http://www.rivelazioni.com/youtube/scegli-e-vota-le-immagini-animate-piu-belle/ |
Don Milani, card. Bassetti: “E’ santo, anche senza canonizzazione”
Il presidente della Cei al Tg2000: “Vaccinato di Spirito Santo nonostante suo caratteraccio. Non c’è bisogno che faccia miracoli, la sua vita è un miracolo”. “Per come l’ho conosciuto io, don Lorenzo Milani è santo. E il santo non è colui che ha meno difetti di tutti o che moralmente ha il profilo più alto di tutti. Questa è una concezione della santità un po’ superata. Il santo è uno che è vaccinato di Spirito Santo. E che rimane anche con il suo caratteraccio”. Lo ha detto il presidente della Cei, il card. Gualtiero Bassetti, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, per lo speciale in onda domani, 20 giugno 2017, in occasione del pellegrinaggio di Papa Francesco a Bozzolo e Barbiana per don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani.
“Don Lorenzo – ha aggiunto il card. Bassetti - a volte ha avuto dei modi di trattare quasi al limite. Ma perché è santo ? (dico santo in senso lato) perché tutto nasceva dalla purezza del suo cuore e lui insegnava anche in quel modo. Lui si superava tutti giorni. Quella di don Lorenzo è una santità che sarebbe difficilmente canonizzabile secondo anche gli schemi che abbiamo oggi e poi forse non ce n’è bisogno. Non c’è bisogno che don Lorenzo faccia i miracoli perché la sua vita è stata un miracolo”.
“Il gesto del Papa – ha sottolineato il card. Bassetti – è grandissimo. Richiama all’attenzione dicendo: questi preti, questi uomini Mazzolari e Milani hanno ancora qualcosa da insegnarci. Francesco è l’uomo dei segni. Compie un segno esemplare. Lo fa come pastore di tutta la Chiesa perché noi lo seguiamo. E il fatto di andare sulle tombe di questi due preti a Barbiana e a Bozzolo è esemplare”.
“Se don Milani non fosse stato obbedientissimo – ha proseguito il card. Bassetti - non avrebbe senso la visita del Papa Francesco a Barbiana, perché sarebbe stato uno dei tanti preti coraggiosi, anticonformisti che si sono distinti con un carattere estremamente forte. Ma don Milani non è tutto questo. Don Milani è un uomo con una fedeltà assoluta alla Chiesa e alla sua coscienza. Il concetto però di obbedienza di don Milani non è un concetto legalistico. Don Milani non ha mai rinunciato neppure per un attimo ad essere un prete, come don Primo, lo sono stati fino in fondo. Per questo non sono stati dei classisti e non sono stati dei comunisti come qualcuno li ha definiti”.
“Nell’azione pastorale di Francesco – ha concluso il card. Bassetti – c’è moltissimo di don Mazzolari e don Milani. Ed è per questo che io giubilo del fatto che il Papa vada a Barbiana e a Bozzolo. Don Milani l’ho sempre stimato e amato. E’ quasi un magistero. Va il Papa e dice: questi sono due preti autentici, sono due modelli che nella debita forma possono essere riproposti anche alla Chiesa di oggi”.
http://ilsismografo.blogspot.com/2017/06/italia-don-milani-card.html
Fra don Milani e Papa Francesco. Affinità spirituali
(Francesco Giovanni Brugnaro) Il cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani e la decisione di Papa Francesco di visitare la sua tomba a Barbiana suscitano in molti il desiderio di intuire quale recondito legame o quale spirituale affinità possa legare i due avvenimenti riguardanti due personaggi così diversamente cari alla memoria della Chiesa che è in Italia. Non può trattarsi di un semplice ricordo di circostanza o di un gesto di nobile riconoscimento postumo a un sacerdote dalla vita così carismatica e impreziosita da una sofferta fedeltà alla Chiesa. Per questo, il pensiero corre anche a quell’arcivescovo di Camerino, Giuseppe D’Avack, che il 23 settembre 1957 inviava, sotto forma di lettera, la promessa “prefazione” al libro Esperienze pastorali, licenziato con l’imprimatur del cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze.
