Trump, Venezuela, migrazioni e terrorismo. P. Arturo Sosa
(gesuiti): “Il populismo è una trappola, l’Europa ha bisogno dei migranti”
Parla il superiore generale dei gesuiti: "Le regole sono necessarie, la migrazione va gestita. Ma l’Europa ha bisogno dei migranti". E ancora: "Il governo statunitense deve ascoltare di più il popolo. Sono in tanti a non pensarla come Trump". Quanto alla situazione in Venezuela, padre Sosa aggiunge: "Nelle persone è sempre più diffusa la volontà di un forte cambiamento. Bisogna seguire, però, la via della pace e della democrazia. La maggioranza del popolo chiede una soluzione pacifica. Ma i costi umani di questo processo sono troppo alti"
“Il futuro dell’Europa dipende molto dalla manodopera che arriva da altri Paesi. Per questo occorre pianificare una strategia comune. I migranti sono una fonte di ricchezza: a scappare da guerre e carestie uomini e donne che hanno il desiderio di lavorare”. Padre Arturo Sosa Abascal è il preposito generale della Compagnia di Gesù. Nato a Caracas, in Venezuela, il 12 novembre 1948, padre Sosa si dice “preoccupato” per il diffondersi di quelli che lui chiama “personalismi” in giro per il mondo.
Il popolo è illuso, non conta nulla.
I capi fanno leva sui sentimenti di disagio per coltivare i propri interessi.
La diffidenza nell’accoglienza dei migranti, però, riguarda anche tanti cattolici. Perché?È una resistenza spontanea, non guidata dalla malafede. La diffidenza nei confronti del diverso è diffusa, ma come cristiani siamo chiamati a fare il contrario. È un processo di conversione per tutti. L’Italia è tra i Paesi più aperti all’accoglienza in Europa. Il problema è a livello politico: come i cristiani possono contribuire affinché la società civile sia aperta?
Le regole sono necessarie, la migrazione va gestita. Ma l’Europa ha bisogno dei migranti.
La Chiesa dovrebbe avere una maggiore interlocuzione con la politica?Non soltanto la Chiesa, ma i cristiani in genere. I governi non faranno altro, se non c’è una forte pressione sociale. La popolazione deve comprendere il fenomeno delle migrazioni, dietro al quale si nascondono anche tanti traffici illeciti. Non bisogna avere paura della politica.
La cittadinanza è una conseguenza della fede.
Tutti siamo chiamati a partecipare alla vita pubblica.
Donald Trump ha da poco concluso il primo viaggio all’estero, incontrando anche Francesco. Cosa pensa di questi primi mesi di presidenza?Sono preoccupato. Nei suoi discorsi, ad esempio, Trump non tiene in considerazione l’importanza dei migranti negli Stati Uniti. Costruire muri non può essere la politica di un Paese importante come gli Usa. Né l’invito ad acquistare armi per difendersi. Il governo statunitense deve ascoltare di più il popolo. Sono in tanti a non pensarla come Trump.
Stoccolma, Parigi, Manchester, Londra. L’Europa è il teatro di una guerra di religione?Religioni e fondamentalismi sono due cose differenti. Quando diventa ideologia e ambizione di potere, la religione smette di essere tale e diventa fondamentalismo. I regimi sono ideologicamente schierati.
Il cristianesimo, invece, è più una fede che una religione.
Le religioni hanno grandi responsabilità. Il dialogo è la strada da percorrere.
Ha paura dell’islam?Non ho paura dell’islam, perché non ho paura dell’esperienza di Dio. Ho paura del fondamentalismo, non dei musulmani.
Domani il Papa incontrerà la presidenza della Conferenza episcopale venezuelana per affrontare una crisi che non sembra trovare soluzione…Non si riesce a trovare un punto comune. Gli spazi di incontro politico sembrano chiusi. Mancano cibo e medicine, la sofferenza del popolo cresce. Nelle persone è sempre più diffusa la volontà di un forte cambiamento. Bisogna seguire, però, la via della pace e della democrazia. La maggioranza del popolo chiede una soluzione pacifica. Ma i costi umani di questo processo sono troppo alti.
Il governo deve ascoltare la gente che grida. È necessario trovare un accordo. Non sappiamo di quanto tempo avremo bisogno in Venezuela per riconciliare la popolazione e risanare le ferite che ci stiamo infliggendo.
Riccardo Benotti
https://agensir.it/mondo/2017/06/07/trump-venezuela-migrazioni-e-terrorismo-p-arturo-sosa-gesuiti-il-populismo-e-una-trappola-leuropa-ha-bisogno-dei-migranti/
Ignazio, Arturo e la Compagnia di Belzebù – una lettera di Léon Bertoletti a Sant’Ignazio di Loyola
7/6/2017
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Caro Ignazio Lopez di Loyola da Azpeitia,
il 24 giugno 1537 ricevevi, a Venezia, l’ordinazione sacerdotale. Sono passati 480 anni e per festeggiare degnamente l’anniversario il tuo trentesimo successore, l’illustre Arturo Marcelino Sosa Abascal, ha pensato di abolire il demonio. Hai capito bene. A un intervistatore ha dichiarato, testualmente: «Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male». Che vuoi farci: ai tuoi tempi si tiravano palle di cannone (come quella che ti ferì le gambe nel 1521 durante l’assedio della fortezza di Pamplona da parte dei Francesi) adesso si sparano palle e basta. Contro i bastioni della Fede, le sante mura della Religione, le torri della Tradizione. È il tempo dei ponti levatoi, nel senso che prima si levano di torno e meglio è.
È un’altra stagione cavalleresca come la tua, ma invece del disarcionamento da cavallo sull’esempio di san Paolo, i cristiani di adesso preferiscono saltare in groppa e fuggire al galoppo dai princìpi, dagli imperativi etici e morali, dai doveri, dalle responsabilità del proprio status, dai Comandamenti. Ora, passi per la Sacra Scrittura, dove pure Satana è presente. A quei tempi accidenti, altra perla del tuo commilitone, non c’era il registratore. Ma c’è stato anche un concilio, santocielo! Lo conoscevi già tu, probabilmente. Lo conosce perfino un laicaccio come me. Sembrano non conoscerlo le gerarchie ecclesiastiche e gli odierni cattolici adulteri, che a dire il vero non conoscono nemmeno il Vaticano II, infatti lo citano e lo applicano a sproposito. Ecco: «Il diavolo e gli altri demoni sono stati creati da Dio buoni, secondo natura, ma sono diventati cattivi da se stessi». Questo ha stabilito il Laterano IV nel 1215. Una definizione dottrinale limpida, facile, che non lascia spazio all’immaginazione, alla creazione, all’inventiva personale. Il Principe di questo Mondo, Lucifero, il diavolo e gli angeli decaduti per orgoglio, superbia e autoritarietà, gli angeli del male rappresentano una verità e non il parto di fantasie malate, come si pensa o si vorrebbe far credere. Sono esseri dotati di personalità come gli altri angeli, dei quali fanno parte secondo l’ordine della Creazione, non un concetto, una potenza attiva delle tenebre. Possono tentare l’essere umano e distoglierlo dal bene, dal Sommo Bene. Cercano di costruire il Regno del peccato in contrasto al dominio divino.
