NEOCHIESA: QUANTI DON GALLO ?
Ma quanti don Gallo ci sono nella neochiesa? Per gente come lui o il gesuita Abascal tanto vale gettar via i quattro Vangeli e riscriverne uno nuovo di zecca secondo i sofismi apostatici del clero modernista e massone
di Francesco Lamendola
Credevamo che di don Andrea Gallo, pace all’anima sua, ce ne fosse uno solo, o al massimo pochi esemplari; eravamo stanchi di vedere l’abito da prete in una foto di gruppo con dei transessuali sghignazzanti, uno spettacolo che ferisce la sensibilità religiosa non meno che il buon gusto e la decenza, e questo senza avere della particolari inclinazioni al fariseismo ipocrita, crediamo, ma semplicemente in base al buon senso e alla coerenza. Infatti, se è vero che in democrazia chiunque può fare quel che gli pare, purché non vada esplicitamente contro la legge, è altrettanto vero che il cattolico non può far assolutamente quel che gli pare, ma solo ciò che è in accordo con il vangelo di Gesù; e, se per caso fa altrimenti, se va contro di esso, allora vuol dire che ha peccato, cioè che si è allontanato da Dio, e deve chiederne perdono, non solo per l’offesa fatta a Lui, ma anche per lo scandalo dato ai fratelli.
Il peccato non è una faccenda privata fra il singolo e il Padre celeste, come propendono a credere i luterani; e, anche se oggi è venuto di gran moda, fra i cattolici modernisti e progressisti, fare il tifo per Lutero (con cinque secoli di ritardo… che cosa patetica!), per la dottrina cattolica questo è radicalmente sbagliato, perché il peccato coinvolge tutta l’umanità, e, se viene commesso pubblicamente da un sacerdote o da un cattolico praticante, si configura come quel peccato contro lo Spirito Santo per il quale Gesù in persona affermava non esservi alcuna possibilità di perdono: Sarebbe meglio per costui che gli venisse legata una macina da mulino al collo e che fosse precipitato nel mare.
Perché, sia detto fra parentesi, Gesù era buono, ma non buonista; sapeva perdonare, ma non era misericordioso a senso unico; non permise che l’adultera venisse lapidata, ma non affermò essere lecito l’adulterio. Gesù ha sempre chiamato le cose con il loro nome, peccato il peccato, e peccatore il peccatore; che poi abbia messo in guardia contro la tendenza degli uomini a cercare la pagliuzza nell’occhio del fratello, invece di badare alla trave che hanno nel proprio, questo è un altro discorso. La sua denuncia dell’ipocrisia dei farisei non va intesa in alcun modo come una liberalizzazione del peccato. I teologi e i membri del clero modernisti e progressisti si adoperano in ogni modo per distorcere la lettera e il senso del Vangelo, piegandoli a dimostrare una tesi assurda e blasfema: che Gesù rende lecito il peccato. O sono in malafede, o sono stupidi: nei loro minuscoli cervelli non arrivano a capire, o non vogliono persuadersi, che Gesù andava, sì, a trovare i peccatori, e s’intratteneva con essi, ma per convertirli e per salvare loro l’anima; che li amava non per ciò che erano attualmente, ma per ciò che avrebbero potuto diventare, pentendosi, convertendosi e cambiando vita; che non aveva alcuna indulgenza verso il peccato, in nessuna forma, ma che, al contrario, il senso e lo scopo della sua missione era proprio quello di vincere il peccato e indicare agli uomini la via della redenzione.
Sappiamo bene qual è l’obiezione che tutti i don Gallo di questo mondo farebbero, e fanno, a un simile discorso: che Gesù amava i poveri, amava gli ultimi, amava gli emarginati. Su di un muro di Genova è comparsa una scritta: W don Gallo, difensore degli ultimi. Ecco il punto: che cosa s’intende per essere il difensore di qualcuno. Se essere difensore dei peccatori vuol dire accettare e benedire la loro vita di peccato, bisogna avere il coraggio e l’onestà di dire che ciò è sbagliato e non è cristiano; se si intende che essere difensore dei poveri (in senso economico; ma non è la sola forma di povertà, e questi preti di sinistra paiono non essersene accorti…) significa ritenere che il povero abbia sempre e comunque ragione, ciò è sbagliato e non è cristiano; se essere difensore degli ultimi significa pensare ad un vangelo che è fatto solo e unicamente per loro, ad esclusione di tutti gli altri, e magari brandendo un siffatto vangelo come un sampietrino da scagliare in testa agli altri, a quelli che hanno la “colpa” di essere in grazia di Dio, o, almeno, di sforzarsi di esservi: ebbene, bisogna pur dire che ciò è radicalmente sbagliato e che non è affatto cristiano. E che nessuno ha il diritto di ritagliarsi dal Vangelo di Gesù Cristo, l’unico e vero Vangelo che il cristiano conosca, un proprio vangelo personale, ad uso e consumo di questa o quella categoria di persone. Poiché è verissimo che Gesù disse che si farà più festa, in cielo, per un peccatore che si pente, di quanta se ne farà per cento giusti che sono già a posto con Dio, ma, appunto, Gesù parla del peccatore che si pente e non del peccatore che non solo non si pente, ma che ostenta la propria condizione peccaminosa, la sbatte in faccia al prossimo, al fine preciso e deliberato di scandalizzarlo, di offenderlo, di deriderlo: perché questo, invece, è satanico, questo Gesù non l’avrebbe mai e poi mai tollerato, e meno che meno avrebbe tollerato di essere identificato come il maestro di una simile dottrina, la quale ha un nome ben preciso e si chiama libertinismo. Almeno, se abbiamo capito qualche cosa del Vangelo e se i quattro evangelisti hanno riferito fedelmente ciò che Gesù ha detto e fatto. Una soluzione alternativa sarebbe quella proposta niente meno che dal generale dei gesuiti, Arturo Sosa Abascal, secondo il quale noi non sappiamo affatto quel che Gesù abbia detto e fatto di preciso, appunto perché, a suo parere, tali parole e tali gesti potrebbero anche essere stati travisati: in tal caso, se si vuole esser coerenti, tanto vale gettar via i quattro Vangeli e riscriverne uno nuovo di zecca, secondo i sofismi apostatici del clero modernista e massone. (È curioso come la posizione di Sosa Abascal somigli a quella di un grande e conosciutissimo teologo americano, Dan Brown, autore di un capolavoro di profondità eccelsa come Il Codice da Vinci.).
