ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 14 giugno 2017

Come eravamo..


Preti trendy? Non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo, è un atto estremo di perfetta carità cristiana. E adesso vi spiego cos’è davvero volgare …

Oggi, dinanzi a certi preti, per un verso, non ci resta che piangere, per altro verso, non ci resta che prenderli per il culo, perché posta la questione in questi termini, la presa di culo risulterà l’atto estremo, più perfetto e amorevole della carità cristiana, ve lo dice un pretaccioscurrile, che resta intimamente troppo preoccupato di non ingoiare ilcammello dell’eresia [cf. Mt 23,24], per preoccuparsi dell’innocuomoscerino di una salutare parolaccia..
Caro Padre Ariel,
non sono un vecchio nostalgico, ho appena compito 24 anni, e alla mia età le dico che oggi un prete come don Camillo, nato dalla fantasia del mio conterraneo emiliano Giovannino Guareschi, riempirebbe le chiese, specie di giovani. Mentre i preti in abiti casual, tutti ecologiapace e amorevenite immigrati che c’è posto per tutti e via cantando a seguire, le chiese le hanno vuotate. Dentro le chiese oggi sono rimasti quelli che vent’anni li avevano nel 1970, oggi sono in cammino per i settanta, ma sono sempre lì, a strimpellare con le chitarrine. Sa che le dico, forse il mio linguaggio sarà volgare e gliene chiedo perdono, ma i don Camillo di una volta erano uomini con le palle che ispiravano rispetto anche in quelli che non credevano. Oggi tanti preti trendyfanno proprio venir voglia di prenderli per il culo, specie da parte di chi crede ancora, perché a un prete si può perdonare tutto, ma non che sia diventato prete perché totalmente privo di palle […]
Edoardo M. (Modena)
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… i modi all’occorrenza garbati e persuasivi di Don Camillo …
Il giovane lettore modenese di cui ho riportato la prima parte della sua lettera, è stato l’ispiratore di questo nuovo articolo nel quale, tirato per i bordi della mia veste, torno ad affrontare il problema dell’abito del prete, sebbene inteso, come sarà spiegato avanti, in senso filosofico, teologico, mistico e morale. Di questo argomento mi sono già occupato in uno scritto pubblicato lo scorso anno, ponendo in rapporto i preti che nella culla storica del Cristianesimo si mimetizzano in abiti civili, mentre i musulmani ostentano tutti i segni della loro appartenenza tribale e religiosa, in un’Europa ormai ex cristiana divenuta loro facile terra di conquista [vedere precedente articolo QUI]. Spontanea sorge quindi la domanda: perché ritornare su quest’argomento? Ma soprattutto: come mai, dinanzi a fatti ben più gravi, come l’Europa ex cristiana al totale collasso, parlare di “quisquilie” come l’abito del prete? Forse in tal modo non si corre il rischio di preoccuparsi delle margherite che appassiscono per il calore prodotto dal fuoco, mentre la casa avvolta interamente dalle fiamme sta bruciando? In una situazione ecclesiale come la nostra, che sotto molti aspetti non ha dei precedenti storici, non vi sono forse cose ben più gravi a cui pensare? [vedere mio precedente articolo QUI]. Un esempio di cosa ben più grave è costituto dai non pochi preti che quando salgono all’altare mostrano in modo palese di non credere in ciò che fanno, dopo avere dimenticato che nel giorno della loro sacra ordinazione diaconale hanno ricevuto il Santo Vangelo con queste precise parole:
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«Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».
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Ricevendo poi la consacrazione sacerdotale, il presbìtero inginocchiato dinanzi al Vescovo ha ricevuto il calice e la patena che conterranno il Corpo e il Sangue vivo di Cristo Dio; e li ha ricevuti con delle precise parole che dovrebbe ricordare per tutta la vita. E se un giorno il prete fosse anche colpito da demenza senile o da morbo di Alzheimer, al punto da non trovare neppure la porta del gabinetto nel corridoio di casa sua, in ogni caso, pur non ricordando la propria data di nascita ed il proprio stesso nome, ricorderà comunque queste parole:
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«Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore».
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… come eravamo: due contadini si inginocchiano al passaggio del parroco che porta la Santissima Eucaristia a un ammalato
Dinanzi a preti sempre più mal formati,o peggio deformati per anni dentro quei devastanti pretifici ai quali ormai sono stati ridotti i seminari, è il caso di aprire il discorso su un elemento apparentemente marginale come l’abito del prete, quando molti presbìteri, celebrando il Sacrificio Eucaristico, dimostrano di non credere che nel pane e nel vino, dopo la transustanziazione [1]Cristo Signore è veramente e realmente presente, tutto intero, in anima, corpo e divinità? E quando si riferiscono alla Santissima Eucaristica, questo genere di preti che convenzionalmente abbiamo definito preti trendy, di tutto parlano fuorché del Sacrificio vivo e santo, che è loro pessima abitudine chiamare invece in vario altro modo: banchetto d’amore, mensa gioiosa, cena dei fratelli, festa della gioia … insomma: Giovanni Calvino allo stato puro !