La liturgia prevede tre domande: «Rinunciate a Satana? E a tutte le sue opere? E a tutte le sue seduzioni?». Chi non ci crede, si ritiri a vivere in una comune marxista o sull’Isola di Arturo. Mi scrive tra l’altro un amico in talare che il primo segnale che si ha bisogno di un buon esorcista è proprio negare la realtà, l’esistenza del diavolo. Caro Ignazio, tu non la negavi. Nei tuoi Esercizi Spirituali (EE) le due categorie di angeli, quelli di Dio e quelli di Satana, compaiono spesso. Leggo (EE 50): «Applicare la memoria sul primo peccato, quello degli angeli; poi sullo stesso applicare l’intelletto, ragionando; e, dopo, la volontà, cercando di ricordare e capire tutto ciò per vergognarmi e confondermi sempre di più, mettendo a confronto con l’unico peccato degli angeli i tanti peccati miei; e posto che essi per un solo peccato andarono all’inferno, quante volte io l’ho dovuto meritare per tanti. Dico “ricordare il peccato degli angeli”, come cioè, essendo stati creati nella grazia, non volendosi servire bene del loro libero arbitrio per riverire e obbedire al loro Creatore e Signore ed essendo perciò diventati superbi, furono cambiati da grazia in malizia e furono scacciati dal cielo nell’inferno». Si vedano anche EE 66-70, EE 136-146 («Meditazione di due bandiere: l’una di Cristo, nostro sommo condottiero e signore, l’altra di Lucifero, mortale nemico della nostra natura umana»), EE 334 («quando il nemico della natura umana viene scoperto e riconosciuto dalla sua coda serpentina e dal cattivo fine a cui porta». C’è una poesia di Victor Hugo, caro Ignazio, che s’intitola “La fin de Satan”. Precipitato nell’abisso, il diavolo perde una piuma che diventa l’angelo Libertà. Grazie a lui, Satana si salva e diviene uguale a Dio. Forse il noto gesuita, capo dell’ex Compagnia di Gesù ora di Belzebù, lo sosterrà in una prossima intervista. Oppure, chissà, dirà che come non c’è il demonio non esiste neanche quell’altro, il titolare insomma, Lui, il Pantocratore. Ci siamo sbagliati, per tutto questo tempo. Abbiamo preso un abbaglio e vi porgiamo tante scuse, che vanno tanto di moda.
Considerato l’andazzo, caro Ignazio, possiamo veramente aspettarci di tutto. Anche che il tuo erede tenga a farci sapere, con le sue dotte argomentazioni, che per quanto ne sappiamo il Cristo, all’Ultima Cena, ha mangiato paella.
Léon Bertoletti
Caro Ignazio Lopez di Loyola da Azpeitia,
il 24 giugno 1537 ricevevi, a Venezia, l’ordinazione sacerdotale. Sono passati 480 anni e per festeggiare degnamente l’anniversario il tuo trentesimo successore, l’illustre Arturo Marcelino Sosa Abascal, ha pensato di abolire il demonio. Hai capito bene. A un intervistatore ha dichiarato, testualmente: «Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male». Che vuoi farci: ai tuoi tempi si tiravano palle di cannone (come quella che ti ferì le gambe nel 1521 durante l’assedio della fortezza di Pamplona da parte dei Francesi) adesso si sparano palle e basta. Contro i bastioni della Fede, le sante mura della Religione, le torri della Tradizione. È il tempo dei ponti levatoi, nel senso che prima si levano di torno e meglio è.
È un’altra stagione cavalleresca come la tua, ma invece del disarcionamento da cavallo sull’esempio di san Paolo, i cristiani di adesso preferiscono saltare in groppa e fuggire al galoppo dai princìpi, dagli imperativi etici e morali, dai doveri, dalle responsabilità del proprio status, dai Comandamenti. Ora, passi per la Sacra Scrittura, dove pure Satana è presente. A quei tempi accidenti, altra perla del tuo commilitone, non c’era il registratore. Ma c’è stato anche un concilio, santocielo! Lo conoscevi già tu, probabilmente. Lo conosce perfino un laicaccio come me. Sembrano non conoscerlo le gerarchie ecclesiastiche e gli odierni cattolici adulteri, che a dire il vero non conoscono nemmeno il Vaticano II, infatti lo citano e lo applicano a sproposito. Ecco: «Il diavolo e gli altri demoni sono stati creati da Dio buoni, secondo natura, ma sono diventati cattivi da se stessi». Questo ha stabilito il Laterano IV nel 1215. Una definizione dottrinale limpida, facile, che non lascia spazio all’immaginazione, alla creazione, all’inventiva personale. Il Principe di questo Mondo, Lucifero, il diavolo e gli angeli decaduti per orgoglio, superbia e autoritarietà, gli angeli del male rappresentano una verità e non il parto di fantasie malate, come si pensa o si vorrebbe far credere. Sono esseri dotati di personalità come gli altri angeli, dei quali fanno parte secondo l’ordine della Creazione, non un concetto, una potenza attiva delle tenebre. Possono tentare l’essere umano e distoglierlo dal bene, dal Sommo Bene. Cercano di costruire il Regno del peccato in contrasto al dominio divino.
La liturgia prevede tre domande: «Rinunciate a Satana? E a tutte le sue opere? E a tutte le sue seduzioni?». Chi non ci crede, si ritiri a vivere in una comune marxista o sull’Isola di Arturo. Mi scrive tra l’altro un amico in talare che il primo segnale che si ha bisogno di un buon esorcista è proprio negare la realtà, l’esistenza del diavolo. Caro Ignazio, tu non la negavi. Nei tuoi Esercizi Spirituali (EE) le due categorie di angeli, quelli di Dio e quelli di Satana, compaiono spesso. Leggo (EE 50): «Applicare la memoria sul primo peccato, quello degli angeli; poi sullo stesso applicare l’intelletto, ragionando; e, dopo, la volontà, cercando di ricordare e capire tutto ciò per vergognarmi e confondermi sempre di più, mettendo a confronto con l’unico peccato degli angeli i tanti peccati miei; e posto che essi per un solo peccato andarono all’inferno, quante volte io l’ho dovuto meritare per tanti. Dico “ricordare il peccato degli angeli”, come cioè, essendo stati creati nella grazia, non volendosi servire bene del loro libero arbitrio per riverire e obbedire al loro Creatore e Signore ed essendo perciò diventati superbi, furono cambiati da grazia in malizia e furono scacciati dal cielo nell’inferno». Si vedano anche EE 66-70, EE 136-146 («Meditazione di due bandiere: l’una di Cristo, nostro sommo condottiero e signore, l’altra di Lucifero, mortale nemico della nostra natura umana»), EE 334 («quando il nemico della natura umana viene scoperto e riconosciuto dalla sua coda serpentina e dal cattivo fine a cui porta». C’è una poesia di Victor Hugo, caro Ignazio, che s’intitola “La fin de Satan”. Precipitato nell’abisso, il diavolo perde una piuma che diventa l’angelo Libertà. Grazie a lui, Satana si salva e diviene uguale a Dio. Forse il noto gesuita, capo dell’ex Compagnia di Gesù ora di Belzebù, lo sosterrà in una prossima intervista. Oppure, chissà, dirà che come non c’è il demonio non esiste neanche quell’altro, il titolare insomma, Lui, il Pantocratore. Ci siamo sbagliati, per tutto questo tempo. Abbiamo preso un abbaglio e vi porgiamo tante scuse, che vanno tanto di moda.
