La Via Crucis di quartiere
La serata è fresca, quasi fredda, ma tantissime persone si sono riunite. La Via Crucis parte dal piazzale della parrocchia e si snoda lungo una strada in salita. Le stazioni sono di fronte ad alcune case, dove sono stati allestiti piccoli altari. Qualche automobile è costretta a fermarsi e a spegnere il motore, in attesa che la processione passi, ma nessuno suona il clacson o protesta.
Quando si arriva davanti alla casa di qualcuno che soffre il parroco lo dice, così che la preghiera si faccia più intensa, più partecipe e commossa. Il parroco fa anche i nomi delle persone che vivono lì. La comunità parrocchiale è al corrente, non ci sono problemi di riservatezza. Dopo la preghiera, un abbraccio, un bacio, una carezza: un gesto di condivisione e di tenerezza per chi sta soffrendo, per chi sta portando dolorosamente la propria croce, .
Procedere in salita, tutti in gruppo, richiede qualche sforzo. I bambini si distraggono, si sente un certo brusio, e il parroco li richiama: «Silenzio!». I più anziani restano un po’ indietro, ma alla successiva stazione il gruppo si ricompone. Qualche cane, spaventato dall’improvvisa irruzione di tanta gente sulla strada, si mette ad abbaiare.
Le meditazioni propongono un pensiero per noi, per me. Gesù non è venuto a eliminare il male e il peccato dal mondo, come per magia. È venuto ad assumerli, a farli propri. Li ha presi su di sé per la redenzione di tutti. A ogni stazione il mistero della Croce è riannunciato, direi attualizzato, tra le case del quartiere.
Mentre salgo, con la mia candelina accesa in mano, lancio di tanto in tanto un’occhiata alle finestre, alle luci accese al di là dei vetri. Distinguo qualche ombra. Spesso le finestre sono protette da inferriate: il prezzo da pagare alla necessità di garantire la sicurezza.
Guardo le auto parcheggiate davanti alle case e penso che in fondo gran parte della nostra vita trascorre dentro scatole. Usciamo dalla scatola dell’appartamento, ci infiliamo nella scatola dell’automobile, entriamo nella scatola dell’ufficio.
Qualcuno adesso starà cenando, altri saranno davanti alla televisione. Che cosa penseranno di questi loro concittadini che camminano dietro una croce di legno? Quali le preoccupazioni? Quali i desideri, le speranze? Il marito e la moglie che vivono lì si vorranno ancora bene? E il giovane che intravvedo dietro quel vetro sarà contento della sua vita?
Penso anche a un bel libro, un librone di più di cinquecento pagine, che mi è stato regalato da un amico siciliano, Michele Vilardo. Si intitola «Il lutto e la luce» e illustra, con una ricchissima dotazione fotografica, i riti della Settimana santa nella Sicilia centro-occidentale. Ecco la cosiddetta «pietà popolare». Ecco volti, storie, tradizioni. Sacre rappresentazioni che coinvolgono tantissime persone, molte delle quali magari non vanno a messa, o ci vanno di radio, ma si sentono parte di una cultura, di una storia, e mai vorrebbero rinunciare a un cammino comune, nel quale si riconoscono.
Siamo nel cuore dell’anno liturgico, del mistero cristiano, e il regalo del professor Vilardo mi fa meditare su quanto la fede religiosa sia e resti centrale per noi tutti, in questa nostra Italia. Certo, da regione a regione le differenze sono notevoli, ma la nostra storia è questa. Così, mentre, con la mia candelina in mano, percorro la strada in salita, le fotografie del libro arrivato dalla bellissima Sicilia si mescolano alle immagini che ho davanti a me, in questa periferia romana. Siamo uno strano paese, dopo tutto. In superficie molto secolarizzato, ma forse non così tanto come potrebbe sembrare.
