“E’ stato accompagnato a morire da Marco Cappato”…Non c’era dubbio, l’ufficio stampa e propaganda dei radicali funziona alla perfezione: caso pietoso trovato, avvisa i media, fornisce i video del moribondo, consegna le cartelline con i comunicati stampa, l’appello a Mattarella, e le parole chiave: “Vergogna”, “Lontano da casa” eccetera che i media ripeteranno.
A metà giornata, “L’annuncio di Cappato dalla Svizzera: “Alle 11,40 se ne è andato con le regole di un Paese che non è il suo” (fosse stato il suo, sarebbe stato meglio?).
“ Domani al mio rientro in Italia andrò ad autodenunciarmi per il reato di aiuto al suicidio” (gli tocca, perché nessuno s’è sognato di arrestarlo alla frontiera).
“ Filomena Gallo, segretario dell’associazione Coscioni: “Rischia 12 anni di carcere” (ma no, ma no: riconosceranno l’alto valore morale del tuo delitto, Cappà, scommettiamo?).
Nel comunicato c’è anche Saviano, il celebre columnist di Repubblica, che si rivolge al dj Fabo: “Per morire con dignità bisogna emigrare. Perdonaci”.
Non usare il plurale, ipocrita: non parli a nome mio, né di chissà quale Italia. Vi siete costruiti tutta questa scena sinistra e letale, ve la cantate e ve la suonate da voi, e si vede troppo che state recitando, col birignao di cattivi attori che simulate dolore, vergogna,, indignazione, coraggio civico (“rischia dodici anni!”, ohi ohi!) e tutto il repertorio già visto e stravisto nelle lugubri battaglie radicali .
Fabo il dj era cieco e quadriplegico. “Sollevato da un inferno di dolore non grazie allo Stato”, gli avete fatto dire , Cappato e l’ufficio propaganda radicale. Che frase assurda e ridicola: lo Stato avrebbe il dovere di suicidarlo? Una frase che puzza di pannelliamo, ed è così falsa adesso, soprattutto per lui.
Temo che nel posto dove sta ora, e sul limitare del quale l’avete accompagnato, Fabo il dj (il dj?) starà molto peggio di quando non ci vedeva ed era paralizzato. E non possiamo nemmeno pregare per lui; chi sta laggiù non vuole, aumenta la sua disperazione… “Lasciatemi libero” dite che abbia detto; e glielo avete fatto credere, che il suicidio sia una liberazione.
Ora è in qualcosa che non può essere descritto. Che antiche parole – carcer, pernicies, exilium – non possono descrivere, perché ciò che laggiù si fa alle anime “avviene senza il controllo della parola, in cantine afone”. Là infatti “tutto finisce, ogni pietà, ogni grazia, ogni riguardo”, e naturalmente ogni parola per dirlo. Ad aggravare la condizione di Fabo c’è però, ne sono certo, la rabbiosa vergogna per come facilmente s’è lasciato giocare da voi, la coscienza di come Cappato l’ha usato per far avanzare una “causa civile” di cui adesso non gli importa più niente, per far varare a un parlamento insignificante, in un paese cui non appartiene più, una legge che non può portare a lui alcuna liberazione né sollievo. Certo aspetta, con rabbia inestinguibile, il momento in cui quelli che lo hanno usato e giocato finiranno lì con lui, e godere dei loro tormenti, in una eterna vendetta. “Da qui la dottrina che i dannati, oltre ai tormenti, hanno anche le beffe e la vergogna, le risa sgangherate e il segnare a dito”, come rivelò Samael al musicista Adrian Leverkuhn nel Doctor Faustus di Thomas Mann .
Ovvio che i cattivi attori di questo teatrino squallido, di cui Fabo il dj è la vittima, non credono a queste cose: fino al giorno in cui ci staranno a capofitto.
Povero Fabo. A quarant’anni disk jockey, uno che cambia i cd nelle discoteche, sai che realizzazione; poi l’atroce incidente, ed ora il buio e la vergogna. E l’essere stato ingannato, ed aver perso l’occasione centrale, di dare alla sua vita il significato eroico, di accettazione, espiazione e intercessione. La vittoria e la gloria a cui ciascuno di noi è chiamato.