Stavamo dicendo che pensavamo non esservi poi tanti don Gallo in circolazione nella Chiesa cattolica, ma ci sbagliavamo. Quasi ogni giorno le cronache della neochiesa modernista, o meglio, della contro-chiesa gnostica e relativista, ci riferiscono di qualche altro don Gallo che si agita dal pulpito di qualche chiesa di provincia, e si sforza in ogni modo di far accettare ai suoi disgraziati fedeli ciò che è cristianamente inaccettabile: la convivenza col peccato, la sua legittimazione, la sua celebrazione, in nome di un falso concetto di libertà (per il cristiano la vera libertà non è fare quel che si vuole, ma quello che è giusto, cioè conforme al Vangelo) e di un falsissimo concetto della dottrina cattolica. Da Palermo, nel settembre scorso, giungeva la notizia di un altro prete alla don Fabrizio Fiorentino, quello dell’aperimessa; quello che ha disdetto all’ultimo momento la sua partecipazione al festival omosessuale di Noto, dove avrebbe dovuto parlare sul tema della cosiddette famiglie arcobaleno, ma che non ha mai nascosto le sue simpatie per i gay; quello che si è rammaricato pubblicamente che a morire sia stato Marco Pannella, un vero esempio di specchiate virtù cristiane, e non il cardinale Angelo Bagnasco, il quale, evidentemente, a suo parere non merita più di stare al mondo. Infatti bisogna sapere che una delle caratteristiche precipue del prete progressista e di sinistra è l’odio, l’assoluta mancanza di pietà e di misericordia, il feroce, sadico compiacimento per le disgrazie che possono colpire quelli che egli reputa come i suoi peggiori nemici personali e ideologici: i cattolici “tradizionalisti”, vale a dire i cattolici veri, perché gli altri, i modernisti, non sono cattolici, ma eretici e nemici della Chiesa e del Vangelo. Chi non si ricorda, tanto per fare un esempio, di quel don Giorgio de Capitani, parroco di Monte di Rovagnate, il quale, nell’aprile 2011, augurò la morte all’allora presidente del Consiglio italiano, con la testuale invocazione: Signore, fai venire un ictus a Silvio Berlusconi?
Dunque, da Palermo arriva la voce di un altro prete di strada, amico dei gay e nemico implacabile del fariseismo ipocrita: si tratta di don Cosimo Scordato, parroco di San Severo all’Albergheria, uno dei quartieri più degradati di Palermo: barba, baffi e capelli bianchi e sorriso a trentadue denti, che Nando Dalla Chiesa ha definito (andare in rete per credere) l’autore di uno dei più grandi esprimenti evangelici dai tempi di don Lorenzo Milani, il quale ha pensato bene di invitare all’altare, durante la santa Messa, una coppia di lesbiche, per “presentarle”, con grandi feste e sorrisi, alla comunità dei fedeli. Le due giovani donne gli si erano presentate qualche giorno prima per chiedergli la benedizione degli anelli, dato che entro pochi giorni si sarebbero “sposate” in municipio, con il sindaco catto-progressista Leoluca Orlando. Evidentemente erano andate da lui perché conoscevano le sue pubbliche posizioni in materia: don Scordato è uno dei tanti preti di strada che, in nome del loro impegno a favore degli emarginati, si sono presi da sé il diritto di predicare un vangelo tutto loro, il neovangelo del relativismo: sua è, infatti, l’affermazione, oggi assai di moda, ma assolutamente inaccettabile e blasfema per un cattolico, che non importa come si esprime l’amore fra due persone, perché l’importante è che l’amore ci sia, e il resto non conta.
