Ho letto il commento pubblicato da Riscossa Cristiana alla dichiarazione della Casa Generalizia della Fraternità San Pio X. Un commento che condivido in toto. Mi permetto di aggiungere qualche riflessione.
Si rimane invero sconcertati dall'atteggiamento - almeno apparentemente - rinunciatario tenuto dai vertici della Fraternità San Pio X.
Per chi, chierico o laico, ha dovuto subire decenni di persecuzioni, emarginazioni, calunnie ed ostracismi, gli eventi di questi ultimi anni paiono sconfessare le ragioni che hanno motivato in passato scelte tanto dolorose e coraggiose, e danno ragione a quanti sostenevano che la Fraternità si trovasse in una situazione di grave disobbedienza nei confronti della Santa Sede.
C'è da chiedersi quale sia l'atteggiamento di tanti sacerdoti dell'istituto, e se essi condividano le implicite ammissioni di colpa che i Superiori lasciano intendere con le loro improvvide dichiarazioni.
Quando la pulzella d'Orléans venne canonizzata, non le fu "revocata" la sentenza di condanna d'eresia che la condusse a subire il martirio sul rogo il 30 Maggio 1431, ma al contrario papa Callisto II nel 1456 dichiarò la sua nullità, e Giovanna d'Arco fu additata come coraggiosa paladina della verità cattolica. Essa fu beatificata da San Pio X nel 1909 e canonizzata da Benedetto XV.
Oggi pare che la legittimità sostenuta da mons. Lefebvre debba trovare una ratifica da parte di colui che - lungi dall'aver risolto i nodi cruciali in materia dottrinale, morale, liturgica e disciplinare introdotti dal Concilio Vaticano II e dai Papi che se ne fecero promotori - sta dimostrando di voler portare alle estreme conseguenze la rivoluzione conciliare, affermandosene orgogliosamente erede.
Non ci troviamo dinanzi ad un novello Pio XII, che ha riformato la Chiesa devastata dopo cinquant'anni di sovvertimenti catastrofici, ma ad un personaggio che avrebbe probabilmente creato imbarazzo allo stesso Montini, e forse anche a Giovanni Paolo II. E quand'anche sul Soglio di Pietro sedesse un buon Papa, la Fraternità dovrebbe attendersi un encomio per la buona battaglia condotta nella solitudine e nel disprezzo generale, un elogio per la fedeltà alla Tradizione, una richiesta di perdono per ciò che ha dovuto subire da parte di indegni Ecclesiastici, e degli stessi Pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI. Un buon Papa non potrebbe fingere di non vedere che le sanzioni canoniche comminate alla Fraternità furono motivate da ragioni che nulla hanno di cattolico, e che per questo esse furono illegittime, invalide e nulle.
Bergoglio non è un Pacelli, ed il solo pensiero di poter accostare quest'intemperante argentino alPastor Angelicus è indecente. Ma proprio nel momento in cui egli ottiene dai vertici della Fraternità San Pio X la gratitudine per presunte concessioni volte alla sua presunta regolarizzazione, ottiene da essa il riconoscimento implicito di un'autorità di cui egli abusa e che intende usare per ben altri scopi. E quando, in forza di quella medesima autorità, egli revocherà le scomuniche agli eretici luterani, con quale credibilità gli si potrà contestare il potere di riabilitare chi è fuori della Chiesa, quando la stessa Fraternità pare aver ammesso di essersi trovata in una situazione analoga?
Siamo nella Settimana Santa, e domenica scorsa abbiamo ascoltato con commozione la narrazione della Passione del nostro Salvatore. Il Signore, dinanzi alle false accuse mossegli da Caifa, non rispondeva: Jesus autem tacebat. Un esempio che sarebbe il caso di seguire anche dinanzi al Sinedrio modernista.
Postato 2 days ago da Cesare Baronio
http://opportuneimportune.blogspot.it/2017/04/sconcertanti-dichiarazioni-dei-vertici.html
Fraternità Sacerdotale San Pio X
Analisi della lettera della Commissione Ecclesia Dei
sui matrimoni dei fedeli della Fraternità San Pio X
pubblicato su DICI
Matrimonio in una cappella della Fraternità
Matrimoni validi incontestabili
Il 1 settembre 2015, il Papa annunciava che tutti i fedeli che si fossero confessati durante l’Anno Santo della Misericordia con i sacerdoti della Fraternità San Pio X, avrebbero ricevuto «un’assoluzione valida e lecita dei loro peccati».
In un comunicato pubblicato lo stesso giorno, la Casa Generalizia della Fraternità ringraziava il Papa, ricordando: «Nel ministero del sacramento della penitenza, essa si è sempre appoggiata, con assoluta certezza, sulla giurisdizione straordinaria che conferiscono le Normae generales del Codice di Diritto Canonico. In occasione di questo Anno Santo, il Papa vuole che tutti i fedeli che desiderano confessarsi con i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano farlo senza che nessuno possa opporre la minima obiezione.»
Il 20 novembre 2016, la lettera apostolica di Papa Francesco, Misericordia et misera (n° 12) estendeva al di là dell’Anno Santo della Misericordia la facoltà di confessare accordata il 1 settembre. Se la situazione di crisi che attraversa la Chiesa è sfortunatamente sempre la stessa, la persecuzione che privava ingiustamente i sacerdoti e i fedeli della giurisdizione ordinaria è cessata, dal momento che essa è stata conferita dal Sommo Pontefice.
Il 4 aprile 2017, è stata resa pubblica una lettera del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei indirizzata agli Ordinari delle Conferenze Episcopali. Il Cardinale Gerhard Ludwig Müller vi ricorda la decisione di Papa Francesco «di accordare a tutti i sacerdoti di questo istituto i poteri di confessare validamente i fedeli, in maniera da assicurare la validità e la liceità del sacramento che essi amministrano». Poi, egli vi ha annunciato le nuove disposizioni del Santo Padre che, nello stesso spirito, «ha deciso di autorizzare gli Ordinari del luogo a concedere anche i permessi per la celebrazione dei matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità» (Lettera del 27 marzo 2017) (1).
