Futuro incerto nel centenario di Fatima. Svolta pericolosa di Trump in Siria
L’azione militare lanciata da Donald Trump in Siria coglie di sorpresa in molti, deludendo quanti avevano sperato che il nuovo presidente invertisse il corso della politica estera imperialista degli Stati Uniti «poliziotti del mondo».
Non è semplice determinare le cause che hanno portato Trump a prendere questa drammatica decisione.
Probabilmente delle avvisaglie su un cambio di rotta andavano già ravvisate nella scelta di estromettere Steve Bannon, fin qui quasi un alter ego del tycoon newyorkese, dal National Security Council. Una mossa che indicava il tentativo di The Donald di costruirsi una reputazione più istituzionale: Bannon, privo di esperienza sul campo, era stato preferito al generale McMaster, emblema dell’influenza dei militari sul governo americano. La pressione del complesso militare-industriale, denunciato in tempi non sospetti dal presidente Dwight Eisenhower, potrebbe forse spiegare l’inversione a U di Trump sulla questione siriana, anche se il Segretario di Stato Rex Tillerson ha sottolineato che il bombardamento di stanotte non indica la volontà di destituire Assad. Si tratterebbe, dunque, di una rappresaglia per aver violato l’accordo del 2013 sulla distruzione dell’arsenale chimico; e Trump potrebbe forse usare questa vicenda come pretesto per accusare di debolezza il predecessore Obama, il quale avrebbe vigilato male sul rispetto dei patti, visto che le armi chimiche siriane erano state trasferite nel porto di Gioia Tauro e poi distrutte sotto la supervisione dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Di sicuro, la manovra di Trump risponde all’esigenza di evitare l’accerchiamento interno. La politica di disimpegno che aveva costituito una parte essenziale della sua campagna elettorale non piace a quello schieramento trasversale di falchi, da John MacCain alla stessa Hillary Clinton, che nel Russiagate ha trovato forse un’arma di ricatto. È vero, le intercettazioni ottenute dalla Consigliera per la sicurezza nazionale di Obama, Susan Rice, e poi prontamente girate ai giornali compiacenti, non contenevano materiale esplosivo. Ma qualche giorno fa Michael Flynn aveva dato l’impressione di voler cedere, annunciando di essere pronto a testimoniare sui legami tra Russia e amministrazione Trump, in cambio dell’immunità. L’obiettivo dei nemici di The Donald è chiaramente l’impeachment e, secondo i leaks di Julian Assange, nel complotto sarebbe coinvolto persino il suo vice Mike Pence, che i congiurati vorrebbero sostituire a Trump in quanto, secondo la Clinton, Pence sarebbe un personaggio «prevedibile, quindi neutralizzabile».
Se Trump sente il fiato sul collo, è ragionevole pensare che voglia dimostrare di non essere un burattino dei russi. Ma è pur vero che un presidente che si rimangia un pezzo importante del suo progetto di politica estera, provocando la Russia come neppure Obama aveva fatto (in fondo, il predecessore si era «limitato» a minacce, schermaglie e simbolici schieramenti di truppe), non solo dà un segnale di debolezza, non solo crea un precedente che ora i suoi nemici potranno sfruttare ogni volta che vorranno fare pressione, ma dimostra pure di non essere uno statista, sacrificando tutti i principi sull’altare della realpolitik. La qualità di un grande politico si misura anche così: se si serve della necessaria dote di pragmatismo per fare la differenza, a costo di essere criticato e combattuto, oppure se si accontenta degli elogi del New York Times.
Una versione più indulgente verso il presidente americano è quella che si concentra esclusivamente sulla situazione internazionale e sulla reale entità dell’attacco, che è stato invero piuttosto modesto, diretto a una base già evacuata (probabilmente Mosca e Damasco erano stati avvertiti in anticipo) e con danni contenuti. In questo scenario, Trump avrebbe cercato di alzare l’asticella per negoziare con i russi da una posizione di forza, ma non avrebbe davvero intenzione di spingersi là dove l’amministrazione Obama e la Clinton non erano arrivati. Il futuro della Siria potrebbe rimanere nelle mani di Assad, oppure quest’ultimo sarebbe costretto a un’uscita di scena dignitosa (ma poi non è chiaro con chi e come andrebbe sostituito). Insomma, Trump starebbe comunicando a Putin che il riavvicinamento non significa sudditanza e che l’attore più forte rimane ancora gli Stati Uniti. Inoltre, il tycoon newyorkese potrebbe ridisegnare gli equilibri europei a proprio favore: nella guerra commerciale in corso con la Germania, la mossa degli Usa favorisce gli interessi di Gran Bretagna e Francia, non proprio in ottimi rapporti con Berlino, che per coerenza con le proprie posizioni sui diritti umani dovrebbe supportare Trump. Non dimentichiamo, infine, che mentre The Donald ordinava l’attacco era in Florida con il leader cinese Xi Jinping: mostrare i muscoli alla presenza di un concorrente che Trump ha più volte attaccato e che, durante il G20 di Baden-Baden, aveva fatto fronte comune con i tedeschi contro il protezionismo, è un atto di forza che certamente non può passare inosservato, specialmente dopo le critiche del presidente Usa a Pechino sulla gestione dell’affare Corea del Nord.
In ultima analisi, comunque, è sicuro che da una ulteriore destabilizzazione della Siria, che arriva in un momento in cui l’Isis sembrava davvero con le spalle al muro, a pagare il prezzo più alto saranno le minoranze religiose, specialmente i cristiani. Il regime laico di Assad e il sistema della spartizione delle cariche in base all’appartenenza etnica e confessionale avevano garantito una certa tutela ai nostri fratelli nella fede, che dallo scoppio della guerra civile soffrono terribili persecuzioni. Non è un caso se il vescovo di Aleppo si è schierato a fianco di Assad, sollevando dubbi sulla vicenda del bombardamento chimico di Idlib.
E forse non è un caso neppure che tutto questo stia avvenendo nell’anno del centenario di Fatima. Due potenze nucleari si provocano a vicenda, tira aria da terza guerra mondiale. Se i cento anni di regno del demonio profetizzati dalla Beata Emmerick stanno volgendo al termine, può darsi che questa sia l’ora della resa dei conti.
Non è semplice determinare le cause che hanno portato Trump a prendere questa drammatica decisione.
