo per opporsi al papa e all’imperatore… e il caso personale si trasformò
in arma politica ed economica.
Sotto
la spinta della superbia, il ribelle finì col rimettere tutto in discussione
pur di non ammettere i propri errori, di cui lo aveva pur convinto, nel 1518,
il cardinal Caietano nei colloqui di Augusta. Trascinato di male in peggio,
Lutero si abbandonò all’odio, alla volgarità e alla lussuria cercando di
soffocare il lucignolo fumigante della sua coscienza nelle intemperanze e nei
bagordi, finché una notte, vinto dal disgusto di se stesso, decise di farla
finita con un pezzo di corda. Intanto la cristianità occidentale andava in
pezzi, con tutto il corteo di atrocità, distruzioni e violenze che segnarono il
successivo secolo e mezzo. Milioni di fedeli degli Stati protestanti, obbligati
per legge ad accettare l’eresia, furono privati dei mezzi ordinari della
grazia, sebbene si credesse inizialmente di essere in continuità con la Chiesa
delle origini. Intanto le sedicenti “chiese” riformate si frantumavano sempre
di più, perseguitandosi a vicenda in modo efferato… e il diavolo mieteva
soddisfatto la sua messe di dannati.
Si
fermarono qui gli effetti deleteri della rivoluzione protestante? Purtroppo no,
ma per parlare delle sue ulteriori conseguenze bisognerà attendere la prossima
settimana. Per ora ci basti tenere a mente dove conduce la disobbedienza alla
Chiesa e l’ostinato attaccamento al proprio giudizio privato. Ma se oggi sono
proprio le autorità ecclesiastiche ad essersi in buona parte protestantizzate…?
Non facciamoci scrupolo a gridarlo sui tetti, ma rimaniamo dentro la comunione
gerarchica. Se un Pastore non ha più la fede cattolica, è lui a porsi fuori del
Corpo mistico, ma questo non può dichiararlo se non un’istanza superiore.
Perciò rimaniamo liberi, in coscienza, di non ascoltarlo e persino di
resistergli, qualora insegni o comandi cose chiaramente contrarie alla legge
divina; ma non provochiamo deliberate rotture. Il diavolo sa giocare anche
sulle motivazioni più nobili per separare le anime da Cristo opponendole all’unica
Chiesa e soffiando sul fuoco del giusto sdegno per farlo degenerare in aperta
rivolta. Il Cuore immacolato di Maria sia la nostra scuola di umiltà e di
perseveranza, e non correremo questo rischio.
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