I vescovi del luogo, «nella misura del possibile», sia delegheranno un sacerdote della diocesi a ricevere, secondo il rito tradizionale, i consensi prima della celebrazione della Messa da parte di un sacerdote della Fraternità, sia potranno «concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa».
Il Cardinale Müller conclude la sua lettera ricordando qual è l’intenzione del Papa.
Da una parte egli intende togliere «i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio» contratto davanti ad un sacerdote della Fraternità. Ricevendo la delega del vescovo, egli non può più essere considerato come irregolare quando celebra un matrimonio. Dall’altra parte, il Papa intende facilitare «il cammino verso la piena regolarizzazione istituzionale». E infatti, la lettera del Cardinale menziona «la persistenza oggettiva, per il momento, della situazione canonica illegittima nella quale si trova la Fraternità San Pio X».
Chiunque potrà valutare l’abilità che consiste nel dare i poteri di confessare o di ricevere i consensi matrimoniali, in altre parole a regolarizzare – almenoad casum – il ministero dei sacerdoti di una società ecclesiastica «irregolare».
Nondimeno, queste nuove misure del Papa prendono atto della realtà dell’apostolato realizzato dalla Fraternità San Pio X in tutti i paesi ove essa è stabilita, e in certo modo l’incoraggia.
La validità dei matrimoni della Fraternità San Pio X
Ormai, come non c’è più bisogno di ricorrere ad una giurisdizione straordinaria per confessare validamente, non c’è più bisogno di ricorrere allo stato di necessità per ricevere validamente i consensi, a meno che il vescovo non si opponga alle nuove disposizioni, rifiutando la delega voluta dal Papa.
Questo non vuol dire che lo stato di grave necessità sia cessato, ma che le autorità della Chiesa non rifiutano più alla Tradizione alcuni mezzi per svilupparsi. La Messa di prima del Concilio è stata riconosciuta nel 2007 come mai abrogata. Le ingiuste censure che gravavano sui vescovi della Fraternità sono state rimosse nel 2009. Il non riconoscimento della validità del ministero dei suoi sacerdoti nel sacramento della penitenza è cessato nel 2015. La presunta irregolarità del sacerdote della Fraternità quale testimone autorizzato per il sacramento del matrimonio è ormai rimossa, per il bene degli sposi.
Pertanto, come il sacramento della penitenza non era amministrato in maniera valida dai sacerdoti della Fraternità prima del 2015, così i matrimoni da loro celebrati senza delega ufficiale del vescovo del luogo o del parroco non lo erano parimenti.
Il diritto della Chiesa prevede in effetti che, perché sia valido, il matrimonio dev’essere celebrato davanti al parroco o ad un suo delegato, alla presenza di due testimoni (Codice di Diritto Canonico del 1917 (canone 1094); Codice del 1983 (canone 1108). Ora, i sacerdoti della Fraternità San Pio X non sono parroci. E’ questa la ragione per la quale certuni vorrebbero sostenere che, in assenza di delega, un sacerdote di questa congregazione ecclesiastica non potrebbe ricevere i consensi. Un tale matrimonio sarebbe invalido per difetto di forma canonica.
Tuttavia, lo stesso diritto della Chiesa prevede (Codice del 1917, canone 1098; Codice del 1983, canone 1116) la seguente situazione straordinaria: «Se non si può avere o andare senza grave incomodo dall’assistente competente a norma del diritto». Se si prevede che questa situazione duri almeno un mese, la Chiesa dichiara valido il matrimonio celebrato davanti ai soli testimoni. Se un sacerdote non delegato può essere presente, egli dev’essere chiamato per ricevere i consensi. Questa legislazione è una semplice applicazione dei princípi fondamentali del diritto: La legge suprema è la salvezza delle anime e I sacramenti sono per gli uomini ben disposti.
E se per avventura sussistesse il sospetto del dubbio su questa situazione straordinaria, occorrerà rispondere che in caso di dubbio la Chiesa supplisce la giurisdizione (Codice del 1917, canone 209; Codice del 1983, canone 144).
Risolto ogni dubbio, i matrimoni celebrati nella Fraternità San Pio X, anche senza delega, sono stati certamente validi, considerato lo stato di necessità.
Lo stato di necessità perdura
Questo stato di grave necessità nella Chiesa non è scomparso. Non si tratta di negare la terribile realtà.
Infatti, a partire dal concilio Vaticano II e soprattutto dal nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, il fine primario del matrimonio, che è la procreazione e l’educazione dei figli, è svilito rispetto al muto sostegno degli sposi, secondo una concezione personalista della dignità dell’amore che fa svanire il primato del bene comune di quella società che è la famiglia.
Il recente Sinodo sulla famiglia è un’altra triste descrizione della permanenza di questo stato di necessità. Al pari delle scandalose dichiarazioni di prelati e di dignitari ecclesiastici a proposito dei concubini e degli omosessuali, che vorrebbero far credere che queste unioni contengano dei «valori positivi» e sarebbero perfino conciliabili con la santità del matrimonio.
Ci si ricordi pure della Supplica che Mons. Bernard Fellay ha indirizzato al Santo Padre il 15 settembre 2015, in seguito alla pubblicazione del documento pontificio Mitis Judex (15 agosto 2015): «Le recenti disposizione canoniche del motu proprio… che facilitano delle dichiarazioni di nullità accelerate, apriranno di fatto la porta a una procedura di “divorzio cattolico” sotto altro nome».
Infine, certe affermazioni dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia a proposito dei divorziati «risposati», che potrebbero accedere ai sacramenti della penitenza e dell’Eucarestia pur continuando a vivere maritalmente, costituiscono delle pietre d’inciampo per la coscienza cattolica.