Tralasciando ogni intenzione di entrare in tutta la problematica relativa alla contestazione e alla censura a cui fu sottoposto il libro con la pubblicazione, tuttavia, trovandomi oggi sulla cattedra che fu dell’arcivescovo D’Avack, ho la fortuna di poter gettare uno sguardo attento alla documentazione di quel momento storico, ben conservata nonostante il drammatico terremoto, nell’archivio arcidiocesano. Quello che colpisce è la grande affinità profetica tra il magistero di Papa Francesco e la considerazione metodologica attorno alla quale l’arcivescovo D’Avack conferisce unità, forma e comprensione a certe rilevanti istanze del libro del priore di Barbiana. Nella sua prefazione l’arcivescovo amico esporrà quanto secondo lui manca allo scritto di don Milani e che corrisponde al suo pensiero: «Sarà quasi un completare la sua (di don Milani) conclusione, cavando fuori quel che sempre mi tormenta in fondo all’anima; sarà rendere ancora più esplicita quella sua conclusione. La quale, se a primo aspetto e secondo il modo di pensare di qualcuno, può apparire “tragica e cupa e nera e disfattista”, in realtà è sommamente positiva e costruttiva, e di importanza vitale, fondamentale e urgentissima oggi» (Esperienze pastorali, pag. 10).
D’Avack si appella a un esame profondo, serio, spregiudicato nella nostra vita cristiana, nella vita sacerdotale per non far sembrare che il Vangelo sia molto meno alto o piuttosto che lo addomestichiamo per nostro comodo. E perché questo esame non sia limitato o condizionato «badiamo a non abusare dell’argomento del “si è sempre fatto così”, specialmente qui che si tratta dell’attuazione della vita cristiana e soprattutto della vita religiosa, soprattutto della vita sacerdotale». Il “si è sempre fatto così” «ha, o meglio, può avere un certo valore talvolta ma mai un valore apodittico» (ivi, pp. 20-21).
Come non riconoscere nell’espressione di D’Avack il nuovo criterio pastorale proposto con autorità da Papa Francesco al n. 33 dell’Evangelii gaudium? Per far partire la Chiesa dal “cuore del Vangelo” e metterla “in uscita” mediante una pastorale in conversione per un improrogabile rinnovamento ecclesiale, Papa Bergoglio richiede «di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti a essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale» (Evangelii gaudium, n. 33).
Quanta vicinanza di intuizione, quanta preoccupazione e volontà autenticamente rinnovatrici del metodo pastorale e missionario della Chiesa! Quale fervido invito a lavorare insieme e con coraggio perché il Vangelo torni a essere l’orizzonte di vita dell’uomo di oggi!
Non ci è nota l’eventuale familiarità che Papa Francesco può aver avuto con Esperienze pastorali di don Milani e quale rilievo abbia avuto per lui la compromettente “prefazione” dall’arcivescovo di Camerino. Al di là della prudenza alla quale si poteva esser tenuti cinquant’anni fa in Italia, rimane chiaro che il criterio pastorale enunciato da Papa Francesco corrisponde a quello evidenziato ed elaborato da D’Avack a fondamento credibile e unitario di quanto proponeva il libro del priore di Barbiana. Il Papa ci invita ad abbandonare quel comodo criterio per mutare la nostra attitudine evangelizzatrice, avvertendo l’urgenza critica di camminare insieme sulla via da lui indicata in maniera generosa e con coraggio. Aggiunge, però, ancora il criterio sopra enunciato pur esplicitandolo in modo diverso: «Senza divieti né paure».
Egli sa bene che spesso nella storia si rischia di abbandonarsi al “si è fatto sempre così”, che riduce l’efficacia della forza operosa del seme evangelico e la capacità della Parola di Dio di dar sapore e senso alla vita degli uomini.