Ed eccoci arrivati in cima: metà strada. Siamo nel piazzale davanti a una scuola media. Il parroco chiede che chi studia o ha studiato qui alzi la mano. Il pensiero va in particolare a chi ha trascorso o sta trascorrendo anni della sua vita sui banchi di questa scuola. Ma qui abita anche una famiglia la cui croce è particolarmente dolorosa: una figlia malata, un Calvario silenzioso, quotidiano. Ecco il papà e la mamma. Per loro una preghiera speciale, un pensiero pieno di affetto e di partecipazione.. Ci si guarda, ci si riconosce. Non si scappa via di fretta. Così queste case, che di solito sembrano soltanto fare da sfondo a una vita che scorre tra mille impegni, diventano luoghi di umanità
La Via Crucis prosegue in discesa. Meno faticoso, ma per le ginocchia di qualcuno non meno impegnativo. La processione si snoda ora più silenziosa e composta. Anche i ragazzini, un po’ stanchi, sono meno vivaci. Ecco un bambino piccolo crollato dal sonno: la mamma lo porta in braccio, ma riesce a conservare tra le mani la sua candela accesa.
Prima di tornare al piazzale della parrocchia, per l’ultima stazione, si fa tappa davanti a un’altra casa abitata dalla sofferenza. Anche qui il parroco fa i nomi: tutti conoscono la situazione. Si dice spesso che le periferie delle grandi città sono luoghi anonimi, e in parte è vero. Ma questa croce di legno e questa processione dicono che l’anonimato lo si può squarciare: è come un telo scuro che si può rompere con l’amicizia, così da lasciar trapelare i volti delle persone.
Alla fine della Via Crucis, davanti alla statua della Madonna e al praticello ornato di fiori, il parroco ringrazia tutti di cuore e chiede un applauso per i bambini, perché sono stati bravi. Poi dà appuntamento per la messa nella domenica delle palme. Un ultimo saluto, poi tutti a casa. Dentro queste nostre case che stasera, qui, grazie a una croce di legno, non sembrano più semplici contenitori.
Aldo Maria Valli
*
Anne-Marie Pelletier: Via Crucis, l'amore è più forte del male
E’ una Via Crucis non tradizionale quella di Anne-Marie Pelletier, la biblista francese autrice delle meditazioni del Venerdì Santo al Colosseo. Le stazioni rispecchiano i momenti che l’autrice ha ritenuto più significativi nel cammino di Gesù verso il Golgota: il rinnegamento di Pietro, la sofferenza di Cristo dove oggi si riconoscono uomini, donne e persino “bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati”, il silenzio del sabato. Anne-Marie Pelletier ha voluto dare particolare spazio alle donne nella sua Via Crucis, cita Caterina da Siena ed Etty Hillesum e fra i testimoni del nostro tempo ricorda i monaci di Tibhirine. Tiziana Campisi le ha chiesto come ha sviluppato le sue riflessioni:
R. - Direi che non ho pensato a quello che volevo dire o a quello che volevo trasmettere. La mia idea è stata, piuttosto, quella di ritrovarmi in questo cammino, di cercare di mettermi sui passi di Gesù che sale sul Golgota. Si tratta di una dimensione del pensiero di Dio e non del nostro, quindi ho cercato di avere un atteggiamento di ascolto e di silenzio per arrivare, per me stessa e per gli altri, allo straordinario paradosso che si realizza nell’ora della Passione, quello che le Scritture definiscono l’inaudito dell’ora di Dio e che tocca intensamente e profondamente tutto l’agire del nostro mondo contemporaneo.
D. - Le sue 14 stazioni non sono quelle tradizionali. Come mai questa scelta?
R. - Ho preso spunto dal fatto che la Via Crucis ha diversi riferimenti e che non ha uno schema vincolante e ho scelto quei momenti che mi sembravano particolarmente significativi. Così ho deciso di inserire il rinnegamento di Pietro e la scena in cui Pilato, consultato dalle autorità ebraiche, dichiara anche lui che Cristo doveva essere crocifisso. Per me era molto importante voler ricordare, in questa circostanza, ebrei e pagani uniti nella complicità della condanna a morte di Gesù. Sappiamo che nel corso dei secoli i cristiani sono stati tentati di attribuire la responsabilità della morte di Cristo al popolo ebraico. I testi, però, così come sono scritti, ci aiutano a capire che, in realtà, ci si trova dinanzi ad un enorme dramma spirituale nel quale ebrei e pagani sono uniti nello stesso rifiuto di Cristo, nella stessa violenza che porta alla sua condanna a morte.