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… in effetti, Cristo Dio, dopo averci donato il mistero del Suo Corpo e del Suo Sangue [2]dopo avere sudato nel Getsemani [3]dopo essere stato tradito [4],poi abbandonato dai suoi discepoli [5]ingiustamente processato, insultato, fustigato e coronato di spine [6]è giunto infine sino al Calvario con un pesante legno caricato sulle spalle cantando una di quelle canzoncine demenzial-pop che le nostre povere orecchie devono udire all’interno di molte chiese …
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«Scatenate la gioia, oggi qui si fa festa, dai, cantate con noi, qui la festa siamo noi» [vedere QUI].
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… come eravamo: un sacerdote che porta la Santissima Eucaristia a un ammalato, accompagnato da un bimbo che lo precede portando un lume acceso e l’acquasanta
… con il prete parato col colore viola dei tempi penitenziali forti che batte le mani con aria beota e che rassicura tutti circa il fatto che lui, nel «banchetto della gioia», quella che oggi non si chiama più sacra liturgia del memoriale vivo e santo, tanto meno Sacrificio Eucaristico, al centro mette proprio loro: quattro giovanisfigati che se fossero belli e aitanti non scatenerebbero la gioia ballando davanti all’altare, ma si darebbero ai bagordi in tutt’altri luoghi, per esempio ballando sui cubi delle discoteche. 
E chi pensasse che centro della sacra liturgia, culmen et fons della vita cristiana, è Cristo col sacrificio incruento della croce che si rinnova, sbaglia. E oltre a sbagliare è vecchio e anacronista; e oltre a esser vecchio e anacronista è un «dogmatico ottuso», un «tridentino pre-conciliare», un «ossessionato dalla dottrina» …
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Inutile ricordare che dogma e dogmatico non sono parolacce scurrili, anche se oggi ridotte a tal rango, perché i dogmi – a partire dai dogmi cristologici e trinitari –, sono le colonne che reggono l’impianto della fede e dell’intero Mistero della Rivelazione [7]Il termine tridentino, o Concilio di Trento, oggi usato come i figli di papà usavano nel Sessantotto il termine «fascista» e «borghese», non è nulla di sconveniente, perché senza il grande Concilio di Trento, celebrato in un momento storico di grande crisi e decadenza morale e politico-sociale della Chiesa, non sarebbe stato neppure pensabile, cinque secoli dopo, il Concilio Vaticano II, preceduto dal breve ma altrettanto grande Concilio Vaticano I. Pertanto, vivere e cercare di vivere la propria vita in conformità alla dottrina e alla morale cattolica, non è affatto sconveniente, tutt’altro! È l’unico sistema da sempre conosciuto attraverso il quale vivere quella vita cristiana che ci guiderà alla salvezza delle nostre anime, attraverso il perdono delle nostre colpe che ci preserva dalle fiamme dell’inferno, portando in cielo tutte le anime specialmente quelle più bisognose della misericordia di Dio, come insegnò la Beata Vergine Maria di Fatima ai pastorelli in una preghiera espiatoria divenuta poi una supplica della Chiesa universale.
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Per anni ho scritto sulle derive spirituali, dottrinali e morali del clero, che se ben analizzate capiremo subito che hanno in sé e di per sé del luciferino; perché solo il Demonio può portare delle anime consacrate a certi livelli di degrado umano e morale. Il tutto con un unico risultato: a darmi ragione ― posto e premesso che su certe cose ed in certe mie analisi ho sempre desiderato e pregato di avere completamente torto ―, sono stati in privato un piccolo esercito di vescovi e cardinali, ed un numero di buoni sacerdoti purtroppo sempre più basso, che in questo sfacelo seguitano ad esistere, sebbene di rigore segregati come appestati nei posti più periferici e marginali, affinché con il loro essere degli autentici modelli di fede e di virtù sacerdotale, non disturbino il ben più elevato numero di pessimi preti, o di preti che sono delle autentiche vergogne del sacro ordine sacerdotale, sempre e di rigore piazzati dai loro vescovi in tutti i posti chiave delle diocesi, a partire dalle più grandi e ricche parrocchie.
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… una creatività del tutto diversa rispetto a quella dei preti che improvvisano liturgie balzane a suon di bonghi e danze: prete americano che ha istituito il confessionale portatile.