L'Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017.Tralasciando ogni intenzione di entrare in tutta la problematica relativa alla contestazione e alla censura a cui fu sottoposto il libro con la pubblicazione, tuttavia, trovandomi oggi sulla cattedra che fu dell’arcivescovo D’Avack, ho la fortuna di poter gettare uno sguardo attento alla documentazione di quel momento storico, ben conservata nonostante il drammatico terremoto, nell’archivio arcidiocesano. Quello che colpisce è la grande affinità profetica tra il magistero di Papa Francesco e la considerazione metodologica attorno alla quale l’arcivescovo D’Avack conferisce unità, forma e comprensione a certe rilevanti istanze del libro del priore di Barbiana. Nella sua prefazione l’arcivescovo amico esporrà quanto secondo lui manca allo scritto di don Milani e che corrisponde al suo pensiero: «Sarà quasi un completare la sua (di don Milani) conclusione, cavando fuori quel che sempre mi tormenta in fondo all’anima; sarà rendere ancora più esplicita quella sua conclusione. La quale, se a primo aspetto e secondo il modo di pensare di qualcuno, può apparire “tragica e cupa e nera e disfattista”, in realtà è sommamente positiva e costruttiva, e di importanza vitale, fondamentale e urgentissima oggi» (Esperienze pastorali, pag. 10).
D’Avack si appella a un esame profondo, serio, spregiudicato nella nostra vita cristiana, nella vita sacerdotale per non far sembrare che il Vangelo sia molto meno alto o piuttosto che lo addomestichiamo per nostro comodo. E perché questo esame non sia limitato o condizionato «badiamo a non abusare dell’argomento del “si è sempre fatto così”, specialmente qui che si tratta dell’attuazione della vita cristiana e soprattutto della vita religiosa, soprattutto della vita sacerdotale». Il “si è sempre fatto così” «ha, o meglio, può avere un certo valore talvolta ma mai un valore apodittico» (ivi, pp. 20-21).
Come non riconoscere nell’espressione di D’Avack il nuovo criterio pastorale proposto con autorità da Papa Francesco al n. 33 dell’Evangelii gaudium? Per far partire la Chiesa dal “cuore del Vangelo” e metterla “in uscita” mediante una pastorale in conversione per un improrogabile rinnovamento ecclesiale, Papa Bergoglio richiede «di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti a essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale» (Evangelii gaudium, n. 33).
Quanta vicinanza di intuizione, quanta preoccupazione e volontà autenticamente rinnovatrici del metodo pastorale e missionario della Chiesa! Quale fervido invito a lavorare insieme e con coraggio perché il Vangelo torni a essere l’orizzonte di vita dell’uomo di oggi!
Non ci è nota l’eventuale familiarità che Papa Francesco può aver avuto con Esperienze pastorali di don Milani e quale rilievo abbia avuto per lui la compromettente “prefazione” dall’arcivescovo di Camerino. Al di là della prudenza alla quale si poteva esser tenuti cinquant’anni fa in Italia, rimane chiaro che il criterio pastorale enunciato da Papa Francesco corrisponde a quello evidenziato ed elaborato da D’Avack a fondamento credibile e unitario di quanto proponeva il libro del priore di Barbiana. Il Papa ci invita ad abbandonare quel comodo criterio per mutare la nostra attitudine evangelizzatrice, avvertendo l’urgenza critica di camminare insieme sulla via da lui indicata in maniera generosa e con coraggio. Aggiunge, però, ancora il criterio sopra enunciato pur esplicitandolo in modo diverso: «Senza divieti né paure».
Egli sa bene che spesso nella storia si rischia di abbandonarsi al “si è fatto sempre così”, che riduce l’efficacia della forza operosa del seme evangelico e la capacità della Parola di Dio di dar sapore e senso alla vita degli uomini.
http://ilsismografo.blogspot.it/2017/06/italia-fra-don-milani-e-papa-francesco.html
“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi
2/5/2017
Il processo di beatificazione di Pio XII è bloccato, ma intanto si esalta don Milani. Non c’è da stupirsi: la neochiesa non può permettersi di porre sui suoi neoaltari un santo della vecchia religione.
.
Martedì 2 maggio 2017
.
E’ pervenuta in redazione:
.