Per tutte queste ragioni, i fedeli si trovano in una condizione di necessità che permette loro di ricorrere ai sacerdoti della Tradizione. In virtù della legislazione della Chiesa, il loro matrimonio è certamente valido.
Che oggi il Papa chieda ai vescovi di facilitare questo ricorso alla giurisdizione ordinaria, assicurando la regolarità del testimone autorizzato che è il sacerdote che riceve il consenso degli sposi, non fa cessare questo stato oggettivo di crisi della Chiesa.
E non v’è dubbio che, nell’ipotesi che l’Ordinario rifiutasse sia di designare un sacerdote delegato, sia di «concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità», questo celebrerebbe validamente in virtù di questo stato di necessità, in quanto il vescovo si opporrebbe manifestamente alla volontà del capo supremo della Chiesa.
Messa in opera delle disposizioni romane
Papa Francesco vuole che i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano celebrare dei matrimoni certamente leciti e validi, senza alcuna possibile contestazione, per il bene degli sposi. «C’è da augurarsi che tutti i vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale» scrive il comunicato della Fraternità del 4 aprile. E c’è anche da augurarsi che i tribunali ecclesiastici non possano pronunciare degli annullamenti per «vizio di forma canonica» dei matrimoni celebrati nella Tradizione.
Facendo cessare questo scandalo che la Rota romana tollera da troppo tempo, il Papa procura anche un gran bene.
Le nuove disposizioni, che permettono di ottenere la delega dell’Ordinario, non significano che saranno i sacerdoti diocesani che prepareranno, organizzeranno o celebreranno i matrimoni. Di fatto, i sacerdoti della Tradizione non potrebbero affidare i fedeli che si rivolgono a loro per prepararsi santamente al matrimonio, a certi sacerdoti che professano dei cattivi princípi e che possono mettere in pericolo la fede dei futuri sposi, inculcando loro un’errata concezione del matrimonio cristiano.
Papa Francesco vuole solo che gli Ordinari deleghino i sacerdoti della Fraternità: la sua proposizione è essenzialmente giuridica. Come ha dichiarato Padre Cédric Burgun, vice-decano della facoltà di Diritto Canonico di Parigi: «Il Papa non risolve la questione del dibattito dottrinale. Lui toglie le ambiguità sulla questione del diritto e rende validi, e leciti, quei matrimoni che saranno celebrati sotto le condizioni prescritte da Roma» (RCF [Radio Cristiana Francofona], 5 aprile 2017).
La messa in opera delle disposizioni potrà rivelarsi delicata nel caso in cui sarebbe un sacerdote diocesano a ricevere i consensi. E tuttavia sarebbe facile manifestare l’imbarazzo che avrebbero i futuri sposi a scambiarsi i loro consensi davanti ad un sacerdote che non conoscono e che probabilmente non rivedranno più nella loro vita. Molti desiderano giustamente che sia un sacerdote da loro conosciuto e stimato, talvolta un loro parente, a celebrare i loro impegni e il loro matrimonio.
La «misura del possibile» di cui parla il documento romano è molto vasta perché il vescovo del luogo possa far valere le difficoltà pratiche della sua applicazione. Tanto più che è previsto che egli «possa concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità».
L’ideale sarebbe che il vescovo, per delle buone ragioni pastorali, desse puramente e semplicemente delega ai sacerdoti della Fraternità per celebrare i matrimoni dei loro fedeli. L’invio della notifica del matrimonio alla diocesi, richiesta nella lettera del 27 marzo 2017, non pone alcun problema, poiché questo lo si fa già in tutti i Distretti della Fraternità.
Perché queste disposizioni romane a favore dei matrimoni nella Tradizione possano essere ricevuti senza dubbi o ambiguità da tutti i sacerdoti, il Superiore generale, Mons. Bernard Fellay, ha chiesto a dei canonisti e a dei pastori che hanno una lunga esperienza di ministero, di redigere – sotto l’autorità della Casa Generalizia -, un direttorio che definisca una disciplina comune per tutti i Distretti della Fraternità San Pio X
DICI - 11 aprile 2017
NOTA
1 – Il Papa si rivolge ai vescovi perché la delega derivi dal potere dei vescovi o del parroco. Cfr. Concilio di Trento, decreto Tametsi, 11 novembre 1563, DzS 1816. A differenza del sacramento della confessione, che riguarda il foro interno, il matrimonio riguarda il foro esterno, come tutti gli atti pubblici e sociali dei figli della Chiesa. Le disposizioni guardano al bene dei fedeli della Fraternità San Pio X, e a monte il ministero dei suoi sacerdoti.
Roma e i matrimoni della Fraternità: trucchi e inganni
Questo 4 aprile è stata reso pubblica la lettera della Commissione Ecclesia Dei agli Ordinari delle Conferenze Episcopali, relativa al matrimonio dei fedeli della Fraternità San Pio X. Questa lettera, essendo stata approvata dal Sommo Pontefice che ne ha ordinato la pubblicazione, riveste un’autorità tutta particolare.
Essa prevede che:
Essa dispone anche:
Il doppio contesto
Valutare la portata di questo documento esige prima di tutto di collocarlo in un doppio contesto. In senso lato, la Commissione Ecclesia Dei colloca la sua decisione nel quadro di «diversi tipi di incontri e di iniziative sono in corso da lungo tempo per ricondurre la Fraternità Sacerdotale San Pio X nella piena comunione.»
Agli occhi del grande pubblico, quindi, essa appare come una nuova maggior concessione di Roma nei confronti della FSSPX, che dovrebbe solo gioirne. Cosa che peraltro è quello che sembra fare la Casa Generalizia della Fraternità, quando nel suo comunicato stampa dello stesso giorno «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, come espressa attraverso la lettera della Commissione Ecclesia Dei».
E’ veramente così? E’ necessario attenersi alla realtà dei fatti.