Le mie analisi fatte in ossequio alla verità e rette su basi dottrinarie, canoniche e dogmatico-sacramentarie, hanno mai scalfito questi soggetti? Quando ho tuonato che la odierna crisi del dogma nasce da una spaventosa crisi morale del clero, perché una crisi morale genera di conseguenza una crisi dottrinale [vedere mio precedente articolo QUI], qualcuno è forse corso ai ripari? Le mie analisi rimangono scritte e pubblicate, sicuramente ne farò anche altre in futuro, ma senza omettere di praticare, da oggi in poi, la strada forse più efficace: l’ironia, o se preferite la cosiddetta presa di culo. Perché certi soggetti, che sono insensibili alle verità della Santa fede ed alla morale cattolica nella stessa misura in cui un chirurgo è indifferente al sangue umano ed ai tagli di bisturi praticati sulle carni dei pazienti, mal tollerano di essere sfottuti; mal tollerano che i loro malvezzi siano mutati in oggetto di pubblico sberleffo. O per meglio dirla con un esempio: se un giovane alto un metro e sessanta centimetri per cinquanta chili di peso è convinto di essere un campione di football ; se una ragazza alta un metro e mezzo scarso sul quale sono distribuiti novanta chili di peso, si ostina a mettersi minigonne e tacchi alti perché è convinta di essere una fotomodella, a nulla varrà far loro un profondo discorso psicologico mirato a richiamarli al dato di fatto oggettivo, con relativi inviti al pericolo esistenziale che comporta per un uomo e per una donna la totale dissociazione dal reale, perché costoro seguiteranno imperterriti a sentirsi più che mai: il primo, un campione di football, la seconda una fotomodella. Diversamente, se l’uno e l’altra, dopo avere mostrato in ogni modo un deciso rifiuto a confrontarsi con la realtà, saranno invece esposti al pubblico ridicolo, in un modo o nell’altro si troveranno costretti a capire. E tutti coloro che fossero stati convinti che anche una donna di ottant’anni può, in quanto donna, partecipare al concorso di Miss Italia, o che un uomo di novanta affetto da artrite reumatoide può, in quando uomo, partecipare ad una gara di corsa con salto a ostacoli, non crederanno più a simili “potenziali” panzane, perché la illogicità sarà palese e posta in luce assieme a tutto il suo intrinseco elemento ridicolo.
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Durante i miei felici e dolorosi anni di sacro ministero sacerdotale ho più volte e inutilmente richiamo ― e Dio solo sa con quale sincera amorevolezza ―, molti confratelli sacerdoti a rifuggire la sciatteria, ad essere curati nell’aspetto esteriore e decorosi nel vestire, anche perché l’aspetto esteriore non è affatto mera formalità, ma svela l’aspetto interiore, il senso morale e spirituale della persona. Un po’ come le espressioni del volto e gli occhi, che se ben osservati svelano lo specchio dell’anima della persona. O vogliamo forse dimenticare che la nostra anima è racchiusa in un corpo che la contiene e che al tempo stesso la rivela per ciò che essa realmente è? 
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… come eravamo: chi ha conosciuto nella gioventù preti di questo genere, ne porta sempre vivo il ricordo e soprattutto il modello
Più volte, entrando in estate con la mia veste talare in qualche chiesa parrocchiale, mi è capitato di ritrovarmi dinanzi ad un confratello con i bermuda a fiori, la t-shirt colorata ed i sandali infradito ai piedi; e dinanzi a quella visione ho avvertito il colpo di lancia di Longino sul costato di Cristo. Quindi non ho mancato di prendere da parte quel confratello, spiegandogli a tu per tu quanto doloroso fosse stato per me quel colpo di lancia. Dinanzi a scene e fatti simili, di prassi è accaduto che il confratello mi abbia variamente irriso, unendo alla sua sciatteria ed alla sua mancanza di decoro sacerdotale la classica battuta sfottente: «Ah, capisco! Tu sei uno di quelli che non ha ancora avuto notizia che nella Chiesa c’è stato un Concilio». A quel punto ho risposto ― sbagliando ―, che in verità, nella Chiesa, di concili ve ne sono stati in totale ventuno e che a partire dal IV Concilio Lateranense celebrato nel 1215 sino ai quattro decenni successivi al Concilio Vaticano II celebrato tra il 1962 ed il 1965, la Chiesa ed i suoi Sommi Pontefici hanno in tutti i modi ribadito l’uso obbligatorio dell’abito talare, ricordando che la veste del prete è la talare e che in caso di necessità, non di comune prassi, può essere usato ilclergyman. Inutilmente ho perso tempo a spiegare a molti di questi soggetti l’elemento profondamente spirituale e mistico dell’abito ecclesiastico, il suo essere segno di sobrietà e di morale distacco dal mondo, ma soprattutto testimonianza ed elemento di necessaria riconoscibilità del sacerdote. E mentre io parlavo con la passione della fede e l’amore profondo che nutro per la Chiesa di Cristo ed i suoi ministri, questi mi guardavano come si guarda un povero demente, semmai dicendo alla fine, come si dice ai pazzi per non contraddirli inutilmente … «Va bene … va bene, hai ragione!». Il tutto col tono di chi dà ragione ad un malato di mente che ti ha proprio rotto i coglioni col suo parlare ma che tu, persona di superiore sanità mentale, proprio per questo non vuoi irritare.