Il prete non è stato sfiorato dall’idea di domandar loro, visto che hanno detto di non essere molto praticanti, perché abbiano sentito un così repentino e irrefrenabile bisogno di ricevere quella benedizione; al contrario, si è rammaricato di non poterle sposare egli stesso, e ha espresso l’auspicio che la Chiesa possa modificare quanto prima il suo atteggiamento verso le coppie omosessuali; poi le ha invitate a venire comunque in chiesa, per presentarle alla comunità, come difatti è stato. Complimenti a don Scordato che non conosce la differenza fra le benedizione degli anelli e il sacramento del matrimonio cattolico, ma che, in compenso, ha ritenuto suo cristiano dovere quello di dare pubblico scandalo nella sua chiesa, presentando con entusiasmo le due signore e indirizzando la sua più viva simpatia alla loro scelta di vita. Perché tale sembra essere l’impegno costante e principale dei neopreti della neochiesta di questi nostri temi dell’Apocalisse: scandalizzare i fedeli, sovvertire la dottrina e la morale cattolica, presentare come lecito, buono e giusto tutto quel che si fa, oh, ma intendiamoci, purché sia fatto in nome dell’amore, quello vero: perché, si sa, al cuore non si comanda. E poi, potrebbe sempre dire il buon Scordato, chi sono io per giudicare un gay che sinceramente cerca Dio?, ripetendo alla lettera le parole della famosa intervista rilasciata dal papa Francesco a bordo dell’aero. Ecco il sofisma, veramente diabolico nella sua apparente innocenza: chi sono io per giudicare è un concetto evangelico, e sappiamo cosa ha detto Gesù ai farisei che gli avevano portato l’adultera perché fosse lapidata. Ma c’è il trucco, e si vede: Gesù non ha detto, né in quella occasione, né in alcun’altra, che il peccato non è più peccato; non ha mai affermato che, per simpatia verso gli ultimi, a loro son rimessi i peccati anche senza pentimento e senza conversione; al contrario: ha detto a quella donna peccatrice: Neppure io ti condanno: vai, e d’ora in avanti non peccare più. Ecco quel che i vari don Gallo, don Fiorentino e don Scordato si “dimenticano” sistematicamente di dire ai loro tanto simpatici amici emarginati (ammesso che siamo poi tali; oggi, ad essere emarginati, rischiano di essere quelli che vivono nel timor di Dio e nel rispetto delle leggi umane e divine): Andate, e d’ora in avanti non peccate più. No, questo non lo dicono proprio: la lingua scoterebbe loro in bocca, se solo provassero a formulare queste poche, semplici parole. Il loro segreto pensiero è tutt’altro: in qualche modo, essi pensano che, a forza d’insistere, arriverà il momento in cui la Chiesa sarò costretta a rimangiarsi tutta la sua dottrina morale, e a proclamare il verbo di Marco Pannella (che i vari don Fiorentino vedrebbero bene a capo della Chiesa stessa, e lo dicono apertis verbis), dei radicali, dei massoni, dei libertini e dei peccatori convinti e compiaciuti: Fa’ quel che vuoi (era anche il motto del celebre mago nero Aleister Crowley, maestro occulto e indiretto dei signorini Beatles, che hanno infettato una generazione con i testi delle loro canzoni inneggianti alla droga, al libero sesso e ad ogni sorta di trasgressione e di sovversione dell’ordine costituito, oh, ma in forma molto, molto dolce e apparentemente innocente, e poi confezionate sulle note di una musica tanto carina).
Mentre a Palermo succedono queste cose, il vescovo Corrado Lorefice, fra una corsa in bicicletta e l‘atra dentro la cattedrale, non trova di meglio da fare che… allontanare dalla sua parrocchia don Alessandro Minutella, reo di aver predicato la vera e sana dottrina cattolica a proposito di divorzio e secondo matrimonio in municipio, con l’accusa di essersi posto al di fuori della comunità ecclesiale. Ma di quale comunità parla, monsignor Lorefice? Non della Chiesa di Gesù Cristo, quella vera, santa, cattolica e apostolica; ma forse di quell’altra, della contro-chiesa modernista e relativista, quella che lui e i falsi pastori come lui, o meglio, i lupi travestiti da pastori, come lui, stanno cercando di sostituire alla vera, e sotto i nostri occhi, pretendendo che sia un’operazione perfettamente legittima, e che noi non ci troviamo nulla di strano; aspettandosi, anzi, la nostra approvazione e il nostro entusiasmo, perché, a giudicare da come parlano e si muovono, da come si atteggiano, dai modi di fare che assumono, si direbbe proprio che siano particolarmente fieri di ciò che stanno facendo, e ritengano, semmai, di aver diritto alla nostra gratitudine e alla nostra eterna riconoscenza, perché finalmente ci hanno permesso di conoscere il vero Vangelo ed il vero volto di Nostro Signore Gesù Cristo, che ci erano stati nascosti da duemila anni di magistero sbagliato, ottuso, ipocrita e reazionario. Stanno mettendo in croce Gesù Cristo un’altra volta. Vengono in mente le parole del divino Maestro: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. E speriamo davvero che non lo sappiano, perché, se lo sapessero, ciò sarebbe di una gravità inaudita...
Ma quanti don Gallo ci sono nella neochiesa?
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