Considerato l’andazzo, caro Ignazio, possiamo veramente aspettarci di tutto. Anche che il tuo erede tenga a farci sapere, con le sue dotte argomentazioni, che per quanto ne sappiamo il Cristo, all’Ultima Cena, ha mangiato paella.
Léon Bertoletti
Musulmani a cena in parrocchia per celebrare il ramadan
Islamici e cattolici seduti allo stesso tavolo per celebrare il digiuno. Nella stessa parrocchia si erano tenuti le elezioni del direttivo della moschea e i corsi di arabo
Ventimiglia - Islamici e cattolici seduti allo stesso tavolo per celebrare il digiuno del Ramadan.
L'appuntamento è stato ieri sera, a Ventimiglia, nel salone parrocchiale di San Nicola. Un posto che non è certo nuovo ai musulmani. Proprio laggiù, infatti, l'anno scorso, si sono tenuti le elezioni del nuovo direttivo della moschea e i corsi di arabo destinati ai bambini.
A fare gli onori di casa: il parroco padre Francesco, con ospiti un centinaio di persone tra migranti, esponenti della comunità islamica e cattolica e delle locali associazioni di volontariato. Ospiti d'onore: il vescovo diocesano Antonio Suetta, da parte cattolica e il responsabile della Comunità Religiosa Islamica Italiana (Coreis), Abu Bakr Moretta. Una cena, dunque, per celebrare il digiuno? Pur se a prima vista potrebbe sembrare un controsenso, in realtà non lo è. In quanto l'appuntamento a tavola è stato, alle 21.08, l'ora precisa in cui ieri sera è iniziato a calare il sole e i fedeli musulmani, secondo quanto stabilito dalla liturgia islamica, hanno potuto mangiare. L'astensione dal cibo, infatti, vige (più o meno) dall'alba al tramonto. "Ho accolto l'invito della comunità islamica molto volentieri - è il commento del vescovo -. L'occasione di questa sera è tipicamente religiosa. Loro stanno vivendo il mese sacro del Ramadan e al tramonto del sole interrompono il digiuno per mettere insieme un momento di cena festosa con preghiera". Prosegue Suetta: "Un'iniziativa all'insegna del dialogo e del rispetto vicendevole, anche perchè vissuto in forme differenti, il segno spirituale del digiuno è una realtà che cristiani e musulmani condividono".
L'evento rientra nel progetto "114 Pizza e Dolci" che ha visto come protagoniste diverse città, in Italia, e che prevede l'offerta di una cena organizzata in collaborazione con associazioni cristiane e laiche locali che si occupano da anni di assistenza e sostegno agli immigrati dal Mediterraneo, dal Medio Oriente, dall'Africa e dall'Asia. Il titolo e il numero 114 Pizza e Dolci vuole fare riferimento ai 114 capitoli del "Sacro Corano" che durante il mese di Ramadan vengono recitati e ricordati come ispirazione e benedizione per la comunità islamica da quattordici secoli. Pizza e dolci, dunque, sono state le pietanze della serata; accompagnate da una selezione di datteri. "È stato un modo per manifestare la grande conoscenza spirituale che accomuna musulmani e cristiani - ha detto Moretta - naturalmente col rispetto delle proprie differenze confessionali. Da parte nostra, prima di iniziare la cena, abbiamo voluto recitare la 'sura' aprente del Corano. Una invocazione verso Dio, per renderci disponibili alla sua grazia". Suetta ha recitato, invece, un brano della Bibbia.
Islamici e cattolici seduti allo stesso tavolo per celebrare il digiuno. Nella stessa parrocchia si erano tenuti le elezioni del direttivo della moschea e i corsi di arabo
Ventimiglia - Islamici e cattolici seduti allo stesso tavolo per celebrare il digiuno del Ramadan.
L'appuntamento è stato ieri sera, a Ventimiglia, nel salone parrocchiale di San Nicola. Un posto che non è certo nuovo ai musulmani. Proprio laggiù, infatti, l'anno scorso, si sono tenuti le elezioni del nuovo direttivo della moschea e i corsi di arabo destinati ai bambini.
A fare gli onori di casa: il parroco padre Francesco, con ospiti un centinaio di persone tra migranti, esponenti della comunità islamica e cattolica e delle locali associazioni di volontariato. Ospiti d'onore: il vescovo diocesano Antonio Suetta, da parte cattolica e il responsabile della Comunità Religiosa Islamica Italiana (Coreis), Abu Bakr Moretta. Una cena, dunque, per celebrare il digiuno? Pur se a prima vista potrebbe sembrare un controsenso, in realtà non lo è. In quanto l'appuntamento a tavola è stato, alle 21.08, l'ora precisa in cui ieri sera è iniziato a calare il sole e i fedeli musulmani, secondo quanto stabilito dalla liturgia islamica, hanno potuto mangiare. L'astensione dal cibo, infatti, vige (più o meno) dall'alba al tramonto. "Ho accolto l'invito della comunità islamica molto volentieri - è il commento del vescovo -. L'occasione di questa sera è tipicamente religiosa. Loro stanno vivendo il mese sacro del Ramadan e al tramonto del sole interrompono il digiuno per mettere insieme un momento di cena festosa con preghiera". Prosegue Suetta: "Un'iniziativa all'insegna del dialogo e del rispetto vicendevole, anche perchè vissuto in forme differenti, il segno spirituale del digiuno è una realtà che cristiani e musulmani condividono".
L'evento rientra nel progetto "114 Pizza e Dolci" che ha visto come protagoniste diverse città, in Italia, e che prevede l'offerta di una cena organizzata in collaborazione con associazioni cristiane e laiche locali che si occupano da anni di assistenza e sostegno agli immigrati dal Mediterraneo, dal Medio Oriente, dall'Africa e dall'Asia. Il titolo e il numero 114 Pizza e Dolci vuole fare riferimento ai 114 capitoli del "Sacro Corano" che durante il mese di Ramadan vengono recitati e ricordati come ispirazione e benedizione per la comunità islamica da quattordici secoli. Pizza e dolci, dunque, sono state le pietanze della serata; accompagnate da una selezione di datteri. "È stato un modo per manifestare la grande conoscenza spirituale che accomuna musulmani e cristiani - ha detto Moretta - naturalmente col rispetto delle proprie differenze confessionali. Da parte nostra, prima di iniziare la cena, abbiamo voluto recitare la 'sura' aprente del Corano. Una invocazione verso Dio, per renderci disponibili alla sua grazia". Suetta ha recitato, invece, un brano della Bibbia.
- http://www.ilgiornale.it/news/cronache/musulmani-cena-parrocchia-celebrare-ramadan-1406758.html
Ragione e mostri
7 giugno 2017
A volte discutendo con persone anche di una certa cultura mi imbatto in affermazioni di questo tipo: “anche i cristiani un tempo erano fondamentalisti, prendevano la bibbia alla lettera, e in fondo il magistero ecclesiastico e la dottrina sono una forma di rigidità che genera atteggiamenti intolleranti”.