Da molto tempo, e sempre più negli ultimi tempi, vi sono stati dei parroci che hanno delegato i sacerdoti della Fraternità a ricevere i consensi degli sposi nella loro chiesa. L’uno o l’altro di questi matrimoni è arrivato fino a Roma, che ne ha dichiarato la nullità, col pretesto del difetto di ministro: i sacerdoti della Fraternità, non essendo riconosciuti da Roma, sono ritenuti inadatti a ricevere la delega. Ed è questo preciso punto che la presente decisione, che si potrebbe chiamare pontifica, ha modificato. Pur negando al parroco il diritto di delegare un sacerdote della Fraternità per un matrimonio – nel qual caso per la Roma modernista il matrimonio sarebbe nullo – essa permette al vescovo del luogo di concedere tale delega, ma solo ed esclusivamente « In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».
La vera portata del testo romano
Ciò posto, siamo in condizione di valutare la vera portata del testo romano, le sue zone di ambiguità e di chiarezza, al pari della sua mancanza di novità canonica.
Ambigue, le condizioni sine qua non poste da Roma, lo sono a più non posso. Qual è la natura dell’impossibilità qui richiamata? Bisogna pensare ad un blocco psicologico dei preti diocesani che rifiutano un tale “compromesso”, o a quello che proverebbero i fedeli della Fraternità all’idea di essere sposati da un prete non tradizionale? Oppure bisogna invece pensare ad una impossibilità oggettiva?
Niente è detto su questo e rimane la più grande indeterminatezza. La quale peraltro non fa che aumentare con la seguente precisazione: « se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ». Bisogna forse attendere che una diocesi manchi a tal punto di preti da non poterne assicurare la presenza ad ogni scambio di consensi?
Comunque sia di queste ambiguità, una cosa è molto chiara nella decisione romana: ogni scambio di consensi ricevuto da un sacerdote della Fraternità senza la delega esplicita dell’Ordinario e alle suddette condizioni, agli occhi della Roma odierna resta invalido.
Papa Francesco, al pari dei suoi immediati predecessori, rifiuta di tenere conto dello stato di necessità esistente nella Chiesa: tutto andrebbe per il meglio e nel migliore dei modi, tanto più che ormai sembra essere accordata ai fedeli della Fraternità una nuova soluzione!
Ma si tratta veramente di una soluzione nuova?
La semplice lettura del Diritto Canonico, quello del 1917 (canone 1098) come quello del 1983 (canone 1116), dimostra che non è così. Da più di un secolo, il diritto della Chiesa prevede infatti che, nell’impossibilità di ricorrere ad un ministro ordinario del matrimonio (il sacerdote diocesano), i futuri sposi possono scambiarsi il loro consenso davanti ai soli testimoni laici, posto che tale impossibilità duri trenta giorni;essi devono tuttavia ricorrere, ove possibile, per la liceità dell’atto, a qualunque sacerdote o diacono, anche se questi non possiede la giurisdizione delegata. Nella logica della Roma moderna, anche un sacerdote della Fraternità.
Ora, dal momento che la Commissione Ecclesia Dei non ha precisato che cosa intenda per «impossibilità», non v’è alcunché di nuovo sotto il sole romano. Noi ci troviamo di fronte ad un non avvenimento, se non mediatico, a cui è data immensa portata tanto dalle Commissione Ecclesia Dei quanto dalla Casa Generalizia della Fraternità, nel suo comunicato.
Quando la Casa Generalizia dubita della Fraternità San Pio X
Posta così l’analisi del documento romano, si può solo rimanere estremamente sorpresi di fronte al comunicato che la Casa Generalizia della Fraternità ha emesso sulla scia di questo intervento romano. Nelle sue poche righe vi è un concentrato di errori, tanto tattici quanto di principio.
Mentre il documento romano continua ad affermare l’invalidità dei consensi matrimoniali posti davanti ai sacerdoti della Fraternità, che non hanno una delega esplicita del vescovo diocesano, il comunicato conserva un silenzio clamoroso su ciò che è il suo diritto e il suo dovere in materia, dato lo stato di necessità sempre più patente per un cattolico desideroso di conservare la fede cattolica. Avrebbe dovuto essere difesa più che mai la validità assolutamente certa dei matrimoni celebrati nei Priorati o nelle chiese della Fraternità. Lungi dal farlo, questo comunicato, quando «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, … allo scopo di rimuovere “i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio”», sembra far suoi i dubbi romani sulla validità dei nostri matrimoni come vengono celebrati attualmente.
Deviando l’oggettiva portata dell’intervento romano, il comunicato si rifugia ancora – tattica abituale della Casa Generalizia – in un’intenzione soggettiva gratuitamente prestata a Papa Francesco: «Il Papa Francesco vuole chiaramente che, come per le confessioni, tutti i fedeli che intendono sposarsi davanti ad un sacerdote della Fraternità San Pio X, possano farlo senza alcuna preoccupazione sulla validità del sacramento.»
Da notare che qui si insinua il dubbio sulla validità dei matrimoni della Fraternità.
Questo comunicato, infine, lascia tutti i sacerdoti della Fraternità nella più grande indeterminatezza. La Casa Generalizia ritiene che ormai i suoi sacerdoti debbano piegarsi a questi dettami della Roma moderna? Così sembrerebbe, poiché questo comunicato non porta alcuna restrizione: esso, dopo aver profondamente ringraziato il Santo Padre, auspica anche che «tutti i vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale».
Al tempo stesso, questo comunicato sfocia nella più totale indeterminatezza su questo punto. Se vi si dice che i sacerdoti della Fraternità continueranno a «ricevere i consensi nel rito tradizionale della Santa Chiesa», niente è detto della giurisdizione che dovranno usare per farlo: quella che riconosce loro il diritto della Chiesa e che è loro imposta dalla situazione attuale, e cioè la giurisdizione di supplenza derivante dallo stato di necessità in cui si trova la Chiesa, oppure la giurisdizione delegata dal vescovo del luogo «In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».