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Su quest’ultima riga è stata scritta la mia condanna da parte dei clericali in calzoncini corti, maglietta variopinta e sandali infradito ai piedi, perché un prete non può osare, meno che mai scrivere la esegesi inerente le varie rotture dei propri presbiterali coglioni. E questi clericali, sia ben chiaro, sono i moderni sepolcri imbiancati «pieni dentro di ossa di morti e di ogni putridume» [8]pronti in qualsiasi momento, ieri come oggi, ad affermare che ad essere volgari non erano certo loro. Volgare, oltre che aggressivo nel linguaggio, lo era Gesù Cristo con certe sue espressioni insultanti, al punto da vedersi più volte affibbiato persino il titolo di bestemmiatore. Dunque volgare non è un teologo intriso delle peggiori eresie moderniste come Andrea Grillo, che può sbeffeggiare il Venerabile Pontefice Benedetto XVI e con lui quel santo uomo di Dio del Cardinale Robert Sarah, dopo avere già preso a sfottò il Cardinale Carlo Caffarra ed il Cardinale Gerhard Ludwig Müller. Volgare non è quindi lui, ma lo sono io se oso affermare che questi eretici al potere, che da una parte attaccano con spocchia i pochi buoni cardinali che ci restano, ed al contempo rimangono in cattedra nelle università pontificie a insegnare teologia sacramentaria, mi creano un tale giramento di coglioni che se mi mettessero in acqua nel porto di Ostia Antica arriverei in quindici minuti nel porto di Napoli, dove sarei accolto in pompa magna dal Cardinale Crescenzio Sepe, che dichiarerebbe quella mia traversata via mare effettuata in tempi record per giramento dei coglioni come eliche a turbina, un miracolo più grande del prodigio di San Gennaro [su Andrea Grillo vedere l’ultimo articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].
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… come eravamo: Città di Avezzano d’Abruzzo. Un parroco celebra la Santa Messa all’aperto nello spazio della chiesa ridotta a macerie dopo i bombardamenti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Così ho cominciato ad adottare altro sistema, facendo irritare numerosi preti, diversi dei quali, come verginelle vilipese o come adolescenti prese dagli sconvolgimenti delle prime mestruazioni, son corsi dai loro vescovi a starnazzare come galline riferendo concitati che io sarei volgare e che oso perfino dire parolacce. Perché, come dicevo poc’anzi, il volgare sono io, reo d’aver chiamato gran pezzo di merda un prete che in ciabatte e pantaloni corti chiacchierava dentro la chiesa parrocchiale coi fedeli con le spalle voltate al Tabernacolo. Volgare, sia ben chiaro, non è questo prete con le spalle voltate al tabernacolo in ciabatte e braghe corte che fa salotto sul presbitèrio, ma io che l’ho chiamato con un titolo che il poverino non meritava. E diversi di questi poverini si sono ritrovati più volte di fronte ad un vescovo che, pur essendo uno degli artefici delle peggiori derive post-conciliari, nel suo ruolo episcopale si è trovato costretto, una volta adito per emettere inappellabile giudizio di condanna verso di me, a non evadere la richiesta ed a rispondere al prete:
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«Sicuramente, quel concentrato di linguaggio colorito tosco-romano è quel che è! Però, se ti ha irriso perché ti ha trovato dentro la chiesa parrocchiale a parlare con i fedeli con le spalle voltate al Tabernacolo, in pantaloni corti e ciabatte ai piedi, tutti i torti in fondo non li ha. Certo, come tu dici, un prete non deve rivolgersi a un altro prete chiamandolo gran pezzo di merda. Però ricordati: quel linguaggio da scaricatore di porto l’ha usato perché ti ha trovato dentro la chiesa parrocchiale in quello stato, se tu fossi stato inginocchiato con il breviario in mano davanti al Tabernacolo, dubito che ti avrebbe chiamato gran pezzo di merda, forse si sarebbe inginocchiato a pregare con te».
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Il giorno dopo mi giunge una telefonata da parte di quel vescovo: faccio appena in tempo a rispondere «pronto?» che costui mi aggredisce con testuali parole che adesso riferisco integralmente tali e quali:
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«Senti un po’, grandissima testa di cazzo, come ti sei permesso, ieri, di dare del gran pezzo di merda ad un prete? Ti rendi conto di quanto seistronzo e volgare? Ecco, ti ho chiamato per la gioia di mandarti a fare in culo io di persona e per dirti che devi vergognarti del tuo linguaggio scurrile, anzi: ringrazia Dio se non ti sospendo a divinis !».
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Dopo essermi sorbito tutto quello sproloquio, domando:
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«Eccellenza, ho capito bene tutto ciò che mi ha detto, oppure mi sono perso qualche passaggio tra una giaculatoria e l’altra?».
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A quel punto, il vescovo, si mette a ridere e mi dice:
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«A dire il vero, ti ho chiamato per dirti che sono dalla parte tua, purché però tu non lo dica in giro, perché vedi, della sciatteria di questi preti io ne ho pieni i coglioni. Se però mi azzardo a dir loro qualche cosa, se non riescono a sbranarmi allora si limitano a farmi l’inferno. Dunque hai fatto bene a dirgli quel che si meritava ma che io purtroppo non posso dirgli. E detto questo adesso vedi d’andare a fa ‘n culo, perché io ho da fare, quindi ti saluto, grandissima faccia di merda !».