Ovviamente, non fu una sua colpa personale, è l’inganno dell’epoca . E’ il silenzio di coloro che potevano e dovevano parlargli dell’altra via, del compito, della gloria e della vittoria che poteva afferrare. Vedo adesso che il Corriere ha, a commento di questa orribile sceneggiata, un’intervistina a monsignor Paglia, grande amico ed esaltato di Pannella: non ha una sola parola giusta, una parola da prete; parla di “una società che si rassegna all’impotenza”, non dice una parola di spaventato orrore per un’anima che si è perduta eternamente. Non stupisce che “Francesco” l’abbia messo a capo della Pontificia Accademia per la Vita: monsignor Paglia è quello che ha esaltato “la spiritualità” di Marco Pannella; per lui “una grande perdita per questo nostro paese, un uomo spirituale che ha combattuto e sperato contro ogni speranza, come dice San Paolo”, uno che “ha speso la vita per gli ultimi, uno che «rimproverava noi cattolici perché lasciamo da parte il Vangelo». Ebbene,
Questa è la “spiritualità” di Marco Pannella in atto. Grazie all’uso che hanno fatto di “Fabo”, ci sarà una legge che ‘consentirà’ il suicidio assistito, e presto quindi esso farà “offerto” a vecchi malati e soli troppo gravosi da mantenere. Per ciascuno di noi sarà una nuova tentazione, l’ultima e tremenda: perché soffrire? La ASL le passa la sedazione…E il vescovo Paglia non troverà la parola giusta, perché l’ha persa. Dirige la Pontificia Accademia per la Morte.
- * * *
Mentre finisco di scrivere, ricevo l’immagine di Maria. E’ la moglie dell’amico Luciano, “passata oltre” qualche giorno fa, dopo anni di sofferenza e mutilazioni chirurgiche per il cancro alla mascella. Nella foto è bellissima. Lui l’ha curata fino all’ultimo. Lei si preoccupava di lasciarlo solo: “Trent’anni insieme, e adesso come farai?”. Si preoccupava anche per se stessa: trent’anni con lui, e adesso come farò?
Dietro la piccola immagine, leggo:
“Se mi ami non piangere! Se conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se potessi vedere quello che io sento e vedo, e questa luce che tutto investe penetra, non piangeresti se mi ami!
…”Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era così fugace e limitato! Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi: tu pensami così, nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore. Non piangere se veramente mi ami!”.
So che quelle sono sue vere parole. So che Maria ha corso bene la gara, con coraggio, la sua vita di moglie, di mamma e di lavoratrice è stata piena di significato, ed ora è nella gloria e nella vittoria.
Dj Fabo: eutanasia e fuoco di paglia.
di Bellarminus
Alla fine Fabiano Antoniani, alias Dj Fabo, è deceduto, così come voleva, in una clinica in Svizzera accompagnato nel viaggio della morte dal radicale Marco Cappato. Il tragico epilogo è stato accompagnato, nei mesi precedenti, da una vera e propria campagna mediatica volta a compulsare un’opinione pubblica, quale quella italiana, già ampiamente assuefatta alle dottrine liberal. Non deve stupire infatti che tutti i mezzi di informazione stiano in queste ore premendo in favore di una legge dello Stato che disciplini il “fine vita”.
Basta, in particolare, dare uno sguardo a ciò che viene condiviso sui social per rendersi conto che gli italiani sono oramai completamente scristianizzati. L’eutanasia è stata, di fatto, sdoganata e, pur non essendo (ancora) legalizzata, sembra essere data come acquisita all’interno del pensiero comune. Il messaggio è chiaro: bisogna poter decidere della propria vita e lo Stato deve assecondare i desiderata dei sudditi.
Ovviamente tutto ciò è figlio del liberalismo ideologico, giacché eleva l’uomo a giudice di se stesso e del proprio destino senza alcun limite, e del positivismo giuridico, che disconosce ogni riferimento a valori pre-giuridici e incardinati nel cuore di ogni uomo di buona volontà.
Le campagne mediatiche di questi giorni non sono affatto nuove giacché, all’indomani della morte di Eluana Englaro, avvenuta nel 2009, partirono iniziative legislative in materia che però non trovarono, in quel particolare momento storico, terreno fertile. Peraltro la stessa Corte di Cassazione in quella circostanza diede il via libera alle DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento) in maniera surrettizia attraverso l’istituto civilistico dell’amministrazione di sostegno, nato in realtà per offrire tutele a persone affette da disabilità.
Non vorremmo essere profeti di sventure, ma la sensazione è che, a breve, anche l’eutanasia sarà legalizzata. Ovviamente si tratterà di un intervento legislativo subdolo, come avvenne con la legge 194 che, ad oggi, ha provocato quasi sei milioni di vittime. Si dirà infatti con si tuteleranno le persone più deboli. Insomma, si proteggeranno i disabili sopprimendoli (sic!).