Caro Gnocchi,
ho letto le attenzioni che il Papa ora riserva a don Milani, il “priore di Barbiana”, che ci viene presentato come un vero modello di sacerdote, tutto dedito alla Chiesa e ai giovani. Lasciamo stare la dedizione ai giovani, compresa l’omosessualità di cui il Milani era sospettato. Ma comunque questo prete è stato un pessimo esempio, con libri censurati dall’allora sant’Uffizio. Fu rimosso dalla sua parrocchia e mandato a Barbiana dal cardinale Dalla Costa e don Milani era così “obbediente” che il cardinale dovette addirittura minacciarlo di far intervenire la forza pubblica perché lasciasse la parrocchia. Un giudizio molto pesante lo diede su di lui anche Giovanni XXIII, che quando era ancora Patriarca di Venezia, dopo aver letto il libro di Milani “Esperienze pastorali” lo definì come “un pazzerello scappato dal manicomio”. E potremmo dirne altre sui suoi metodi educativi nella tanto osannata scuola di Barbiana. Ma se l’albero si giudica dai frutti, allora bisogna anche ricordare che personaggi come il Rodolfo Fiesoli, l’orco del Forteto, condannato per violenze sessuali su minori, era uno dei seguaci di don Milani e con lui altri personaggi di quell’inferno che era il Forteto.
Insomma, cosa possiamo dire su un Papa che su un personaggio così non ha almeno l’intelligenza di star zitto? Ma mi viene subito un paragone davvero sconcertante: adesso si beatifica Don Milani, ma intanto il processo di beatificazione di Pio XII è ibernato. Non se ne parla neanche più. A parte le vergognose diffamazioni sulla faccenda degli ebrei (e sappiamo quanti furono salvati proprio da Pio XII ai tempi del nazismo), questo è stato un vero grande testimone della fede cattolica. Forse nella “chiesa” di oggi è questa la sua colpa? Quando si riavvierà il processo di beatificazione per Pio XII? E chi lo sa? Ma intanto si esalta un don Milani. Stiamo grattando il fondo o dovremo vederne ancora delle altre?
Mi scusi, sono stato lungo, ma non potevo non dire queste cose. In questo caos in cui viviamo lei è un uomo libero e lo dimostra, uno dei pochi con cui si può parlare.
Buon lavoro, con tanta stima.
Donato Lorini
.
Caro Donato,
oltre che di una neofede, di una neoliturgia, di una neomorale, la neochiesa a bisogno anche di una neosantità e dei neosanti. Naturalmente, alla gloria dei neoltari, si passa direttamente attraverso la neocanonizzazione proclamata dal neopapa nelle modalità che più gli aggradano. Nel caso specifico, Bergoglio ha provveduto per videomessaggio, come amava fare il Berlusconi dei tempi d’oro.
Don Milani, figlio di madre ebrea, cresciuto nell’agnosticismo e convertito in età adulta pare fatto apposta per un’operazione simile. E quell’ambiguo rapporto con i “suoi ragazzi”, che lui esprimeva con linguaggio e concetti tutt’altro che equivoci, ne fa addirittura un neosanto con la doppia aureola. L’uomo che ha contribuito a devastare il sistema scolastico italiano demolendo i concetti di insegnamento e di autorità, con quel suo sguardo tutt’altro che limpido sui giovinetti di Barbiana, è il testimonial perfetto della scuola del gender e dell’omosessualismo.
Lei caro Donato, si stupisce che, a fronte dell’esaltazione di don Milani e del donmilanismo, venga oscurata e obliata anche la sola possibilità di beatificare un pontefice come Pio XII. Ma la neochiesa non può permettersi di porre sui suoi neoaltari un santo della vecchia religione. Salvo il caso di abbinarlo a un neosanto che ne imponga una lettura e una recezione orientate alla nuova fede. Capitò a Pio IX, beatificato con Giovanni XXIII, che poi lo ha lasciato al palo per la canonizzazione.
Certo, nel caso di Pio XII l’operazione sarebbe difficile persino per Bergoglio, visto che bisognerebbe maneggiare la leggenda nera su un Pontefice accreditato definitivamente come “il Papa di Hitler” il “Papa connivente con l’Olocausto”. E, si sa, in questi tempi non esiste nulla di tanto definitivo e indiscutibile come una maledizione lanciata sulla Chiesa cattolica in nome dell’ebraismo. Perciò, con sfumature e argomenti diversi, si arriva sempre lì: al silenzio del “Vicario” sulla tragedia del popolo ebraico durante il nazismo.
