IMMIGRATI E L'ELDORADO ITALIA
Migranti: Se sono un "arricchimento" perchè gli altri non li vogliono. Alla fine il bubbone è scoppiato sommersi come siamo dai numeri di un’invasione: l’intera Africa guarda ormai all’Italia come all’Eldorado
di Michele Rallo
Alla fine, il bubbone è scoppiato. E non poteva non scoppiare, sommersi come siamo dai numeri di un’invasione ormai incontrollata e incontrollabile, con una barca di miliardi bruciati in “accoglienza”, con i centri di raccolta sul punto di esplodere, con le stazioni e i giardini pubblici divenuti bivacchi, con gli ospedali al collasso, con le forze di polizia in ginocchio, con la minaccia di sommosse e rivolte che non saremmo in grado di fronteggiare.
L’intera Africa guarda ormai all’Italia come all’Eldorado, dove ti prendono, ti alloggiano, ti nutrono, ti vestono, ti regalano biciclette, telefonini e internet col wi-fi, dove se rubi non vai in galera (e magari i derubati ti devono risarcire), dove non ti possono più espellere neanche se sei un terrorista (grazie a un emendamento PD alla legge sulla “tortura”), e dove – ciliegina sulla torta – il governo vuole dare la cittadinanza ai tuoi figli (e poi anche ai padri col “ricongiungimento familiare”).
Siamo alla follìa. Eppure il povero Gentiloni va e viene da Bruxelles come un cane bastonato, col cappello in mano, mendicando “quote”, “condivisione” e “solidarietà” per il disastro che sta per sommergerlo; mentre il Vispo Tereso si esibisce nei soliti siparietti ad uso di giornali e televisioni, ostentando una grinta degna del miglior Salvini ed invocando il “numerus clausus”.
E questo mentre viene fuori – rivelazione della Bonino – che è stato proprio lui, il bulletto toscano, insieme a quell’altro genio incompreso di Angelino Alfano, ad impegnarsi a far sbarcare nei porti italiani tutti i profughi “salvati” anche da navi straniere. In cambio – mi sembra di capire – la Commissione Europea gli avrebbe consentito una certa elasticità per fare altri debiti da utilizzare per mance e mancette in vista del referendum.
Adesso sono cavoli del suo successore che, poveretto, non sa proprio che pesci prendere. Fa lo scontroso, tiene il broncio, minaccia di trattenere una parte del nostro contributo all’Unione Europea. Ma, chiaramente, nessuno lo prende sul serio. E se anche l’Italia mettesse in opera la sua rappresaglia finanziaria, a Bruxelles e a Francoforte farebbero spallucce. Figuriamoci... presi come sono dall’enorme salasso della Brexit, il piccolo ammanco aggiuntivo non li preoccuperebbe più di tanto.
L’importante, per loro, è fermare l’afflusso di migranti in Germania e in Austria (alla vigilia di due importanti appuntamenti elettorali), in Francia (per non tarpare subito le ali a Macron) e un po’ dappertutto nell’Europa “che conta”. L’Italia serve soltanto a dimostrare che l’Europa non alza “muri”. I muri, poi, li alzano gli altri ai confini dell’Italia; ed anche della Grecia, dove governa quell’altro enfant prodige della sinistra che risponde al nome di Alexis Tsipras.
Ma guarda un po’... francesi, tedeschi, spagnoli e tutti gli altri non hanno capito ancora che i migranti sono “una risorsa”, che serviranno a fare i lavori che i ricchi europei “non vogliono più fare”, che “pagheranno le nostre pensioni”, che “ci arricchiranno”. Non lo capiscono questi scemi di Bruxelles, di Francoforte, di Berlino... non capiscono che, così facendo, faranno arricchire soltanto l’Italia? Non sentono la Boldrini magnificare i vantaggi di un’accoglienza “a 360 gradi”, non sentono D’Alema augurarsi per l’Italia “almeno 30 milioni di immigrati”, non sentono tale Tito Boeri pontificare sull’avvenire di un sistema pensionistico da incubo? Non capiscono – Macron, Rajoy, la Merkel e tutto il cucuzzaro – che stanno rinunziando a questa grande, incommensurabile “risorsa” a beneficio esclusivo dell’Italia e, in piccola parte, anche della Grecia?
