Questa considerazione ci è rampollata nella mente allorquando abbiam fatto debita lettura di un liquido, confuso articolo redatto dalla nota Costanza Miriano (La Verità, 18 febbraio 2017) in cui la stessa tratta del clima brumoso e plumbeo che aleggia sulla nota e nefasta esortazione papale “Amoris Laetitia”, in particolar modo sull’esegesi che il cardinal Coccopalmerio ne ha tratto con un suo fresco libello.
Liquido, dicevamo, e confuso perché, data e concessa la sana intenzione di lumeggiare le zone buie del documento pontificio, l’autrice manifesta un senso di preoccupazione per quanto dirà in contraddittorio, quasi dolendosi e schermendosi di tanta audacia e, perciò, lasciandosi andare ad affermazioni che la classificano, a parer nostro, “tra color che son sospesi” (Inf. II, 52) pencolanti tra la Tradizione e il culturame modernista postconciliare.
Cosa che si avverte laddove ella, nel fare ricognizione dei luoghi sospetti (ad es. il perdono a prescindere), tenta di farla accettare ai destinatarî – il Papa e i lettori – e nel contempo concedendo allo spirito vaticansecondista e bergogliano il proprio ossequio, quasi a pareggiare la partita. Insomma: ti mostro l’errore, mi scuso per avertelo indicato, ma sono d’accordo con te.
Vediamo allora i momenti topici di questo incidentato rally apologetico:
Prima sbandata: la Miriano, onde non destar sospetto di presunzione dottrinaria, esordisce scrivendo di provare “sollievo per non essere un vescovo o un sacerdote, chiamato a misurarsi concretamente con quel testo, come ha provato a fare per ultimo il cardinale Francesco Coccopalmerio, pubblicando un libretto sul controverso capitolo VIII. Non mi aggiungerò io, che non ho alcun titolo per commentare le parole del Papa”.
Ma è una cautela che si smorza sùbito, una ingenua reticenza, dacché il seguito è, invece, la dimostrazione che l’autrice, timidamente peraltro, si aggiunge ai tanti che sono intervenuti sul tema. E sbanda, perché questa sua affermazione è un fuori strada. Il Dottore Angelico, infatti, afferma il diritto/dovere del suddito alla correzione del superiore (S. Th. II/II, q. 33, a. 4, respondeo) così come il CDC (can. n. 212, § 3) che concede al fedele di poter esporre punti di vista e correttivi a determinati periclitanti ed erronei pronunciamenti del Magistero alla condizione che chi interviene sia in possesso di congrua scienza e adotti un linguaggio pertinente e rispettoso.
Perciò, dichiararsi, come fa la Miriano, inadeguata a commentare le parole del Papa, è affermazione che non vale in maniera assoluta, molti i laici essendo in possesso di conoscenza e scienza teologica, tanto più che ella, come già detto, si produce, sul contenuto dell’A. L . con un paginone di molle critica che manifesta in lei il possesso di strumenti idonei all’interpretazione e tuttavìa, in questa circostanza, smussati.
Seconda sbandata: a folle velocità senza controsterzo. La prende là, dove così scrive: “A me non importa molto se fanno o non fanno la comunione i divorziati risposati, come dicevo all’inizio grazie a Dio non sono io quella chiamata a decidere su una cosa così seria, grave”.
Affermare tale convincimento è come classificarsi, intanto, nella schiera dantiana degli ignavi (Inf. III), coloro che se ne stettero tiepidi e buoni ritenendosi non obbligati ad intervenire a difesa dei diritti o di Dio o dell’uomo. Non importa, a lei, se il divorziato risposato si nutra o no del Corpo di Cristo. Non gliene importa nonostante che, dell’adulterio – ché tale è il peccato in oggetto – Cristo ha dato due pesanti connotazioni: peccato mortale privato e peccato mortale pubblico (Mc. 10, 11/12) vale a dire: scandalo (CCC, n.2284). E lo scandalo, in quanto tale, rende i responsabili pubblici peccatori (CCC, n. 2287).
Da siffatto giudizio deriva il dovere del sacerdote, e non meno di qual che sia fedele, dell’ammonizione fraterna così come il Signore Iddio, con parole nette, ammonì il profeta:
“Quando io dirò all’empio: tu morrai! se tu non lo ammonisci, e non lo avverti di abbandonare la sua via perversa affinché egli possa vivere, egli morrà nella sua iniquità; ma del sangue di lui io chiederò conto a te” (Ez. 3, 18).
Ed ancora:
“Se il tuo fratello ha commesso una mancanza contro di te, va’ e correggilo fra te e lui solo; se ti ascolta hai guadagnato il tuo fratello; ma se non t’ascolta, prendi con te una persona o due, affinché sulla parola di due o tre testimoni sia decisa ogni questione, e se ricusa di ascoltarti, dillo alla Chiesa; se poi non ascolta neppure la Chiesa, sia per te come un gentile e un pubblicano” (Mt. 18, 15/17).