Probabilmente delle avvisaglie su un cambio di rotta andavano già ravvisate nella scelta di estromettere Steve Bannon, fin qui quasi un alter ego del tycoon newyorkese, dal National Security Council. Una mossa che indicava il tentativo di The Donald di costruirsi una reputazione più istituzionale: Bannon, privo di esperienza sul campo, era stato preferito al generale McMaster, emblema dell’influenza dei militari sul governo americano. La pressione del complesso militare-industriale, denunciato in tempi non sospetti dal presidente Dwight Eisenhower, potrebbe forse spiegare l’inversione a U di Trump sulla questione siriana, anche se il Segretario di Stato Rex Tillerson ha sottolineato che il bombardamento di stanotte non indica la volontà di destituire Assad. Si tratterebbe, dunque, di una rappresaglia per aver violato l’accordo del 2013 sulla distruzione dell’arsenale chimico; e Trump potrebbe forse usare questa vicenda come pretesto per accusare di debolezza il predecessore Obama, il quale avrebbe vigilato male sul rispetto dei patti, visto che le armi chimiche siriane erano state trasferite nel porto di Gioia Tauro e poi distrutte sotto la supervisione dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Di sicuro, la manovra di Trump risponde all’esigenza di evitare l’accerchiamento interno. La politica di disimpegno che aveva costituito una parte essenziale della sua campagna elettorale non piace a quello schieramento trasversale di falchi, da John MacCain alla stessa Hillary Clinton, che nel Russiagate ha trovato forse un’arma di ricatto. È vero, le intercettazioni ottenute dalla Consigliera per la sicurezza nazionale di Obama, Susan Rice, e poi prontamente girate ai giornali compiacenti, non contenevano materiale esplosivo. Ma qualche giorno fa Michael Flynn aveva dato l’impressione di voler cedere, annunciando di essere pronto a testimoniare sui legami tra Russia e amministrazione Trump, in cambio dell’immunità. L’obiettivo dei nemici di The Donald è chiaramente l’impeachment e, secondo i leaks di Julian Assange, nel complotto sarebbe coinvolto persino il suo vice Mike Pence, che i congiurati vorrebbero sostituire a Trump in quanto, secondo la Clinton, Pence sarebbe un personaggio «prevedibile, quindi neutralizzabile».
Se Trump sente il fiato sul collo, è ragionevole pensare che voglia dimostrare di non essere un burattino dei russi. Ma è pur vero che un presidente che si rimangia un pezzo importante del suo progetto di politica estera, provocando la Russia come neppure Obama aveva fatto (in fondo, il predecessore si era «limitato» a minacce, schermaglie e simbolici schieramenti di truppe), non solo dà un segnale di debolezza, non solo crea un precedente che ora i suoi nemici potranno sfruttare ogni volta che vorranno fare pressione, ma dimostra pure di non essere uno statista, sacrificando tutti i principi sull’altare della realpolitik. La qualità di un grande politico si misura anche così: se si serve della necessaria dote di pragmatismo per fare la differenza, a costo di essere criticato e combattuto, oppure se si accontenta degli elogi del New York Times.
Una versione più indulgente verso il presidente americano è quella che si concentra esclusivamente sulla situazione internazionale e sulla reale entità dell’attacco, che è stato invero piuttosto modesto, diretto a una base già evacuata (probabilmente Mosca e Damasco erano stati avvertiti in anticipo) e con danni contenuti. In questo scenario, Trump avrebbe cercato di alzare l’asticella per negoziare con i russi da una posizione di forza, ma non avrebbe davvero intenzione di spingersi là dove l’amministrazione Obama e la Clinton non erano arrivati. Il futuro della Siria potrebbe rimanere nelle mani di Assad, oppure quest’ultimo sarebbe costretto a un’uscita di scena dignitosa (ma poi non è chiaro con chi e come andrebbe sostituito). Insomma, Trump starebbe comunicando a Putin che il riavvicinamento non significa sudditanza e che l’attore più forte rimane ancora gli Stati Uniti. Inoltre, il tycoon newyorkese potrebbe ridisegnare gli equilibri europei a proprio favore: nella guerra commerciale in corso con la Germania, la mossa degli Usa favorisce gli interessi di Gran Bretagna e Francia, non proprio in ottimi rapporti con Berlino, che per coerenza con le proprie posizioni sui diritti umani dovrebbe supportare Trump. Non dimentichiamo, infine, che mentre The Donald ordinava l’attacco era in Florida con il leader cinese Xi Jinping: mostrare i muscoli alla presenza di un concorrente che Trump ha più volte attaccato e che, durante il G20 di Baden-Baden, aveva fatto fronte comune con i tedeschi contro il protezionismo, è un atto di forza che certamente non può passare inosservato, specialmente dopo le critiche del presidente Usa a Pechino sulla gestione dell’affare Corea del Nord.
In ultima analisi, comunque, è sicuro che da una ulteriore destabilizzazione della Siria, che arriva in un momento in cui l’Isis sembrava davvero con le spalle al muro, a pagare il prezzo più alto saranno le minoranze religiose, specialmente i cristiani. Il regime laico di Assad e il sistema della spartizione delle cariche in base all’appartenenza etnica e confessionale avevano garantito una certa tutela ai nostri fratelli nella fede, che dallo scoppio della guerra civile soffrono terribili persecuzioni. Non è un caso se il vescovo di Aleppo si è schierato a fianco di Assad, sollevando dubbi sulla vicenda del bombardamento chimico di Idlib.
E forse non è un caso neppure che tutto questo stia avvenendo nell’anno del centenario di Fatima. Due potenze nucleari si provocano a vicenda, tira aria da terza guerra mondiale. Se i cento anni di regno del demonio profetizzati dalla Beata Emmerick stanno volgendo al termine, può darsi che questa sia l’ora della resa dei conti.
di Alessandro Rico
http://www.campariedemaistre.com/2017/04/futuro-incerto-nel-centenario-di-fatima.html
No alla guerra contro la Siria!
Nota: il seguente post è stato scritto alcune ore prima dell'iniquo attacco americano contro la Siria, in flagrante violazione del diritto internazionale.
Cari lettori del blog, sono molto preoccupato per la situazione internazionale. I mezzi di informazione asserviti alle lobby finanziarie che si oppongono a Gesù Cristo, senza avere uno straccio di prova stanno accusando il legittimo governo siriano di aver usato armi chimiche contro la popolazione civile. I russi hanno affermato che i siriani hanno bombardato (con armi convenzionali) una fabbrica di munizioni dei jihadisti situata in un città governata dai ribelli del Fronte Al-Nusra, il ramo di Al-Qaeda in Siria, e nell’esplosione potrebbero essere stati distrutti anche dei prodotti chimici lì situati, sprigionando una nube tossica che ha colpito la popolazione civile. A me sembra una spiegazione plausibile. Del resto il governo siriano che vantaggio tattico o strategico otterrebbe dall’uccidere col gas dei bambini inermi? Nessuno! Otterrebbe solo la riprovazione della comunità internazionale. Le forze armate siriane stanno vincendo la guerra contro i jihadisti (negli ultimi mesi hanno liberato dalla tirannide islamista Aleppo, Wadi Barada, Palmyra, Deir Hafer, ecc.), pertanto non hanno nessun interesse ad usare gas chimici per uccidere dei civili inermi e creare scalpore mediatico.