Argomenti di tal fatta fanno acqua da tutte le parti. Conosco piuttosto bene l’islam, in particolare la variante radicale e conosco bene il cattolicesimo.
Quando mai il cattolicesimo ha preso la bibbia semplicemente alla lettera? Sin dai padri apostolici il testo Sacro è stato letto secondo chiavi interpretative diverse e complementari; analogica, simbolica ecc. Quando prevalga una sola chiave di lettura allora si perde qualche cosa. La parola di Dio non è mai stata intesa come direttamente insufflata nella mente del redattore biblico; proprio per questa necessità interpretativa la Chiesa ha sempre letto la Parole partendo dalla propria tradizione viva. Il testo Biblico pertanto non è mai stato liberamente interpretato, questo perché a garanzia della “sua lettura”, sono stati posti il magistero della Chiesa e la tradizione.
Senza pretesa di verità assoluta, l’ampio margine interpretativo, garantito dall’argine del magistero ha evitato “le piene pericolose e le alluvioni” delle “troppo libere” interpretazioni.
È l’esistenza di un magistero che ha scongiurato letture fondamentaliste; peraltro mai dimenticando come il Vangelo sia, un radicale messaggio di amore. Le dispute teologiche le ardite interpretazioni esegetiche spesso hanno dimenticato il ruolo di argine prudenziale proposto dalla “dottrina ufficiale”. Abbiamo in tal modo assistito al proliferare di eruditi interpreti della Sacra Scrittura sprovvisti della necessaria umiltà di ammettere che i loro erano punti di vista, peraltro spesso clamorosamente smentiti, da eruditi più eruditi di loro.
L’Islam invece non ha un interprete ufficiale, non ha un magistero; le scuole giuridiche interpretano con accenti più o meno letteralistici il Corano e la Sunna. Si sono in tal modo originate letture dei testi sacri molteplici e nessuno può affermare di possedere l’interpretazione autentica. Affermare che il vero Islam è pacifista significa non conoscere l’Islam, come affermare che l’Islam sia una religione violenta; si tratta di diversi approcci al testo sacro; semplicemente perché non esiste un vero Islam, ma esistono molti modi di vivere ed interpretare la religione musulmana. E questo i musulmani lo sanno benissimo.
Appare quindi del tutto fuori luogo accusare la dottrina cristiana di fondamentalismo, quando è invece proprio essa che garantisce da derive interpretative fuori controllo.
Si dirà che il vento soffia dove vuole, con ciò affermando che lo Spirito di Dio è libero; per carità, anche questo è vero, ma nessuno possiede personalmente un carisma soprannaturale tale da poter negare duemila anni di magistero, magari per amore di un filosofo alla moda, o per l’eccessivo valore attribuito all’ossessione ermeneutica che seziona i testi in basi a criteri presunti oggettivi. Il metodo storico critico non è l’interpretazione autentica della parola di Dio, è un semplice strumento accanto ad altri.
Solo dentro la fede della Chiesa orante, nell’alveo millenario, costituito da magistero, pietà popolare, teologia, sacramenti, storia, è possibile far vivere, sempre rinnovato, il richiamo del Vangelo alla conversione.
Il semplice amore non basta, senza una teologia morale che indichi l’operatività dell’amore, tutto si dissolve nel sentimentalismo e infatti troppo spesso oggi si scambia lo sforzo d’amare per l’amore vero. In tal modo la nozione di peccato scompare e tutto si giustifica. Lo sforzo d’amare infatti è presente sempre in ogni esperienza umana, anche nelle più contraddittore, è presente nel tradimento, nella gelosia, nelle vendette, nella troppo pietà o nel troppo odio, nelle grandi utopie, nelle ideologie che hanno condotto alle carneficine, nell’amore malato di un padre e di una madre, nell’amore tentato di un figlio.
Se dovessimo guardare allo sforzo saremmo tutti assolti.
Il fatto è che la troppa erudizione, il troppo intellettualismo generano mostri proprio come il sonno della ragione. Potremmo dire che non solo il sonno della ragione genera mostri ma pure l’eccessiva veglia della stessa.
Per questo il grande Tommaso insegna come la teologia sia una scienza pratica, essa infatti si comprende e si spiega non soltanto attraverso l’intelletto, ma pure attraverso la vita vissuta esattamente come la ricetta di una buona pasta al forno la si può valutare soltanto mangiando la pasta.
Per questo dobbiamo dire grazie allo sforzo posto in essere dal magistero lungo i secoli, grazie per non aver ceduto a tentazioni mondane o alla terribile presunzione di pensare di potercela fare da soli. Grazie per aver sempre coniugato pensiero e preghiera, azione e contemplazione, prassi e teoria.
Argomenti di tal fatta fanno acqua da tutte le parti. Conosco piuttosto bene l’islam, in particolare la variante radicale e conosco bene il cattolicesimo.
Quando mai il cattolicesimo ha preso la bibbia semplicemente alla lettera? Sin dai padri apostolici il testo Sacro è stato letto secondo chiavi interpretative diverse e complementari; analogica, simbolica ecc. Quando prevalga una sola chiave di lettura allora si perde qualche cosa. La parola di Dio non è mai stata intesa come direttamente insufflata nella mente del redattore biblico; proprio per questa necessità interpretativa la Chiesa ha sempre letto la Parole partendo dalla propria tradizione viva. Il testo Biblico pertanto non è mai stato liberamente interpretato, questo perché a garanzia della “sua lettura”, sono stati posti il magistero della Chiesa e la tradizione.
Senza pretesa di verità assoluta, l’ampio margine interpretativo, garantito dall’argine del magistero ha evitato “le piene pericolose e le alluvioni” delle “troppo libere” interpretazioni.
È l’esistenza di un magistero che ha scongiurato letture fondamentaliste; peraltro mai dimenticando come il Vangelo sia, un radicale messaggio di amore. Le dispute teologiche le ardite interpretazioni esegetiche spesso hanno dimenticato il ruolo di argine prudenziale proposto dalla “dottrina ufficiale”. Abbiamo in tal modo assistito al proliferare di eruditi interpreti della Sacra Scrittura sprovvisti della necessaria umiltà di ammettere che i loro erano punti di vista, peraltro spesso clamorosamente smentiti, da eruditi più eruditi di loro.
L’Islam invece non ha un interprete ufficiale, non ha un magistero; le scuole giuridiche interpretano con accenti più o meno letteralistici il Corano e la Sunna. Si sono in tal modo originate letture dei testi sacri molteplici e nessuno può affermare di possedere l’interpretazione autentica. Affermare che il vero Islam è pacifista significa non conoscere l’Islam, come affermare che l’Islam sia una religione violenta; si tratta di diversi approcci al testo sacro; semplicemente perché non esiste un vero Islam, ma esistono molti modi di vivere ed interpretare la religione musulmana. E questo i musulmani lo sanno benissimo.
Appare quindi del tutto fuori luogo accusare la dottrina cristiana di fondamentalismo, quando è invece proprio essa che garantisce da derive interpretative fuori controllo.