D. - A che cosa si è ispirata per le sue meditazioni?
R. - Direi, fondamentalmente, sulla mia esperienza di credente, sull’esperienza della lotta della fede. Perché quando ci si trova - come nel caso della Passione di Gesù - di fronte a questo estremo del pensiero di Dio, ciascuno di noi si sente smarrito e ha difficoltà ad entrare nella logica delle Scritture del “doveva essere così”.
D. - C’è un messaggio che vuole dare attraverso i suoi testi?
R. - Direi che fondamentalmente ho cercato di sensibilizzare sul fatto che i tragici eventi della Passione hanno dell’umano: Cristo è condannato a morte, sottoposto alla violenza degli uomini. Tali avvenimenti ci insegnano che dobbiamo riuscire a raggiungere ciò che Papa Francesco chiama l’Evangelii gaudium, “la gioia del Vangelo”. Siamo di fronte ad un grande paradosso, perché quello che abbiamo sotto gli occhi è la realtà di un fallimento, della sofferenza trionfante, del regno della morte. E’ molto importante riprendere coscienza sul fatto che essere cristiani è l’opposto di questo ricatto della violenza, della morte, e che l’amore è più forte. L’amore che viene da Dio ha la vittoria su tutto. Penso sia compito dei cristiani di oggi essere testimoni di ciò.
D. - Nell’ultima stazione lei sottolinea la presenza delle donne…
R. - Ho voluto che la XIV stazione fosse dedicata al Sabato Santo. Il Vangelo offre su tale giorno solo poche parole e queste riguardano delle donne. Sono quelle donne che, tornate dalla tomba dopo l’inumazione di Gesù, andarono a preparare i teli per poterne avvolgere il corpo dopo lo Shabbat. Anche se la nostra liturgia non gli riserva una grande risonanza, penso che il Sabato Santo sia un momento fondamentale. E’ un momento di raccoglimento, di silenzio; ci prepara a riconoscere la resurrezione. Ed è anche un momento femminile, che ci mostra le donne sottoposte alla prova della morte di Gesù ma che allo stesso tempo continuano ad avere un atteggiamento di vita: preparano i teli con i quali andranno ad onorare il corpo di Cristo ed hanno un comportamento molto diverso da quello dei discepoli di Emmaus. Questi sono delusi e disorientati, le donne, invece, non si mostrano così; semplicemente, sobriamente, preparano i teli e si dispongono così a ricevere la grande sorpresa dell’annuncio della Resurrezione.
- http://it.radiovaticana.va/news/2017/04/08/anne-marie_pelletier_parla_dei_testi_della_via_crucis/1304446
«Quel pianto delle donne sulle ferite del mondo»
Avvenire
(Giacomo Gambassi) Le meditazioni di Pelletier per la Via Crucis -- Lungo il cammino che porta il Signore al Golgota e poi al sepolcro ci sono «gli uomini, le donne, persino i bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati, sotto tutti i cieli»; c’è «ogni povero che è nudo, prigioniero, assetato»; c’è il «pianto delle donne» che «non manca mai in questo mondo » insieme con quello «dei bambini terrorizzati, dei feriti nei campi di battaglia che invocano una madre», il pianto «solitario dei malati e dei morenti sulla soglia dell’ignoto», quello «di smarrimento, che scorre sulla faccia di questo mondo che è stato creato, nel primo giorno, per lacrime di gioia, nella comune esultanza dell’uomo e della donna».
E ci sono ancora «le menzogne che ambiscono a regnare sui nostri cuori» oppure «la follia dei torturatori e di chi li comanda». Ma ai piedi della Croce c’è anche – e soprattutto – «la dolcezza di Dio» che visita «il nostro inferno», «unico modo per liberarci dal male »; c’è «l’infinita tenerezza» del Padre «nel cuore del peccato del mondo»; ci sono i grandi «sentieri dell’umiltà» e «i gesti delle donne che onorano la fragilità dei corpi che esse circondano di dolcezza e di onore». È una Via Crucis non tradizionale quella che emerge dalle meditazioni per il rito che papa Francesco presiederà la sera del Venerdì Santo al Colosseo. Testi composti dalla biblista francese Anne-Marie Pelletier, laica, madre e nonna, docente di Sacra Scrittura allo Studio della facoltà “Notre Dame” del Seminario parigino e impegnata nella diffusione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia.