Cari lettori del blog, sono molto preoccupato per la situazione internazionale. I mezzi di informazione asserviti alle lobby finanziarie che si oppongono a Gesù Cristo, senza avere uno straccio di prova stanno accusando il legittimo governo siriano di aver usato armi chimiche contro la popolazione civile. I russi hanno affermato che i siriani hanno bombardato (con armi convenzionali) una fabbrica di munizioni dei jihadisti situata in un città governata dai ribelli del Fronte Al-Nusra, il ramo di Al-Qaeda in Siria, e nell’esplosione potrebbero essere stati distrutti anche dei prodotti chimici lì situati, sprigionando una nube tossica che ha colpito la popolazione civile. A me sembra una spiegazione plausibile. Del resto il governo siriano che vantaggio tattico o strategico otterrebbe dall’uccidere col gas dei bambini inermi? Nessuno! Otterrebbe solo la riprovazione della comunità internazionale. Le forze armate siriane stanno vincendo la guerra contro i jihadisti (negli ultimi mesi hanno liberato dalla tirannide islamista Aleppo, Wadi Barada, Palmyra, Deir Hafer, ecc.), pertanto non hanno nessun interesse ad usare gas chimici per uccidere dei civili inermi e creare scalpore mediatico.
Se qualcuno osasse strumentalizzare la morte di poveri civili per cercare di far cadere il legittimo governo siriano commetterebbe un atto di disgustoso sciacallaggio politico. Ho il timore che possa avvenire presto qualcosa di spiacevole. Nel 2003 l’Iraq venne accusato di possedere armi di distruzione di massa e vennero sventolate al mondo “prove” che poi risultarono fasulle. Fu una messa in scena con la quale si giustificò l’aggressione armata a uno Stato indipendente.
Attualmente Turchia, Stato Ebraico e Stati Uniti d’America occupano illegalmente alcuni territori siriani. Trump ha improvvisamente cambiato (in peggio) atteggiamento sulla Siria. Non sappiamo che cosa sia successo dietro le quinte, ma questa storia non mi piace, ci sono troppe cose strane (ad esempio il coro dei media a “reti unificate” nell’addossare al governo siriano la colpa di quanto accaduto ai civili gasati, senza prima fare una seria e approfondita indagine). Temo che stia per accadere qualcosa di brutto.
La storia insegna che la Prima Guerra Mondiale iniziò a causa di problemi tra l’Impero Asburgico e la Serbia, ma poi vennero trascinati nella catastrofe bellica tanti altri Stati e morirono milioni di persone tra militari e civili. Pertanto dobbiamo temere che se qualcuno decidesse di attaccare la Siria, l’Iran o qualche altro Paese non asservito ai propri interessi, il conflitto potrebbe allargarsi e degenerare in qualcosa di ancora più grave. Ciò che mi spaventa davvero di una guerra, non è tanto il pericolo di morire, quanto quello della dannazione di tante anime, poiché quando si combatte diventa difficile non odiare il nemico. La beata Giacinta Marto, una dei tre veggenti di Fatima, pensava spesso a quel che aveva detto la Madonna sul futuro castigo, e cioè che se il genere umano non si fosse convertito sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, e la bambina portoghese diceva che ci sarebbero stati tanti morti e che quasi tutti sarebbero andati all’inferno (lo riporta Suor Lucia nelle sue memorie). In effetti non è facile morire sul campo di battaglia o in un campo di concentramento perdonando di cuore i propri nemici.
Che fare? Non dobbiamo confidare negli uomini, i quali cambiano idea come il vento, dobbiamo confidare solo in Dio, il quale non tradisce mai. Questo è il momento di intensificare preghiere e penitenze affinché non accada una catastrofe mondiale, o almeno il periodo della sofferenza venga abbreviato il più possibile. Ma soprattutto dobbiamo chiedere al Signore, per intercessione della Beata Vergine, di salvare le nostre anime, qualsiasi cosa dovesse accadere in futuro.
Quest’anno ricorre il centenario delle apparizioni di Fatima, forse tra poco accadrà qualcosa di epocale che culminerà nel trionfo del Cuore Immacolato di Maria.
MESSAGGI SEGRETI DI ISRAELE AD ASSAD. E L’OFFERTA APERTA DI PUTIN.
Israele ha inviato ad Assad diverse lettere, segretamente per messo di una “parte terza” che non viene rivelata, in cui chiede a Damasco di rinunciare all’alleanza con Iran ed Hezbollah – e in cambio si dichiara pronta ad operare in vista di “una soluzione politica in Siria”, e di “metter fine ai suoi attacchi [aerei] sulla Siria”. Anzi di più: “Tel Aviv si sarebbe impegnata a metter termine all’occupazione militare del Golan e tornare ai termini del cessate il fuoco del 1973”, sempre se la Siria taglia definitivamente i ponti con Iran ed Hezbollah.
Lo afferma il giornale israeliano Maariv, e lo riporta un articolo della iraniana PressTv. Se c’è del vero in questa notizia, bisogna ipotizzare che Sion, mentre s’è unita alla campagna “chimica” anti-Assad e ha mobilitato il cosiddetto Occidente sulla linea dell’imminente intervento armato diretto di tutti i vassalli, con Trump in prima linea pronto a cominciare subito, in realtà è come minimo preoccupata di un conflitto alle porte di casa – e potenzialmente in casa – con le due superpotenze nucleari impegnate; e non è tanto sicura di una facile vittoria contro Iran ed Hezbollah.
Questa è la valutazione di PressTV, quindi presumibilmente degli ambienti militari iraniani. I quali parlano addirittura di “panico” della dirigenza politica e militare israeliana per le ultime avanzate dell’esercito siriano e dei suoi alleati; nonostante abbia cercato in tutti i modi di bloccarle per interposte organizzazioni terroriste, gli islamisti che arma, sostiene e che i suoi ufficiali palesemente guidano.
“Sul fronte sud siriano Israele ha moltiplicato le azioni per interposti terroristi”, scrive PressTv: “Ma la complessità del fronte sud non e minore di quella del fronte nord. Le regioni del sud della Siria cono controllate dai terroristi di Daech e di Al-Nusra soprattutto a Deraa; Daech agisce essenzialmente a Wadi Yarmouk ad ovest di Deraa, area a forma di triangolo con tre lati: Giordania, Golan occupato e Siria Meridionale.
Per quanto riguarda Daesh, “il sostegno di Israele , i rovesci continui al Nord e all’est della Siria, fan sì che questo gruppo si adoperi per tenere ad ogni costo le sue posizioni nel sud della Siria”. Quanto ad Al Nusra, “gode del largo sostegno del centro di comando di Al-Mouk in Giordania dove sono presenti, fra altri, anche ufficiali israeliani. I terroristi si fanno aiutare da tutti. Ma le lettere di Israele ad Assad provano che in termini militari, la disfatta del campo opposto a Damasco è ritenuta certa, altrimenti Tel Aviv non si sarebbe abbassata a tal punto da supplicare ”.