Se tutto ciò è stato possibile, se cioè l’ideologia della morte ha potuto radicarsi agevolmente nella società e nell’ordinamento giuridico italiano, è dipeso principalmente del nuovo corso adottato dalla Chiesa conciliare. Non è un caso infatti che tutte le leggi anti-cristiane che sono state introdotte in Italia hanno avuto come interlocutore il clero modernista, che si è piegato in nome del dialogo e dei “rapporti di buon vicinato”. Basti solo ricordare che pochi giorni fa, in merito alla scelta della Regione Lazio di indire un bando di concorso per soli medici non obiettori all’ospedale San Camillo a Roma, la CEI abbia dichiarato che si tratta di una “errata applicazione” della legge 194. Parole che ci lasciano sgomenti.
Mons. Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia e uomo fidato del pontefice argentino, ha dichiarato che “bisogna interrogarsi” su questa vicenda. Dovremmo sommessamente ricordare a mons. Paglia che non è il tempo delle domande, perché l’eutanasia viola esplicitamente il V Comandamento, così come ribadito dal Magistero della Chiesa, ed apre le porte alla dannazione eterna. Ovviamente non ci permettiamo di giudicare l’anima dell’Antoniani e, anzi, preghiamo affinché Dio abbia avuto misericordia, ma certamente non possiamo nascondere le Verità della Fede cattolica. Bisognerebbe che le gerarchie ricordassero ai fedeli che le sofferenze fisiche hanno termine, quelle dell’Inferno no. Parole che possono sembrare dure – e in effetti lo sono – ma la Salvezza dell’anima è una cosa così seria e non può lasciarci indifferenti e – Dio non voglia! – complici.
Mons. Paglia parla di “sconfitta per tutti”: ha ragione, ma ad uscirne sconfitta è proprio quella linea conciliare che ha portato alla devastazione della morale dell’Occidente. Una gerarchia che rinuncia a convertire e che pretende di scendere a patti con il nemico è destinata a fallire miseramente. E i fatti ci danno amaramente ragione.
Nell’odierno dibattito, anche tra le fila vaticane, manca ogni riferimento a Dio, Bene supremo verso Cui ogni uomo deve tendere. L’Antoniani ha scelto l’eutanasia perché non gli è stata presentata la dimensione salvifica della sofferenza. Senza la Croce di Cristo tutto perde di consistenza, tutto diventa effimero e inutile, anche la stessa vita quando essa non ci aggrada più. La stessa Santa Messa cattolica è il Sacrificio di Cristo che sceglie la via della Passione per il salvezza dell’uomo.
Sembrano frasi scontate per un cattolico, eppure nulla di tutto ciò emerge dalle parole di mons. Paglia che usa il politically correct quando parla di “cultura dello scarto”, ricalcando il leitmotiv del pontefice, specialmente in funzione immigrazionista, terzomondista e pauperista. Il nostro auspicio è che si getti via questa retorica del compromesso ideologico assieme agli errori che ammorbano la Chiesa da decenni e si ritorni a dire la Verità. La paglia vicino al fuoco, si sa, brucia e l’Inferno è un luogo assai caldo.
Fabo, un omicidio politico: così l'uomo viene sacrificato sull'altare di un'utopistica vita perfetta
Fabiano è stato ucciso da una coscienza occidentale che
vuole sostituirsi al Creatore e grazie ai Radicali che spingono per
l'approvazione delle Dat. Sacrificato sull'altare di un'utopistica vita
perfetta, senza il male, una vita che pretende di misurarsi e non di essere
misurata dall'amore di cui è portatrice. E che chiude gli occhi di fronte a
chi, malato come "Fabo", lo ha scongiurato di rifiutare questo
tranello diabolico perché il mondo "ha bisogno di noi, perché noi siamo il
cambiamento che serve al mondo".
-UN COPIONE RADICALE PER UN FILM GIA' VISTO di Tommaso Scandroglio
Fabiano, noto come dj Fabo, volto della campagna pro eutanasia dell'associazione Luca Coscioni, è stato ucciso ieri in una clinica svizzera dell'eutanasia. Ad accompagnarlo è stato il politico radicale Marco Cappato che ne ha dato notizia via Twitter.
C’è qualcosa di profondamente diabolico nella spettacolarizzazione della soppressione di un disabile che ha preteso di essere eliminato in mondovisione per dire che lo Stato dovrebbe uccidere le persone che, come lui, non sopportano di vivere diversamente da come vogliono. C’è qualcosa di malefico perché, se questa è l’ottica, che differenza c’è fra l’autodeterminazione di chi vuole essere ammazzato perché inchiodato ad un letto e perché “una vita così non la accetto” e un altro che magari non sopporta di essere basso o grasso o irascibile? Attenzione, perché teoricamente non ce n’è alcuna. E si sa che dalla teoria basta una legge per passare alla pratica.
