La riabilitazione di un ribelle: don Lorenzo Milani
(di Mauro Faverzani) Papa Francesco ha reso omaggio a don Lorenzo Milani a Barbiana in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte. Ma Pier Luigi Tossani, un cattolico toscano di 62 anni, ha rivolto via web una supplica al Papa ed ai cardinali Betori, Müller e Bassetti – rispettivamente il suo Arcivescovo a Firenze, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il presidente della Cei – per dimostrare l’inopportunità della visita del Papa, per tutta una serie di motivi, raccolti in un ampio e dettagliato dossier, da lui messo a punto.
Non esitò, ad esempio, a definire il suo arcivescovo, mons. Ermenegildo Florit, «un deficiente indemoniato» in una lettera inviata al suo allievo Francesco Gesualdi. Giudizio, questo, sostanzialmente rilanciato dal prof. Alberto Melloni, segretario della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII, nel discorso, scritto in vista della visita del Papa a Barbiana. Tossani chiede perciò una speciale censura «nei confronti del prof. Melloni, che ha così indegnamente infangato la memoria del fu Arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit».
Di forte matrice giacobina, don Milani fu un fautore «della violenza rivoluzionaria», come ancora evidenzia Tossani citando la Lettera a Gianni, nonché un fautore «della lotta di classe di stampo marxista-leninista», come emerge dalla Lettera ai cappellani militari toscani in cui scrive: «Se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi».
In questo ebbe lo sguardo lungo proprio il card. Ermenegildo Florit che,il 25 gennaio 1966, scrisse a don Milani una lettera nella quale definì i suoi interventi come, impregnati di un’«atmosfera quasi di lotta classista», occasione o pretesto a chi voglia «colpire la Chiesa o non la conosca». Ancora più esplicito fu il card. Florit nelle pagine del suo diario datate 22 marzo 1966, riportate nel dossier di Tossani: «È stata una conversazione concitata di oltre un’ora. Momenti angosciosi. È un dialettico affetto da mania di persecuzione. Non preoccupazione di santità fondata sull’umiltà, ma pseudo-santità puntata verso la canonizzazione di se stesso. Egocentrismo pazzo, tipo orgoglioso e squilibrato».
Non fu però solo questione di sotterfugi, di indisciplina, di immaturità: Tossani fa emergere, senza remore, anche le «pulsioni omosessuali e pedofile» di don Milani, citando brani assolutamente inequivocabili della Lettera a Giorgio Pecorini. Pulsioni, che avrebbero influenzato anche il suo progetto educativo, attribuendovi «un carattere ideologico e classista», con danno di tutti, docenti e discenti: «L’infelice eredità milaniana, oltre ad aver avuto ripercussioni negative nel tessuto sociale e religioso, in particolare in quello fiorentino, si è altresì tradotta in esperienze negative, che ad essa si sono semplicemente richiamate, come quella del Forteto e quella del cappellano della Comunità fiorentina delle Piagge, don Alessandro Santoro».
Il dossier di Tossani si concludeva con una supplica, affinché il Pontefice non si recasse a Barbiana a rendere omaggio sulla tomba di don Milani. Supplica caduta nel vuoto: Papa Francesco lì c’è andato. Il che, secondo Tossani, sarà foriero di «conseguenze assai gravi», destinate a protrarsi «per molti anni».
Al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Müller, l’autore della supplica chiede comunque di revocare la riabilitazione del libro di don Milani, Esperienze pastorali, tornando alle posizioni espresse dal medesimo organismo da lui presieduto, ai tempi del priore di Barbiana, quando suggerì di ritirare il volume dal commercio, di non ristamparlo e di non tradurlo, perché, secondo il card. Florit, pose il suo autore in una luce «un po’ illuminista».