Ma paradossalmente, se riguardasse solo i rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo la questione sarebbe persino risolvibile: a rigore e alla lunga, la logica dovrebbe rendere evidente l’incongruenza di una religione che si occupa degli affari interni a un’altra. Il fatto che siano gli ebrei a stabilire quali debbano essere i santi cattolici, prima o poi dovrebbe risultare come un comico malinteso.
Il film sulla leggenda nera di Pio XII, invece, continuerà ad andare in onda in replica perché è frutto di un’antica partita tutta interna al mondo cattolico. Lo ha spiegato chiaramente il rabbino americano David G. Dalin in appendice al volume di Burkhart Schneider, Pio XII. “Quasi nessuno degli ultimi libri su Pio XII e sull’Olocausto” spiega Dalin “parla in realtà di Pio XII e dell’Olocausto. Il vero tema di questi libri risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della Chiesa oggi, dove l’Olocausto diviene semplicemente il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre come arma contro i tradizionalisti”.
Caro Donato, l’avversione a Pio XII nasce nel mondo cattolico molto prima che in certi ambienti dell’ebraismo. Sino al 20 febbraio 1963, quando il protestante Rolf Hochhuth, mise in scena a teatro “Il Vicario”, un lavoro che denigrava l’opera e la persona di Pio XII, le maggiori personalità del mondo ebraico avevano lodato pubblicamente il Pontefice per la sua azione in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. La campagna sul Pio XII antisemita cominciò decisamente in ritardo sull’aggressione messa in atto dentro la Chiesa molto prima, con particolare virulenza in Italia, dove si annida il cattolicesimo più clericale del pianeta sotto forma di bigottismo cattoprogressista.
Qualche anno fa, Piero Scoppola, uno dei rappresentativi esponenti del clericalismo cattoprogressista, sul “Regno” pubblicò una celebrazione della politica di apertura a sinistra praticata da Alcide De Gasperi contro il volere di Pio XII. Affare che risale al 1952, quando il leader democristiano, che molti continuano a scambiare per un fervente anticomunista, rifiutò l’intesa con missini e monarchici sollecitata dalla Santa Sede. L’anfibia e ambigua visione degasperiana, ispirata al progressismo di Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier, rappresentava la perfetta strategia cattocomunista il cui strumento poteva essere solo un partito a due teste come la Democrazia cristiana: una bigotta che strizzava l’occhio al perbenismo e l’altra eterodossa, in perenne rivolta contro l’autorità romana.
La cattiva politica, caro Donato, è sempre frutto della cattiva teologia. E la cattiva politica, di rimando, cerca sempre di influire sulla teologia: è lo strumento attraverso il quale i teologi e gli intellettuali cercano di modificare la realtà della Chiesa. La solita, banale e tuttavia pericolosa storia del progressismo cattolico di ogni epoca, dai fraticelli medievali ai giorni nostri.
Si capisce dunque che l’aggressione a Pio XII non poteva soffermarsi al piano politico, ma, per sua natura, doveva salire a quello teologico. Tanto più che il cattoprogressismo di stampo maritainiano, come dire tutto quello italiano da Giuseppe Dossetti a Rosy Bindi, aveva più di un conto in sospeso con Pio XII. Nel 1950, da Pontefice, Pacelli con l’enciclica Humani generis aveva messo in guardia il gregge cattolico dalle teorie eterodosse di teologi come Rahner, Teilhard de Chardin, de Lubac. Ma, prima ancora, da cardinale aveva individuato nel pensiero di Maritain la chiave della deriva a sinistra del pensiero cattolico e ne aveva previsto l’esito prima cattocomunista e poi nichilista. L’idea di uno Spirito Santo “trasgressivo e rivoluzionario” non poteva garbare a Paio XII. Prova ne fu che, nel 1956, ispirò il celebre articolo con cui padre Messineo, sulla “Civiltà cattolica”, stroncava il pensiero maritainiano come appendice dell’hegelismo.