Nelle parole del Signore degli Eserciti e in quelle del Figlio è secco il comando – non un’esortazione o un consiglio – di denunciare al peccatore il suo stato di iniquità, comando diretto tanto al sacerdote che al laico, per cui non ci sembra affatto che la signora Miriano sia sulla stessa lunghezza d’onda della Volontà di Dio.
I concubini, i divorziati risposati, i conviventi “more uxorio”, diciamolo con la franchezza del Sì Sì No No (Mt. 5, 37), sono pubblici peccatori e, pertanto, è dovere di tutti coloro che hanno a cuore la salvezza propria, e quella altrui, di farsi parte solerte e preoccupata nel tentativo di recuperare alla Chiesa dei Santi la pecorella che è uscita allontanandosi dall’ovile.
Accostarsi all’Eucaristìa nello stato di peccato mortale pubblico è sacrilegio che, nel caso di cui la Miriano si dichiara aliena, diventa motivo di scandalo. E se, oggi, questa condotta va dilagando nella comunità cattolica come morbo contagioso lo si deve imputare in primis alla pastorale bergogliana dell’A. L. e in secundis al disinteresse del fedele. Prevale la politica del “democratico rispetto” che induce, anche per le questioni di estrema gravità quale quella che stiamo trattando, a non entrare nel merito e a dichiararsene estranei in forza della cosiddetta “riservatezza” termine che, in questo caso, vale “starsene per i fatti proprî”.
Noi, invece, per dare obbediente testimonianza del comando divino, ci siam permessi di avvicinare un nostro conoscente – divorziato e risposato – diffidandolo, più volte, dal percepire l’Eucaristìa così come suole fare ogni domenica. Ci fu risposto che il Papa, il parroco e la sua serena coscienza glielo permettono.
Alla Miriano non interesserà la sorte di costui, ma a noi sì.
Terza sbandata: “Non è quindi certo la cosiddetta misericordia che mi disturba, a leggere certe interpretazioni di Amoris Laetitia: solo vorrei ricordare che l’unico segno di misericordia non può essere l’Eucaristìa. È importante che le coppie ferite si sentano davvero accolte nella comunità, che partecipino a tutto, compresa la comunione spirituale, e non credo che sia necessario fare per forza la comunione per sentirsi guardati con amore infinito di Dio”.
Così parlò Costanza Miriano, la quale tenta di avanzare qualche critica alla pastorale bergogliana ma poi, quasi scusandosi per aver ardito sì tanto, fa umile professione di obbediente adesione paurosamente sbandando ancora sull’Eucaristìa e finendo nel fossato del quietismo.
Non vorremmo tediare i lettori, ma crediamo necessario fare, su questa ulteriore sbandata, breve sosta per restituire all’Eucaristìa quel primato spirituale che qualcuno, con disinvoltura, crede essere semplicemente nominale e che temiamo possa essere stravolto, con la minacciata prossima riforma – o sfascio bergogliano - della Santa Messa, a rito simbolico.
Vogliamo, cioè, mostrare come la signora Miriano si sia incartata in una spirale di sciocchezze da non venirne fuori. Che cosa, infatti, colleghi il fastidio che le provoca l’uso inflazionato del termine misericordia con il successivo periodo in cui ella esprime il carattere accessorio dell’Eucaristìa, non è dato sapere. Per lei l’accoglienza verso le “coppie ferite” è la prima e più impellente forma di apostolato.
E noi saremmo d’accordo se questa fosse diretta al recupero dello “status quo ante”, col ripristino, cioè, di una situazione di legalità canonica e spirituale. Ma permettere che queste persone possano accedere a tutto, “compresa la comunione spirituale” o di desiderio (infruttuosa e puramente retorica) col partecipare a tutta la vita ecclesiale, è proposta che lo stesso Catechismo Cattolico respinge in modo netto (n. 1650)
Eppure, da anni, prima che l’attuale Pontefice ne desse ufficiosa legittimazione, personaggi di profilo scandaloso – conviventi, divorziati, agnostici, omosessuali praticanti – svolgono ruoli di catechisti e di insegnanti di religione cattolica (!) nelle scuole primarie e secondarie, senza che l’Ordinario competente senta il dovere di sanare siffatto indegno stato allontanandoli.
Noi concordiamo con la Miriano sulla necessità di accogliere coloro che si son feriti ma crediamo, peraltro, che tale carità debba determinare nei soggetti interessati la volontà di tornare alla casa del Padre, condizione che permetterà loro di indossare l’abito nuziale (Mt. 22, 11) e di accostarsi all’Eucaristìa la quale, in simil contesto, è successiva soltanto nell’ordine cronologico ma non in quello assiologico o dei valori.