Il dossier non si risolve in una mera critica, propone anche un’alternativa perseguibile a giudizio del suo autore, quella del «ricco insegnamento sociale ispirato ai principi di sussidiarietà e di partecipazione, espressi dal Servo di Dio, don Luigi Sturzo e da Pier Luigi Zampetti», già membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, nominato da Giovanni Paolo II, con la sua idea di «società partecipativa» orientata secondo la Dottrina Sociale della Chiesa. Ma in merito pare spentosi il dibattito all’interno dell’establishment della Chiesa, troppo intento a riabilitare “ribelli”, più o meno “obbedienti”… (Mauro Faverzani)
Neanche il Papa può mettere ordine e pace nelle dispute su
don Milani
Francesco oggi omaggia don Mazzolari e il prete di Barbiana.
Non va per riabilitarli, ma per testimoniare con la sua presenza che il loro
messaggio alla chiesa di oggi può dire molto
Roma. “Don Lorenzo Milani è santo e il santo non è colui che
ha meno difetti di tutti o che moralmente ha il profilo più alto di
tutti. Questa è una concezione della santità un po’ superata”, dice alla
tv dei vescovi italiani il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti.
“Il santo è uno che è vaccinato di Spirito Santo, e che rimane anche con
il suo caratteraccio”.
Questa mattina, il Papa andrà sulle tombe di don Milani e, prima, di don Primo Mazzolari, il prete di Bozzolo, partigiano e primo contestatore della dottrina della guerra giusta.
Francesco non va per riabilitarli (di acqua sotto i ponti ne è passata e di omaggi ne sono stati fatti ad abundantiam negli ultimi anni), ma per testimoniare con la sua presenza che il loro messaggio alla chiesa di oggi può dire molto. Dopotutto, basta riascoltare quanto il Papa sottolineò in un videomessaggio su don Milani diffuso un paio di mesi fa: “La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per cristo, per il Vangelo, per la chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”. Ecco il tratto comune con il pontificato corrente, l’accento sulla chiesa concepita come ospedale da campo. Ma a cinquant’anni di distanza dalla morte del sacerdote di Barbiana, la figura di don Milani continua ad alimentare il dibattito.
Lo storico della chiesa Sergio Tanzarella, ordinario presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale, ha curato per Il Pozzo di Giacobbe l’edizione critica di Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici”, testo tra i più conosciuti di don Lorenzo Milani. Ma che corre il rischio di essere frainteso. Scrive Tanzarella che “l’allergia alle fonti e al rigore dello studio non è un caso nuovo nell’Italia del trionfo degli opinionisti televisivi, degli agganciati alle cordate accademiche e dei convegnisti di professione”. S’accapigliano anche storici con ex priori, e cioè lo stesso Tanzarella con Enzo Bianchi, emerito di Bose, che lo scorso maggio al Salone del libro di Torino aveva presentato i Meridiani Mondadori sul prete finito a predicare nel Mugello.
“Perché un uomo come Milani appariva molto lontano a Dossetti, appariva molto lontano al cardinal Martini, per dire di persone estremamente attente, e anche a me – sono parole di fratel Bianchi –, che salii da lui nel ’66 a trovarlo, dico la verità, non fece questa grande impressione. Perché? Perché la grandezza di don Milani, come è stata, non era, come posso dire, accoglibile in quel mondo spirituale cattolico che veniva fuori dal Concilio in poi. Per don Milani, il Concilio è una cosa estranea, è una dimensione che non lo tocca”. Apriti cielo. Replica il prof. Tanzarella: “Mi chiedo cosa era andato a fare a Barbiana e cosa pensava di vedere di tanto impressionante e utile per lei?” , chiede a Bianchi. “Ma ciò che è più grave è che a distanza di mezzo secolo lei non ha capito ancora nulla di Milani. Lo dimostrano tre affermazioni del suo discorso torinese nel quale chiama in causa due morti che non possono smentirla: Dossetti e Martini. Del primo non possediamo alcun riferimento dedicato a Milani e il secondo scrisse su Milani un articolo che non è certo tra i suoi migliori”. Non solo, perché quanto al Vaticano II, “Milani ha anticipato il Concilio”, altro che estraneità. Proseguiva Bianchi: don Milani “non è toccato nemmeno dalla parola di Dio; per lui la parola è soprattutto lo strumento umano con cui uno trova la libertà, la soggettività, attua quella che nel ’68 sarà chiamata la prise de parole e lui voleva dare questa parola ai poveri e ai semplici”. Letture agli antipodi che nemmeno una visita del Papa alla tomba del “santo col caratteraccio” potrà mettere in sintonia.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/06/20/news/neanche-il-papa-puo-mettere-ordine-e-pace-nelle-dispute-su-don-milani-140551/
Questa mattina, il Papa andrà sulle tombe di don Milani e, prima, di don Primo Mazzolari, il prete di Bozzolo, partigiano e primo contestatore della dottrina della guerra giusta.