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… come eravamo: un presbitero romano su un ponte sul Tevere. Siamo proprio sicuri che i giovani, i preti, non li vogliano a questo modo?
Non ho mai narrato a nessuno questo ameno colloquio con un vescovo ormai emerito, ed oggi che l’ho fatto mi sono guardato dal fare anche un riferimento vago a persone e luoghi. Da soggetto volgare tal sono posso però aggiungere un altro esempio, sempre legato a questo vescovo ed a quella che fu a suo tempo la sua diocesi. Una volta egli entrò nella sala da pranzo dell’episcopio, dove un giovane prete trentenne, seduto a gambe larghe su una sedia, stava guardando la televisione. Il vescovo si rivolge per una informazione al giovane prete che resta sbracato sulla sedia a gambe larghe; ed in quella posa risponde al vescovo che sta invece in piedi dinanzi a lui. Dopo che il vescovo fu andato via, io presi quel povero cafone, che pure s’era fatto più di dieci anni di formazione nel santissimo seminario, tra seminario minore e seminario maggiore, dicendogli in tono amabile che quando entra il vescovo non si rimane a sedere, per giunta a gambe larghe, ma ci si alza subito in piedi, gli si accenna un inchino con la testa e si ascolta quel che lui dice, rispondendo a ciò che lui chiede. Ebbene, la prima persona che scatenò l’inferno contro di me per quel richiamo del tutto privato, ma a lui riferito dal povero cafone offeso, fu il vicario generalesempiterno di quella diocesi, tale indicato perché ricopre il proprio ruolo da tre vescovi che si sono succeduti in quasi un ventennio presso quella sede (!?). Però, come ribadisco, io sono un prete volgare. E sono volgare perché all’occorrenza oso dire persino parolacce, però m’inginocchio da sempre a baciare la mano soprattutto ai peggiori vescovi di questo mondo, nelle figure dei quali non cesserò mai di vedere e di venerare il mistero di Cristo ed il mistero della Chiesa. E se mio padre uscisse dalla tomba e d’improvviso me lo vedessi davanti accanto al vescovo, prima renderei omaggio al vescovo, poi saluterei mio padre. Ma io, come dicono certi preti trendy di provincia quando non sanno dove attaccarsi … «lui non può capire, perché non ha fatto il seminario, per questo vive in una Chiesa che non è mai esistita». Affermazione dinanzi alla quale a suo tempo replicai: … sì, benedicendo la grazia di Dio non ho fatto il santissimo seminario ! Anche perché la buona educazione cristiana e sociale ricevuta in famiglia dai miei genitori e poi coltivata dai santi vescovi e sacerdoti che in seguito mi hanno formato al sacerdozio, non sarebbe mai stata in alcun modo estirpata neppure dal più satanico dei santissimi seminari di questo mondo; a partire da quei non pochi seminari nei quali, anche di recente, sono stati scoperti nelle memorie dei computer migliaia e migliaia di foto porno e di porno-film gay. E a tal proposito si prega di chiedere lumi alla Congregazione per il clero ed al suo efficientissimo Prefetto, il Cardinale Beniamino Stella, canonicamente responsabile per quei seminari che nessuno si è ancora deciso a ripulire, anzitutto dai pessimi formatori ai quali parecchi di essi sono sempre affidati. E se in queste righe avessi dato notizie false e non documentate, quindi calunniose, che allora l’Eminentissimo Prefetto proceda con le dovute smentite e le relative pene canoniche a mio carico … 
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La cosa che oggi dovrebbe inquietare numerosi vescovi latitanti e omissivi, è che di prassi, queste immani vergogne del sacro ordine sacerdotale, quando salgono sul pulpito per fare l’omelia al Vangelo, ripetono in continuazione: «Come ha detto Papa Francesco … come ha detto Papa Francesco …». Prendendo del Sommo Pontefice non solo discorsi del tutto marginali, o battute più o meno felici o più o meno opportune, ma prendendo soprattutto discorsi di dubbia autenticità tratti da frasi o interviste riferite da giornalisti, spesso tutt’altro che cattolici e soprattutto per nulla ferrati nelle nostre fondamentali verità della fede. E dico che la cosa dovrebbe inquietare i vescovi perché questi stessi preti, anni fa, salendo sugli stessi pulpiti, si sono sempre ben guardati dal dire: «Come ha scritto e affermato il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II … come ha scritto e affermato il Sommo Pontefice Benedetto XVI …». E, si badi bene, non ciò che questi due Augusti Pontefici affermavano nel loro parlare a braccio del più e del meno, al quale entrambi non erano proprio avvezzi, ma quanto da loro scritto e affermato in importanti encicliche ed altrettanti importanti atti del loro sommo magistero. Per anni, tra le sacrestie, le canoniche e le sale parrocchiali, abbiamo sentito eccome, questi preti oggi mutati in grandi citatori di affermazioni del tutto marginali e irrilevanti fatte dal Sommo Pontefice Francesco I, citare i predecessori del Pontefice regnante, ma li citavano per dire in tono più o meno rabbioso cose di questo genere:
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«Il “polacco” ha fatta la sua nuova sparata sulla famiglia e sulla morale sessuale. Ma è proprio ossessionato! Possibile che non si renda conto che il mondo è cambiato e che noi bisogna andare incontro alle nuove esigenze della gente?».
