La parola che il Papa non pronuncia
(Roberto de Mattei su “Il Tempo” del 5 giugno 2017) Gli attentatori del London Bridge, hanno ucciso gridando: “Questo è per Allah”. Il 14 luglio 2016, in nome di Allah, Mohamed Lahouaiej Bouhalel ha falciato 84 persone sulla Promenade des Anglais di Nizza; il killer di Monaco, il 21 luglio 2016 sparava in faccia ai bambini urlando “Allah Akbar”; lo stesso grido veniva lanciato il 26 luglio, a Rouen dal fanatico che ha sgozzato il sacerdote, Jacques Hamel e, il 1 gennaio 2017, dall’’attentatore del night club “Reina” di Istanbul. Il 2 luglio dello scorso anno, a Dacca, nove italiani sono stati uccisi e torturati perché non sapevano il Corano. Per l’Isis tutti i recenti attentati esprimono un’integrale fedeltà agli insegnamenti dell’Islam. Il nome di Allah, il dio dell’Islam, di cui Maometto è profeta, risuona cupamente da un capo all’altro dell’Occidente accompagnato da una lunga scia di sangue e di terrore.
Si può continuare a negare l’esistenza di una guerra religiosa? Non basta affermare che “non si può uccidere in nome di Dio” per cancellare la realtà di un progetto di conquista religiosa del mondo attraverso la violenza. Lo stesso primo ministro inglese Theresa May, dopo il nuovo attacco terroristico in Gran Bretagna, ha parlato di “estremismo islamico”, un’“ideologia” che “si diffonde attraverso internet e le grandi società” e che bisognerebbe contrastare non solo con l’azione militare e d’intelligence, ma con “i valori di pluralismo” della cultura britannica, “superiori” ai messaggi dei “predicatori” estremisti.
Il 4 luglio, al Regina Coeli, Papa Francesco ha condannato il “terrorismo”, ma la parola “Islam” sembra per lui impronunciabile. Criticare anche implicitamente l’Islam significherebbe cadere in quel “proselitismo” che, secondo papa Francesco, costituisce uno dei peggiori peccati possibili per un cattolico. Eppure quale occasione migliore per contrapporre la verità della fede cattolica alle religioni che predicano la violenza, come l’Islam, e per spiegare che il pluralismo a cui si richiama il premier inglese, è in realtà un relativismo morale che apre la strada alla violenza dell’Islam. La Gran Bretagna è un Paese che sta pagando con un altissimo prezzo il fallimento dell’ideologia multiculturalista che ha professato per tanti anni. L’alternativa alla violenza islamica non è né il multiculturalismo, né l’ecumenismo, ma l’affermazione chiara e netta dei princìpi del Vangelo. Che cosa potrebbe proclamare di diverso il Vicario di Cristo? (Roberto de Mattei su “Il Tempo” del 5 giugno 2017)
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