E i nostri (i D’Alema, le Boldrini, i Boeri e tutti gli altri geni della politica) non si sono chiesti come mai i loro amici europei non vogliano prendersi un pezzettino di quella enorme ricchezza che stanno lasciando solo a noi? E che aspettano i Gentiloni, i Padoan, gli scienziati della spending review a prendere le distanze da quella massa di incompetenti e incapaci che, così a cuor leggero, rinunziano per i loro popoli a quei doni dal cielo che Renzi e Tsipras hanno egoisticamente voluto solo per la loro gente?
Fuori da ogni ironia, non sembri il mio un ragionamento per assurdo. Se è vero che i migranti sono una ricchezza, gli altri governi europei dovrebbero fare a gara per prendersene un po’. Se ciò non avviene, evidentemente, è perché questo non è affatto vero. Anzi, è vero il contrario.
Del 14 Luglio 2017
MIGRANTI: SE SONO UN “ARRICCHIMENTO” PERCHÈ GLI ALTRI NON LI VOGLIONO
Le opinioni eretiche
di Michele Rallo
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SOCIETA' ABORTISCE SE STESSA
Sempre più giovani poveri. La società che abortisce se stessa. I giovani sono un tremendo fastidio, un impiccio e poi costano, sporcano, esigono. Molto meglio, ricorrere agli eserciti di riserva degli immigrati di Roberto Pecchioli
Qualcuno ritiene ancora la statistica una scienza minore, pronta a certificare che abbiamo mangiato un pollo a testa anche se qualcuno è rimasto a digiuno mentre altri si sono strafogati. Soprattutto, sembra pensarla così- disgraziatamente- la miserabile classe dirigente di governo e di opposizione. Se così non fosse, infatti, chi ha responsabilità di decisione si mobiliterebbe dinanzi ai rapporti periodici degli istituti di ricerca e di statistica. Al contrario, al massimo un giorno di interesse mediatico e l’indomani silenzio, via verso i nuovi intrighi, le beghe di cortile, il consueto spettacolo da angiporto che chiamiamo politica.
L’Istat ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla povertà in Italia, le sue conclusioni sono gravi, ma ciò che conta è la polemica sul nuovo libroide autocelebrativo di Matteo Renzi. Eppure, l’istituto pubblico- dunque un ente dotato di prestigio, ufficialità e con accesso privilegiato ad ogni canale di informazione – mette nero su bianco qualcosa che gli italiani normali sanno per esperienza diretta: diventiamo ogni anno più poveri, ed il disagio si concentra sugli anziani e soprattutto su giovani e giovanissimi.
I numeri dovrebbero determinare la reazione popolare, e, nelle classi dirigenti, riflessioni, autocritiche e progetti di lungo termine. Nulla. Le famiglie in condizione di povertà assoluta sono oltre 1.600.000, e costituiscono il 6,3 di quelle residenti. La percentuale sale al 7,9 della popolazione se consideriamo gli individui. Si tratta di 4.762.000 persone, più dell’intera popolazione del Piemonte e della Valle d’Aosta. L’aumento rispetto all’anno precedente è dello 0,3 per cento, un dato apparentemente non drammatico, ma si tratta di 180.000 persone in più schiacciate dal bisogno e dal disagio. Soprattutto, conta che il dato continui ad aumentare, segno evidente che non siamo affatto usciti dalla crisi, con buona pace del dottor Draghi, e che le politiche governative, a cominciare dal magico jobs actsino alla mancia di 80 euro di qualche anno fa, non hanno sortito effetto alcuno.
Tuttavia, l’elemento più pesante è la certificazione dell’ISTAT relativa ai gruppi maggiormente colpiti. Tralasciamo in questa sede il divario territoriale Nord- Sud, la cui forbice è peraltro in ulteriore aumento, e concentriamoci sulle fasce di età. Qui il disastro antropologico è più evidente. I giovani considerati indigenti superano il milione, attestandosi al 10 per cento del totale. Per i minorenni, il dato è ancora più sconfortante, giacché i poveri sono adesso uno su otto (il 12,5%), con un aumento percentuale di oltre un punto e mezzo in un solo anno. Parliamo di un milione e duecentomila giovanissimi poveri, un numero pari all’intera popolazione dell’Abruzzo. Come è ovvio, le più disagiate sono le famiglie numerose, oltre un quarto delle quali sono considerate statisticamente povere, con un balzo impressionante di otto punti e mezzo in un anno. Dal 18,3 per cento al 26,8. Ulteriore aggravante è l’indice di intensità della condizione disagiata, ovvero chi era già povero sta diventando poverissimo o misero, ed il piano inclinato sta travolgendo un numero crescente di residenti.