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E nella loro logica, costoro hanno ragione, perché il principio teologico che oggi essi applicano – alla scuola del Cardinale Walter Kasper ed al codazzo dei suoi – è in pratica il seguente: “fottete, fottete che tanto Dio perdona tutti”.
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Oppure:
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«Il “pastore tedesco” ha fatto un discorso pre-tridentino sulla “unicità della Chiesa Cattolica”. Che vergogna! In un colpo solo ha cancellato il Concilio Vaticano II e l’ecumenismo riportandoci ai tempi in cui, la “vecchia” Chiesa, rivendicava il monopolio della verità e della salvezza».
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… come eravamo: siamo sicuri che i giovani, i preti, non li vogliano a questo modo?
E nella loro logica, anche costoro hanno ragione, perché quando nella professione di fede noi recitiamo «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», questa non è una verità fondamentale e assoluta, ma solo un modo di dire che risale ai tempi nei quali eravamo degli ottusi esclusivisti. Infatti, Cristo non ha fondata sulla terra una sola Chiesa affidata a Pietro, ma ha dato vita ad una molteplicità di Chiese, compresa tra le tante quella Chiesa Cattolica che sta attendendo il miracolo accertato previsto dalla prassi canonica per poter procedere alla beatificazione di Martin Lutero, a meno che il Cardinale Kasper non intervenga con una dotta disquisizione teologica per sostenere che il vero miracolo di questo eresiarca è stata la sua cosiddetta “riforma”, la quale ha … «anticipato e ispirato il Concilio Vaticano II». Ce lo spiega tra le righe il Pastore valdese Paolo Ricca direttamente dalle colonne del galantino organo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, Avvenire [cf. QUI], affermando, in virtù della sua idea soggettiva ed errata di Concilio Vaticano II, che con esso sarebbe «caduta l’accusa di eresia» ai luterani (!?). Ebbene, colgo l’occasione per informare questo Reverendo Pastore, invitato da anni a tenere corsi in diverse nostre università pontificie, a partire dal protestantico ateneo pontificio Sant’Anselmo, che per noi, il Luteranesimo, è sempre una pericolosa eresia e che Lutero, con buona pace della personale Congregazione per le cause dei santi istituita di motu suo dal Cardinale Kasper, non è neppure un semplice ed ordinario eretico, ma è proprio un eresiarca. Oltre al fatto che, le dottrine luterane, incluse quelle che insegna e che trasmette questo Reverendo Pastore, erano ieri e forse sono peggio ancora oggi un pericoloso concentrato delle peggiori eresie e deviazioni dalla fede apostolica. Se poi consideriamo che dal nucleo dell’originario Protestantesimo si sono nel tempo moltiplicate le eresie di un’eresia, a questo modo possiamo giungere sino alle nuove eresie di terza e quarta generazione: dai Mormoni ai Pentecostali. Per non parlare degli ulteriori rivoli, per esempio i Testimoni di Geova, che sono un esempio lampante dell’eresia di una eresia di una eresia che nasce a monte sempre dal Protestantesimo, non certo da una scissione dal nucleo Cattolico o dal nucleo dei Cristiani Ortodossi. 
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Adesso voi capite bene il vero senso dell’abito con il quale ho dato inizio a questo discorso; ma forse, le persone di fede e le persone intelligenti, quelle dotate per grazia di Dio di fides et ratio, avranno anche capito che cos’è veramente volgare, ed al tempo stesso quelli che invece sono i miei giochi retorici d’impatto, strutturati sia sulla iperbole sia su quello che i greci chiamavano τόπος.
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… una immagine di San Giovanni Bosco durante le confessioni dei giovani
La perdita dell’abito che da anni lamento inutilmente, non è la dismissione della vecchia talare, ma il deciso rifiuto dell’abito interiore, di cui quello esteriore è solo segno visibile. In questo scritto, condìto con retorica scienza diprese di culo e giramenti di coglioni, non ho scherzato, pur avendo data occasione a eretici varî che esigono non intendere, di potersi attaccare al fatto che il sottoscritto pretaccio ― tale io mi glorio di essere ―, dice persino parolacce. Ebbene sì, io dico parolacce più o meno come le diceva il Verbo di Dio fatto uomo agli scribi ed ai farisei, basterebbe solo che certi esegeti della new theology tutta quantamisericordismi ed emotivi cuoricini irrazionali palpitanti, capissero la portata severa e pure molto offensiva di certe sue invettive [9]Ma, come risaputo, ieri farisei e sadducei, oggi eretici e modernisti che amoreggiano entrambi con i «Cari fratelli massoni» [vedere QUI], sono pronti più che mai a scansare scandalizzati il moscerino della parolaccia colorita per poi ingoiarsi tutto d’un fiato il cammello della immane eresia [10]Perché la logica dei clericali ipocriti di ieri e di oggi è sempre quella: profondamente volgare, non è il Cardinale Gianfranco Ravasi che dal grembiulinesco quotidiano della ConfindustriaIl Sole 24 Ore indirizza una letterina d’amore ai «Cari fratelli massoni», volgare sono io, che dinanzi ad un cardinale vanesio che getta la Santa Sposa di Cristo sul marciapiede come se fosse una mignotta da due lire, potrei anche reagire sbottando: adesso basta, questa «guida cieca» [11] tale è il Ravasi, ci ha veramente rotto i coglioni, perlomeno a noi che, grazie a Dio, ce li abbiamo!
