Ormai gli episodi aumentano, sono quasi quotidiani. Il
lento, progressivo disfacimento di duemila anni di Fede e di Storia ha subito
un’accelerata. Sanno che, avendo il Capo superato gli 80 anni, hanno poco
tempo, ormai. Sia che sorella morte visiti il Vaticano, sia che ci sia una
seconda abdicazione, i componenti vecchi e nuovi del conciliabolo di San Gallo
sanno che sono alle battute finali. E stanno passando all’azione.
Con la creazione di 5 nuovi porporati, le creature di
Bergoglio diventano 61 in seno al Collegio cardinalizio. Non abbastanza per
eleggere da soli il prossimo Papa, ma sufficienti per ostacolare l’ascesa di un
esponente dell’ala benedettina e quindi un ritorno al passato pre- Bergoglio.
Allo stato attuale delle cose, l’emergenza elettorale prossima ventura si
concluderà con l’elezione di un candidato di compromesso: in tal senso, in pole
position ci sono Tagle, arcivescovo di Manila, e Montenegro, prelato ad
Agrigento. Il primo è esponente della famigerata “Scuola di Bologna”, il gruppo
di studiosi con a capo Alberto Melloni, che propugna una visione discontinua
del Concilio vaticano II (la stessa che nei fatti vediamo ogni giorno); il
secondo è uno dei cardinali più in vista riguardo le massicce ondate di
clandestini, eufemisticamente chiamati “migranti” dai mass media, e quindi è
“in tono” con ciò che i Palazzi propugnano per i popoli europei. In entrambi i
casi, non si prospettano buone notizie per il futuro della Chiesa di Cristo.
Un quadro fosco.
Ma possiamo ancora definirla così? Possiamo ancora definire
“sposa di Cristo” quell’insieme di preti presenzialisti in tv, suore cantanti,
frati gaudenti col mondo, vescovi che parlano di clandestini e non conoscono
neppure la Bibbia? Chiese vuote, ateismo e agnosticismo galoppanti (anche se
nella gran parte dei casi chi ci definisce ateo o agnostico non sa neppure di
cosa stia parlando, sopratutto fra gli under 35 con lauree e master e tanta
ignoranza), cristiani perseguitati nell’Africa sahariana, in Indonesia, in
Pakistan, perfino alle Maldive, gerarchia ecclesiastica scollegata dalla
realtà. Un Papa che non risponde a chi gli chiede chiarimenti sull’Amoris
Laetitia (ne parleremo nei prossimi giorni), che martella gli italiani e gli
europei ogni mercoledì e ogni domenica blaterando di accoglienza
indiscriminata, che preferisce accogliere in Vaticano 9 famiglie di musulmani
lasciando alla frontiera macedone altri profughi di fede cristiana – e non si
urli alla discriminazione, perché se Bergoglio avesse voluto essere davvero
superpartes avrebbe accolto sull’aereo papale famiglie di entrambe le fedi.
Vicario di Cristo che di Cristo non parla, perché il centro
dell’attenzione deve essere lui, il vescovo venuto dalla fine del mondo per
insegnarci come interpretare il Vangelo, con l’aiuto dei manuali di don Milani
e del cardinal Martini, insegnarlo a noi che l’abbiamo diffuso da tempo
immemore su tutta la Terra.
E la Curia ai tempi di Bergoglio non è da meno. Divisa fra
ultrà franceschisti e conservatori benedettiani, è unita soltanto nel terrore
che il Capo suscita, i primi per il timore di perdere posizioni, i secondi per
i nuovi attacchi al Depositum Fidei che il custode dovrebbe, di norma,
conservare integro per i secoli a venire.
Abbiamo porporati ambiziosi che accusano altri di volere il
Potere, con quel contorsionismo retorico per il quale bisogna accusare gli
altri di ciò che si vorrebbe fare in prima persona: è il caso di Oscar
Rodriguez Maradiaga, uomo dal passato ambivalente (non si è mai saputo con esattezza
il suo ruolo nel 2009, quando nel suo Honduras avvenne il golpe che depose il
presidente democraticamente eletto Manuele Zelaya e la Chiesa honduregna, da
lui capeggiata, appoggiò il colpo di Stato), che accusa l’omologo Raymond Leo
Burke di essere affamato di potere, quando in effetti a Maradiaga, segretario
del C9, a non essere più presente nella propria diocesi in quanto di stanza a
Roma.
