Un uomo solo al comando, tra gli
applausi della folla
Popolarità e solitudine sono le due facce dell'attuale pontificato, solo in apparenza contraddittorie.
Un'ennesima prova della popolarità di papa Francesco è stata il 17 febbraio la sua visita all'università di Roma Tre, nel tripudio di insegnanti e studenti (vedi foto), spettacolare rivincita sulla messa al bando che nel 2008 impedì a Benedetto XVI di entrare e parlare nell'altra università di Roma, la più nobile e antica, quella della Sapienza, perché colpevole di voler introdurre Dio e la fede nel tempio inviolabile della dea ragione.
A Roma Tre Francesco ha parlato eccome, a braccio, interrotto da decine di applausi. Ha parlato di dialogo e di multiculture, di migrazioni e di disoccupazione giovanile, con quello che secondo lui ne deriva: "Dicono che le vere statistiche dei suicidi giovanili non sono pubblicate; si pubblica qualcosa, ma le vere statistiche no".
Ma in 45 minuti di discorso neppure una volta ha pronunciato le parole Dio, Gesù, Chiesa, fede, cristianesimo.
Ma la sua, appunto, è la popolarità di un papa che si isola dalle istituzioni per poterle meglio contestare, a furor di popolo. Non è per caso che egli elogia il populismo latinoamericano, come ha fatto in una recente intervista a "El País", lui che da giovane fu peronista.
In Vaticano ha preso alloggio a Casa Santa Marta, che è un albergo, proprio per astrarsi il più possibile da quella curia che non ha mai amato e che ha pochissima voglia di riformare organicamente.
I suoi collaboratori più stretti preferisce sceglierseli da sé. E uno l'ha preso dall'università cattolica di Buenos Aires: Víctor Manuel Fernández, il suo teologo prediletto. Un altro dalla "Civiltà Cattolica": il confratello gesuita Antonio Spadaro. Per non dire dei monsignori Konrad Krajewski, Fabián Pedacchio Leaniz, Battista Ricca, Marcelo Sánchez Sorondo: il primo suo "elemosiniere" e il secondo suo segretario personale.
Ciascuno però impegnato solo in uno spicchio della mole di attività del papa e nessuno in grado di conoscerne l'insieme. Jorge Mario Bergoglio ha sempre tenuto una propria agenda personale che solo lui compila e consulta.
Quando funziona, la curia non ostacola i papi, li aiuta. Ne tempera i poteri assoluti con un "check and balance" che un po' somiglia a quello delle moderne democrazie.
La congregazione per la dottrina della fede, in particolare, dovrebbe garantire che siano inappuntabili tutti gli atti di magistero, previamente controllati parola per parola. Era quello che avveniva tra Giovanni Paolo II e l'allora prefetto della congregazione Joseph Ratzinger.
Ma con Francesco questo equilibrio è saltato.
Il papa attuale accantona sempre più spesso i discorsi scritti e preferisce improvvisare. E quando ha da scrivere un'enciclica o un'esortazione fa anche qui di testa sua, con l'aiuto dei suoi ghostwriter Fernández e Spadaro, montando a suo piacimento i materiali che gli sono messi a disposizione.
Poi invia, come di routine, la bozza del documento alla congregazione per la dottrina della fede e questa gliela rimanda con decine o talvolta centinaia di annotazioni. Ma lui sistematicamente le ignora.
È avvenuto così per "Evangelii gaudium", il documento programmatico del pontificato, e per "Amoris laetitia", l'esortazione su matrimonio e divorzio che sta dividendo la Chiesa per le opposte interpretazioni a cui dà adito.
Si è poi scoperto che interi paragrafi di "Amoris laetitia" erano copiati da articoli di dieci e vent'anni fa di Fernández. Al quale Francesco non ha minimamente revocato la fiducia.
Anzi. È proprio Fernández il critico più feroce del cardinale Gerhard L. Müller, l'ormai inutile prefetto della congregazione per la dottrina della fede, al quale imputa l'inaudita pretesa di voler "controllare" la teologia del papa.
La Chiesa di Gesù trasformata nella Società del Carnevale.
RispondiEliminaE che gli universitari di Roma abbiano più volte applaudito le analisi (?) di questo papa la dice lunga sulla qualità della formazione allo spirito critico che essi hanno ricevuto in ateneo.
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