Niente è detto su questo: rimane la più totale indeterminatezza.
Trucchi e inganni
Si comprende la collera sempre meno silenziosa che invade numerosi sacerdoti della Fraternità davanti a questi rimedi da azzeccagarbugli attuati a spese dei veri problemi che distruggono la Chiesa giorno dopo giorno, e cioè i rinnegamenti dottrinali ogni giorno più numerosi della Roma moderna.
Del pari, si manifesta l’isolamento sempre più profondo nel quale si pone la Casa Generalizia della Fraternità, quando si constata che essa non comunica più con i suoi sacerdoti, ma solo con la stampa. E’ tramite e solo da quest’ultima che i membri della Fraternità hanno avuto modo di conoscere sia l’intervento romano sia il comunicato risposta della Fraternità; così come è solo grazie alla stampa che hanno saputo dell’incontro di Mons. Pozzo con Mons. Fellay, del gennaio scorso, in cui peraltro, oltre ad altre questioni, si è parlato dei matrimoni della Fraternità… ecc. ecc.
Questo nuovo episodio delle relazioni fra Roma e la Fraternità non è altro che un epifenomeno in più che mostra tutta l’ambiguità di tali relazioni, vero giuoco di prestigio in cui i gran perdenti sono la fede cattolica e tutti i fedeli, sacerdoti e laici che ad essa sono legati.
Da parte della Casa Generalizia, una tale politica equivale ad un vero suicidio, a meno che, dubitando perfino di se stessi, i suoi occupanti abbiano perduto lo spirito della battaglia per la fede, che è stata la forza di questa congregazione religiosa.
Analisi della lettera della Commissione Ecclesia Dei
sui matrimoni dei fedeli della Fraternità San Pio X
pubblicato su DICI
Matrimonio in una cappella della Fraternità
Matrimoni validi incontestabili
Il 1 settembre 2015, il Papa annunciava che tutti i fedeli che si fossero confessati durante l’Anno Santo della Misericordia con i sacerdoti della Fraternità San Pio X, avrebbero ricevuto «un’assoluzione valida e lecita dei loro peccati».
In un comunicato pubblicato lo stesso giorno, la Casa Generalizia della Fraternità ringraziava il Papa, ricordando: «Nel ministero del sacramento della penitenza, essa si è sempre appoggiata, con assoluta certezza, sulla giurisdizione straordinaria che conferiscono le Normae generales del Codice di Diritto Canonico. In occasione di questo Anno Santo, il Papa vuole che tutti i fedeli che desiderano confessarsi con i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano farlo senza che nessuno possa opporre la minima obiezione.»
Il 20 novembre 2016, la lettera apostolica di Papa Francesco, Misericordia et misera (n° 12) estendeva al di là dell’Anno Santo della Misericordia la facoltà di confessare accordata il 1 settembre. Se la situazione di crisi che attraversa la Chiesa è sfortunatamente sempre la stessa, la persecuzione che privava ingiustamente i sacerdoti e i fedeli della giurisdizione ordinaria è cessata, dal momento che essa è stata conferita dal Sommo Pontefice.
Il 4 aprile 2017, è stata resa pubblica una lettera del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei indirizzata agli Ordinari delle Conferenze Episcopali. Il Cardinale Gerhard Ludwig Müller vi ricorda la decisione di Papa Francesco «di accordare a tutti i sacerdoti di questo istituto i poteri di confessare validamente i fedeli, in maniera da assicurare la validità e la liceità del sacramento che essi amministrano». Poi, egli vi ha annunciato le nuove disposizioni del Santo Padre che, nello stesso spirito, «ha deciso di autorizzare gli Ordinari del luogo a concedere anche i permessi per la celebrazione dei matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità» (Lettera del 27 marzo 2017) (1).
I vescovi del luogo, «nella misura del possibile», sia delegheranno un sacerdote della diocesi a ricevere, secondo il rito tradizionale, i consensi prima della celebrazione della Messa da parte di un sacerdote della Fraternità, sia potranno «concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa».
Il Cardinale Müller conclude la sua lettera ricordando qual è l’intenzione del Papa.
Da una parte egli intende togliere «i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio» contratto davanti ad un sacerdote della Fraternità. Ricevendo la delega del vescovo, egli non può più essere considerato come irregolare quando celebra un matrimonio. Dall’altra parte, il Papa intende facilitare «il cammino verso la piena regolarizzazione istituzionale». E infatti, la lettera del Cardinale menziona «la persistenza oggettiva, per il momento, della situazione canonica illegittima nella quale si trova la Fraternità San Pio X».
Chiunque potrà valutare l’abilità che consiste nel dare i poteri di confessare o di ricevere i consensi matrimoniali, in altre parole a regolarizzare – almenoad casum – il ministero dei sacerdoti di una società ecclesiastica «irregolare».
Nondimeno, queste nuove misure del Papa prendono atto della realtà dell’apostolato realizzato dalla Fraternità San Pio X in tutti i paesi ove essa è stabilita, e in certo modo l’incoraggia.
La validità dei matrimoni della Fraternità San Pio X
Ormai, come non c’è più bisogno di ricorrere ad una giurisdizione straordinaria per confessare validamente, non c’è più bisogno di ricorrere allo stato di necessità per ricevere validamente i consensi, a meno che il vescovo non si opponga alle nuove disposizioni, rifiutando la delega voluta dal Papa.
Questo non vuol dire che lo stato di grave necessità sia cessato, ma che le autorità della Chiesa non rifiutano più alla Tradizione alcuni mezzi per svilupparsi. La Messa di prima del Concilio è stata riconosciuta nel 2007 come mai abrogata. Le ingiuste censure che gravavano sui vescovi della Fraternità sono state rimosse nel 2009. Il non riconoscimento della validità del ministero dei suoi sacerdoti nel sacramento della penitenza è cessato nel 2015. La presunta irregolarità del sacerdote della Fraternità quale testimone autorizzato per il sacramento del matrimonio è ormai rimossa, per il bene degli sposi.