Si potrebbe dire: “Mettiamo dei limiti, permettiamo l’eutanasia solo in certi casi estremamente drammatici, come quello di dj Fabo”. Sono questi i discorsi che riempivano ieri i media a proposito del ddl sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento mentre, guarda caso proprio i Radicali, annunciavano l’omicidio di Fabiano, da loro inviato in una clinica della “dolce morte” svizzera, dove per quasi 20 mila euro è stato avvelenato con soluzioni che costerebbero pochi euro. Ma chi determina qual è il limite e che cosa sia drammatico e cosa no?
Basti pensare che in Olanda e Belgio si cominciò a permettere il suicidio assistito e l’eutanasia solo per i malati in fin di vita, mentre ora in questi Stati vengono soppressi perfino i bambini, i depressi o gli anziani in salute. Infatti, quando si sceglie di fondare una legge sull’autodeterminazione, e non sull’oggettività di un bene e un male iscritti nel cuore umano e nella legge naturale, di fatto si consegna la propria vita in mano al potere che determina (a seconda dei propri scopi) cosa sia degno o meno di esistere, inculcando nelle nostre teste l’odio per ciò che la mondanità non tollera: la nostra debolezza e quella di chi ci circonda, promemoria del fatto che siamo esseri amati non perché perfetti, ma perché creati. Amati nonostante i nostri limiti. Anzi compatiti da Dio con trasporto e commozione proprio perché fragili, peccatori e bisognosi.
Basti pensare che in Olanda e Belgio si cominciò a permettere il suicidio assistito e l’eutanasia solo per i malati in fin di vita, mentre ora in questi Stati vengono soppressi perfino i bambini, i depressi o gli anziani in salute. Infatti, quando si sceglie di fondare una legge sull’autodeterminazione, e non sull’oggettività di un bene e un male iscritti nel cuore umano e nella legge naturale, di fatto si consegna la propria vita in mano al potere che determina (a seconda dei propri scopi) cosa sia degno o meno di esistere, inculcando nelle nostre teste l’odio per ciò che la mondanità non tollera: la nostra debolezza e quella di chi ci circonda, promemoria del fatto che siamo esseri amati non perché perfetti, ma perché creati. Amati nonostante i nostri limiti. Anzi compatiti da Dio con trasporto e commozione proprio perché fragili, peccatori e bisognosi.
E’ questo il malanno da cui siamo più o meno afflitti da quando la modernità ha rifiutato Dio: vediamo il male in noi e intorno a noi e siccome desideriamo il paradiso, invece che cercare la salvezza nel Creatore, proviamo orgogliosamente a produrla con i soli nostri sforzi qui in terra. Ma, poi, siccome il male è ineliminabile diventiamo violenti contro noi stessi e il mondo. Esattamente come Hitler, Stalin o i vari Cappato. Non a caso l’estremo di questa posizione che tenta da sempre l’uomo, sono le ideologie dei gulag, dei lager e oggi dell’eutanasia, dell’aborto, dell’anoressia, della chirurgia estetica, della fecondazione in provetta, dell’eliminazione del sesso di nascita. Artifici della perfezione impossibile, che non fanno che incrementare la disperazione dipinta sui volti dei cittadini occidentali, usati spesso inconsapevolmente come mezzi per un fine preciso: distruggere le creature di Dio.
Poche ore prima di morire Dj Fabo ha lasciato un messaggio inquietante, dove con una voce che pareva già venire dall’oltretomba, ringraziava Marco Cappato di avergli pagato la morte assistita, senza rendersi conto (o forse sì?) che i Radicali lo hanno strumentalizzato per un fine politico. Sì, lo hanno sacrificato sull’altare della modernità che non sopporta la miseria, la malattia, la povertà. Tutte cose che ricordano anche a Cappato la verità: può così ribellarsi ma non sarà mai Dio e anche se lo rifiutasse fino alla morte non ne avrà scampo, perché anche all’inferno non si può scappare dalla sua paternità innamorata della nostra debolezza. Si può bestemmiarla come fa il Capaneo dantesco, ma resta un dato ineliminabile, per l’eternità.