E’ definitivamente saltata la vecchia regola sociologica della società dei due terzi. Due su tre stavano più o meno bene, secondo le vecchie categorie di giudizio, e con aspettative positive (il cosiddetto ascensore sociale), l’altro terzo era in affanno. Le percentuali si stanno rapidamente rovesciando, rendendo più evidente l’effetto Clessidra, ossia la polarizzazione del reddito e delle opportunità nella fascia più alta, con una strozzatura sempre più accentuata al centro (la proletarizzazione progressiva del ceto medio di una volta) e una enorme massa alla base. Innanzitutto, è diventato chiaro a tutti che i giovani hanno non solo un reddito inferiore a quello dei padri e dei nonni, ma le loro prospettive sono disastrose. Dopo diverse generazioni, il destino è certamente quello di essere più poveri e meno sicuri di chi li ha preceduti. Ci permettiamo di affermare altresì che le ultime generazioni hanno una cultura materiale ampiamente inferiore ai loro padri. Possiedono diplomi, spesso lauree e persino master, ma lo scarto tra conoscenza, saper fare e istruzione certificata da titoli di studio attribuiti dalla scuola è imbarazzante.
Occorre dirlo senza mezzi termini: abbiamo costruito mattone dopo mattone il male dei nostri figli e le conseguenze sono quelle che abbiamo sotto gli occhi e i rapporti statistici non fanno che fotografarle impietosamente. La società senza padri, inevitabilmente, trascura e detesta i figli. Quella in cui viviamo è una società che abortisce se stessa. Per utilizzare una metafora mitologica, si invera l’atto drammatico con cui Crono, o Saturno, il Tempo, divorava i suoi figli. Venuto a sapere che uno di loro lo avrebbe spodestato, il Dio Crono prende a mangiare ad uno ad uno i suoi eredi. La profonda verità del mito greco si adatta perfettamente alla società postmoderna, “che rifiuta il passato e guarda al presente come ad un mero oggetto di consumo; vede il futuro attraverso i raggi di un progresso pressoché ossessivo” (cardinale Robert Sarah).
Nel rapporto Istat, il disprezzo per “prima” si esprime nel basso reddito degli anziani, nella certificazione del loro abbandono e, per conseguenza, nell’aumento della povertà, che si è attestata, nel 2016, oltre il 4 per cento degli ultrasessantacinquenni. Essi, tuttavia, restano meno indigenti dei loro nipoti, in quanto comunque hanno una pensione, qualche risparmio e possiedono molto spesso la casa di abitazione. Il mondo di ieri, a giudicarlo con le categorie della statistica, batte quello di domani tre a uno. Per un nonno in povertà, ci sono tre nipoti in analoghe condizioni.
Basterebbe tale constatazione per emettere una prognosi severa sulla società che abbiamo costruito. Nei giorni precedenti al rapporto Istat, è stato diffuso un altro indicatore di segno diverso, legato alla ricchezza, che ha dimostrato come l’1 per cento delle famiglie possieda circa un quarto dell’intera ricchezza nazionale. La clessidra si allarga in alto, si restringe rapidamente sino a strozzarsi e dilaga in basso, dove sono soprattutto i giovani a pagare il prezzo più alto. Non riusciamo a toglierci dalla mente un brano della lettera di San Paolo ai Galati: “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.”
Il tempo che ha espulso la trascendenza ha eliminato il concetto di filiazione e di eredità. Tutto deve essere esaurito, consumato in fretta, gli altri si arrangino, anche se sono ragazzi, figli nostri. Un esempio drammatico e pregnante è quello del sistema previdenziale. Sino a un quarto di secolo fa, i lavoratori versavano contributi destinati a pagare la pensione agli anziani, i loro padri. Era il sistema a ripartizione. Poi, iniziato il declino demografico, il meccanismo si è inceppato, i lavoratori attivi sono stati costretti a versamenti via via più elevati per sostenere il sistema e, soprattutto, per garantire a se stessi, in un futuro spostato sempre più avanti come la linea dell’orizzonte, una pensione decisamente inferiore. E’ il metodo della capitalizzazione messo a punto da Milton Friedman, l’economista liberale monetarista della scuola di Chicago, l’uomo che dall’ ovvia constatazione dell’inesistenza di pasti gratis ha fatto discendere lo smantellamento dello Stato sociale, le cui vittime finali sono i giovani delle attuali generazioni, quelli che la narrazione mediatica definisce “millennials”, cresciuti nei terribili anni Duemila.
