Fedeli, obbedienti e flessibili. Così il Papa vuole i suoi
collaboratori
Fase 2 del pontificato, tra manovre curiali e tensioni africane
Roma. Che il Papa argentino e il cardinale tedesco non fossero in sintonia significa ribadire un’ovvietà. Per Francesco, Gerhard Ludwig Müller – il prefetto della Dottrina della fede sostituito sabato scorso – scontava il peccato originale di essere “rigido” e la traduzione perfetta del pensiero papale la diede a mezzo intervista ben tre anni fa l’ascoltatissimo Oscar Rodríguez Maradiaga, il porporato honduregno che Bergoglio ha messo alla guida del C9 e che è tra i massimi consulenti del corrente pontificato: “E’ un tedesco, un professore di Teologia tedesco. Nella sua testa c’è solo il vero e il falso. Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no”.
Francesco è un Papa che decide spesso in solitudine, che gestisce da sé la propria agenda.
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In ogni caso, con il cambio di guida alla Dottrina della fede inizia la seconda fase dell’èra bergogliana, probabilmente quella della stabilizzazione delle linee-guida diramate ormai quattro anni fa. Una fase che però non si preannuncia per nulla tranquilla, se è vero che dalla Nigeria è giunta la risposta all’ultimatum papale di qualche settimana fa alla diocesi di Ahiara, che da anni impedisce al vescovo regolarmente eletto (nominato da Joseph Ratzinger nel 2012) di fare il proprio ingresso. Francesco, ricevendo una nutrita delegazione del clero locale, aveva chiesto un atto d’obbedienza formale e per iscritto entro trenta giorni da parte di tutti, preti, religiosi e religiose. Obbedienza totale al Papa, senza distinguo o precisazioni. Pena, la sospensione a divinis. Sabato, quando alla scadenza dell’aut aut mancava poco più d’una settimana, in tremila (comprese decine di sacerdoti) hanno occupato la locale cattedrale, ribadendo che il vescovo Peter Okpaleke lì non metterà mai piede.
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Il sostituto del cardinal Müller ha già risposto ai Dubia.
3 luglio 2017
«Non possiamo escludere a priori i fedeli divorziati risposati dalla confessione penitenziale che porterebbe alla riconciliazione sacramentale con Dio e quindi alla comunione eucaristica. Papa Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (n. 84), ha ritenuto questa possibilità e ne ha precisato le condizioni: “La riconciliazione attraverso il sacramento della penitenza – aprendo la strada al sacramento eucaristico – può essere concessa solo a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio.
Ciò implica effettivamente che quando un uomo e una donna non possono, per gravi motivi – per esempio, l’educazione dei figli – rispettare l’obbligo della separazione, essi allora si devono impegnare a vivere in piena continenza, vale a dire, ad astenersi dagli atti propri dei coniugi” (si veda anche Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29). Il confessore serio deve considerare quanto segue:
1 – Controllare la validità del matrimonio religioso secondo la verità, evitando di dare l’impressione di una forma di “divorzio cattolico”.
2 – Vedere se eventualmente le persone, con l’aiuto della grazia, possono separarsi con il loro nuovo compagno e riconciliarsi con coloro da cui si sono separati.
3 – Invitare i divorziati risposati, che per motivi gravi (ad esempio i bambini) non possono essere separati dai loro nuovi coniugi, a vivere come “fratello e sorella”. In ogni caso, l’assoluzione può essere concessa solo se c’è la certezza di un autentico pentimento, vale a dire “del dolore interiore e della riprovazione del peccato, che è stato commesso e il proposito di non può peccare più” (Concilio di Trento, dottrina sul sacramento della Penitenza, v. 4). In questa linea, non si può assolvere validamente un divorziato risposato che non prenda una ferma decisione di non “peccare più” e di astenersi quindi dagli atti propri dei coniugi e di fare tutto quanto sia in suo potere a tal scopo.”
1 – Controllare la validità del matrimonio religioso secondo la verità, evitando di dare l’impressione di una forma di “divorzio cattolico”.
2 – Vedere se eventualmente le persone, con l’aiuto della grazia, possono separarsi con il loro nuovo compagno e riconciliarsi con coloro da cui si sono separati.
3 – Invitare i divorziati risposati, che per motivi gravi (ad esempio i bambini) non possono essere separati dai loro nuovi coniugi, a vivere come “fratello e sorella”. In ogni caso, l’assoluzione può essere concessa solo se c’è la certezza di un autentico pentimento, vale a dire “del dolore interiore e della riprovazione del peccato, che è stato commesso e il proposito di non può peccare più” (Concilio di Trento, dottrina sul sacramento della Penitenza, v. 4). In questa linea, non si può assolvere validamente un divorziato risposato che non prenda una ferma decisione di non “peccare più” e di astenersi quindi dagli atti propri dei coniugi e di fare tutto quanto sia in suo potere a tal scopo.”
Luis F. Ladaria, SI, Arcivescovo titolare di Thibica, Segretario.
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2017/07/il-sostituto-del-cardinal-muller-ha-gia-risposto-ai-dubia/
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