Questa tentazione, però, non è solo degli atei, che spesso sanno invece dipendere dal mistero lasciandosi amare dai propri cari, ma anche dei “credenti” che invitano a “costruire un mondo migliore”, magari invocando lo spirito di Pannella (come ha fatto recentemente monsignor Vincenzo Paglia, capo della Pontificia accademia per la vita) invece di richiamare al fatto che la felicità piena sarà solo in Paradiso e che per salvarci abbiamo bisogno unicamente di uno Spirito e della Sua Croce, quelli di Gesù. Non certo dei Radicali che per eliminare i problemi e i limiti eliminano gli uomini.
Questa tentazione, però, non è solo degli atei, che spesso sanno invece dipendere dal mistero lasciandosi amare dai propri cari, ma anche dei “credenti” che invitano a “costruire un mondo migliore”, magari invocando lo spirito di Pannella (come ha fatto recentemente monsignor Vincenzo Paglia, capo della Pontificia accademia per la vita) invece di richiamare al fatto che la felicità piena sarà solo in Paradiso e che per salvarci abbiamo bisogno unicamente di uno Spirito e della Sua Croce, quelli di Gesù. Non certo dei Radicali che per eliminare i problemi e i limiti eliminano gli uomini.
Ci sono diverse persone, malate da anni o che da tempo si fanno carico di parenti in situazioni difficilissime, che nei giorni scorsi avrebbero voluto gridare a Fabiano che la vita vale la pena. Ma la stampa non gli ha dato la risonanza riservata all’ex dj. Fra tutti è impressionante la storia di un giovane in condizioni terribili che urla il suo amore per l’esistenza. Questa gente non colpisce solo perché dimostra che esiste chi la pensa diversamente (cosa che non disturba affatto i radicali o la Lega di Salvini che riducono certe testimonianze a una fra le tante scelte), ma perché rivela che la posizione vera è solo una.
Matteo Nassigh è un diciannovenne milanese che nei giorni scorsi ha provato a spiegare a dj Fabo: “Se usi quelle dei Radicali noi siamo dei poverini, se scopri categorie che prevedono la libertà di essere diversi noi siamo la massima espressione della libertà”. Libertà? Matteo è fermo su una carrozzina e dalla nascita non è in grado di fare nulla da solo, tanto che pareva privo di coscienza. Invece, rinchiuso in quel corpo deforme c’è un’intelligenza, scoperta dagli occhi amorevoli di alcuni medici e della sua famiglia, che hanno liberato la sua mente attraverso un sistema di scrittura con cui comunica aiutato dalla madre. Matteo continua così: “E’ vero, noi non possiamo fare niente da soli”, ma “Fabo noi siamo il cambiamento che il mondo chiede per evolvere”. E’ proprio così, quanto bisogno hanno le persone di non essere misurate “per ciò che fanno”, se no “è ovvio che uno come me o dj Fabo vuole solo morire”.
E’ questo il pericolo di una legge, come quella sulle Dat, che legalizzerebbe l’autodeterminazione diffondendo lo sguardo nazista descritto da Matteo. Il giovane ha quindi incalzato parlando di ciò che serve al mondo per guarire da questa ferocia autolesionista: “Se avesse (dj Fabo, ndr) attorno a sé tutto l’amore che ho io, non cadrebbe nella trappola di misurarsi sulla perfezione fisica”, ossia sui criteri mondani, “ma sulla sua anima intatta”, come hanno fatto i suoi genitori che sono “stati capaci di guardare oltre”. Chi non vorrebbe essere amato così? Scoprendo che quello che non sopporta di sé, in realtà serve a conoscere l’abbraccio di Qualcuno che vinca il suo limite? Qualcuno che non ci vuole perfetti o diversi ma che chiede solo di permettergli di amarci così, miseri come siamo? Ogni uomo è creato per scoprire, come Matteo, che questo Qualcuno esiste, venendo a dirci che “ciascuno di noi è un prodigio di bellezza”. Lui lo ha capito grazie a mamma e papà, riflesso di un bene più grande e motivo per cui “il mio rapporto con Dio è costante”.
Tutti, appunto, siamo fatti per questo amore, anche se, come Lucifero, possiamo scegliere di voler essere il Dio di noi stessi facendoci del male. Insomma, finché vivremo, saremo continuamente messi di fronte all’alternativa posta da Matteo e dj Fabo, rappresentata dall’umiltà della Madonna, che accetta di essere un nulla innalzato da Dio, e la ribellione del diavolo, che lo fa sprofondare nell’inferno. Ma in Italia sta accadendo di più: quando questa ribellione non è più opzione del singolo ma viene eretta a valore e norma di uno società, e quindi della cultura di un popolo, si sta consegnado di fatto il proprio Paese al più grande nemico dell’uomo. E’ istituire l’inferno quaggiù mentre ci si illude di poter costruire paradisi artificiali, dove insieme alla debolezza faremo scomparire anche la carità che le si accompagna. Quella di cui oggi avremmo più che mai bisogno per risorgere da una crisi senza pari.