Le sue riflessioni – che in alcune delle quattordici Stazioni si soffermano in particolare sulle «donne del Vangelo» – portano sotto Cristo crocifisso il «nostro mondo» con «tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti», scrive nell’introduzione. «Tante lacrime, tanta miseria» che, aggiunge, «non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da Lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito ». Lo scherma proposto prevede la lettura di un brano biblico, la meditazione e a seguire la preghiera. Nei testi – che ieri L’Osservatore Romano ha anticipato e che, come di consueto, saranno pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana – torna più volte il vocabo- lo “misericordia” che è «il nome» del Signore, un nome «che è follia», nota la studiosa. E fa sapere nella quinta Stazione (“Gesù porta la croce”): «Non c’è caduta che possa sottrarci alla tua misericordia; non c’è perdita, non c’è abisso tanto profondo che tu non possa ritrovare chi si è smarrito».
L’attenzione al “femminile” emerge con forza in due Stazioni d’impronta mariana. Nell’undicesima (“Gesù e sua madre”) si sottolinea la grandezza della Madonna: «In piedi, lei non diserta. Stabat Mater. Nel buio, ma con certezza, sa che Dio mantiene le promesse. Nel buio, ma con certezza, sa che Gesù è la promessa e il suo compimento». Poi la docente d’Oltralpe osserva: «La lama che trafigge il fianco del Figlio trafigge anche il cuore di lei. Anche Maria s’immerge nella fiducia senza appoggio, in cui Gesù vive fino in fondo l’obbedienza al Padre». E la tredicesima Stazione (“Gesù è deposto dalla croce”) si chiude con un Canto a Maria: «O Maria, non piangere più: il tuo figlio, nostro Signore, si è addormentato nella pace. E il Padre suo, nella gloria, apre le porte della vita! O Maria, rallegrati: Gesù risorto ha vinto la morte!». Ha un marcato tratto “femminile” anche la settima Stazione (“Gesù e le figlie di Gerusalemme”) in cui Anne-Marie Pelletier descrive il «pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un’opera di compassione ». Quindi il richiamo alle «lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena».
Accanto al Signore, nelle sue ultime ore, la studiosa colloca anche una donna ebrea, un teologo ortodosso e un pastore protestante, offrendo alla Via Crucis uno sguardo ecumenico e interreligioso. Nella settima Stazione compare Etty Hillesum «rimasta in piedi nella tempesta della persecuzione nazista, che difese fino all’ultimo la bontà della vita», si racconta. E lei «ci suggerisce all’orecchio questo segreto che intuisce alla fine della sua strada: ci sono lacrime da consolare sul volto di Dio, quando piange sulla miseria dei suoi figli. Nell’inferno che sommerge il mondo, lei osa pregare Dio: “Cercherò di aiutarti”, gli dice. Audacia così femminile e così divina ». Nell’ottava Stazione (“Gesù è spogliato delle vesti”) il riferimento al filosofo greco contemporaneo Christos Yannaras è lo spunto per spiegare che lo Spirito Santo ci insegna la «lingua di Dio». «Gesù bambino nudo nella mangiatoia – è la citazione di Yannaras –; spogliato nel fiume mentre riceve il Battesimo come un servo; sospeso all’albero della croce, nudo, come un malfattore. Attraverso tutto questo egli ha manifestato il suo amore per noi». E nella decima Stazione (“Gesù sulla croce è deriso”) si evidenzia «che “soltanto un Dio debole può salvarci”, come scriveva il pastore Dietrich Bonhoeffer pochi mesi prima di morire assassinato, quando, sperimentando sino in fondo il potere del male, poteva riassumere, in questa verità semplice e vertiginosa, la professione della fede cristiana». Altro rimando è all’assassinio dei sette trappisti sequestrati nel loro monastero in Algeria e massacrati da frange fondamentaliste islamiche nel 1996. La biblista avverte che «i monaci uccisi a Tibhirine alla preghiera “Disarmali!” aggiungevano la supplica “Disarmaci!”». Al Colosseo riecheggeranno nodi da sciogliere e vicende l’attualità. La prima Stazione è l’occasione per lanciare un monito: «Siamo peccatori e complici di morte». Nella quarta Stazione (“Gesù re della gloria”) si esorta a non cedere agli «idoli» del mondo e alle «figure menzognere del successo e della gloria». Nell’ottava Stazione si parla della «folla immensa degli uomini che subiscono la tortura, la spaventosa schiera dei corpi maltrattati, tremanti d’angoscia all’avvicinarsi dei colpi, agonizzanti in sordidi bassifondi ». Certo, tiene a ribadire l’autrice, «Gesù non ha portato la croce come un trofeo» e «non somiglia in nulla agli eroi della nostra fantasia che abbattono trionfanti i loro malvagi nemici». E conclude nell’ultima riflessione: sappiamo che ogni «preghiera» e ogni «attesa» saranno «esaudite dalla Risurrezione di Cristo».