Francesco non va per riabilitarli (di acqua sotto i ponti ne è passata e di omaggi ne sono stati fatti ad abundantiam negli ultimi anni), ma per testimoniare con la sua presenza che il loro messaggio alla chiesa di oggi può dire molto. Dopotutto, basta riascoltare quanto il Papa sottolineò in un videomessaggio su don Milani diffuso un paio di mesi fa: “La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per cristo, per il Vangelo, per la chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”. Ecco il tratto comune con il pontificato corrente, l’accento sulla chiesa concepita come ospedale da campo. Ma a cinquant’anni di distanza dalla morte del sacerdote di Barbiana, la figura di don Milani continua ad alimentare il dibattito.
Lo storico della chiesa Sergio Tanzarella, ordinario presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale, ha curato per Il Pozzo di Giacobbe l’edizione critica di Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici”, testo tra i più conosciuti di don Lorenzo Milani. Ma che corre il rischio di essere frainteso. Scrive Tanzarella che “l’allergia alle fonti e al rigore dello studio non è un caso nuovo nell’Italia del trionfo degli opinionisti televisivi, degli agganciati alle cordate accademiche e dei convegnisti di professione”. S’accapigliano anche storici con ex priori, e cioè lo stesso Tanzarella con Enzo Bianchi, emerito di Bose, che lo scorso maggio al Salone del libro di Torino aveva presentato i Meridiani Mondadori sul prete finito a predicare nel Mugello.
“Perché un uomo come Milani appariva molto lontano a Dossetti, appariva molto lontano al cardinal Martini, per dire di persone estremamente attente, e anche a me – sono parole di fratel Bianchi –, che salii da lui nel ’66 a trovarlo, dico la verità, non fece questa grande impressione. Perché? Perché la grandezza di don Milani, come è stata, non era, come posso dire, accoglibile in quel mondo spirituale cattolico che veniva fuori dal Concilio in poi. Per don Milani, il Concilio è una cosa estranea, è una dimensione che non lo tocca”. Apriti cielo. Replica il prof. Tanzarella: “Mi chiedo cosa era andato a fare a Barbiana e cosa pensava di vedere di tanto impressionante e utile per lei?” , chiede a Bianchi. “Ma ciò che è più grave è che a distanza di mezzo secolo lei non ha capito ancora nulla di Milani. Lo dimostrano tre affermazioni del suo discorso torinese nel quale chiama in causa due morti che non possono smentirla: Dossetti e Martini. Del primo non possediamo alcun riferimento dedicato a Milani e il secondo scrisse su Milani un articolo che non è certo tra i suoi migliori”. Non solo, perché quanto al Vaticano II, “Milani ha anticipato il Concilio”, altro che estraneità. Proseguiva Bianchi: don Milani “non è toccato nemmeno dalla parola di Dio; per lui la parola è soprattutto lo strumento umano con cui uno trova la libertà, la soggettività, attua quella che nel ’68 sarà chiamata la prise de parole e lui voleva dare questa parola ai poveri e ai semplici”. Letture agli antipodi che nemmeno una visita del Papa alla tomba del “santo col caratteraccio” potrà mettere in sintonia.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/06/20/news/neanche-il-papa-puo-mettere-ordine-e-pace-nelle-dispute-su-don-milani-140551/
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