Galantino e il cardinal Bertello
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Abbiamo vescovi affetti da protagonismo mediatico che si
slanciano davanti a ogni microfono e telecamera che i compiacenti giornalisti
di Rai e Mediaset pongono davanti alle loro labbra, uscendosene con
affermazioni surreali. E’ il caso di Nunzio Galantino, un tempo professore di
Teologia Dogmatica, secondo il quale Sodoma non fu distrutta da Dio in grazia
ad Abramo lì presente. E lo dice davanti a una platea di giovani, facendo
passare nelle loro menti il messaggio per il quale basta una raccomandazione
divina per salvarli dai peccati più odiosi.
Abbiamo preti che si spiano fra di loro, che denunciano chi
esprime opinioni diverse da quelle del Capo, che gridano al mondo “C’è stato un
Concilio!” e non sanno neppure che in nessun rigo delle costituzioni del CVII
c’è scritto di dare l’Eucarestia in mano, far portare il Santissimo a ragazzine,
abbattere antichi altari, affidare le chiavi del ciborio a donne laiche.
Un’umiliazione prima come sacerdoti, quindi depositari dello Spirito, e poi
come uomini, costretti a mendicare da una donna la chiave per aprire il
Tabernacolo.
Fine del cattolicesimo. O forse no.
La pietra tombale per il cattolicesimo è già pronta, con la
messa unificata per cattolici e protestanti. Prove tecniche di tale abominio si
sono avute 10 giorni fa circa in Spagna, e non dubitiamo che surrettiziamente
le nuove norme siano introdotte in tutto l’Orbe cattolico.
Intanto le voci dissidenti vengono tacitate: Sandro Magister
cacciato dalla Sala stampa vaticana, Antonio Socci fatto oggetto di sberleffi
dai commentatori di “Vatican Insider”, la Pravda bergogliana. Altri si sono
volutamente silenziati in questi tempi in cui esporsi genera polemiche
infinite, e si conservano per tempi futuri: Antonio Margheriti il Mastino, da
un anno assente da Facebook, ha chiuso il suo “Papalepapale”, Francesco
Colafemmina ha lasciato attivo il suo “Fides et Forma” ma non vi scrive da
mesi, e i padri dell’ “Isola di Patmos” oscillano fra una difesa di Bergoglio e
una sua critica, in contrasto a loro volta con altri difensori della normalità
nel caos in cui è caduta la Chiesa.
L’onda sta per abbattersi inesorabile sul cattolicesimo
romano, che ciò accada in questo scorcio di pontificato o nel successivo poco
importa. I mass media, controllati da poteri politici e finanziari, sono
riusciti a costruire un’immagine popolarissima, con l’aiuto anche del diretto
interessato, per cui attaccarlo frontalmente è infruttuoso ed espone sacerdoti
e vescovi a ritorsioni, come in ogni regime che si rispetti. Altro non resta, a
noi fedeli della prima ora, consacrati e laici, di conservare la Tradizione che
ci è stata tramandata, ricordandoci che essa non verrà mai meno anche se fosse
rimasta una sola chiesa in tutta la Terra e celebrare la Cena secondo la
volontà divina e non secondo quella umana. Non si tratta di ribellione alla don
Milani, il prete che invitava all’anarchia, oggi esaltato dalla neochiesa; si
tratta di obbedire alla gerarchia non nascondendo alla stessa le sue
deficienze, perché “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).
E alle Sue parole possiamo credere, anche se non c’erano
registratori nelle vicinanze a riprenderle.
https://gloria.tv/article/xseLHUpZYjwa39FaJy9ncHXbM
BUX: CRISI, DIVISIONI, APOSTASIA. É NECESSARIA UNA
PROFESSIONE DI FEDE DEL PAPA. COME PAOLO VI.
