L'ERRORE VERSO LA MODERNITA'
Auto-liquidazione della cultura cattolica. L’errore della Chiesa verso la modernità nel § 62 della Gaudium et spes: è stato quello di aver ammainato la bandiera della propria identità e della pratica della vita cristiana
di Francesco Lamendola
L’errore della Chiesa verso la modernità nel § 62 della Gaudium et spes
L’errore della Chiesa verso il mondo moderno è stato quello di aver ammainato la bandiera della propria identità, della visione e della pratica della vita cristiana, di aver voluto gettare ad ogni costo dei “ponti”, intavolare ad ogni costo un “dialogo” che si è risolto, di fatto, in una auto-liquidazione della cultura cattolica, o, quanto meno, in una sua subordinazione de facto alla cultura laica e profana, impregnata di relativismo, scetticismo e agnosticismo.
Questo errore, non percepito affatto come tale, né a suo tempo, né oggi, dai cattolici di tendenza modernista e progressista, anzi, rivendicato con fierezza come l’inizio di una stagione fruttifera, anche se il fallimento dei risultati è sotto gli occhi di tutti e lo steso Paolo VI doveva ammettere, fin dal 1967, che la Chiesa aspettava la primavera, mentre è venuta la tempesta, ha avuto il suo momento culminante nel Concilio Vaticano II.
Negli anni seguenti, proprio come per il Sessantotto degli intellettuali di sinistra, non vi è stato alcun ripensamento critico, e gli esponenti di quella stagione hanno proseguito nel cammino intrapreso, nonostante tutte le solenni bocciature che la storia stessa si è incaricata di dare alle loro idee: crollo verticale delle vocazioni sacerdotali e seminari sempre più vuoti; materialismo, edonismo e consumismo sempre più trionfanti, non contrastati affatto dalla Chiesa stessa (vedi la rassegnazione con cui essa ha subito, e continua a subire, la profanazione della Domenica e delle altre festività del calendario liturgico, Natale e Pasqua compresi); dilagare della legislazione anticristiana e antiumana sotto forma di divorzio, aborto, eutanasia, droga libera, fecondazione artificiale, matrimoni omosessuali, utero in affitto); laicismo sempre più esasperato e irreligiosità sempre più diffusa nelle società occidentali, fino alla discriminazione aperta dei cattolici (vedi il caso dell’insegnante belga licenziato perché ha osato definire l’aborto un omicidio, e scaricato bellamente dalla stessa Chiesa cattolica di quel Paese); ebraismo sempre più intransigente, fino al punto di chiedere la revisione dei Vangeli per espungere i passi che attestano la precisa responsabilità del Sinedrio nella condanna a morte di Gesù, e sua rivendicazione della “ebraicità” di Gesù stesso, quasi che il cristianesimo sia una sorta di scheggia impazzita, e abusiva, della predicazione di Cristo; induismo sempre più ostile, e, soprattutto, islamismo sempre più estremista e aggressivo, con relativa persecuzione dei cristiani in moltissimi Paesi del mondo a maggioranza musulmana.
Se, poi, dovessimo indicare il cuore di questo errore, non avremmo esitazione nell’indicare la costituzione pastorale Gaudium et spes, la quarta costituzione conciliare promulgata da Paolo VI il 7 dicembre 1965, su La Chiesa nel mondo contemporaneo; e, più specificamente ancora, il paragrafo 62, intitolato Accordo fra cultura umana e insegnamento cristiano, dove l’errore è presente già nel titolo, perché, definendo cultura umana una cultura ben precisa, quella della modernità, figlia del’illuminismo e ripresa dal modernismo cattolico (l’ospite non invitato che tuttavia è stato il vero protagonista del Concilio Vaticano II e della sua fin troppo decantata “stagione”), si sono falsate le carte fin dal principio e si è impostata la riflessione in una direzione obbligata: come se non riconoscere la cultura moderna quale unico possibile interlocutore culturale fosse, di per sé, e palesemente, un rinchiudersi nella cittadella assediata, in posizione puramente difensiva. Laddove sarebbe stato invece necessario chiarire che la cultura moderna, ossia la cultura della modernità, non è la sola possibile cultura del nostro tempo: perché la parola moderna non ha un significato cronologico, ma ideologico, e definisce quella specifica cultura che nasce dai “lumi” del XVIII secolo in funzione scettica, agnostica e irreligiosa.