Pertanto, come il sacramento della penitenza non era amministrato in maniera valida dai sacerdoti della Fraternità prima del 2015, così i matrimoni da loro celebrati senza delega ufficiale del vescovo del luogo o del parroco non lo erano parimenti.
Il diritto della Chiesa prevede in effetti che, perché sia valido, il matrimonio dev’essere celebrato davanti al parroco o ad un suo delegato, alla presenza di due testimoni (Codice di Diritto Canonico del 1917 (canone 1094); Codice del 1983 (canone 1108). Ora, i sacerdoti della Fraternità San Pio X non sono parroci. E’ questa la ragione per la quale certuni vorrebbero sostenere che, in assenza di delega, un sacerdote di questa congregazione ecclesiastica non potrebbe ricevere i consensi. Un tale matrimonio sarebbe invalido per difetto di forma canonica.
Tuttavia, lo stesso diritto della Chiesa prevede (Codice del 1917, canone 1098; Codice del 1983, canone 1116) la seguente situazione straordinaria: «Se non si può avere o andare senza grave incomodo dall’assistente competente a norma del diritto». Se si prevede che questa situazione duri almeno un mese, la Chiesa dichiara valido il matrimonio celebrato davanti ai soli testimoni. Se un sacerdote non delegato può essere presente, egli dev’essere chiamato per ricevere i consensi. Questa legislazione è una semplice applicazione dei princípi fondamentali del diritto: La legge suprema è la salvezza delle anime e I sacramenti sono per gli uomini ben disposti.
E se per avventura sussistesse il sospetto del dubbio su questa situazione straordinaria, occorrerà rispondere che in caso di dubbio la Chiesa supplisce la giurisdizione (Codice del 1917, canone 209; Codice del 1983, canone 144).
Risolto ogni dubbio, i matrimoni celebrati nella Fraternità San Pio X, anche senza delega, sono stati certamente validi, considerato lo stato di necessità.
Lo stato di necessità perdura
Questo stato di grave necessità nella Chiesa non è scomparso. Non si tratta di negare la terribile realtà.
Infatti, a partire dal concilio Vaticano II e soprattutto dal nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, il fine primario del matrimonio, che è la procreazione e l’educazione dei figli, è svilito rispetto al muto sostegno degli sposi, secondo una concezione personalista della dignità dell’amore che fa svanire il primato del bene comune di quella società che è la famiglia.
Il recente Sinodo sulla famiglia è un’altra triste descrizione della permanenza di questo stato di necessità. Al pari delle scandalose dichiarazioni di prelati e di dignitari ecclesiastici a proposito dei concubini e degli omosessuali, che vorrebbero far credere che queste unioni contengano dei «valori positivi» e sarebbero perfino conciliabili con la santità del matrimonio.
Ci si ricordi pure della Supplica che Mons. Bernard Fellay ha indirizzato al Santo Padre il 15 settembre 2015, in seguito alla pubblicazione del documento pontificio Mitis Judex (15 agosto 2015): «Le recenti disposizione canoniche del motu proprio… che facilitano delle dichiarazioni di nullità accelerate, apriranno di fatto la porta a una procedura di “divorzio cattolico” sotto altro nome».
Infine, certe affermazioni dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia a proposito dei divorziati «risposati», che potrebbero accedere ai sacramenti della penitenza e dell’Eucarestia pur continuando a vivere maritalmente, costituiscono delle pietre d’inciampo per la coscienza cattolica.
Per tutte queste ragioni, i fedeli si trovano in una condizione di necessità che permette loro di ricorrere ai sacerdoti della Tradizione. In virtù della legislazione della Chiesa, il loro matrimonio è certamente valido.
Che oggi il Papa chieda ai vescovi di facilitare questo ricorso alla giurisdizione ordinaria, assicurando la regolarità del testimone autorizzato che è il sacerdote che riceve il consenso degli sposi, non fa cessare questo stato oggettivo di crisi della Chiesa.
E non v’è dubbio che, nell’ipotesi che l’Ordinario rifiutasse sia di designare un sacerdote delegato, sia di «concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità», questo celebrerebbe validamente in virtù di questo stato di necessità, in quanto il vescovo si opporrebbe manifestamente alla volontà del capo supremo della Chiesa.
Messa in opera delle disposizioni romane
Papa Francesco vuole che i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano celebrare dei matrimoni certamente leciti e validi, senza alcuna possibile contestazione, per il bene degli sposi. «C’è da augurarsi che tutti i vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale» scrive il comunicato della Fraternità del 4 aprile. E c’è anche da augurarsi che i tribunali ecclesiastici non possano pronunciare degli annullamenti per «vizio di forma canonica» dei matrimoni celebrati nella Tradizione.
Facendo cessare questo scandalo che la Rota romana tollera da troppo tempo, il Papa procura anche un gran bene.
Le nuove disposizioni, che permettono di ottenere la delega dell’Ordinario, non significano che saranno i sacerdoti diocesani che prepareranno, organizzeranno o celebreranno i matrimoni. Di fatto, i sacerdoti della Tradizione non potrebbero affidare i fedeli che si rivolgono a loro per prepararsi santamente al matrimonio, a certi sacerdoti che professano dei cattivi princípi e che possono mettere in pericolo la fede dei futuri sposi, inculcando loro un’errata concezione del matrimonio cristiano.
Papa Francesco vuole solo che gli Ordinari deleghino i sacerdoti della Fraternità: la sua proposizione è essenzialmente giuridica. Come ha dichiarato Padre Cédric Burgun, vice-decano della facoltà di Diritto Canonico di Parigi: «Il Papa non risolve la questione del dibattito dottrinale. Lui toglie le ambiguità sulla questione del diritto e rende validi, e leciti, quei matrimoni che saranno celebrati sotto le condizioni prescritte da Roma» (RCF [Radio Cristiana Francofona], 5 aprile 2017).