Si dirà che il vento soffia dove vuole, con ciò affermando che lo Spirito di Dio è libero; per carità, anche questo è vero, ma nessuno possiede personalmente un carisma soprannaturale tale da poter negare duemila anni di magistero, magari per amore di un filosofo alla moda, o per l’eccessivo valore attribuito all’ossessione ermeneutica che seziona i testi in basi a criteri presunti oggettivi. Il metodo storico critico non è l’interpretazione autentica della parola di Dio, è un semplice strumento accanto ad altri.
Solo dentro la fede della Chiesa orante, nell’alveo millenario, costituito da magistero, pietà popolare, teologia, sacramenti, storia, è possibile far vivere, sempre rinnovato, il richiamo del Vangelo alla conversione.
Il semplice amore non basta, senza una teologia morale che indichi l’operatività dell’amore, tutto si dissolve nel sentimentalismo e infatti troppo spesso oggi si scambia lo sforzo d’amare per l’amore vero. In tal modo la nozione di peccato scompare e tutto si giustifica. Lo sforzo d’amare infatti è presente sempre in ogni esperienza umana, anche nelle più contraddittore, è presente nel tradimento, nella gelosia, nelle vendette, nella troppo pietà o nel troppo odio, nelle grandi utopie, nelle ideologie che hanno condotto alle carneficine, nell’amore malato di un padre e di una madre, nell’amore tentato di un figlio.
Se dovessimo guardare allo sforzo saremmo tutti assolti.
Il fatto è che la troppa erudizione, il troppo intellettualismo generano mostri proprio come il sonno della ragione. Potremmo dire che non solo il sonno della ragione genera mostri ma pure l’eccessiva veglia della stessa.
Per questo il grande Tommaso insegna come la teologia sia una scienza pratica, essa infatti si comprende e si spiega non soltanto attraverso l’intelletto, ma pure attraverso la vita vissuta esattamente come la ricetta di una buona pasta al forno la si può valutare soltanto mangiando la pasta.
Per questo dobbiamo dire grazie allo sforzo posto in essere dal magistero lungo i secoli, grazie per non aver ceduto a tentazioni mondane o alla terribile presunzione di pensare di potercela fare da soli. Grazie per aver sempre coniugato pensiero e preghiera, azione e contemplazione, prassi e teoria.
Diocesi cattolica inglese: i cattolici debbano inchinarsi davanti le divinità pagane
https://gloria.tv/article/1tay4KtPyVGPA9FhkX3PpKsXB
TERREMOTO IN VATICANO vescovo Ralph Heskett :LA SUA diocesi
IN REGNO UNITO (UK) INCORAGGIA I CATTOLICI come VENERARE le ‘DIVINITA’ ‘ PAGANE
…sta incoraggiando i fedeli per venerare le immagini pagane, fare donazioni ai
templi buddisti, e consumare il cibo ritualmente ‘benedetto’. MA DOVE E’ FINITO
IL PRIMO DEI DIECI COMANDAMENTI ????
SHEFFIELD, Regno Unito, 6 giugno 2017 ( LifeSiteNews ) – Una diocesi cattolica nel Regno Unito sta incoraggiando i cattolici che visitano i santuari pagani a “piegarsi” alle immagini pagane e mangiare cibo “benedetto” nei rituali pagani nello spirito di “ecumenismo” e “dialogo.”
Nelle sue linee guida per la visita santuari pagani (cliccare sul Ecumenismo e interreligioso), la diocesi cattolica di Hallam gestito dal vescovo Ralph Heskett, incoraggia i cattolici a portare fiori a Buddha, piegarsi alla murtis indù (immagine della divinità), e l’arco al Sikh libro sacro. I cattolici sono inoltre incoraggiati a mangiare il cibo offerto a loro che è stata “benedetta” in indù e sikh rituali.
Vescovo Heskett non ha risposto a una query momento della stampa. LifeSiteNews gli ha chiesto come poteva giustificare la consulenza nella luce del primo comandamento, che afferma: “Io sono il Signore Dio tuo; Non avere altri dèi di fronte a me.”
Lepanto Istituto presidente Michael Hichborn ha detto che le linee guida non solo portano i cattolici fuori strada, ma disonorano i primi martiri cristiani.
“I primi martiri cristiani hanno rifiutato anche un pizzico di incenso per i demoni pagani, soffrendo terribili torture e la morte“, ha detto LifeSiteNews.
“Nel secondo libro dei Maccabei, Eleazar ha rifiutato di far finta anche di mangiare carne di maiale. E ora, un vescovo cattolico sta incoraggiando i fedeli per venerare le immagini pagane, fare donazioni ai templi buddisti, e consumare il cibo ritualmente ‘benedetto’. E ‘responsabilità del clero per aiutare a mantenere e rafforzare il nostro rapporto con Cristo, per non dirci come di impegnarsi in idolatria,”ha aggiunto.
Hichborn ha detto che le linee guida rivelano una crisi all’interno della Chiesa cattolica.
“Nostro Signore ha chiesto se il Figlio dell’uomo avrebbe trovato la fede quando è tornato. Con questo vescovo sostenendo la venerazione delle icone pagane e promuovere le donazioni ai templi buddisti, questa è una domanda che possiamo cominciare a chiedere ora. Ci può essere qualche indicazione più chiara che la Chiesa sta soffrendo una crisi di fede, fino al punto di apostasia?” lui disse.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che il primo comandamento contro l’idolatria richiede “l’uomo né a credere, di non venerare altre divinità che l’unico vero Dio.”
“L’idolatria si riferisce non solo al culto pagano falso. Rimane una tentazione costante alla fede. L’idolatria consiste nel divinizzare ciò che non è Dio “.
“Numerosi martiri sono morti per non adorare ‘la bestia’ rifiutando perfino di simularne il culto. L’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione con Dio,”gli stati catechismo.
La versione 1949 del Catechismo di Baltimora afferma che un “peccati contro la fede cattolica di prendere parte al culto non cattolico, perché professa dunque credere in una religione che conosce è falso”.
Il Catechismo di Baltimora poi aggiunge che una persona “peccati dall’idolatria quando paga a una creatura culto supremo dovuto solo a Dio come creatore e conservatore di tutte le cose.”
“Onore Divino è pagato a Dio solo. Nei primi tempi del cristianesimo, molti cristiani sono stati messi a morte per essersi rifiutato di bruciare incenso davanti agli idoli. Gli antichi egizi, e molti pagani di oggi, adorare il sole, il fuoco, o di animali come il coccodrillo. Dio punì gli israeliti per la loro idolatria “, si afferma.
Hichborn ha detto che non è una sorpresa che la Diocesi di Hallam è ora vittima di un crollo finanziario a causa di un calo di oltre il 50 per cento della popolazione di massa in corso (30.000 a 12.000) dal momento della costituzione della diocesi.
“Mons Heskett sembra essere in uno stato di dissonanza cognitiva in quanto egli non vede come in onore di divinità pagane possono avere qualcosa a che fare con una diminuzione di fede cattolica nel suo gregge e un conseguente calo della partecipazione alla Messa,” ha detto.