E’ svanita l’eredità, si indebolisce quotidianamente l’idea stessa di filiazione, la parola di Paolo perde significato. Non ci sono più figli, poiché li abbiamo divorati attraverso l’egoismo, dunque mancano gli eredi. Come sempre nelle tragedie epocali, perdono entrambe le parti. Gli ex figli di ieri hanno disconosciuto i padri, sono vissuti nel consumo e nell’assenza di limiti, l’eredità è perduta. I figli superstiti arrancano, e le generazioni non hanno più le risorse morali per cambiare direzione. Nessuna politica pubblica, in Europa ed in Occidente, privilegia la famiglia e la natalità, nessun investimento – materiale, spirituale, culturale- viene fatto sul versante della riproduzione della società. Forse è questo l’elemento che più sgomenta. Oltre un certo limite, abbondantemente superato, l’individualismo genera mostri.
Da sempre, la prima preoccupazione di ogni comunità e compagine sociale è stato perpetuare se stessa. Per questo nacquero le alleanze familiari, l’istituto del matrimonio, e tutto ciò che abbiamo chiamato comunità, cultura e poi civiltà. Poi, la corda è stata spezzata. Disprezzato il passato, negato il futuro come progetto comune, resta un “presentismo” ossessivo che, declinato in formule matematiche e in istogrammi statistici, descrive una società che getta nella spazzatura tutti coloro che non servono al modello dominante. Per gli anziani, è tutto tristemente più semplice: meno cure, l’idea che la soluzione sia una morte scelta, programmata, resa asettica dai bianchi camici degli operatori specializzati, falsamente disincarnata. In Olanda, uno dei laboratori dell’obitorio post moderno, è in discussione una legge che permetterà a ciascuno di richiedere ed ottenere la propria morte allo scoccare dei 75 anni di età, anche se in salute, a semplice richiesta. Sono cambiati i boia, quelli del terzo millennio non impiccano e non fucilano; con guanti e mascherina sterile, asportano grumi di cellule dal corpo delle donne che diventerebbero fastidiosi esseri umani. Armati di siringhe ipodermiche e lacci, sopprimono malati, anziani. La società dei rifiuti, con lo smaltimento che diventa a sua volta business.
Ecco ciò che rivela la statistica sulla povertà. I giovani sono un tremendo fastidio, l’eredità è un impiccio: impiegano almeno vent’anni per diventare adulti, per anni devono essere accuditi, istruiti, si deve vivere per loro, dimenticando le vacanze nei paradisi artificiali del mare esotico e del sesso a gettone, e poi costano, sporcano, esigono. Nel mondo del lavoro, poi, sono una vera palla al piede: formazione lunga e costosa, inesperienza, un sistema scolastico che non insegna né a vivere né a comprendere. Meglio, molto meglio, ricorrere agli eserciti di riserva. Come gli immigrati: sono già adulti, si accontentano di poco, lavorano in nero e senza protezione sociale. Un paradiso per alcuni, l’inferno per tutti gli altri.
Le residue famiglie numerose sono le più danneggiate dal modello dominante, il che dissuade anche i più coraggiosi dal mettere al mondo figli. Oggi, le famiglie con tre figli sono rarissime, guardate con sorpresa e curiosità, e non c’è neppure un mercato immobiliare a costi ragionevoli per chi abbia bisogno di una o due stanze in più. In compenso, sono a carico della sanità pubblica non solo gli aborti volontari, ma anche le operazioni per il cambio di sesso e persino taluni interventi estetici. Le spese per gli animali domestici sono fiscalmente detraibili, c’è da stupirsi se i giovani esseri umani siano, nei fatti ed al netto del diluvio retorico dell’ipocrisia giovanilistica, l’ultima ruota del carro? Quando si presentano per un lavoro, si richiede loro l’esperienza che non possono essersi fatta, conoscenze e saperi che la scuola non fornisce.
Di che cosa, infine, sarebbero eredi? Forse dello sballo del fine settimana, o dei falsi diritti individuali al capriccio, o ancora dell’egoismo che trabocca ovunque, a partire dalle loro stesse famiglie destrutturate. Non è tutta colpa loro se davanti alla prospettiva di un impiego chiedono innanzitutto se si lavora al sabato o i festivi (come faccio ad andare in discoteca?), o se rifiutano con angoscia il sacrificio, la fatica, il disagio da cui li abbiamo allontanati. Probabilmente sono davvero in maggioranza bamboccioni, ma è l’eredità perfetta di madri e padri iperprotettivi, partigiani intransigenti dei “diritti”, e di una società corriva per la quale ogni condotta è lecita purché sia volta al consumo. Non hanno ereditato l’idea di bene e di male, di giusto e sbagliato perché questi legati non sono stati citati nel testamento. Sprecati, consumati, spremuti come limoni, non sono caduti in successione.