28-02-2017
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-fabo-un-omicidio-politico-cosi-l-uomo-vienesacrificato-sull-altare-di-un-utopistica-vita-perfetta-19087.htm
Dj Fabo, la morte e quello che ci nascondono
di Giuliano Guzzo
La morte di Fabiano Antoniani, 40 anni compiuti il 9 febbraio scorso, il dj rimasto cieco e tetraplegico dal 2014, in seguito ad un incidente stradale – e recatosi in Svizzera per porre fine a quella che considerava «una lunga notte senza fine» – è al centro, come prevedibile, di un dibattito inteso, senza dubbio appassionato, ma estremamente disonesto, nel quale le imprecisioni abbondano a tutto vantaggio di una lettura emotiva e non ragionata dei fatti. Per cercare di rimettere ordine, ritengo opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali, al di là dei quali l’intera vicenda continuerà ad essere equivocata. Anzitutto, c’è da dire che Dj Fabo non era un paziente terminale dilaniato dalle sofferenze fisiche. Era, certo, una persona colpita da una condizione molto grave e senza, sulla base delle conoscenze attuali, concreta prospettiva di ripresa, ma non stava morendo. Versava cioè in una situazione serissima, ma la malattia e l’accanimento terapeutico – che si concreta nella somministrazione di cure inutili, sproporzionate o addirittura controproducenti per la salute di un paziente – non c’entravano affatto col suo stato. Sostenere il contrario, molto semplicemente, significa ignorare i contorni dell’intera vicenda.
Una vicenda – secondo aspetto da considerare – che non si è conclusa con un’eutanasia ma, più precisamente, con un suicidio assistito. L’eutanasia propriamente detta, infatti, è legale solo nei tre paesi del Benelux (Paesi Bassi, Belgio e Lussembugo), mentre Dj Fabo era stato accolto per morire nella clinica Dignitas di Forck, ad una decina di chilometri da Zurigo, poiché in Svizzera il suicidio assistito è legale. Come mai i media, da bravi, preferiscono parlare di eutanasia? La risposta è semplice: perché sono molti più gli italiani favorevoli all’eutanasia che al suicidio assistito. E chi vuole condizionare l’opinione pubblica, lo sa benissimo.
Un terzo aspetto da considerare è strettamente procedurale. Dignitas stessa, infatti, tiene a precisare che «per ogni singolo caso, un viaggio di questo genere, il colloquio con un medico, la redazione di una ricetta e il suicidio assistito è preceduto da un iter che normalmente richiede fino a tre mesi, ma che può durare anche più a lungo. Solo dopo questa procedura preparatoria, entro tre o quattro settimane, potrà aver luogo il suicidio assistito» (Come funziona Dignitas, p.4). Ora, come sappiamo Dj Fabo è morto ieri, lunedì 27 febbraio. Ecco, anche se molti non lo fanno osservare, non si tratta di una data casuale. Per un motivo semplice: è lo stesso giorno in cui era stato calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati, l’inizio della discussione del disegno di legge sulle direttive anticipate e sul consenso informato. Ora, possibile che una morte che richiede – secondo Dignitas – un iter di diverse settimane, sia avvenuta proprio in questa data, o forse tutto ciò risponde ad un disegno politico? Pare il caso di chiederselo. Di certo la tempistica, come si è visto, dà da pensare. Inclusa quella di diffusione della notizia. A chi non l’avesse notato, infatti, ricordiamo che dj Fabo è morto alle 11:40, neppure dieci minuti dopo – alle 11:48 – Marco Cappato, che lo aveva accompagnato in Svizzera, ha twittato “la notizia”, che alle 11.55 era già il titolo di apertura di tutte le grandi testate nonché quella di tutti i telegiornali. Nessun complottismo, sia chiaro, ma se qualcuno avesse cinicamente pianificato a tavolino il tutto, per dare una eco mediatica massima a questo fatto, non avrebbe potuto fare di meglio.