Ora, che un simile errore venga fatto, e continuamente, dagli esponenti della cultura laica e profana, lo si può ben comprendere, tanto più che, in molti casi, si tratta non già di un errore involontario, ma di una mistificazione voluta e perfettamente consapevole; ma che i padri conciliari siano caduti in un simile trabocchetto, e che abbiano impostato tutta la loro riflessione su delle basi erronee ed equivoche, introiettando il quadro concettuale e la prospettiva filosofica che sono propri della modernità, questo è veramente paradossale e, a nostro avviso, imperdonabile: nel senso che è ben difficile immaginare che essi siano caduti, da poveri sprovveduti, in un errore tanto macroscopico e clamoroso. Come pensare che essi non si siano resi conto che, accreditando la cultura moderna quale unico possibile interlocutore per il dialogo che la Chiesa intendeva avviare ad ogni costo con il mondo esterno, stavano svendendo il proprio patrimonio spirituale e stavano svilendo e denigrando, implicitamente, secoli e secoli di gloriosa cultura cattolica, dal tomismo al canto gregoriano, dalla liturgia in lingua latina all’apologetica cattolica?
Comunque, vale la pena di rileggersi il § 62:
a) Sebbene la Chiesa abbia grandemente contribuito al progresso della cultura, l’esperienza dimostra tuttavia che, per ragioni contingenti, l’accordo fra la cultura e la formazione cristiana non si realizza sempre senza difficoltà.
b) Queste difficoltà non necessariamente sono di danno alla fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad una più accurata e profonda intelligenza della fede. Infatti gli studi recenti e le nuove scoperte delle scienze, della storia e della filosofia, suscitano nuovi problemi che comportano conseguenze a che per la vita pratica ed esigono anche dai teologi nuove indagini. I teologi sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunziate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo (Giov. XXIII, “Discorso per l’apertura del Concilio, 11 ottobre 1962). Nella cura pastorale si conoscano sufficientemente e si faccia buon uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede.
c) A modo loro, anche la letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano infatti di esprimere l’indole propria dell’uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo, di scoprire la sua istituzione nella storia e nell’universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una migliore condizione dell’uomo. Così possono elevare la vita umana, espressa in molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi.
d) Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, fruendo di un’ordinaria libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana. Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi secondo l’indole delle diverse nazioni e regioni. Siano ammessi negli edifici del culto, quando, con un linguaggio adeguato e conforme alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio (cfr. Cost. “De Sacra Liturgia”, n. 123).
e) Così la conoscenza di Dio viene meglio manifestata e la predicazione evangelica si rende più trasparente all’intelligenza umana e appare come connaturata con le loro condizioni.
f) I fedeli vivano dunque in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione. Sappiamo armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano, affinché la pratica della religione e l’onestà procedano in essi di pari passo con la fede scientifica e con il continuo progresso della tecnica, in modo che possano giudicare e interpretare tutte le cose con senso integralmente cristiano.
g) Coloro che si applicano alle scienze teologiche nei Seminari e nelle Università, si studino di collaborare con gli uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo in comune le loro forze e opinioni. La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini competenti nelle varie brache del sapere ad una più piena conoscenza della fede. Questa collaborazione gioverà grandemente alla formazione dei sacri ministri, che potranno presentare ai nostri contemporanei la dottrina della Chiesa intorno a Dio, all’uomo e al mondo in maniera anche più adatta, così da farla anche da essi più volentieri accettare (cfr. decr. “Optatam totius”, e dich. “De educazione cristiana”). È ani desiderabile, che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze sacre e che non pochi tra loro si diano di proposito a questi studi e li approfondiscano con mezzi scientifici adeguati. Ma affinché possano esercitare il loro compito sia riconosciuta ai fedeli, sia ecclesiastici che laici, la libertà di ricercare, di pensare, di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti (cfr. cost. dogm. “Lumen gentium”, IV, 37).