La messa in opera delle disposizioni potrà rivelarsi delicata nel caso in cui sarebbe un sacerdote diocesano a ricevere i consensi. E tuttavia sarebbe facile manifestare l’imbarazzo che avrebbero i futuri sposi a scambiarsi i loro consensi davanti ad un sacerdote che non conoscono e che probabilmente non rivedranno più nella loro vita. Molti desiderano giustamente che sia un sacerdote da loro conosciuto e stimato, talvolta un loro parente, a celebrare i loro impegni e il loro matrimonio.
La «misura del possibile» di cui parla il documento romano è molto vasta perché il vescovo del luogo possa far valere le difficoltà pratiche della sua applicazione. Tanto più che è previsto che egli «possa concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità».
L’ideale sarebbe che il vescovo, per delle buone ragioni pastorali, desse puramente e semplicemente delega ai sacerdoti della Fraternità per celebrare i matrimoni dei loro fedeli. L’invio della notifica del matrimonio alla diocesi, richiesta nella lettera del 27 marzo 2017, non pone alcun problema, poiché questo lo si fa già in tutti i Distretti della Fraternità.
Perché queste disposizioni romane a favore dei matrimoni nella Tradizione possano essere ricevuti senza dubbi o ambiguità da tutti i sacerdoti, il Superiore generale, Mons. Bernard Fellay, ha chiesto a dei canonisti e a dei pastori che hanno una lunga esperienza di ministero, di redigere – sotto l’autorità della Casa Generalizia -, un direttorio che definisca una disciplina comune per tutti i Distretti della Fraternità San Pio X
DICI - 11 aprile 2017
NOTA
1 – Il Papa si rivolge ai vescovi perché la delega derivi dal potere dei vescovi o del parroco. Cfr. Concilio di Trento, decreto Tametsi, 11 novembre 1563, DzS 1816. A differenza del sacramento della confessione, che riguarda il foro interno, il matrimonio riguarda il foro esterno, come tutti gli atti pubblici e sociali dei figli della Chiesa. Le disposizioni guardano al bene dei fedeli della Fraternità San Pio X, e a monte il ministero dei suoi sacerdoti.
Roma e i matrimoni della Fraternità: trucchi e inganni
Questo 4 aprile è stata reso pubblica la lettera della Commissione Ecclesia Dei agli Ordinari delle Conferenze Episcopali, relativa al matrimonio dei fedeli della Fraternità San Pio X. Questa lettera, essendo stata approvata dal Sommo Pontefice che ne ha ordinato la pubblicazione, riveste un’autorità tutta particolare.
Essa prevede che:
«Nella misura del possibile, la delega dell’Ordinario per assistere al matrimonio [dei fedeli della FSSPX] sarà data ad un sacerdote della diocesi (o quanto meno ad un sacerdote pienamente regolare) perché egli riceva il consenso delle parti nel rito del Sacramento che, nella liturgia del Vetus Ordo, ha luogo all’inizio della Santa Messa; seguirà quindi la celebrazione della Santa Messa votiva da parte di un sacerdote della Fraternità.»
Essa dispone anche:
«In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti, l’Ordinario può concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa, ricordandogli che ha il dovere di far pervenire al più presto alla Curia diocesana la documentazione che attesti la celebrazione del Sacramento.»
Il doppio contesto
Valutare la portata di questo documento esige prima di tutto di collocarlo in un doppio contesto. In senso lato, la Commissione Ecclesia Dei colloca la sua decisione nel quadro di «diversi tipi di incontri e di iniziative sono in corso da lungo tempo per ricondurre la Fraternità Sacerdotale San Pio X nella piena comunione.»
Agli occhi del grande pubblico, quindi, essa appare come una nuova maggior concessione di Roma nei confronti della FSSPX, che dovrebbe solo gioirne. Cosa che peraltro è quello che sembra fare la Casa Generalizia della Fraternità, quando nel suo comunicato stampa dello stesso giorno «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, come espressa attraverso la lettera della Commissione Ecclesia Dei».
E’ veramente così? E’ necessario attenersi alla realtà dei fatti.
Da molto tempo, e sempre più negli ultimi tempi, vi sono stati dei parroci che hanno delegato i sacerdoti della Fraternità a ricevere i consensi degli sposi nella loro chiesa. L’uno o l’altro di questi matrimoni è arrivato fino a Roma, che ne ha dichiarato la nullità, col pretesto del difetto di ministro: i sacerdoti della Fraternità, non essendo riconosciuti da Roma, sono ritenuti inadatti a ricevere la delega. Ed è questo preciso punto che la presente decisione, che si potrebbe chiamare pontifica, ha modificato. Pur negando al parroco il diritto di delegare un sacerdote della Fraternità per un matrimonio – nel qual caso per la Roma modernista il matrimonio sarebbe nullo – essa permette al vescovo del luogo di concedere tale delega, ma solo ed esclusivamente « In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».
La vera portata del testo romano
Ciò posto, siamo in condizione di valutare la vera portata del testo romano, le sue zone di ambiguità e di chiarezza, al pari della sua mancanza di novità canonica.
Ambigue, le condizioni sine qua non poste da Roma, lo sono a più non posso. Qual è la natura dell’impossibilità qui richiamata? Bisogna pensare ad un blocco psicologico dei preti diocesani che rifiutano un tale “compromesso”, o a quello che proverebbero i fedeli della Fraternità all’idea di essere sposati da un prete non tradizionale? Oppure bisogna invece pensare ad una impossibilità oggettiva?
Niente è detto su questo e rimane la più grande indeterminatezza. La quale peraltro non fa che aumentare con la seguente precisazione: « se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ». Bisogna forse attendere che una diocesi manchi a tal punto di preti da non poterne assicurare la presenza ad ogni scambio di consensi?