A questo punto, uno potrebbe intelligentemente obiettare che si sta parlando di una morte per suicidio assistito, mentre il Parlamento si sta occupando di biotestamento. Ebbene, questo qualcuno coglierebbe nel segno nell’evidenziare che o le due cose – il suicidio assistito di Fabo e il testamento biologico – sono disgiunte, oppure strettamente connesse pur sembrando distinte. L’ipotesi corretta è la seconda. Infatti, anche se formalmente il suicidio assistito in Italia è punito (smettiamola, per piacere, di mentire dicendo che in Italia una legge non c’è: esiste eccome, e sanziona quello che correttamente definisce omicidio del consenziente), introducendo il biotestamento, apripista dell’eutanasia omissiva, si mira a renderlo presto legale, magari grazie a qualche sentenza “creativa” della magistratura. Morale della favola, al di là del dolore per la morte del quarantenne italiano, quella che resta è la sensazione d’aver assistito ad un macabro teatrino allestito per condizionare l’opinione pubblica. Nascondendo alla gente molte curiose coincidenze così come il fatto che laddove si riconosce il diritto a morire, la morte si fa cultura e porta oltre l’immaginabile. Cito due esempi soltanto. Il primo è quello dell’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998, il tasso di suicidi nella popolazione generale è del 49% più elevato rispetto alla media nazionale; la stessa Svizzera ha un tasso di suicidio circa doppio a quello italiano. Il suicidio assistito può favorire una tendenza al suicidio? Così sembrerebbe, ma non ve lo raccontano: i dubbi seri, a chi fa propaganda, non interessano. Secondo esempio per riflettere. E’ la storia di Anne, un’insegnante britannica recatasi pure lei nella clinica Svizzera Dignitas per ottenere il suicidio assistito. Il motivo? Non riusciva ad adattarsi alle tecnologie e ai tempi moderni, ai computer e alle e-mail, e anche al consumismo e ai fast food. Perciò ha chiesto di morire ed è stata accontentata: ne parlava Repubblica il 7 aprile 2014. Non è una bufala. Le bufale le raccontano i promotori della cosiddetta autodeterminazione assoluta, che da una parte allestiscono teatrini di morte, e dall’altra ci fanno credere che la contrarietà al suicidio sia un valore cattolico, quando basterebbe leggersi Immanuel Kant: «Chi si toglie la vita […] si priva della sua persona. Ciò è contrario al più alto dei doveri verso se stessi, perché viene soppressa la condizione di tutti gli altri doveri» (Lezioni di etica, Laterza, Bari, 2004, pp. 170-171). Che dire? Mentono, mentono sempre. Ed hanno i media dalla loro. Ma non il buon senso, che rimane esclusiva degli apoti, quelli che non la bevono.
https://giulianoguzzo.com/2017/02/28/dj-fabo-la-morte-e-quello-che-ci-nascondono/
La morte di Fabiano Antoniani, 40 anni compiuti il 9 febbraio scorso, il dj rimasto cieco e tetraplegico dal 2014, in seguito ad un incidente stradale – e recatosi in Svizzera per porre fine a quella che considerava «una lunga notte senza fine» – è al centro, come prevedibile, di un dibattito inteso, senza dubbio appassionato, ma estremamente disonesto, nel quale le imprecisioni abbondano a tutto vantaggio di una lettura emotiva e non ragionata dei fatti. Per cercare di rimettere ordine, ritengo opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali, al di là dei quali l’intera vicenda continuerà ad essere equivocata. Anzitutto, c’è da dire che Dj Fabo non era un paziente terminale dilaniato dalle sofferenze fisiche. Era, certo, una persona colpita da una condizione molto grave e senza, sulla base delle conoscenze attuali, concreta prospettiva di ripresa, ma non stava morendo. Versava cioè in una situazione serissima, ma la malattia e l’accanimento terapeutico – che si concreta nella somministrazione di cure inutili, sproporzionate o addirittura controproducenti per la salute di un paziente – non c’entravano affatto col suo stato. Sostenere il contrario, molto semplicemente, significa ignorare i contorni dell’intera vicenda.
Una vicenda – secondo aspetto da considerare – che non si è conclusa con un’eutanasia ma, più precisamente, con un suicidio assistito. L’eutanasia propriamente detta, infatti, è legale solo nei tre paesi del Benelux (Paesi Bassi, Belgio e Lussembugo), mentre Dj Fabo era stato accolto per morire nella clinica Dignitas di Forck, ad una decina di chilometri da Zurigo, poiché in Svizzera il suicidio assistito è legale. Come mai i media, da bravi, preferiscono parlare di eutanasia? La risposta è semplice: perché sono molti più gli italiani favorevoli all’eutanasia che al suicidio assistito. E chi vuole condizionare l’opinione pubblica, lo sa benissimo.