Un‘analisi dettagliata di questo stupefacente documento meriterebbe almeno un libro, forse una serie di libri; evidentemente, però, in questa sede non ce lo possiamo permettere. Ci limitiamo a evidenziare una serie di punti cruciali, che stridono per la loro ingenuità o, peggio, per la loro difformità dalla sana dottrina cattolica e dal Magistero perenne della Chiesa.
a) la difficoltà di accordare fede e cultura non dipende se non dal fatto che qui non si sta parando della cultura in quanto tale, ma della cultura moderna, intrinsecamente e visceralmente irreligiosa.
b) Quanto alle “nuove scoperte della filosofia”, che non si sa davvero quali sarebbero, è gravissima la frase: I teologi sono inoltre invitati (…) a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunziate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo, perché introduce un dualismo tra il Depositunm fidei e le forme dell’annuncio evangelico, dualismo che è tipicamente moderno, visto che i secoli precedenti non ne hanno percepito l’utilità, e tanto meno la necessità; il che indica già una sudditanza psicologica e concettuale nei confronti della cultura moderna. L’invito a servirsi della psicologia (quale? quella freudiana, forse?) e della sociologia per giungere a una vita di fede più pura e più matura è semplicemente assurdo. Alla vita di fede si giunge per mezzo del Vangelo, non della psicologia e della sociologia. E la vita di fede non diventa più pura e più matura perché si sostituisce il Vangelo con l’Interpretazione dei sogni.
c) Chi lo dice che la letteratura e la arti elevano la vita umana? Ciò avviene solo se si tratta di letteratura ed arte animate da un sentimento religioso, per quanto indeterminato, cioè pervase dal senso del limite e dal senso del mistero. Se manca questo, non conducono che alla irreligiosità, allo sberleffo, al paradosso: si vedano il dadaismo, il surrealismo, il teatro del’assurdo, ecc.
d) L’apertura indiscriminata all’arte moderna non si cura affatto degli effetti devastanti di un’arte “sacra” che non ha nulla di autenticamente religioso: non se ne può più di chiese moderne che sembrano fabbriche, di dipinti “religiosi” che stravolgono i contenuti della fede, come l’affresco di Ricardo Cinalli nel Duomo di Terni, davanti alle quali i fedeli restano sconvolti e feriti. Altro che innalzare l’anima verso Dio! C’è un’arte moderna, invero frequente, che mette in pericolo la fede…
e) La conoscenza di Dio viene meglio manifestata da opere conformi alle nuove esigenze liturgiche? Che si tratti d’un sofisma, lo si capisce dal fatto che l’anima umana non sa che farsene delle esigenze: essa conosce solo bisogni, veri o falsi; evidentemente, le nuove forme liturgiche non nascono da bisogni veri, ma da una forzatura ideologica. Come di fatto si è visto.
f) Se i fedeli devono vivere in strettissima unione con gli uomini del loro tempo (perché, ci sono altri uomini vivi, d’altri tempi?; semmai, c’è la comunione dei santi, di cui qui non si parla affatto), come faranno a non subire l’influsso della modernità anticristiana e degli stili di vita edonisti e consumisti? Chi ha scritto queste righe, si rende conto che non tutti i cattolici sono già dei santi, sui quali la coesistenza quotidiana con i cattivi esempi e le tentazioni può avere effetti deleteri?
g) Qui, per un momento, cade la maschera: i teologi devono insegnare nei seminari secondo lo stile moderno e scientifico (ma questa è, senza mezzi termini, l‘eresia modernista, condannata da san Pio X) per far accettare più volentieri la dottrina cattolica. Solo che qui non stiamo parlando di come render gradita al palato una pietanza, ma della Parola di Dio: che non deve piacere, ma convertire…
L’errore della Chiesa verso la modernità nel § 62 della Gaudium et spes
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