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Pertanto, iperboliche prese di culo a parte, concludo ricordando che l’abito, lungi dall’essere uno straccio nero che potrebbe in sé e di per sé lasciare il tempo che trova, ha un profondo significato filosofico, teologico e mistico. La parola abito deriva dal latino habitus, ed altro non è che la traduzione del termine greco ἕξις [hexis]. Nel suo profondo significato filosofico, abito significa abitudine, ed è una abitudine interamente eretta sul carattere [dal greco ἔθος]; quel nuovo carattere indelebile ed eterno che a noi ci ha segnati per sempre attraverso la grazia del Sacramento dell’Ordine Sacro.
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L’abito è quindi un modo di essere [in greco ουτός ἐkείν] che manifesta l’essere e soprattutto il comportarsi in un preciso modo, conforme a ciò che si è ed a quello che dottrinalmente e moralmente si predica.
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Per Aristotele l’abito è «cosa simile alla natura» [12]perché attraverso la pratica di precisi comportamenti esso porta a evidenziare in noi, attraverso le caratteristiche naturali che possediamo in potenza, delle caratteristiche mutate in abiti propri e costanti, quasi in una «seconda natura», che è una natura acquisita [13]nel caso nostro tramite quella grazia sacramentale che ci rende sacerdoti in eterno secondo l’Ordine di Melchisedech [14].
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 come eravamo: un gruppo di sacerdoti
Pensateci bene: chi è, che tra fine anni Sessanta e inizi anni Ottanta, su falsi pretesti dimodernità, di abbattimento delle distanze e delledivisioni, ma soprattutto sulla base del pretesto dell’essere e dello stare più vicini ai giovani, ha distrutto il concetto stesso, dell’abito del prete? Ma c’è molto di peggio: basti dire che coloro ch’eran tanto bramosi di spogliare i preti, erano gli esponenti della sinistra radicale ed i massoni. Gli stessi massoni che, in combutta coi modernisti, a inizi Novecento progettavano che si doveva giungere a dare la Santa Comunione ai fedeli in piedi e in mano. Ci si domandi: da che cosa era dettato questo loro interesse, se non dal desiderio di colpire la Chiesa al cuore attraverso la de-sacralizzazione della Santissima Eucaristia mutata in una via di mezzo tra una metafora ed un banchetto sociale della gioia ? Non è però il caso di aprire un discorso dentro il discorso, pertanto rimando a quando sulla Santissima Eucaristia ha espresso in una sua lectio magistralis il Cardinale Robert Sarah [vedere articoli, QUI] …
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Questo articolo è stato ispirato, come spiegato all’inizio, dalla lettera a me indirizzata da un giovane cattolico modenese. Qualcuno pensa che costui sia l’unico? Mi scriveva giorni fa Melania, giovane mamma napoletana di 27 anni:
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«Togliete dalle chiese chitarre e bonghi, mettete in riga i carismatici che dondolano e svengono ed i neocatecumenali che danzano attorno agli altari, riempite le navate coi suoni d’organo e diffondete i canti liturgici classici, rimettete le assemblee in ginocchio durante la Messa, ponete al centro dell’altare Cristo crocifisso anziché il prete show-man, tornate a parlare nelle omelie dei misteri della fede anziché dei problemi sociali e dell’ecologia, perché la vostra missione è la salvezza delle anime, non la salvezza delle specie animali in via di estinzione. E vedrete come in breve tempo tornerete ad avere le chiese piene di giovani». 
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… a portare la veste talare siamo rimasti in pochi: Don Matteo, che però è un attore di una serie televisiva di successo, assieme a pochissimi altri preti, che non sono attori ma preti reali. Qualcuno si è mai chiesto come mai, i registi, nelle loro fiction, i preti che raffigurano figure positive od anche simpatiche, li presentano al pubblico sempre e di rigore tutti quanti con la “vecchia” talare?