***
L’evento - La fiducia di Maria, le «lacrime di sangue» versate dalle figlie di Gerusalemme, il «segreto» dell’ebrea Etty Hillesum sono alcuni tratti dell’«audacia femminile» proposta dalla biblista francese per il rito al Colosseo che il Papa presiederà il Venerdì Santo.
La settima Stazione - «Il pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un'opera di compassione, questo pianto delle donne non manca mai in questo mondo. Esso scende silenziosamente sulle guance delle donne. Più spesso ancora nel loro cuore, come le lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena».
La nona Stazione - «Era necessario che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male. Era necessario che Gesù Cristo portasse l'infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo. Era necessario questo, perché, posta dinanzi alla vita di Dio, la morte indietreggiasse e cadesse».
I temi - Dai bambini «umiliati e violentati» al «povero nudo, prigioniero e assetato», dalla «follia dei torturatori» agli «idoli» dell’uomo: sono le «miserie» messe in luce nei testi. Il richiamo alle «famiglie lacerate», alle «prigioni», alle barche «sovraccariche di migranti».
E ci sono ancora «le menzogne che ambiscono a regnare sui nostri cuori» oppure «la follia dei torturatori e di chi li comanda». Ma ai piedi della Croce c’è anche – e soprattutto – «la dolcezza di Dio» che visita «il nostro inferno», «unico modo per liberarci dal male »; c’è «l’infinita tenerezza» del Padre «nel cuore del peccato del mondo»; ci sono i grandi «sentieri dell’umiltà» e «i gesti delle donne che onorano la fragilità dei corpi che esse circondano di dolcezza e di onore». È una Via Crucis non tradizionale quella che emerge dalle meditazioni per il rito che papa Francesco presiederà la sera del Venerdì Santo al Colosseo. Testi composti dalla biblista francese Anne-Marie Pelletier, laica, madre e nonna, docente di Sacra Scrittura allo Studio della facoltà “Notre Dame” del Seminario parigino e impegnata nella diffusione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia.
Le sue riflessioni – che in alcune delle quattordici Stazioni si soffermano in particolare sulle «donne del Vangelo» – portano sotto Cristo crocifisso il «nostro mondo» con «tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti», scrive nell’introduzione. «Tante lacrime, tanta miseria» che, aggiunge, «non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da Lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito ». Lo scherma proposto prevede la lettura di un brano biblico, la meditazione e a seguire la preghiera. Nei testi – che ieri L’Osservatore Romano ha anticipato e che, come di consueto, saranno pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana – torna più volte il vocabo- lo “misericordia” che è «il nome» del Signore, un nome «che è follia», nota la studiosa. E fa sapere nella quinta Stazione (“Gesù porta la croce”): «Non c’è caduta che possa sottrarci alla tua misericordia; non c’è perdita, non c’è abisso tanto profondo che tu non possa ritrovare chi si è smarrito».
L’attenzione al “femminile” emerge con forza in due Stazioni d’impronta mariana. Nell’undicesima (“Gesù e sua madre”) si sottolinea la grandezza della Madonna: «In piedi, lei non diserta. Stabat Mater. Nel buio, ma con certezza, sa che Dio mantiene le promesse. Nel buio, ma con certezza, sa che Gesù è la promessa e il suo compimento». Poi la docente d’Oltralpe osserva: «La lama che trafigge il fianco del Figlio trafigge anche il cuore di lei. Anche Maria s’immerge nella fiducia senza appoggio, in cui Gesù vive fino in fondo l’obbedienza al Padre». E la tredicesima Stazione (“Gesù è deposto dalla croce”) si chiude con un Canto a Maria: «O Maria, non piangere più: il tuo figlio, nostro Signore, si è addormentato nella pace. E il Padre suo, nella gloria, apre le porte della vita! O Maria, rallegrati: Gesù risorto ha vinto la morte!». Ha un marcato tratto “femminile” anche la settima Stazione (“Gesù e le figlie di Gerusalemme”) in cui Anne-Marie Pelletier descrive il «pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un’opera di compassione ». Quindi il richiamo alle «lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena».