La difesa dei novatori, in perfetto stile rivoluzionario, partì dalla calunnia per cercare di erigere un castello teologico. Ci provò Mounier accreditando come reazione agli errori del cardinale Pacelli le atrocità commesse dai rivoluzionari spagnoli contro i cattolici. Dal canto suo, Maritain diceva di avere “una certa paura del cardinale Pacelli, di cui varie persone simpatizzanti dell’Action française, mi hanno decantato la santità tornando da Roma”. Una volta Pontefice, Pio XII divenne l’emblema della Chiesa costantiniana da abbattere per far luogo alla Nuova Chiesa dello Spirito. Tanto che Giuseppe Alberigo, uno dei padri storici del cattoprogressismo alla bolognese, raccontò a “Repubblica” che nel 1953, su istigazione di “un padre benedettino pio e assai famoso”, pregò perché il Papa morisse presto in quanto era “un peso per la Chiesa”. Il Papa, naturalmente, era Pio XII.
Per quanto grottesca, questa specie di macumba per invocare la morte di Papa Pio XII mostra di che pasta sono fatte le aggressione del pensiero progressista agli avversari, chiunque essi siano. Ma soprattutto mostrano quale sia il triste destino degli adepti a questa neoreligione, scissi tra la caccia spasmodica al male assoluto e il compromesso con il male necessario. Per questo gli attacchi a Pio XII non cesseranno tanto in fretta e troveranno eco e linfa ancora a lungo dentro al mondo cattolico.
Per la neochiesa, caro Donato, è molto più funzionale don Milani. E vedrà che si unirà al coro anche qualche neotradizionalista inebriato dal fatto che il prete di Barbiana disse di essersi convertito grazie allo splendore della liturgia e definì il Messale “molto più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore”.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
http://www.riscossacristiana.it/?option=com_content&view=frontpage&Itemid=1
.
Martedì 2 maggio 2017
.
E’ pervenuta in redazione:
.
Caro Gnocchi,
ho letto le attenzioni che il Papa ora riserva a don Milani, il “priore di Barbiana”, che ci viene presentato come un vero modello di sacerdote, tutto dedito alla Chiesa e ai giovani. Lasciamo stare la dedizione ai giovani, compresa l’omosessualità di cui il Milani era sospettato. Ma comunque questo prete è stato un pessimo esempio, con libri censurati dall’allora sant’Uffizio. Fu rimosso dalla sua parrocchia e mandato a Barbiana dal cardinale Dalla Costa e don Milani era così “obbediente” che il cardinale dovette addirittura minacciarlo di far intervenire la forza pubblica perché lasciasse la parrocchia. Un giudizio molto pesante lo diede su di lui anche Giovanni XXIII, che quando era ancora Patriarca di Venezia, dopo aver letto il libro di Milani “Esperienze pastorali” lo definì come “un pazzerello scappato dal manicomio”. E potremmo dirne altre sui suoi metodi educativi nella tanto osannata scuola di Barbiana. Ma se l’albero si giudica dai frutti, allora bisogna anche ricordare che personaggi come il Rodolfo Fiesoli, l’orco del Forteto, condannato per violenze sessuali su minori, era uno dei seguaci di don Milani e con lui altri personaggi di quell’inferno che era il Forteto.
Insomma, cosa possiamo dire su un Papa che su un personaggio così non ha almeno l’intelligenza di star zitto? Ma mi viene subito un paragone davvero sconcertante: adesso si beatifica Don Milani, ma intanto il processo di beatificazione di Pio XII è ibernato. Non se ne parla neanche più. A parte le vergognose diffamazioni sulla faccenda degli ebrei (e sappiamo quanti furono salvati proprio da Pio XII ai tempi del nazismo), questo è stato un vero grande testimone della fede cattolica. Forse nella “chiesa” di oggi è questa la sua colpa? Quando si riavvierà il processo di beatificazione per Pio XII? E chi lo sa? Ma intanto si esalta un don Milani. Stiamo grattando il fondo o dovremo vederne ancora delle altre?