Non è vero, bensì falso, che i giovani cattolici bramassero i loro preti in braghe di tela e scarpette da ginnastica; come non è vero che nessun figlio abbia mai bramato vedere suo padre muoversi per casa in mezzo agli ospiti vestito con un paio di mutande cadenti. Furono i devastanti psicologisti e sociologisti degli anni Settanta, cresciuti a Pane&Marx, che lanciarono quella pretestuosa moda della liberazione dei costumi e del corpo, per l’abbattimento delle «ideologie borghesi», in base alle quali i genitori dovevano ostentare la nudità coi figli e viceversa; furono loro a indicare come cosa buona ed educativa l’andare tutti assieme nella vasca da bagno; furono loro a lanciare il “mito” della «mamma amica-complice» e del «papà amicone». È che però, purtroppo, nessuno si premura di andare a vedere quali sono stati gli esiti successivi di molti miei coetanei che a metà anni Settanta componevano nelle scuole elementari struggenti temini raccontando che il padre e la madre erano i loro migliori amici. Nessuno si premura di andare a vedere quali sono stati gli esiti successivi di molte mie coetanee adolescenti, che a fine anni Settanta andavano in discoteca assieme alle loro mamme-vamp in veste di loro amiche e complici, che anziché fare le madri facevano le mezzane, in tutti i sensi, certe e sicure che con una pillola anticoncezionale e una scatola di preservativi messi nello zainetto delle loro piccole cagnette in fiore, tutto quanto fosse a posto, educazione sessuale impartita ed emancipazione sessuale perfettamente evasa …
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Lo stesso principio, in modo diverso ma simile, è stato applicato tal quale ai preti, con la sola differenza che loro non avevano a che fare col papà e la mamma «miei migliori amici», ma con rettori di seminario e con vescovi che negli zainetti di questi piccoli eretici in fiore hanno messo altri generi di pillole anticoncezionali e di scatolette di preservativi, per rendere infine del tutto infecondo il seme di Cristo, dimentichi, se non forse ignari, che la grazia di Dio perfeziona la natura che c’è, ma non supplisce e non può supplire la natura del prete che non c’è mai stato e che quindi non potrà mai esserci [15]anche se il non-prete nell’anima e nel corpo si è fatto anni e anni di santissimo seminario.
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… l’autore di questo articolo con sempre indosso il suo “vecchio straccio anacronistico
Ribadisco che questi preti trendy, sotto certi aspetti quasi irredimibili e irrecuperabili nella loro ermetica chiusura ad ogni azione della grazia di Dio, non vanno presi sul serio né rimproverati; perché ogni rimprovero è inutile. Questi preti trendy vanno solo presi per il culo.Fidatevi di un pretaccio che dice parolacce e seguite il mio consiglio: al primo prete trendyche vi si presenta dinanzi con i jeans attillati a vita bassa e col cavallo del pantalone che nei nuovi modelli è sospeso in alto, non rimproveratelo per avere gettato alle ortiche il suo mistico habitus, perché quello reagirà ridendovi in faccia e dandovi degli anacronistici. O semmai dicendovi: « … ma tu non sai, che nella Chiesa c’è stato un Concilio»? Allora voi affrontatelo a questo modo: «Reverendo, ma che cosa s’è messo indosso? Col culo cadente da vedova sfatta che si ritrova, questo pantalone non le dona proprio; ma soprattutto, per la poca mercanzia che lei ha in mezzo alle gambe, questo pantalone col cavallo stretto sospeso in alto, non evidenzia quello che c’è, ma proprio quel che drammaticamente è carente in lei, perché la grazia perfeziona la natura che c’è, ma non esalta certo quella che non c’è. E lei, Reverendo, per carenza di grazia non ha proprio le palle. Ecco, al posto suo, visto che lei non ha un fisico da nuotatore, mi coprirei con una toga romana». E semmai, questo discorso, od un discorso diverso ma simile, non fateglielo fare da un uomo o da degli uomini, ma peggio: fateglielo fare da delle donne. Non c’è infatti cosa peggiore per un uomo, più o meno vero o anche e solo uomo anagraficamente, che sentirsi dire da delle donne: «Tu non hai proprio le palle !» 
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A quel punto questi soggetti s’incazzeranno parecchio, perché li avrete messi in ridicolo. E forse, in extremis, anche se non è detto, impareranno qualche cosa, grazie ad una salutare e molto caritatevole presa di culo. Perché oggi, dinanzi a certi preti, per un verso, non ci resta che piangere, per altro verso, non ci resta che prenderli per il culo, perché posta la questione in questi termini, lapresa di culo risulterà l’atto estremo, più perfetto e amorevole della carità cristiana, ve lo dice un pretaccio scurrile, che resta intimamente troppo preoccupato di non ingoiare il cammello dell’eresia e della immoralità diffusa, per curarsi dell’innocuo moscerino di una salutare parolaccia.
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dall’Isola di Patmos, 12 giugno 2017

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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PRETI TRENDY 
? NON PIGLIATELI SUL SERIO, PIGLIATELI PER IL CULO, È UN ATTO ESTREMO DI PERFETTA CARITÀ CRISTIANA. E ADESSO VI SPIEGO COS’È DAVVERO VOLGARE …

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