Supplicare? A dire il vero, il ministro della Guerra israeliana Avigdor Lieberman, in un’intervista al giornale Yediot Ahronot, ha dichiarato che “I due attacchi avvenuti a Idlib, in Siria, quello chimico omicida sui civili e quello all’ospedale locale, sono stati condotti su ordine diretto e dietro progettazione del presidente siriano Bashar Assad, mediante aerei da combattimento siriani”.
Ci può essere una doppia recita, la faccia feroce e l’unità bellica dell’intero Occidente per la platea, e trattative sotto sotto?
In realtà, gli iraniani segnalano che “la coalizione americana ha anche facilitato negli ultimi giorni il trasferimento di grandi convogli d’armi e munizioni di Daesh dalla regione di Hamad Hawsh (Aleppo?) verso Uadi Yarmouk, sotto gli occhi benevoli dell’aviazione americana, non lontana dalla provincia pro-salafita di Giordana, la famosa Al Zarka [da cui venne il leggendario qaedista Al Zarkawi, ndr.]. A quanto sembra, Washington mantiene la spada di Damocle sulla testa del re giordano, la spada di Daesh. Con quella minaccia, re Abdallah rifletterebbe due volte prima di dire no a Washington e si unirà alla causa Usa-Israele. In chiaro: terrà a freno certi ufficiali del suo esercito che si vorrebbero avvicinare all’armata siriana per vincere davvero Daesh”.
Ripeto: questa è una valutazione iraniana, forse di propaganda, che riferisco. Ma basta a rendere l’idea della complessità della situazione, della fragilità e delle insicurezze che stanno percorrendo i campi opposti. Sembra evidente che ci sia una scena per la grande platea mediatica, di cui noi siamo vittime e spettatori – che dobbiamo credere la guerra decisa e imminente – mentre sotto si scambiano, sottobanco offerte e domande.
Ne è prova l’ultima, clamorosa notizia (gli eventi si succedono con una rapidità superiore alla possibilità di registrarli):
La Russia riconosce Gerusalemme Ovest capitale d’Israele –
Mosca: “Gerusalemme Est lo sarà del futuro stato Palestinese”
“Mosca “riafferma” l’impegno verso i principi delle Nazioni Unite per la soluzione della questione israelo-palestinese, che “comprende lo status di Gerusalemme Est come capitale del futuro stato palestinese”. “In questo contesto – sottolinea un comunicato del ministero degli Esteri russo – consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale dello Stato di Israele”.
“Mosca ribadisce la soluzione dei due Stati “come opzione ottimale che soddisfi gli interessi nazionali del popolo palestinese e israeliano, con entrambi i quali abbiamo relazioni amichevoli, e gli interessi di tutti gli altri paesi della regione e della comunità internazionale un’intera”.
Fin qui Huffington Post.
Attenzione. La frase: “In questo contesto consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale dello Stato di Israele“, è una novità assoluta: mai prima Mosca aveva riconosciuto una simile cosa. “In questo contesto”; ovviamente, significa: purché Israele accetti che Gerusalemme Est sia capitale palestinese, nel quadro dunque di una sistemazione generale a due stati della tragedia di Terrasanta. Non è un’offerta incondizionata, un calo di braghe; è una generosa apertura e indicazione della volontà di negoziare.
Noi sappiamo che i sionisti vogliono Gerusalemme capitale indivisa, dunque non sono disposti ad accettare questo. Sappiamo anche che Netanyahu ha telefonato a Putin sull’attacco chimico accusando Assad, e ricevendone una risposta nient’affatto molle: “E’ inaccettabile accusare qualcuno finché non viene condotta una indagine internazionale completa e imparziale”.
Ma è chiaro che la conversazione non s’è ridotta a questa frase, che appare nel comunicato ufficiale. Entrambi possono aver tastato il terreno e le intenzioni dell’altro, visto il bluff e le carte in mano, fatto qualche offerta di scambio? Fra due che si conoscono bene, sulle spalle di Trump e dei forsennati europei, lasciati a strillare “Guerra! Guerra!” per la scena? Il riconoscimento russo di Gerusalemme Est non può essere venuto dal cielo come un fulmine.
Ricordiamo anche che un milione di israeliani vengono dalla Russia, sono anti-religiosi per lopiù, mantengono contatti con la Russia, amano ed ammirano Putin: sono un bel bacino elettorale, che Netanyahu non può alienarsi facendo l’anti-Putin come si permettono di fare i nostrani Mogherini da operetta.
Vi do il parere della redazione del sito Moon of Alabama, fonte di comprovata credibilità sulla questione siriana.
“La mia ipotesi: la potente lobby sionista in Usa (AIPAC & Co.) sta spingendo per una guerra immediata contro la Sira, esattamente come già fece nel 2013, quando poi Obama non riuscì a scatenarla perché il parlamento britannico e poi anche il Congresso votarono contro.
Netanyahu deve aver fatto capire che preferisce nessuna guerra in Siria. A questo punto la pressione della Zionist Lobby su Trump sarebbe allentata, e un intervento militare diretto in Siria, scongiurato. L’altra volta, Putin fece l’offerta della distruzione dell’arsenale chimico siriano. L’eliminazione dell’arsenale strategico della Siria fu un grande regalo per Israele; e fu ciò che permise ad Obama di non andare in guerra nonostante le pressioni fortissime. Ora Putin ha fatto un’altra grossa offerta. Israele accetterà il dono? Netanyahu richiamerà i suoi cani della guerra dell’AIPAC?”.
Vi lascio con questa domanda, che sicuramente fra poche ore sarà superata, tanto rapidamente arrivano le cose. L’ipotesi tuttavia mi pare coincida con la valutazione iraniana, Netanyahu non arde dalla voglia di trovarsi a far davvero la guerra con Iran, Hezbollah e l’aviazione russa.
Del resto, cosa credete, nemmeno tutti i ministri europei. Appena Trump ha dichiarato di essere pronto ad entrare in guerra anche senza mandato Onu, il ministro inglese Ben Johnson ha esortato a non precipitare. Il ministro degli esteri francese, Jean-Marc Ayrault, ha detto: “Mica si può entrare in guerra perché a Trump è saltato il sangue alla testa”. I veri guerrafondai senza se e senza ma, sono i media: “I bambini di Idlib! I bambini!”.
(Vorrei anche invitare alcuni miei lettori, che paranoicamente mi sommergono di messaggini comunicandomi le notizie che già sono, di calmarsi. Non abbiamo nessun potere su questi eventi. Ciò che deve accadere, accadrà: e noi sappiamo che viviamo in frangenti apocalittici. Sappiamo che la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme è nei progetti messianici sionisti – segno apocalittico per eccellenza – e forse, l’offerta di Putin lo avvicina. O forse lo allontana? Tranquilli. Quel che deve avvenire avverrà: noi, confessati e comunicati, attendiamo con calma). 8
http://www.maurizioblondet.it/messaggi-segreti-israele-ad-assad-lofferta-aperta-putin/
Verrebbe da dire: c’era una volta Trump.