“Tutta la nostra fede è centrata intorno all’Eucaristia. Se Vescovo Heskett è sul serio la propria salvezza, e le anime di coloro che sono affidati a lui, e se vuole veramente aumentare il numero di membri fedeli della sua diocesi, allora deve essere completamente dedicata a nostro Signore nell’Eucaristia. non c’è altra risposta “, ha aggiunto.
Fonte :Pete Baklinski per Life Site
Padre Sosa, Sant’Ignazio e il demonio – di don Marcello Stanzione
7/6/2017
di don Marcello Stanzione
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Sono rimasto alquanto sconcertato dalle dichiarazioni del nuovo generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa, che in una intervista a El Mundo ha dichiarato che il diavolo è una figura simbolica. Orbene se appartiene a Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) aver messo in chiaro i principi per riconoscere le ispirazioni dell’Angelo buono da quello cattivo nei suoi Esercizi Spirituali, il discernimento degli spiriti era già noto nel giudaismo e nella primitiva Chiesa, poiché San Giovanni vi fa espressamente allusione.
Ma l’Evangelista, nella sua Lettera, non detta le regole che permettono di provare gli spiriti, supponendoli certamente note ai suoi corrispondenti. E’ San Paolo che ne propone il primo approccio :”Ora, io vi dico: lasciatevi guidare dallo Spirito e non rischierete di soddisfare la voglia carnale. Perché la carne convoglia contro lo spirito e lo spirito contro la carne; vi è tra essi antagonismo, così bene che voi non fate ciò che vorreste. Ma se lo Spirito vi anima, voi non siete sotto la Legge. Ora si sa bene tutto ciò che produce la carne: fornicazione, impurità, rilassatezza, idolatria, magia, odio, discordia, gelosia, latrocinio, dispute, dissensi, scissioni, sentimenti di invidia, orge, ripicche e cose simili – ed io vi prevengo, come ho già detto, che quelli che commettono questi sbagli non erediteranno il Regno di Dio.
“Ma il frutto dello Spirito è carità, gioia, pace, longanimità, servizio, bontà, fiducia negli altri, dolcezza, padronanza di sé” (Lettera ai Galati 5,16-24). Ogni discernimento degli spiriti poggerà sui sentimenti eccitati nell’anima dall’Angelo presunto, secondo se essi saranno frutti della carne o frutti dello Spirito. Poiché questi frutti sono a somiglianza di quelli che li coltivano.
“Vi sono due Angeli per l’uomo, quello della Giustizia e quello del Male. L’uno è delicato, riservato e dolce, pacifico. Quando entra nel tuo cuore, subito, egli ti parla di giustizia, di santità, di temperanza, di ogni opera giusta. Quando questi pensieri si elevano nel tuo cuore, sappi che l’Angelo giusto è in te. L’Angelo del Male, viceversa, è irascibile, pieno di acredine e di demenza. Riconoscilo dalle sue opere” (Erma, Il Pastore).
Ma le cose si complicano quando l’Angelo delle tenebre gioca a fare da Angelo della luce, imbrogliando le carte, truccando i dadi, “da nemico più forte, più astuto, più difficile da scoprire” (San Giovanni della Croce) come egli è. Poiché il diavolo sa che, “smascherare Satana, è vincerlo” (S. Ignazio di Loyola). Caterina da Siena (1347-1380), in una rivelazione di Cristo, riceve una raccomandazione che prelude a quella di Sant’Ignazio : “Quando mi si vede (è Gesù che parla a Caterina, ) all’inizio, si ha paura, poi, a poco a poco, ci si rassicura; questo comincia con una certa amarezza, ma poi si addolcisce. Il contrario si produce quando si vede il Nemico, a causa della sua origine. In apparenza, egli da dapprima un certo piacere, appare quasi verosimile ed attrae; poi, pertanto, egli fa nascere nell’anima che lo vede una sensazione di pena e di nausea. Ma Io voglio dare ancora un segno infallibile e certo. Poiché Io sono la Verità, ho per certo che, nelle Mie apparizioni, l’anima deve estrarre una più grande conoscenza dalla Verità. La conoscenza della verità su di Me e sull’anima è indispensabile a quest’ultima. In effetti, l’anima deve conoscersi e conoscerMi. ConoscendoMi e conoscendosi, ella si disprezza e Mi onora, cosa che è propria dell’umiltà. Dunque, bisogna che, con la forza delle Mie apparizioni, l’anima divenga più umile e che nello stesso tempo, ella riconosca il suo niente e si disprezzi”.
“Il contrario si produce nelle apparizioni del Nemico. Siccome egli è il Padre della Menzogna, il re dei figli dell’orgoglio e che non può dare che quello che ha, nasce nell’anima, a seguito delle sue apparizioni, una certa stima per se stesso, una presunzione che è propria dell’orgoglio e questa rimane gonfia e piena di vento”.
Sant’Ignazio, quanto a lui, perfeziona l’analisi di questi stati contrari: “Circa le persone che vanno di peccato mortale in peccato mortale, la condotta normale del nemico è di proporre loro dei piaceri apparenti, occupando la loro immaginazione di compiacenze e di voluttà sensuali, al fine di trattenerli e di piombarli più avanti nei loro vizi e nei loro peccati… Lo spirito buono, al contrario, agisce in esse in misura opposta: egli punge e morde la loro coscienza, facendo loro sentire i rimproveri della ragione. Nelle persone che lavorano coraggiosamente per purificarsi dai loro peccati, e vanno di bene in meglio nel servizio di Dio Nostro Signore, il buono ed il cattivo spirito operano in senso inverso dalla regola precedente. Perché è proprio del cattivo spirito causare loro della tristezza e dei tormenti di coscienza, di elevare davanti ad essi degli ostacoli, di turbarli con dei ragionamenti falsi, al fine di fermare i loro progressi nella via della virtù; al contrario, è proprio del buono spirito di dare loro del coraggio e delle forze, di consolarli, di fare loro spandere delle lacrime, di inviare loro delle buone ispirazioni, e di stabilirli nella calma, facilitando loro la via ed alzando davanti ad esse tutti gli ostacoli, al fine che esse avanzino sempre più nel bene”.
Poi Sant’Ignazio di Loyola propone un ritratto del diavolo che nel ventunesimo secolo potrebbe apparire un po’ misogino nei suoi poco attraenti paragoni con il “sesso debole”. Scrive il fondatore dei Gesuiti: “Il nostro nemico rassomiglia ad una donna; egli ne ha la debolezza e la mutevolezza delle opinioni. E’ proprio di una donna, quando disputa con un uomo, di perdere coraggio e di prendere la fuga subito che questi gli mostra un volto fermo; l’uomo, al contrario, quando comincia col temere ed indietreggiare, la collera, la vendetta e la ferocia di questa donna si accrescono e non hanno più misura. Come pure, è proprio del nemico affievolire, perdere coraggio e prendere la fuga con le sue tentazioni, quando la persona che si esercita nelle cose spirituali mostra molta fermezza contro il tentatore, e fa diametralmente l’opposto di ciò che gli è suggerito. Al contrario, se la persona che è tentata comincia col temere e col sopportare l’attacco con meno coraggio, non c’è bestia feroce sulla terra la cui crudeltà eguaglia la malizia infernale con la quale questo nemico della natura umana si attacca nel perseguire i suoi perfidi disegni”.