Accanto al Signore, nelle sue ultime ore, la studiosa colloca anche una donna ebrea, un teologo ortodosso e un pastore protestante, offrendo alla Via Crucis uno sguardo ecumenico e interreligioso. Nella settima Stazione compare Etty Hillesum «rimasta in piedi nella tempesta della persecuzione nazista, che difese fino all’ultimo la bontà della vita», si racconta. E lei «ci suggerisce all’orecchio questo segreto che intuisce alla fine della sua strada: ci sono lacrime da consolare sul volto di Dio, quando piange sulla miseria dei suoi figli. Nell’inferno che sommerge il mondo, lei osa pregare Dio: “Cercherò di aiutarti”, gli dice. Audacia così femminile e così divina ». Nell’ottava Stazione (“Gesù è spogliato delle vesti”) il riferimento al filosofo greco contemporaneo Christos Yannaras è lo spunto per spiegare che lo Spirito Santo ci insegna la «lingua di Dio». «Gesù bambino nudo nella mangiatoia – è la citazione di Yannaras –; spogliato nel fiume mentre riceve il Battesimo come un servo; sospeso all’albero della croce, nudo, come un malfattore. Attraverso tutto questo egli ha manifestato il suo amore per noi». E nella decima Stazione (“Gesù sulla croce è deriso”) si evidenzia «che “soltanto un Dio debole può salvarci”, come scriveva il pastore Dietrich Bonhoeffer pochi mesi prima di morire assassinato, quando, sperimentando sino in fondo il potere del male, poteva riassumere, in questa verità semplice e vertiginosa, la professione della fede cristiana». Altro rimando è all’assassinio dei sette trappisti sequestrati nel loro monastero in Algeria e massacrati da frange fondamentaliste islamiche nel 1996. La biblista avverte che «i monaci uccisi a Tibhirine alla preghiera “Disarmali!” aggiungevano la supplica “Disarmaci!”». Al Colosseo riecheggeranno nodi da sciogliere e vicende l’attualità. La prima Stazione è l’occasione per lanciare un monito: «Siamo peccatori e complici di morte». Nella quarta Stazione (“Gesù re della gloria”) si esorta a non cedere agli «idoli» del mondo e alle «figure menzognere del successo e della gloria». Nell’ottava Stazione si parla della «folla immensa degli uomini che subiscono la tortura, la spaventosa schiera dei corpi maltrattati, tremanti d’angoscia all’avvicinarsi dei colpi, agonizzanti in sordidi bassifondi ». Certo, tiene a ribadire l’autrice, «Gesù non ha portato la croce come un trofeo» e «non somiglia in nulla agli eroi della nostra fantasia che abbattono trionfanti i loro malvagi nemici». E conclude nell’ultima riflessione: sappiamo che ogni «preghiera» e ogni «attesa» saranno «esaudite dalla Risurrezione di Cristo».
***
L’evento - La fiducia di Maria, le «lacrime di sangue» versate dalle figlie di Gerusalemme, il «segreto» dell’ebrea Etty Hillesum sono alcuni tratti dell’«audacia femminile» proposta dalla biblista francese per il rito al Colosseo che il Papa presiederà il Venerdì Santo.
La settima Stazione - «Il pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un'opera di compassione, questo pianto delle donne non manca mai in questo mondo. Esso scende silenziosamente sulle guance delle donne. Più spesso ancora nel loro cuore, come le lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena».
La nona Stazione - «Era necessario che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male. Era necessario che Gesù Cristo portasse l'infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo. Era necessario questo, perché, posta dinanzi alla vita di Dio, la morte indietreggiasse e cadesse».
I temi - Dai bambini «umiliati e violentati» al «povero nudo, prigioniero e assetato», dalla «follia dei torturatori» agli «idoli» dell’uomo: sono le «miserie» messe in luce nei testi. Il richiamo alle «famiglie lacerate», alle «prigioni», alle barche «sovraccariche di migranti».
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.