C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin.
Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto, le sue idee, quel progetto di America.
Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente , gli effetti auspicati. E non mi riferisco solo alle manifestazioni di piazza, all’opposizione isterica della stampa, alle sentenze dei giudici (a proposito: ricordate l’articolo di Kupchan? Era profetico). Trump non è stato capace di resistere al boicottaggio che proveniva dall’interno delle istituzioni e dall’apparato dell’intelligence e della difesa. E chissà a quali altre pressioni e minacce. Si è lasciato avvinghiare, inghiottire da quel mondo che prometteva di combattere. Tutto in appena due mesi e mezzo dal giorno del suo insediamento.
L’errore più grande lo ha commesso quando ha accettato che uno dei suoi consiglieri più fidati, Flynn, si dimettesse. Un commentatore acuto e davvero indipendente quale Paul Craig Roberts lo aveva capito subito: quel cedimento era devastante, perché spaccava il fronte dei fedelissimi ma soprattutto perché rompeva la posizione di Trump sul “caso Russia”, che poteva diventare così un caso nazionale. Della serie: Se Flynn si dimetteva c’era qualcosa da nascondere. E allora via con le pressioni. Ancora oggi mancano prove concrete sulle ipotetiche collusioni con Mosca per condizionare il voto, ma il “deep state” lo ha fatto diventare il Caso Nazionale con toni maccartisti, paventando persino un impeachment nell’arco di qualche mese. Un impeachment sul nulla, ma questo era secondario.
Flynn era la mente della nuova politica estera e di sicurezza dell’Amministrazione Trump. Un’Amministrazione che si è via via riempita di ministri, consiglieri ed esperti appartenenti alla vecchia guardia. All’inizio quelle nomine, poco coerenti, parevano una concessione obbligata al Partito repubblicano che controlla il Congresso, nella supposizione che le redini sarebbero rimaste nelle mani del presidente. Ma si è rivelata una falsa speranza. E quando, l’altro ieri, l’altro suo più fedele collaboratore, lo stratega politico Bannon è stato estromesso dal Consiglio di sicurezza nazionale, l’accerchiamento si è concluso. Il segretario di Stato Tillermann si è rapidamente allineato all’establishment e ora a guidare la politica estera e di difesa, a consigliare il presidente sono gli esperti della Washington di sempre.
E si vede: la distensione con il Cremlino appare sempre più lontana; anzi proprio i ministri della nuova amministrazione alimentano la retorica antirussa con le stesse argomentazioni e lo stesso tono di Obama. Il Trump di qualche mese fa avrebbe preteso la verità sull’uso del gas in Siria, quello di oggi, invece, ha proclamato – senza ombra di dubbio – che molte linee rosse erano state superate. Proprio come Obama nel 2013. Peccato che allora, in seguito, si scoprì che a usare il sarin erano stati i “ribelli” moderati per far cadere la colpa su Assad e provocare l’intervento della Nato. Sarin la cui consegna sarebbe stata autorizzata da Hillary Clinton. Ed è molto verosimile che anche la strage dell’altro giorno sia stata provocata dai “ribelli” per fornire agli Stati Uniti un pretesto per intervenire.
Solo che nel 2013 Obama si fermò all’ultimo minuto, il Trump di oggi no. Ha fatto tutto in fretta, senza riscontri oggettivi sulle responsabilità di Assad, evidentemente mal consigliato. O consigliato benissimo, dipende dai punti di vista. Intanto l’Isis e i fondamentalisti islamici che combattono Assad ringraziano: la distruzione della base siriana avrà un solo effetto concreto, quello di indebolire l’esercito siriano e dunque di rimettere in discussione una vittoria che sembra certa. E’ così che si combatte lo Stato Islamico? Non ci prendano in giro: così lo si favorisce,perché l’obiettivo di Washington è il cambio di regime a Damasco anche a costo di vedere trionfare in Siria il peggior integralismo islamico.
Non è un caso che a salutare l’interventismo della Casa Bianca siano stati proprio Hillary Clinton e John McCain. L’impressione è che l’agenda Trump sia già stata sconfessata a beneficio di quella irresponsabile e interventista portata avanti negli ultimi 15 anni dai neoconservatori.
Se ciò fosse vero, significherebbe che Trump è stato “normalizzato”. E per la pace nel mondo sarebbe una pessima notizia.
Resta una sola flebile speranza: che si tratti di un riposizionamento transitorio e non di una resa. Che l’uomo sia capace di riscattarsi. Ma probabilmente, a questo punto, più che una speranza è un’illusione.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/04/07/hanno-normalizzato-trump/
http://www.maurizioblondet.it/messaggi-segreti-israele-ad-assad-lofferta-aperta-putin/
Attenti: hanno “normalizzato” Trump
C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin.
Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto, le sue idee, quel progetto di America.
Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente , gli effetti auspicati. E non mi riferisco solo alle manifestazioni di piazza, all’opposizione isterica della stampa, alle sentenze dei giudici (a proposito: ricordate l’articolo di Kupchan? Era profetico). Trump non è stato capace di resistere al boicottaggio che proveniva dall’interno delle istituzioni e dall’apparato dell’intelligence e della difesa. E chissà a quali altre pressioni e minacce. Si è lasciato avvinghiare, inghiottire da quel mondo che prometteva di combattere. Tutto in appena due mesi e mezzo dal giorno del suo insediamento.
L’errore più grande lo ha commesso quando ha accettato che uno dei suoi consiglieri più fidati, Flynn, si dimettesse. Un commentatore acuto e davvero indipendente quale Paul Craig Roberts lo aveva capito subito: quel cedimento era devastante, perché spaccava il fronte dei fedelissimi ma soprattutto perché rompeva la posizione di Trump sul “caso Russia”, che poteva diventare così un caso nazionale. Della serie: Se Flynn si dimetteva c’era qualcosa da nascondere. E allora via con le pressioni. Ancora oggi mancano prove concrete sulle ipotetiche collusioni con Mosca per condizionare il voto, ma il “deep state” lo ha fatto diventare il Caso Nazionale con toni maccartisti, paventando persino un impeachment nell’arco di qualche mese. Un impeachment sul nulla, ma questo era secondario.
Flynn era la mente della nuova politica estera e di sicurezza dell’Amministrazione Trump. Un’Amministrazione che si è via via riempita di ministri, consiglieri ed esperti appartenenti alla vecchia guardia. All’inizio quelle nomine, poco coerenti, parevano una concessione obbligata al Partito repubblicano che controlla il Congresso, nella supposizione che le redini sarebbero rimaste nelle mani del presidente. Ma si è rivelata una falsa speranza. E quando, l’altro ieri, l’altro suo più fedele collaboratore, lo stratega politico Bannon è stato estromesso dal Consiglio di sicurezza nazionale, l’accerchiamento si è concluso. Il segretario di Stato Tillermann si è rapidamente allineato all’establishment e ora a guidare la politica estera e di difesa, a consigliare il presidente sono gli esperti della Washington di sempre.