Il paragone successivo è felicemente altrettanto poco attraente per il sesso forte che il precedente lo era per le figlie di Eva: “La sua condotta è ancora quella di un seduttore; egli domanda il segreto e non dubita niente finché non è scoperto. Un seduttore che sollecita la figlia di un padre onesto, o la moglie di un uomo d’onore, vuole che i suoi discorsi e le sue insinuazioni restino segreti. Egli teme vivamente, al contrario, che la figlia non scopra a suo padre, o la moglie a suo marito, le sue parole fallaci e la sua intenzione perversa. Egli comprende facilmente che non potrebbe allora riuscire nei suoi colpevoli disegni. Come pure, quando il nemico della natura umana vuole imbrogliare un’anima giusta con le sue astuzie ed i suoi artifici, egli desidera, egli vuole che ella l’ascolti e che custodisca il segreto. Ma se quest’anima scopre tutto ad un confessore illuminato, o ad un’altra persona spirituale, che conosce gli imbrogli e le astuzie del nemico, egli ne riceve un grande dispiacere: perché egli sa che la sua malizia dimorerà impotente, dal momento in cui i suoi tentativi saranno scoperti e messi in luce. Infine, egli imita un capitano che vuole prendere un posto dove spera di fare un ricco bottino. Egli assedia il suo campo, considera le forze e la disposizione di questo posto, ed attacca dal lato più debole. E’ così del nemico della natura umana. Egli si aggira incessantemente intorno a noi; esamina da tutte le parti ognuna delle nostre virtù teologali, cardinali e morali, e quando ha scoperto in noi il luogo più debole e meno provvisto delle armi della salute, è da lì che ci attacca e cerca di riportare su di noi una piena vittoria”.
Poi Sant’Ignazio affronta i giochi del diavolo che scimmiotta l’Angelo che fu in altri tempi: “E’ proprio dell’Angelo cattivo, quando si trasforma in Angelo di luce, di entrare dapprima nei sentimenti dell’anima pia, e di finire con ispirargli i suoi. Così, egli comincia col suggerire a quest’anima dei pensieri buoni e santi, conformi alle sue disposizioni virtuose; ma ben presto, poco a poco, egli compita di attirarlo nei suoi tranelli segreti, e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni. Noi dobbiamo esaminare con grande cura il seguito ed il cammino dei nostri pensieri. Se l’inizio, il mezzo e la fine, tutto è buono in essi, e tendono puramente al bene, è una prova che essi vengono dall’Angelo buono; ma se, nel seguito dei pensieri che ci sono suggeriti, finisce per incontrarvisi qualcosa di meno buono che non ci eravamo proposti di fare, o se questi pensieri indeboliscono la nostra anima, la inquietano, la turbano, le ostacolano la pace, la tranquillità di cui gioiva prima, è una nota evidente che essi sono del cattivo spirito”.
E Sant’Ignazio precisa che il nemico si riconosce e si scopre “dalla sua coda di serpente, cioè dal fine pernicioso nel quale ci porta”.
Perché il demonio non abusa in definitiva che di quelli che hanno ben voluto lasciarsi abusare e turlupinare da lui. Nella biografia di sant’Ignazio, scrive Paul Verdun che Giampaolo, che fu per molto tempo suo compagno di apostolato, dormendo una notte in un letto vicino al suo, fu risvegliato da un rumore di percosse e dai gemiti del fondatore della Compagnia di Gesù. Si alzò e chiese al suo vicino che cosa stava accadendo. Ma il santo, senza rispondergli niente, gli ordinò di tornare a letto a dormire. Lo spirito delle tenebre tentò, in un’altra occasione di strangolare il santo, che restò afono per parecchi giorni. Il diavolo in questo caso non era certamente una figura simbolica… Possibile che il generale dei Gesuiti non conosca queste cose?
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Sono rimasto alquanto sconcertato dalle dichiarazioni del nuovo generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa, che in una intervista a El Mundo ha dichiarato che il diavolo è una figura simbolica. Orbene se appartiene a Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) aver messo in chiaro i principi per riconoscere le ispirazioni dell’Angelo buono da quello cattivo nei suoi Esercizi Spirituali, il discernimento degli spiriti era già noto nel giudaismo e nella primitiva Chiesa, poiché San Giovanni vi fa espressamente allusione.
Ma l’Evangelista, nella sua Lettera, non detta le regole che permettono di provare gli spiriti, supponendoli certamente note ai suoi corrispondenti. E’ San Paolo che ne propone il primo approccio :”Ora, io vi dico: lasciatevi guidare dallo Spirito e non rischierete di soddisfare la voglia carnale. Perché la carne convoglia contro lo spirito e lo spirito contro la carne; vi è tra essi antagonismo, così bene che voi non fate ciò che vorreste. Ma se lo Spirito vi anima, voi non siete sotto la Legge. Ora si sa bene tutto ciò che produce la carne: fornicazione, impurità, rilassatezza, idolatria, magia, odio, discordia, gelosia, latrocinio, dispute, dissensi, scissioni, sentimenti di invidia, orge, ripicche e cose simili – ed io vi prevengo, come ho già detto, che quelli che commettono questi sbagli non erediteranno il Regno di Dio.
“Ma il frutto dello Spirito è carità, gioia, pace, longanimità, servizio, bontà, fiducia negli altri, dolcezza, padronanza di sé” (Lettera ai Galati 5,16-24). Ogni discernimento degli spiriti poggerà sui sentimenti eccitati nell’anima dall’Angelo presunto, secondo se essi saranno frutti della carne o frutti dello Spirito. Poiché questi frutti sono a somiglianza di quelli che li coltivano.
“Vi sono due Angeli per l’uomo, quello della Giustizia e quello del Male. L’uno è delicato, riservato e dolce, pacifico. Quando entra nel tuo cuore, subito, egli ti parla di giustizia, di santità, di temperanza, di ogni opera giusta. Quando questi pensieri si elevano nel tuo cuore, sappi che l’Angelo giusto è in te. L’Angelo del Male, viceversa, è irascibile, pieno di acredine e di demenza. Riconoscilo dalle sue opere” (Erma, Il Pastore).
Ma le cose si complicano quando l’Angelo delle tenebre gioca a fare da Angelo della luce, imbrogliando le carte, truccando i dadi, “da nemico più forte, più astuto, più difficile da scoprire” (San Giovanni della Croce) come egli è. Poiché il diavolo sa che, “smascherare Satana, è vincerlo” (S. Ignazio di Loyola). Caterina da Siena (1347-1380), in una rivelazione di Cristo, riceve una raccomandazione che prelude a quella di Sant’Ignazio : “Quando mi si vede (è Gesù che parla a Caterina, ) all’inizio, si ha paura, poi, a poco a poco, ci si rassicura; questo comincia con una certa amarezza, ma poi si addolcisce. Il contrario si produce quando si vede il Nemico, a causa della sua origine. In apparenza, egli da dapprima un certo piacere, appare quasi verosimile ed attrae; poi, pertanto, egli fa nascere nell’anima che lo vede una sensazione di pena e di nausea. Ma Io voglio dare ancora un segno infallibile e certo. Poiché Io sono la Verità, ho per certo che, nelle Mie apparizioni, l’anima deve estrarre una più grande conoscenza dalla Verità. La conoscenza della verità su di Me e sull’anima è indispensabile a quest’ultima. In effetti, l’anima deve conoscersi e conoscerMi. ConoscendoMi e conoscendosi, ella si disprezza e Mi onora, cosa che è propria dell’umiltà. Dunque, bisogna che, con la forza delle Mie apparizioni, l’anima divenga più umile e che nello stesso tempo, ella riconosca il suo niente e si disprezzi”.