Un terzo aspetto da considerare è strettamente procedurale. Dignitas stessa, infatti, tiene a precisare che «per ogni singolo caso, un viaggio di questo genere, il colloquio con un medico, la redazione di una ricetta e il suicidio assistito è preceduto da un iter che normalmente richiede fino a tre mesi, ma che può durare anche più a lungo. Solo dopo questa procedura preparatoria, entro tre o quattro settimane, potrà aver luogo il suicidio assistito» (Come funziona Dignitas, p.4). Ora, come sappiamo Dj Fabo è morto ieri, lunedì 27 febbraio. Ecco, anche se molti non lo fanno osservare, non si tratta di una data casuale. Per un motivo semplice: è lo stesso giorno in cui era stato calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati, l’inizio della discussione del disegno di legge sulle direttive anticipate e sul consenso informato. Ora, possibile che una morte che richiede – secondo Dignitas – un iter di diverse settimane, sia avvenuta proprio in questa data, o forse tutto ciò risponde ad un disegno politico? Pare il caso di chiederselo. Di certo la tempistica, come si è visto, dà da pensare. Inclusa quella di diffusione della notizia. A chi non l’avesse notato, infatti, ricordiamo che dj Fabo è morto alle 11:40, neppure dieci minuti dopo – alle 11:48 – Marco Cappato, che lo aveva accompagnato in Svizzera, ha twittato “la notizia”, che alle 11.55 era già il titolo di apertura di tutte le grandi testate nonché quella di tutti i telegiornali. Nessun complottismo, sia chiaro, ma se qualcuno avesse cinicamente pianificato a tavolino il tutto, per dare una eco mediatica massima a questo fatto, non avrebbe potuto fare di meglio.
A questo punto, uno potrebbe intelligentemente obiettare che si sta parlando di una morte per suicidio assistito, mentre il Parlamento si sta occupando di biotestamento. Ebbene, questo qualcuno coglierebbe nel segno nell’evidenziare che o le due cose – il suicidio assistito di Fabo e il testamento biologico – sono disgiunte, oppure strettamente connesse pur sembrando distinte. L’ipotesi corretta è la seconda. Infatti, anche se formalmente il suicidio assistito in Italia è punito (smettiamola, per piacere, di mentire dicendo che in Italia una legge non c’è: esiste eccome, e sanziona quello che correttamente definisce omicidio del consenziente), introducendo il biotestamento, apripista dell’eutanasia omissiva, si mira a renderlo presto legale, magari grazie a qualche sentenza “creativa” della magistratura. Morale della favola, al di là del dolore per la morte del quarantenne italiano, quella che resta è la sensazione d’aver assistito ad un macabro teatrino allestito per condizionare l’opinione pubblica. Nascondendo alla gente molte curiose coincidenze così come il fatto che laddove si riconosce il diritto a morire, la morte si fa cultura e porta oltre l’immaginabile. Cito due esempi soltanto. Il primo è quello dell’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998, il tasso di suicidi nella popolazione generale è del 49% più elevato rispetto alla media nazionale; la stessa Svizzera ha un tasso di suicidio circa doppio a quello italiano. Il suicidio assistito può favorire una tendenza al suicidio? Così sembrerebbe, ma non ve lo raccontano: i dubbi seri, a chi fa propaganda, non interessano. Secondo esempio per riflettere. E’ la storia di Anne, un’insegnante britannica recatasi pure lei nella clinica Svizzera Dignitas per ottenere il suicidio assistito. Il motivo? Non riusciva ad adattarsi alle tecnologie e ai tempi moderni, ai computer e alle e-mail, e anche al consumismo e ai fast food. Perciò ha chiesto di morire ed è stata accontentata: ne parlava Repubblica il 7 aprile 2014. Non è una bufala. Le bufale le raccontano i promotori della cosiddetta autodeterminazione assoluta, che da una parte allestiscono teatrini di morte, e dall’altra ci fanno credere che la contrarietà al suicidio sia un valore cattolico, quando basterebbe leggersi Immanuel Kant: «Chi si toglie la vita […] si priva della sua persona. Ciò è contrario al più alto dei doveri verso se stessi, perché viene soppressa la condizione di tutti gli altri doveri» (Lezioni di etica, Laterza, Bari, 2004, pp. 170-171). Che dire? Mentono, mentono sempre. Ed hanno i media dalla loro. Ma non il buon senso, che rimane esclusiva degli apoti, quelli che non la bevono.
https://giulianoguzzo.com/2017/02/28/dj-fabo-la-morte-e-quello-che-ci-nascondono/
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