La povertà morale e spirituale diviene compagna inevitabile del disagio economico. Le vite nomadi, precarie, vissute alla giornata nell’indifferenza per il futuro si accompagnano alle nuove povertà materiali. Non ci si può formare una famiglia, posto che lo si voglia, ancor meno mettere da parte un gruzzoletto per il domani. Eppure, si trovano sempre i denari per i fine settimana di alcool ed eccessi, ci si deturpa il corpo con costosi e orribili tatuaggi (la regressione allo stato tribale, senza il senso della vita comunitaria della tribù).
Eduardo Zarelli, benemerito editore controcorrente, nella prefazione ad un recente libro di Alain De Benoist, esprime un'altra verità sconcertante. Le ultime generazioni hanno competenze tecniche enormemente inferiori alle società tradizionali. In sostanza non sanno fare pressoché nulla, prigioniere della tecnologia. La tecnica, spiega Zarelli, “è il saper fare con scopo, mentre la tecnologia è un riduzionismo funzionale, una scienza applicata il cui fine è quello di fornirci una funzione senza passare attraverso il saper fare”. Una povertà che è tremenda responsabilità delle generazioni degli adulti e degli anziani. Esempi concreti, l’incapacità dei più a risolvere problemi di matematica e fisica in quanto ci pensa il computer, e la stessa perdita della memoria a lungo termine per cui non ricordiamo più neppure i numeri telefonici degli amici e parenti (stanno in rubrica!) e perdiamo progressivamente il senso dell’orientamento (tanto ci sono i GPS e Google Maps).
Quante povertà diverse dietro i nudi istogrammi della statistica, e quanto è grande la perdita che abbiamo addossato ai nostri figli. Il futuro prossimo è ancora più nero: incombe l’era dei robot, ci sarà sempre meno lavoro, anche di quello qualificato e cognitivo. Sarà ancora più importante recuperare la volontà, il sacrificio, il ritorno alla manualità e alla capacità di far da sé, come i nostri nonni che erano più poveri in denaro - però li stiamo raggiungendo- ma più ricchi di conoscenze, autonomia, spirito di adattamento. La divisione del lavoro, insieme con indubbi successi, ci ha portati ad un sistema di vita per cui senza denaro non solo non abbiamo nulla, ma non siamo nulla.
Dal male, tuttavia, occorre trarre opportunità. I giovani diventano poveri in termini monetari, ma, fortunatamente, alcuni di loro stanno recuperando il gusto del fare con le proprie mani e con il cervello, dell’intraprendere, del ri-costruire. Privati di eredità, o respinta con sdegno quella, avariata e menzognera dei padri, dovranno riprendere a navigare per l’alto mare aperto. Forse, avranno molto da imparare dai coetanei stranieri, più scafati, non pochi si perderanno per debolezza e assenza di esempi, ma la vergogna dovrebbe essere la nostra.
Nel tempo delle opportunità e della ricchezza più ostentata, i nostri disvalori, le nostre follie hanno prodotto una povertà diffusa soprattutto a carico dei nostri giovani. Hanno il diritto di maledirci, hanno la necessità di comportarsi in maniera esattamente opposta ai genitori. Ma sapranno farlo, qualcuno oserà insegnarlo, oppure i figli che abbiamo contemporaneamente messo al mondo ed abortito o divorato faranno un altro passo verso il basso? L’Istat non può elaborare statistiche morali, o, come Richard Easterlin, tentare di misurare la felicità in rapporto al reddito. Può soltanto suonare l’allarme sulla povertà economica, e sulla sua drammatica concentrazione tra i più giovani membri della società.
Senza padri, non si cresce. Senza figli, si muore senza funerale. Rifiutate l’eredità dell’ultimo mezzo secolo, il nostro, ragazzi traditi. Fate quel che vorrete, ma, per favore, non seguite il nostro esempio!
Sempre più giovani poveri. La società che abortisce se stessa.
di Roberto Pecchioli
Del 16 Luglio 2017
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Un miliardo agli stranieri. La Cei abbandona gli italiani?