Dio guarda con amore i buoni e si cura dei cattivi, certamente. I primi, amati in quanto tali e i secondi, cercati in quanto anime da riportare allo stato di grazia. Ma siccome il Signore manifestò predilezione per Giacobbe e fastidio per Esaù già ancora nel grembo di Rebecca (Gen. 25, 23), non suona male pensare che il fedele, che si nutre del Corpo, del Sangue, dell’Anima e della Divinità del Figlio, sia maggiormente amato rispetto non solo a chi è buono del suo ma soprattutto a chi vive in stato peccaminoso.
Il Concilio di Trento (1545 – 1563) definisce non indispensabile, ai fini della salvezza, comunicarsi, tuttavìa ne afferma l’obbligatorietà nei termini stabiliti dalla Chiesa (Sess. XIII – Cap. VIII, Canoni sul Santissimo Sacramento dell’Eucaristìa n. 9).
Ora, tra chi si comunica e chi non si comunica, pensate forse che Dio possa guardarli con lo stesso amore?
Quarta sbandata: “Ma cosa è il perdono? Non è che Dio si è offeso perché gli abbiamo fatto un dispetto. Il peccato è sbagliare mira, fare una cosa dannosa prima di tutto a noi, per la nostra vita”.
D’accordo sulla parte finale del secondo periodo, dissenso completo sul primo e sull’inizio del secondo. Vero, infatti, che con il peccato, il danno è tutto dell’uomo, ma falso affermare che Dio non si ritenga offeso. Detto alla breve: se Dio non si fosse sentito offeso in quel dell’Eden, allorquando Adamo e la consorte bellamente trasgredirono il comando, non li avrebbe cacciati (Gen. 3, 23); se Dio non si fosse sentito offeso dal peccato universale, non avrebbe inondato il mondo sommergendolo con il diluvio (Gen. 7, 10); se Dio non si fosse sentito offeso dal “clamore dei peccati” (Gen. 19, 13) dei sodomiti, non avrebbe fatto sprofondare le loro città nelle viscere della terra sotto un fuoco di zolfo (Gen. 19, 24)); se Dio non si fosse sentito offeso dal faraone, non avrebbe devastato l’Egitto con le tragiche dieci piaghe (Es. 7, 14/29 – 8 – 9 – 10 – 11); se Dio non si fosse sentito offeso dall’apostasìa di Israele, non l’avrebbe condannato all’esilio di Babilonia (II Cr. 36, 20); se Dio non si fosse sentito offeso per la morte del Figlio, non avrebbe permesso la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito (70 d. C). E così ancora per molto.
Pertanto, definire il peccato uno sbaglio di mira ci sembra, come lo è, un’amenità con cui, dichiarando la gravità del peccato per se stesso si tenta, però, di disegnare Dio come assente, insensibile, estraneo, chiuso in Sé e indifferente alla storia del mondo. La verità, signora Miriano, ci dice che l’uomo quando pecca – in sé, negli altri e nelle cose – non sbaglia mira perché l’individuo, il prossimo, le cose sono l’espressione di Dio Creatore comportando che, la violenza operata su una di queste tre realtà, è violenza condotta contro Dio.
Sbaglia mira, secondo lei, colui che bestemmia il nome di Dio?
Ma, infine, tanto per sconfessare del tutto l’opinione dell’autrice e rimettere la fiaccola della verità in cima al monte, sì che essa illumini il mondo (Mt. 5, 15), è bene riportare ciò che, in proposito, Gesù ebbe a dire a suor Faustina Kowalska.
“Scrivi: sono tre volte Santo ed ho orrore del più piccolo peccato. Non posso amare un’anima macchiata dal peccato, ma quando si pente, la Mia generosità non ha limiti verso di lei. La Mia misericordia l’abbraccia e la perdona. Con la Mia misericordia inseguo i peccatori su tutte le loro strade ed il Mio Cuore gioisce quando essi ritornano da Me. Dimentico le amarezze con le quali hanno abbeverato il Mio Cuore e sono lieto per il loro ritorno. Di’ ai peccatori che nessuno sfuggirà dalle Mie mani. Se fuggono davanti al Mio Cuore misericordioso, cadranno nelle mani della Mia giustizia” (Maggio 1938 – Q. VI, n. 1728).
E ciò sigilla l’argomento.
di L. P.
La Miriano ha una formazione essenzialmente neocatecumenale per cui non si può pretendere che sia infallibile sui principi primi. Giusta la correzione a rigore, ma è già molto quello che fa. Ci sono sbandate e cappottamenti multipli anche tra i tradizionalisti , i quali vantano preparazione teologica ben superiore , eppure queste rimangono inalterate nei decenni.
RispondiEliminaCerto è che, per non sbandare ulteriormente il fedele che già troppo subisce a destra e a manca, la Miriano potrebbe esimersi dall'andare oltre le proprie conoscenze e competenze. Ma oggi, in questo clima di sfacelo, si fa a gara a chi la spara più grossa, ovvero c'è una concorrenza ad emergere per forse piacere più al mondo che a Dio. Nonostante tutte le buone intenzioni.
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