Mi scusi, sono stato lungo, ma non potevo non dire queste cose. In questo caos in cui viviamo lei è un uomo libero e lo dimostra, uno dei pochi con cui si può parlare.
Buon lavoro, con tanta stima.
Donato Lorini
.
Caro Donato,
oltre che di una neofede, di una neoliturgia, di una neomorale, la neochiesa a bisogno anche di una neosantità e dei neosanti. Naturalmente, alla gloria dei neoltari, si passa direttamente attraverso la neocanonizzazione proclamata dal neopapa nelle modalità che più gli aggradano. Nel caso specifico, Bergoglio ha provveduto per videomessaggio, come amava fare il Berlusconi dei tempi d’oro.
Don Milani, figlio di madre ebrea, cresciuto nell’agnosticismo e convertito in età adulta pare fatto apposta per un’operazione simile. E quell’ambiguo rapporto con i “suoi ragazzi”, che lui esprimeva con linguaggio e concetti tutt’altro che equivoci, ne fa addirittura un neosanto con la doppia aureola. L’uomo che ha contribuito a devastare il sistema scolastico italiano demolendo i concetti di insegnamento e di autorità, con quel suo sguardo tutt’altro che limpido sui giovinetti di Barbiana, è il testimonial perfetto della scuola del gender e dell’omosessualismo.
Lei caro Donato, si stupisce che, a fronte dell’esaltazione di don Milani e del donmilanismo, venga oscurata e obliata anche la sola possibilità di beatificare un pontefice come Pio XII. Ma la neochiesa non può permettersi di porre sui suoi neoaltari un santo della vecchia religione. Salvo il caso di abbinarlo a un neosanto che ne imponga una lettura e una recezione orientate alla nuova fede. Capitò a Pio IX, beatificato con Giovanni XXIII, che poi lo ha lasciato al palo per la canonizzazione.
Certo, nel caso di Pio XII l’operazione sarebbe difficile persino per Bergoglio, visto che bisognerebbe maneggiare la leggenda nera su un Pontefice accreditato definitivamente come “il Papa di Hitler” il “Papa connivente con l’Olocausto”. E, si sa, in questi tempi non esiste nulla di tanto definitivo e indiscutibile come una maledizione lanciata sulla Chiesa cattolica in nome dell’ebraismo. Perciò, con sfumature e argomenti diversi, si arriva sempre lì: al silenzio del “Vicario” sulla tragedia del popolo ebraico durante il nazismo.
Ma paradossalmente, se riguardasse solo i rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo la questione sarebbe persino risolvibile: a rigore e alla lunga, la logica dovrebbe rendere evidente l’incongruenza di una religione che si occupa degli affari interni a un’altra. Il fatto che siano gli ebrei a stabilire quali debbano essere i santi cattolici, prima o poi dovrebbe risultare come un comico malinteso.
Il film sulla leggenda nera di Pio XII, invece, continuerà ad andare in onda in replica perché è frutto di un’antica partita tutta interna al mondo cattolico. Lo ha spiegato chiaramente il rabbino americano David G. Dalin in appendice al volume di Burkhart Schneider, Pio XII. “Quasi nessuno degli ultimi libri su Pio XII e sull’Olocausto” spiega Dalin “parla in realtà di Pio XII e dell’Olocausto. Il vero tema di questi libri risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della Chiesa oggi, dove l’Olocausto diviene semplicemente il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre come arma contro i tradizionalisti”.
Caro Donato, l’avversione a Pio XII nasce nel mondo cattolico molto prima che in certi ambienti dell’ebraismo. Sino al 20 febbraio 1963, quando il protestante Rolf Hochhuth, mise in scena a teatro “Il Vicario”, un lavoro che denigrava l’opera e la persona di Pio XII, le maggiori personalità del mondo ebraico avevano lodato pubblicamente il Pontefice per la sua azione in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. La campagna sul Pio XII antisemita cominciò decisamente in ritardo sull’aggressione messa in atto dentro la Chiesa molto prima, con particolare virulenza in Italia, dove si annida il cattolicesimo più clericale del pianeta sotto forma di bigottismo cattoprogressista.