E si vede: la distensione con il Cremlino appare sempre più lontana; anzi proprio i ministri della nuova amministrazione alimentano la retorica antirussa con le stesse argomentazioni e lo stesso tono di Obama. Il Trump di qualche mese fa avrebbe preteso la verità sull’uso del gas in Siria, quello di oggi, invece, ha proclamato – senza ombra di dubbio – che molte linee rosse erano state superate. Proprio come Obama nel 2013. Peccato che allora, in seguito, si scoprì che a usare il sarin erano stati i “ribelli” moderati per far cadere la colpa su Assad e provocare l’intervento della Nato. Sarin la cui consegna sarebbe stata autorizzata da Hillary Clinton. Ed è molto verosimile che anche la strage dell’altro giorno sia stata provocata dai “ribelli” per fornire agli Stati Uniti un pretesto per intervenire.
Solo che nel 2013 Obama si fermò all’ultimo minuto, il Trump di oggi no. Ha fatto tutto in fretta, senza riscontri oggettivi sulle responsabilità di Assad, evidentemente mal consigliato. O consigliato benissimo, dipende dai punti di vista. Intanto l’Isis e i fondamentalisti islamici che combattono Assad ringraziano: la distruzione della base siriana avrà un solo effetto concreto, quello di indebolire l’esercito siriano e dunque di rimettere in discussione una vittoria che sembra certa. E’ così che si combatte lo Stato Islamico? Non ci prendano in giro: così lo si favorisce,perché l’obiettivo di Washington è il cambio di regime a Damasco anche a costo di vedere trionfare in Siria il peggior integralismo islamico.
Non è un caso che a salutare l’interventismo della Casa Bianca siano stati proprio Hillary Clinton e John McCain. L’impressione è che l’agenda Trump sia già stata sconfessata a beneficio di quella irresponsabile e interventista portata avanti negli ultimi 15 anni dai neoconservatori.
Se ciò fosse vero, significherebbe che Trump è stato “normalizzato”. E per la pace nel mondo sarebbe una pessima notizia.
Resta una sola flebile speranza: che si tratti di un riposizionamento transitorio e non di una resa. Che l’uomo sia capace di riscattarsi. Ma probabilmente, a questo punto, più che una speranza è un’illusione.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/04/07/hanno-normalizzato-trump/
Trump bombarda la Siria: neanche 100 giorni per essere fagocitato dal sistema
Nella notte tra il 6 ed il 7 aprile è finita l’effimera parabola del presidente “populista” Donald Trump, fagocitato dallo stesso establishment che diceva di voler combattere: con 59 missili da crociera lanciati su una base aerea siriana, il neo-inquilino della Casa Bianca ha punito “il regime di Assad” per l’attacco chimico di Idlib dello scorso 4 aprile, un’evidente orchestrazione ad hoc. È superficiale affermare che Trump sia succube di Israele o degli alleati sunniti: il raid sulla Siria è una vera e propria resa all’establishment atlantico, ossessionato dal rinnovato attivismo di Mosca in Europa e Medio Oriente. Gli attacchi interni e le faide contro l’amministrazione Trump cesseranno, ma con essi muore anche la distensione con Mosca e le vaghe promesse di neo-isolazionismo. Le elezioni francesi si svolgeranno in un clima di fibrillazione internazionale ed il loro valore aumenta ancora.
L’establishment ha già riconquistato la Casa Bianca
La lotta tra il “populista” Donald Trump e l’establishment atlantico, liberal e finanziario, quello che poggia sull’asse City-Wall Street, non è durata neppure tre mesi: il 20 gennaio scorso il neo-presidente si è insediato alla Casa Bianca e dopo solo dieci settimane, appestate dalla diffusione di dossier, agguati al Congresso, insinuazioni sui suoi rapporti con la Russia, colpi bassi dei servizi segreti, Trump ha infine capitolato.
Tra un combattimento all’arma bianca e la resa, l’immobiliarista di New York ha scelto la seconda strada, chinando il capo ed adeguandosi alle direttive dell’oligarchia. Il gesto di riconciliazione con l’élite atlantica è coinciso col bombardamento della base aerea siriana di Shayrat nella notte tra il 6 ed il 7 aprile, motivato dal precedente attacco chimico su Idlib che gli angloamericani avevano orchestrato ad hoc: 59 missili Tomahawk con cui il neo-presidente ha cestinato la campagna elettorale, le sue promesse di distensione con la Russia ed il vagheggiato neo-isolazionismo, per ricevere il battesimo dell’establishment. Ora Trump è parte integrante del sistema: gli attacchi della stampa cesseranno, il partito repubblicano si acquieterà, la CIA smetterà di produrre scomodi dossier ed il Dipartimento di Stato si allineerà allo Studio ovale.
Poche mosse in rapida successione sono state sufficienti per piegare un presidente che aveva suscitato grandi speranza negli Stati Uniti e all’estero per la sua carica anti-sistema, ma all’atto pratico ha dimostrato di non possedere né la fibra, né l’esperienza, né la forza politica, per imporre la sua linea e liberare la nazione americana dall’élite mondialista. Il 24 marzo l’ammutinamento del partito repubblicano impedisce l’abolizione dell’Obamacare; il 31 marzo l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn si dice pronto a testimoniare davanti alla commissione del Congresso che indaga sul “Russiangate” in cambio dell’immunità; il 4 aprile si consuma nella provincia di Idlib l’attacco chimico imputato al regime di Assad e realizzato dai “White Helmets” finanziati dagli angloamericani. La strage siriana è il test decisivo per Trump: o si piega alla volontà dell’establishment o sarà estromesso. Trump getta la spugna: il 5 aprile, Stephen Bannon, l’anima “populista” della campagna elettorale, è allontanato dal Consiglio per la Sicurezza nazionale per la gioia del Pentagono. Il 6 aprile la Casa Bianca ribalta di 180 gradi la strategia sinora seguita sulla Siria: il Segretario di Stato Rex Tillerson sostiene che Bashar Assad deve essere rimosso e nelle prime ore del 7 aprile, è sferrato il blitz sulla base aerea di Shayrat, da dove sarebbe partiti i fantomatici caccia per gasare Idlib.
Sebbene Mosca disponga di mezzi idonei a neutralizzare l’attacco (i sistemi S-300 e S-400), non si registra nessuna reazione da parte russa: il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dirà che il personale della base è stato evacuato dopo l’avviso americano dell’imminente raid.