“Il contrario si produce nelle apparizioni del Nemico. Siccome egli è il Padre della Menzogna, il re dei figli dell’orgoglio e che non può dare che quello che ha, nasce nell’anima, a seguito delle sue apparizioni, una certa stima per se stesso, una presunzione che è propria dell’orgoglio e questa rimane gonfia e piena di vento”.
Sant’Ignazio, quanto a lui, perfeziona l’analisi di questi stati contrari: “Circa le persone che vanno di peccato mortale in peccato mortale, la condotta normale del nemico è di proporre loro dei piaceri apparenti, occupando la loro immaginazione di compiacenze e di voluttà sensuali, al fine di trattenerli e di piombarli più avanti nei loro vizi e nei loro peccati… Lo spirito buono, al contrario, agisce in esse in misura opposta: egli punge e morde la loro coscienza, facendo loro sentire i rimproveri della ragione. Nelle persone che lavorano coraggiosamente per purificarsi dai loro peccati, e vanno di bene in meglio nel servizio di Dio Nostro Signore, il buono ed il cattivo spirito operano in senso inverso dalla regola precedente. Perché è proprio del cattivo spirito causare loro della tristezza e dei tormenti di coscienza, di elevare davanti ad essi degli ostacoli, di turbarli con dei ragionamenti falsi, al fine di fermare i loro progressi nella via della virtù; al contrario, è proprio del buono spirito di dare loro del coraggio e delle forze, di consolarli, di fare loro spandere delle lacrime, di inviare loro delle buone ispirazioni, e di stabilirli nella calma, facilitando loro la via ed alzando davanti ad esse tutti gli ostacoli, al fine che esse avanzino sempre più nel bene”.
Poi Sant’Ignazio di Loyola propone un ritratto del diavolo che nel ventunesimo secolo potrebbe apparire un po’ misogino nei suoi poco attraenti paragoni con il “sesso debole”. Scrive il fondatore dei Gesuiti: “Il nostro nemico rassomiglia ad una donna; egli ne ha la debolezza e la mutevolezza delle opinioni. E’ proprio di una donna, quando disputa con un uomo, di perdere coraggio e di prendere la fuga subito che questi gli mostra un volto fermo; l’uomo, al contrario, quando comincia col temere ed indietreggiare, la collera, la vendetta e la ferocia di questa donna si accrescono e non hanno più misura. Come pure, è proprio del nemico affievolire, perdere coraggio e prendere la fuga con le sue tentazioni, quando la persona che si esercita nelle cose spirituali mostra molta fermezza contro il tentatore, e fa diametralmente l’opposto di ciò che gli è suggerito. Al contrario, se la persona che è tentata comincia col temere e col sopportare l’attacco con meno coraggio, non c’è bestia feroce sulla terra la cui crudeltà eguaglia la malizia infernale con la quale questo nemico della natura umana si attacca nel perseguire i suoi perfidi disegni”.
Il paragone successivo è felicemente altrettanto poco attraente per il sesso forte che il precedente lo era per le figlie di Eva: “La sua condotta è ancora quella di un seduttore; egli domanda il segreto e non dubita niente finché non è scoperto. Un seduttore che sollecita la figlia di un padre onesto, o la moglie di un uomo d’onore, vuole che i suoi discorsi e le sue insinuazioni restino segreti. Egli teme vivamente, al contrario, che la figlia non scopra a suo padre, o la moglie a suo marito, le sue parole fallaci e la sua intenzione perversa. Egli comprende facilmente che non potrebbe allora riuscire nei suoi colpevoli disegni. Come pure, quando il nemico della natura umana vuole imbrogliare un’anima giusta con le sue astuzie ed i suoi artifici, egli desidera, egli vuole che ella l’ascolti e che custodisca il segreto. Ma se quest’anima scopre tutto ad un confessore illuminato, o ad un’altra persona spirituale, che conosce gli imbrogli e le astuzie del nemico, egli ne riceve un grande dispiacere: perché egli sa che la sua malizia dimorerà impotente, dal momento in cui i suoi tentativi saranno scoperti e messi in luce. Infine, egli imita un capitano che vuole prendere un posto dove spera di fare un ricco bottino. Egli assedia il suo campo, considera le forze e la disposizione di questo posto, ed attacca dal lato più debole. E’ così del nemico della natura umana. Egli si aggira incessantemente intorno a noi; esamina da tutte le parti ognuna delle nostre virtù teologali, cardinali e morali, e quando ha scoperto in noi il luogo più debole e meno provvisto delle armi della salute, è da lì che ci attacca e cerca di riportare su di noi una piena vittoria”.
Poi Sant’Ignazio affronta i giochi del diavolo che scimmiotta l’Angelo che fu in altri tempi: “E’ proprio dell’Angelo cattivo, quando si trasforma in Angelo di luce, di entrare dapprima nei sentimenti dell’anima pia, e di finire con ispirargli i suoi. Così, egli comincia col suggerire a quest’anima dei pensieri buoni e santi, conformi alle sue disposizioni virtuose; ma ben presto, poco a poco, egli compita di attirarlo nei suoi tranelli segreti, e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni. Noi dobbiamo esaminare con grande cura il seguito ed il cammino dei nostri pensieri. Se l’inizio, il mezzo e la fine, tutto è buono in essi, e tendono puramente al bene, è una prova che essi vengono dall’Angelo buono; ma se, nel seguito dei pensieri che ci sono suggeriti, finisce per incontrarvisi qualcosa di meno buono che non ci eravamo proposti di fare, o se questi pensieri indeboliscono la nostra anima, la inquietano, la turbano, le ostacolano la pace, la tranquillità di cui gioiva prima, è una nota evidente che essi sono del cattivo spirito”.
E Sant’Ignazio precisa che il nemico si riconosce e si scopre “dalla sua coda di serpente, cioè dal fine pernicioso nel quale ci porta”.
Perché il demonio non abusa in definitiva che di quelli che hanno ben voluto lasciarsi abusare e turlupinare da lui. Nella biografia di sant’Ignazio, scrive Paul Verdun che Giampaolo, che fu per molto tempo suo compagno di apostolato, dormendo una notte in un letto vicino al suo, fu risvegliato da un rumore di percosse e dai gemiti del fondatore della Compagnia di Gesù. Si alzò e chiese al suo vicino che cosa stava accadendo. Ma il santo, senza rispondergli niente, gli ordinò di tornare a letto a dormire. Lo spirito delle tenebre tentò, in un’altra occasione di strangolare il santo, che restò afono per parecchi giorni. Il diavolo in questo caso non era certamente una figura simbolica… Possibile che il generale dei Gesuiti non conosca queste cose?
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