Comunque sia di queste ambiguità, una cosa è molto chiara nella decisione romana: ogni scambio di consensi ricevuto da un sacerdote della Fraternità senza la delega esplicita dell’Ordinario e alle suddette condizioni, agli occhi della Roma odierna resta invalido.
Papa Francesco, al pari dei suoi immediati predecessori, rifiuta di tenere conto dello stato di necessità esistente nella Chiesa: tutto andrebbe per il meglio e nel migliore dei modi, tanto più che ormai sembra essere accordata ai fedeli della Fraternità una nuova soluzione!
Ma si tratta veramente di una soluzione nuova?
La semplice lettura del Diritto Canonico, quello del 1917 (canone 1098) come quello del 1983 (canone 1116), dimostra che non è così. Da più di un secolo, il diritto della Chiesa prevede infatti che, nell’impossibilità di ricorrere ad un ministro ordinario del matrimonio (il sacerdote diocesano), i futuri sposi possono scambiarsi il loro consenso davanti ai soli testimoni laici, posto che tale impossibilità duri trenta giorni;essi devono tuttavia ricorrere, ove possibile, per la liceità dell’atto, a qualunque sacerdote o diacono, anche se questi non possiede la giurisdizione delegata. Nella logica della Roma moderna, anche un sacerdote della Fraternità.
Ora, dal momento che la Commissione Ecclesia Dei non ha precisato che cosa intenda per «impossibilità», non v’è alcunché di nuovo sotto il sole romano. Noi ci troviamo di fronte ad un non avvenimento, se non mediatico, a cui è data immensa portata tanto dalle Commissione Ecclesia Dei quanto dalla Casa Generalizia della Fraternità, nel suo comunicato.
Quando la Casa Generalizia dubita della Fraternità San Pio X
Posta così l’analisi del documento romano, si può solo rimanere estremamente sorpresi di fronte al comunicato che la Casa Generalizia della Fraternità ha emesso sulla scia di questo intervento romano. Nelle sue poche righe vi è un concentrato di errori, tanto tattici quanto di principio.
Mentre il documento romano continua ad affermare l’invalidità dei consensi matrimoniali posti davanti ai sacerdoti della Fraternità, che non hanno una delega esplicita del vescovo diocesano, il comunicato conserva un silenzio clamoroso su ciò che è il suo diritto e il suo dovere in materia, dato lo stato di necessità sempre più patente per un cattolico desideroso di conservare la fede cattolica. Avrebbe dovuto essere difesa più che mai la validità assolutamente certa dei matrimoni celebrati nei Priorati o nelle chiese della Fraternità. Lungi dal farlo, questo comunicato, quando «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, … allo scopo di rimuovere “i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio”», sembra far suoi i dubbi romani sulla validità dei nostri matrimoni come vengono celebrati attualmente.
Deviando l’oggettiva portata dell’intervento romano, il comunicato si rifugia ancora – tattica abituale della Casa Generalizia – in un’intenzione soggettiva gratuitamente prestata a Papa Francesco: «Il Papa Francesco vuole chiaramente che, come per le confessioni, tutti i fedeli che intendono sposarsi davanti ad un sacerdote della Fraternità San Pio X, possano farlo senza alcuna preoccupazione sulla validità del sacramento.»
Da notare che qui si insinua il dubbio sulla validità dei matrimoni della Fraternità.
Questo comunicato, infine, lascia tutti i sacerdoti della Fraternità nella più grande indeterminatezza. La Casa Generalizia ritiene che ormai i suoi sacerdoti debbano piegarsi a questi dettami della Roma moderna? Così sembrerebbe, poiché questo comunicato non porta alcuna restrizione: esso, dopo aver profondamente ringraziato il Santo Padre, auspica anche che «tutti i vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale».
Al tempo stesso, questo comunicato sfocia nella più totale indeterminatezza su questo punto. Se vi si dice che i sacerdoti della Fraternità continueranno a «ricevere i consensi nel rito tradizionale della Santa Chiesa», niente è detto della giurisdizione che dovranno usare per farlo: quella che riconosce loro il diritto della Chiesa e che è loro imposta dalla situazione attuale, e cioè la giurisdizione di supplenza derivante dallo stato di necessità in cui si trova la Chiesa, oppure la giurisdizione delegata dal vescovo del luogo «In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».
Niente è detto su questo: rimane la più totale indeterminatezza.
Trucchi e inganni
Si comprende la collera sempre meno silenziosa che invade numerosi sacerdoti della Fraternità davanti a questi rimedi da azzeccagarbugli attuati a spese dei veri problemi che distruggono la Chiesa giorno dopo giorno, e cioè i rinnegamenti dottrinali ogni giorno più numerosi della Roma moderna.
Del pari, si manifesta l’isolamento sempre più profondo nel quale si pone la Casa Generalizia della Fraternità, quando si constata che essa non comunica più con i suoi sacerdoti, ma solo con la stampa. E’ tramite e solo da quest’ultima che i membri della Fraternità hanno avuto modo di conoscere sia l’intervento romano sia il comunicato risposta della Fraternità; così come è solo grazie alla stampa che hanno saputo dell’incontro di Mons. Pozzo con Mons. Fellay, del gennaio scorso, in cui peraltro, oltre ad altre questioni, si è parlato dei matrimoni della Fraternità… ecc. ecc.
Questo nuovo episodio delle relazioni fra Roma e la Fraternità non è altro che un epifenomeno in più che mostra tutta l’ambiguità di tali relazioni, vero giuoco di prestigio in cui i gran perdenti sono la fede cattolica e tutti i fedeli, sacerdoti e laici che ad essa sono legati.
Da parte della Casa Generalizia, una tale politica equivale ad un vero suicidio, a meno che, dubitando perfino di se stessi, i suoi occupanti abbiano perduto lo spirito della battaglia per la fede, che è stata la forza di questa congregazione religiosa.
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