Dentro il mistero Fatima
«Un mistero che inquieta e che consola». Si intitola così la prefazione scritta da Vittorio Messori per il libro di Vincenzo Sansonetti «Inchiesta su Fatima» (Mondadori, 196 pagine, 19,50 euro), opera che ricostruisce il «caso Fatima» in tutte le sue implicazioni (storiche, politiche, religiose, spirituali) riportandoci a cent’anni fa, a quei giorni del maggio 1917, mentre in Europa infuriava la guerra più sanguinosa e terribile mai scatenata dall’uomo e in Russia si andava preparando una rivoluzione a sua volta foriera di milioni di morti e radice di un totalitarismo spietato, con riflessi profondi sugli equilibri mondiali e sul volto stesso dell’uomo moderno.
In un momento storico così complesso, all’inizio del secolo che passerà alla storia per i massacri e i genocidi, ecco che in uno sperduto villaggio portoghese tre giovanissimi pastori, Giacinta, Francesco e Lucia (i primi due, di sette e nove anni, sono fratelli, non hanno ancora fatto la prima comunione e non sanno leggere, la terza ha dieci anni ed è la loro cugina), sostengono di aver visto una bellissima signora vestita di luce. Tra la misteriosa signora e Lucia incomincia un dialogo. È il 13 maggio. La signora chiede ai tre pastorelli di tornare lì il 13 di ogni mese, fino a ottobre, e raccomanda loro di recitare la preghiera del rosario.
Se a Lourdes, annota Messori nell’introdurre il libro di Sansonetti, i fatti apparvero subito chiari, tanto che Pio IX parlò di «luminosa evidenza», il caso di Fatima è tutto diverso: complicato da ogni punto di vista, ricco di implicazioni sociali, politiche e diplomatiche (per la richiesta, fatta dalla Madonna nella terza apparizione, di consacrare la Russia al suo cuore immacolato), è diventato un ginepraio nel quale è difficile orientarsi e cogliere l’essenziale.
Ci sono alcune coincidenze di date che fanno pensare (13 maggio 1917: prima apparizione e data della consacrazione episcopale di Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che riferirà di aver assistito più volte alla danza del sole nei giardini vaticani; 13 maggio 1981: attentato di Ali Agca a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro e convinzione di papa Wojtyla di essersi salvato grazie alla Madonna di Fatima). C’è quel nome arabo, Fatima, la figlia prediletta di Maometto, per gli islamici la regina del paradiso insieme a Mayam, il nome coranico di Maria. C’è il mistero del terzo segreto, scritto nel 1944 e conservato da suor Lucia con la richiesta di rivelarlo solo dopo il 1960, ma che passò di mano da Giovanni XXIII a Paolo VI senza essere divulgato. C’è la decisione di Giovanni Paolo II di rendere pubblica la terza parte del segreto nell’anno 2000 e il suo riconoscersi nel «vescovo vestito di bianco» colpito sulla strada dei martiri ma salvato dalla mano di Maria. C’è il commento nel 2000 dell’allora cardinale Ratzinger, giudicato però insoddisfacente da molti osservatori e addirittura bollato come una «farsa» da chi ritiene che il Vaticano abbia taciuto qualcosa. Ci sono i viaggi del cardinale Bertone a Coimbra per incontrare suor Lucia nel 2000 e nel 2001. Ci sono le dichiarazioni del sacerdote tedesco Ingo Dollinger, secondo il quale il cardinale Ratzinger gli avrebbe confidato che la pubblicazione del terzo segreto non fu completa. C’è la smentita del Vaticano. E via così.
Nella matassa di fatti, interpretazioni e dubbi lo scettico troverà mille motivi per vedere confermato il suo scetticismo, così come chi è portato a vedere complotti troverà una conferma ai suoi sospetti circa possibili manipolazioni e censure da parte della Chiesa. Ma il credente ha almeno due certezze: l’insistenza con cui la Madonna chiede preghiere e conversione dei cuori e il riconoscimento ufficialmente accordato dalla Chiesa ai due giovanissimi pastori, Giacinta e Francesco, morti ancora bambini e proclamati beati da Giovanni Paolo II il 13 maggio 2000.
In quell’occasione il papa andò al cuore della vicenda e disse: «Il messaggio di Fatima è un richiamo alla conversione […] Nella sua sollecitudine materna, la Santissima Vergine è venuta qui, a Fatima, per chiedere agli uomini di “non offendere più Dio, Nostro Signore, che è già molto offeso”. È il dolore di mamma che l’obbliga a parlare; è in palio la sorte dei suoi figli».
Ma Fatima è qualcosa che attiene solo al passato o c’è di più?
Dieci anni dopo la beatificazione dei due bambini, il 13 maggio 2010, durante il suo pellegrinaggio a Fatima, Benedetto XVI fece dichiarazioni molto importanti, proiettando il messaggio di Fatima nel domani. Durante la messa disse infatti: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa». Ma prima ancora, sull’aereo che lo stava portando in Portogallo, conversando con i giornalisti sentì il bisogno di precisare che a Fatima, oltre alle sofferenze di un vescovo vestito di bianco, che «possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II», c’è molto altro. Infatti «sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano».
«Perciò è vero – disse ancora papa Ratzinger – che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano […]. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa».
Missione profetica non conclusa, realtà del futuro della Chiesa, passione della Chiesa, sofferenze che si annunciano, persecuzione che arriva dall’interno e dal peccato nella Chiesa. Qui, oggettivamente, si va molto oltre i contenuti indicati nel 2000. Nelle parole di Benedetto XVI, che di lì a meno di tre anni avrebbe rinunciato al pontificato, c’è un chiaro riferimento a qualcosa che ancora deve avvenire e che riguarda la Chiesa.
È una conferma che non tutto è stato detto, che non tutto in realtà è stato rivelato? E perché Benedetto XVI insiste tanto sulle sofferenze della Chiesa e nella Chiesa sottolineando (cito ancora dalla conversazione sull’aereo) che «dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali».
Il merito di Vincenzo Sansonetti è di affrontare il groviglio di Fatima con stile del tutto alieno dal sensazionalismo. Il lettore è accompagnato per mano nella vicenda, non tirato da una parte o dall’altra a seconda delle diverse tesi possibili. L’autore mostra così rispetto sia per la storia, sia per il lettore. E in questi nostri tempi non è poco.
Aldo Maria Valli
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