Qualche anno fa, Piero Scoppola, uno dei rappresentativi esponenti del clericalismo cattoprogressista, sul “Regno” pubblicò una celebrazione della politica di apertura a sinistra praticata da Alcide De Gasperi contro il volere di Pio XII. Affare che risale al 1952, quando il leader democristiano, che molti continuano a scambiare per un fervente anticomunista, rifiutò l’intesa con missini e monarchici sollecitata dalla Santa Sede. L’anfibia e ambigua visione degasperiana, ispirata al progressismo di Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier, rappresentava la perfetta strategia cattocomunista il cui strumento poteva essere solo un partito a due teste come la Democrazia cristiana: una bigotta che strizzava l’occhio al perbenismo e l’altra eterodossa, in perenne rivolta contro l’autorità romana.
La cattiva politica, caro Donato, è sempre frutto della cattiva teologia. E la cattiva politica, di rimando, cerca sempre di influire sulla teologia: è lo strumento attraverso il quale i teologi e gli intellettuali cercano di modificare la realtà della Chiesa. La solita, banale e tuttavia pericolosa storia del progressismo cattolico di ogni epoca, dai fraticelli medievali ai giorni nostri.
Si capisce dunque che l’aggressione a Pio XII non poteva soffermarsi al piano politico, ma, per sua natura, doveva salire a quello teologico. Tanto più che il cattoprogressismo di stampo maritainiano, come dire tutto quello italiano da Giuseppe Dossetti a Rosy Bindi, aveva più di un conto in sospeso con Pio XII. Nel 1950, da Pontefice, Pacelli con l’enciclica Humani generis aveva messo in guardia il gregge cattolico dalle teorie eterodosse di teologi come Rahner, Teilhard de Chardin, de Lubac. Ma, prima ancora, da cardinale aveva individuato nel pensiero di Maritain la chiave della deriva a sinistra del pensiero cattolico e ne aveva previsto l’esito prima cattocomunista e poi nichilista. L’idea di uno Spirito Santo “trasgressivo e rivoluzionario” non poteva garbare a Paio XII. Prova ne fu che, nel 1956, ispirò il celebre articolo con cui padre Messineo, sulla “Civiltà cattolica”, stroncava il pensiero maritainiano come appendice dell’hegelismo.
La difesa dei novatori, in perfetto stile rivoluzionario, partì dalla calunnia per cercare di erigere un castello teologico. Ci provò Mounier accreditando come reazione agli errori del cardinale Pacelli le atrocità commesse dai rivoluzionari spagnoli contro i cattolici. Dal canto suo, Maritain diceva di avere “una certa paura del cardinale Pacelli, di cui varie persone simpatizzanti dell’Action française, mi hanno decantato la santità tornando da Roma”. Una volta Pontefice, Pio XII divenne l’emblema della Chiesa costantiniana da abbattere per far luogo alla Nuova Chiesa dello Spirito. Tanto che Giuseppe Alberigo, uno dei padri storici del cattoprogressismo alla bolognese, raccontò a “Repubblica” che nel 1953, su istigazione di “un padre benedettino pio e assai famoso”, pregò perché il Papa morisse presto in quanto era “un peso per la Chiesa”. Il Papa, naturalmente, era Pio XII.
Per quanto grottesca, questa specie di macumba per invocare la morte di Papa Pio XII mostra di che pasta sono fatte le aggressione del pensiero progressista agli avversari, chiunque essi siano. Ma soprattutto mostrano quale sia il triste destino degli adepti a questa neoreligione, scissi tra la caccia spasmodica al male assoluto e il compromesso con il male necessario. Per questo gli attacchi a Pio XII non cesseranno tanto in fretta e troveranno eco e linfa ancora a lungo dentro al mondo cattolico.
Per la neochiesa, caro Donato, è molto più funzionale don Milani. E vedrà che si unirà al coro anche qualche neotradizionalista inebriato dal fatto che il prete di Barbiana disse di essersi convertito grazie allo splendore della liturgia e definì il Messale “molto più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore”.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
http://www.riscossacristiana.it/?option=com_content&view=frontpage&Itemid=1
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.