Il National Catholic Register pubblica un’interessante intervista di Eward Pentin a don Nicola Bux, un noto teologo italiano, scrittore (l’ultima sua opera è “Con i sacramenti non si scherza”) docente di teologia e consultore alla Congregazione per le cause dei Santi e per la Dottrina della Fede.
In essa si afferma che per risolvere la crisi in corso nella Chiesa relativa all’insegnamento e all’autorità del papa, il modo migliore sarebbe una dichiarazione di fede del Pontefice per correggere le sue parole e gesti “ambigui ed erronei” che sono stati interpretati in maniera non cattolica. Secondo Bux la Chiesa è “in una piena crisi di fede”, e le tempeste che la attraversano sono causate dall’apostasia, “l’abbandono della fede cattolica”.
Solo pochi giorni orsono è stata resa pubblica la lettera in cui il cardinale Caffarra, a nome anche di altri tre porporati, chiedeva (il 25 aprile) udienza al Pontefice per parlare dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia e delle sue interpretazioni opposte. La lettera non ha mai ricevuto risposta. Mons. Bux commenta che “Per molti cattolici è incredibile che il Papa chieda ai vescovi di dialogare con chi la pensa in maniera differente (per esempio i cristiani non cattolici) ma non voglia lui per primo affrontare i cardinali che sono i suoi consiglieri principali”. “Se il Papa non difende la dottrina non può imporre la disciplina”.
Traduciamo qui un brano molto pregnante dell’intervista.
“Il punto è: quale idea ha il papa del ministero Petrino, così come è descritto in Lumen Gentium 18 e codificato dalla legge canonica? Di fronte alla confusione e all’apostasia, il Papa dovrebbe fare una distinzione – come Benedetto XVI fece – fra ciò che pensa e dice come studioso privato e quello che deve dire come Papa della Chiesa cattolica. Per essere chiari: il Papa può esprimere le sue idee come uno studioso privato su argomenti di discussione che non sono definiti dalla Chiesa, ma non può fare affermazioni eretiche, nemmeno privatamente. Altrimenti ciò sarebbe egualmente eretico:
Credo che il papa sappia che ogni credente – chi conosce le regole della fede o il dogma, che fornisce a ciascuno il criterio per sapere quella che è la fede della Chiesa, quello che ciascuno deve credere e ciò che ciascuno deve ascoltare – può vedere se sta parlando e agendo in un modo cattolico, o è andato contro il sensus fidei della Chiesa. Anche un solo credente può chiedergliene conto. Così chiunque pensi che presentare dubbi (Dubia) al papa non sia un segno di obbedienza, non ha capito, 50 anni dopo il Vaticano II, la relazione fra il papa e l’intera Chiesa. Obbedienza al Papa dipende solamente dal fatto che lui è legato dalla dottrina cattolica, alla fee che deve continuamente professare davanti alla Chiesa.
Siamo in una piena crisi di fede! Quindi, per fermare le divisioni in corso, il Papa, come Paolo VI nel 1967, di fronte a teorie erronne che circolavano poco dopo la conclusione del Concilio, dovrebbe fare una dichiarazione o professione di fede, affermando ciò che è cattolico e correggere quelle parole e quei gesti ambigui ed erronei – i suoi e quelli dei vescovi – che sono interpretati in maniera non cattolica.
Altrimenti sarebbe grottesco che mentre si cerca l’unità con i cristiani non cattolici e persino intese con i non cristiani, l’apostasia e la divisione siano alimentate all’interno della Chiesa cattolica. “Per molti cattolici è incredibile che il Papa chieda ai vescovi di dialogare con chi la pensa in maniera differente (per esempio i cristiani non cattolici) ma non voglia lui per primo affrontare i cardinali che sono i suoi consiglieri principali. Se il Papa non difende la dottrina non può imporre la disciplina. Come disse Giovanni Paolo II, anche il Papa ha sempre bisogno di conversione, per essere in gradi di rafforzare i suoi fratelli, secondo le parole di Cristo: ‘Et tu autem conversus, confirma fratres tuos’”.
MARCO TOSATTI
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