È da notare la tempistica dell’attacco: poche ore prima che il presidente Trump incontri in Florida il leader cinese Xi Jinping e a distanza di pochi giorni dalla visita del Segretario di Stato Tillerson in Russia, l’11 e 12 aprile1. Il blitz statunitense è un monito che la “nuova” Casa Bianca, quella del rinato Donald Trump, lancia al resto del mondo: nessun isolazionismo, nessuna distensione, nessuna divisione del mondo in sfere d’influenza. L’impero angloamericano è vivo ed è pronto alla guerra per difendere la sua egemonia mondiale: esattamente l’opposto di quanto aveva promesso Trump in campagna elettorale, delineando uno scenario di progressivo ritiro degli USA. Smantellamento della NATO, ritiro dal Giappone, fine delle interferenze in Medio Oriente, etc. etc.
C’è chi dice che il bombardando dell’installazione militare siriana sia la prova della dipendenza di Trump dal Likud e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu; altri dicono che, oltre a Tel Aviv, il presidente americano abbia voluto rinsaldare i legami con le potenze sunnite regionali, Turchia ed Arabia Saudita in testa. Non sono affermazione errate, ma parziali: quelli israeliani, turchi e sauditi sono pur sempre piccolo o medi nazionalismi.
L’azione di Trump deve essere letta considerando cosa è oggi il Medio Oriente: una grande scacchiera dove il declinante impero angloamericano si confronta con la rinnovata potenza mondiale russa. L’intervento in Siria è prima di tutto una vittoria dell’establishment atlantico, atterrito dai progetti neo-isolazionisti del primo Trump: Washington e Londra sono ancora in Medio Oriente e sono pronte a “contenere” la Russia in qualsiasi quadrante. Nessun Levante in mano ai russi, nessun smantellamento della NATO, nessun attacco al suo corrispettivo politico, l’Unione Europea: è questo il nuovo corso del Donald Trump “normalizzato”.
Sono sintomatici, a questo proposito, gli editoriali della stampa liberal, la stessa che fino al 5 aprile braccava Trump con le accuse di connivenza con Mosca: ora che il presidente si è piegato alla linea “russofobica”, ora che è disposto a combattere l’esuberanza russa in Medio Oriente, ora che la distensione, mai decollata, è morta del tutto, è un fiorire di elogi e ripensamenti.
“Striking at Assad Carries Opportunities, and Risks, for Trump2” scrive il New York Times, asserendo che il blitz militare è un’occasione per “raddrizzare” la sua amministrazione allo sbando, riaffermando l’autorità americana nei confronti di Mosca. “A president who launches missiles into Syria is a president these GOP Trump skeptics can get behind” titola il Washington Post, assicurando che le fratture dentro il partito repubblicano si riassorbiranno presto, ora che Trump si è adagiato alla linea dei vari neocon. “Trump Shows He Is Willing to Act Forcefully, Quickly” gioisce il Wall Street Journal, cantando le lodi del marziale Trump, vero “commander in chief”.
“La chance di Trump e la credibilità persa da Obama” è il significativo articolo di Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, il tempio statunitense dell’oligarchia atlantica. Afferma l’autore3:
È raro che la storia offra una seconda possibilità (dopo il mancato bombardamento di Obama dell’agosto 2013, Ndr), ma gli Stati Uniti e gli altri Paesi si trovano precisamente in questa situazione. (…) Un’opzione è attaccare le posizioni siriane, soprattutto i campi d’aviazione e gli aerei associati con le armi chimiche. (…). Un’azione militare russa, tuttavia, non è da considerarsi scontata. Il presidente Vladimir Putin potrebbe esitare prima di rischiare e adottare un atteggiamento di sfida, considerando le difficoltà economiche e il riaccendersi delle proteste politiche in patria. (…) Un altro approccio sarebbe quello di fornire attrezzature di difesa antiaerea ai curdi siriani e a gruppi sunniti dell’opposizione ben selezionati. (…). Vale la pena sottolineare che nei prossimi mesi bisognerà fare di più per rafforzare i sunniti locali, che devono poter garantire la sicurezza in quelle aree della Siria che devono essere liberate dai gruppi terroristi. (…). Trump ha l’opportunità di marcare le distanze rispetto al suo predecessore e dimostrare che c’è un nuovo sceriffo in città; Theresa May, la premier britannica, ha un’opportunità analoga. È raro che la storia offra una seconda possibilità: stavolta non va sprecata.”
Ecco qual è la missione del nuovo Trump “addomesticato”: portare a compimento il piano di balcanizzazione del Medio Oriente iniziato nel 2014 con l’improvviso scatenarsi dello Stato Islamico, ritagliando tra Siria ed Iraq un “Sunnistan” ed un Kurdistan, due nuove entità legate agli angloamericani ed agli israeliani. È superfluo dire che tale strategia è inconciliabile con la difesa dell’integrità nazionale degli Stati sostenuto da Mosca ed appoggiata da Teheran.
Lo stesso bombardamento aereo del 6 aprile si inserisce in questa logica di balcanizzazione della regione: nessun jet siriano è partito dalla base siriana di Shayrat per “gasare” i ribelli, ma l’installazione, situata nella provincia di Homs e aperta ai russi nel dicembre 2015, è di strategica importanza per contenere l’ISIS nell’est e nel sud della Siria, le stesse zone in cui dovrebbe nascere il Califfato islamico protetto dagli angloamericani. Non è certamente casuale che i miliziani islamisti abbiamo prontamente sfruttato il blitz aereo di Trump per riprendere l’iniziativa contro le postazioni dell’Esercito Arabo Siriano4.
Gli effetti di una Casa Bianca “rimessa in riga”, superano però i confini del Medio Oriente ed hanno profonde ripercussioni anche nell’Unione Europea, dove, dopo l’elezione di Trump, i movimenti populistici avevano potuto contare sulla sponda americana e su quella russa.
Il voltafaccia di Trump priva i nazionalisti europei del supporto statunitense, in coincidenza per di più di un appuntamento elettorale decisivo per le sorti della UE/NATO: le imminenti elezioni presidenziali francesi. Anziché avvalersi di una cooperazione tra Putin e Trump in chiave anti-Bruxelles, la candidata del Front National affronterà le elezioni in un clima di tensione internazionale e forte polarizzazione, utile ai suoi detrattori per dipingerla come la “quinta colonna”di Putin in Francia.
Constata la conversione di Trump ed il deterioramento sempre più preoccupante della situazione internazionale, la vittoria di Marine Le Pen riveste un ruolo ancora più importante: solo svincolandosi da Bruxelles, che è sinonimo di Unione Europea ma anche di NATO, sarà possibile per i Paesi europei evitare di essere trascinati nel conflitto tra angloamericani e potenze euroasiatiche che si va delineando all’orizzonte, giorno dopo giorno. Poco importa se a iniziarlo sarà Trump o qualsiasi altro burattino dell’establishment atlantico.
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1http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-syria-russia-usa-idUSKBN1771V6
2https://www.nytimes.com/2017/04/07/world/middleeast/airstikes-syria-trump-russia.html
3http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-04-07/la-chance-trump-e-credibilita-persa-obama–134537.shtml?uuid=AEJKBQ1
4https://sputniknews.com/world/201704071052396619-russian-mod-us-attack-syria-terrorists-offensive/
CALMA E SANGUE FREDDO Attacco Usa alla Siria. Calma e sangue freddo le cose non sono mai come appaiono. Ai media interessa solo fare da cassa di risonanza ai poteri cui sono asserviti al fine di influenzare e manipolare l’opinione pubblica di Claudio Martinotti Doria
Ho letto decine di articoli e report on line, soprattutto di siti di geopolitica e blogger affidabili e molto ben informati, li ho letti soprattutto dopo l’attacco missilistico americano alla base siriana (alle 03.45 ora italiana, un cacciatorpediniere della marina USA ha lanciato 59 missili Tomahawk sulla base militare siriana di Shayrat), e mi sono formato l’opinione che siano solo rappresentazioni simboliche e messaggi criptici tra addetti ai lavori (non necessariamente ed esclusivamente rivolti agli attori coinvolti a livello regionale), cui i media fanno pedissequamente da cassa di risonanza, perché da sempre asserviti al sistema di potere, per influenzare, manipolare e confondere l’opinione pubblica.
Ciò che conta è che coloro che cui sono destinati e sono in grado di decodificare i messaggi li sappiano interpretare correttamente e rispondano ripristinando un equilibrio nel gioco dei poteri, che ormai sono frazionati, eterogenei e mutevoli, spesso conflittuali nell’ambito di uno stesso stato sovrano (c’è ben poca unità d’intenti, a differenza di quanto ritengono i cospirazionisti e/o complottisti).
In sintesi le cose non sono mai come appaiono.
Ad esempio occorre sapere che nel 2013 quando in Siria si era vicini ad un intervento armato di terra americano e dei loro succubi (qualcuno li definisce ancora alleati), dopo la false flag dell’attacco chimico alla popolazione inerme ed i vari falsi bombardamenti agli ospedali siriani, attribuito all’unanimità mediatica al presidente siriano Bashar al-Assad, grazie all’intervento diplomatico russo si raggiunse l’accordo di smantellare le armi chimiche in possesso all’esercito siriano, per cui la Siria non possiede più armi chimiche da anni. Quindi il recente uso di tali armi a Idlib che ha causato la morte di diversi bambini è probabilmente una flase flag (come riferito dal senatore libertario USA Ron Paul, che ha rivelato, come tutti i giornalisti seri dovrebbero sapere, che le armi chimiche ai gruppi siriani ribelli ed ai mercenari del sedicente stato islamico li ha forniti la Clinton durante il suo mandato sotto la presidenza Obama), oppure si tratta di un incidente, nel senso che è stato bombardato un deposito dei ribelli e guerriglieri islamici che conteneva armi e/o prodotti chimici (forniti loro dagli USA) e nell’esplosione si sono liberate sostanze tossiche che si sono riversate sulla popolazione inerme.
Occorre altresì sapere che Trump aveva preavvisato i russi dell’imminente attacco missilistico alla base militare siriana, proprio per evitare che vi fossero vittime russe, evitando di far incazzare i russi con il conseguente rischio di rappresaglie. Anche se Trump ha sbagliato a non informare anche il presidente cinese Xi Jinping con cui era a cena, perché per la cultura asiatica (e non solo) è un gravissimo sgarbo far fare loro (ai politici potenti) una brutta figura da disinformati e poco considerati, è un’umiliazione che si legheranno al dito, ennesimo errore politico diplomatico di Trump, dovuto alla sua sprovvedutezza in materia. Incompetenza inevitabile, dovuta preminentemente al fatto che, per le pressioni ricevute dai potentissimi neocons, ha dovuto liberarsi di molti consulenti e consiglieri del suo staff inizialmente da lui nominati, ed è ormai sempre più ridotto e circondato da parassiti incompetenti (il principale è il genero) e dai loro accoliti, vissuti negli agi, nel lusso e nell’autoreferenzialità (laureatisi grazie alle ricche donazioni famigliari alle più prestigiose università americane) e privi di esperienza e cultura specifica e con la supponenza autoritaria di coloro che non si documentano e non accettano consigli preziosi per non apparire deboli ed inadeguati alle responsabilità assunte. In tal modo finiscono per compiere errori, anche grossolani, perché si crea un circolo vizioso, catalizzando nel proprio entourage prevalentemente cortigiani ossequiosi ed escludendo coloro che saprebbero ben consigliare e controbilanciare con valutazioni più appropriate alle circostanze, che consentirebbero di prendere decisioni più avvedute.
Concludendo, se è vero che gli eventi pare stiano precipitando ed il ritmo con cui avvengono si fa sempre più serrato e minaccioso, e pur vero che la distribuzione dei poteri e delle forze in gioco è tale che nessuno di loro (Israele in testa, che rimane uno dei principali manovratori, sia direttamente che indirettamente) può permettersi eccessivi azzardi e pericolose proiezioni, limitandosi perlopiù a sondare l’avversario di turno, con una serie di mosse o bluff (come nel gioco degli scacchi), ma senza alcun intento veramente distruttivo e soprattutto autodistruttivo, essendo consapevoli di come alcune scelte possano rivelarsi infelici e ritorcersi contro drammaticamente.
Con questo non affermo ottimisticamente (non sono affatto ottimista) che sia escluso il rischio di una guerra imminente, ma che non deflagrerà oltre i limiti regionali, come temuto da molti che temono si scateni la terza guerra mondiale e possa degenerare in un conflitto nucleare. Quantomeno non ora.
Cav. Dott. Claudio S. Martinotti Doria
Attacco USA alla Siria. Calma e sangue freddo, le cose non sono mai come appaiono
di
Claudio Martinotti Doria
Un'ipotesi ipercomplottista: supponiamo che "lorsignori" avessero deciso qualche anno fa che sia il tempo di far scoppiare la terribile III guerra mondiale. Occorre un cattivo per farla scoppiare, e non potendo contare sulla "prima mossa" di Putin o di qualche governante pazzoide dell'estremo oriente hanno deciso di fabbricarsi in casa il cattivone e così hanno fatto in modo che fosse eletto Trump, che gioca la parte del supercattivo, (è contro i gay, antiecologista, populista, costrisce i muri...) insomma è l'uomo ideale per fargli far scoppiare una guerra. In realtà Trump è uno di loro e recita una parte che gli hanno assegnato. La guerra deve scoppiare, ma il fronte "progressista" deve avere le mani pulite.
RispondiEliminaHo sempre davanti agli occhi la scena del cartone animato dei Simpson di molti anni fa. Già sapevano, già era previsto che Trump sarebbe stato eletto
Anch'io concordo con questo!
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