Pubblichiamo un articolo di Piero Laporta sull'8x1000. Noi siamo i primi ad essere favorevoli ad una sorta di contribuzione volontaria per la carità e il sostentamento del clero. Va però rilevato che negli ultimi 4 anni ci sia qualcosa che proprio non va.
di Piero Laporta
Il Messaggero di giovedì 27 arile ha titolato «Ecco i fondi per i migranti un miliardo va alla Chiesa», mentre scoppiava il caso delle connessioni oscure delle ONG. Secondo un documento del Senato tale miliardo è destinato all’«accoglienza» dei migranti. Cerchiamo di capirci qualcosa. Il Documento di Economia e Finanza 2017 comunica che il governo italiano, attraverso «l’8×1000», donerà un miliardo alla Conferenza Episcopale Italiana, CEI, per il sostentamento del clero e per il finanziamento delle opere caritatevoli, quindi anche l’accoglienza ai migranti Taluni possono obiettare: «Non lo Stato dona, bensì i cittadini che devolvono parte delle imposte alla CEI, secondo il Concordato sottoscritto a suo tempo da Bettino Craxi e dal Vaticano.»
Comunque sia, occorre capire alcuni ulteriori passaggi.Se questo miliardo non vi fosse, il Vaticano dovrebbe provvedere in proprio. È quindi appropriato tale regalo? Com’è gestito dai destinatari? Obiettano “sono soldi privati, la cui destinazione è liberamente sottoscritta da ciascun contribuente”. Certo, ma lo Stato italiano ha il dovere di sorvegliare l’uso del denaro, anche perché senza l’8×1000 potrebbe essere ridotto il carico fiscale sugli italiani, almeno su quanti hanno ancora uno stipendio, mentre si scoperchiano le pentole delle ONG e le connessioni transmediterranee.
A tale riguardo, la dice lunga la reazione viperina del quotidiano della CEI, Avvenire, e del ministro Andrea Orlando al monito del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro [leggi qui la sua audizione in Parlamento]. Improntati a cautela invece i titoli dell’Osservatore Romano, più consapevole che le isterie della politica e delle gerarchie religiose tradiscono rapporti inconfessabili. Ragione di più per valutare se la generosità dello Stato italiano sia opportuna.
Cominciamo osservando che il governo italiano pubblica il bilancio dello Stato in piena trasparenza e, come s’è detto, dona un miliardo al clero.
Il beneficiato incassa, sebbene a tutt’oggi il Vaticano non sia in grado di esibire un bilancio attendibile degli ultimi due anni. L’inattendibilità è certificata dagli stessi organismi di controllo del Vaticano, poiché il Consiglio dell’Economia, retto dal cardinale Reinhard Marx, ha solo “preso atto” del bilancio 2015, negandogli però l’approvazione.
È appena il caso di ricordare che “il papa rivoluzionario” è sul trono da quattro anni, durante i quali ha offerto innumerevoli omelie sulla pulizia, sulla trasparenza, contro i ricchi e, neanche a dirlo, a tutela dei poveri. Tante buone intenzioni, mentre tale bilancio “non approvato” subisce pure l’inspiegabile supervisione di personaggi connessi ai servizi statunitensi. Neppure la repubblica del Venezuela è così sottomessa e priva di trasparenza finanziaria.
È giusto chiedersi perché i contribuenti italiani devono assoggettarvisi, sottraendo risorse alle proprie famiglie.
Prima di rispondere, notiamo che il Vaticano riferisce nel 2015 un deficit dimezzatosi rispetto ai 25,6 milioni del 2014, ma non spiega come questo sia ottenuto e, soprattutto, quali agenzie economiche abbiano contribuito, quali invece siano fuori dal computo e, pertanto, fuori dal controllo degli organismi internazionali preposti.
S. S. Benedetto XVI stabilì che i bilanci consuntivi del Vaticano fossero pubblicati non più tardi dell’estate dell’anno successivo. Col nuovo corso “rivoluzionario”, non si sa quanto Bergoglio ha incassato e quanto ha spesso da oltre due anni a questa parte.
La sala stampa del Vaticano sottolinea che le Politiche vaticane di Financial Management (VFMP) approvate da Papa Francesco il 24 ottobre 2014, fondate, a loro dire, sui Principi contabili internazionali per il settore pubblico (IPSAS) “sono saldamente in corso”. Davvero? O è un miracolo o una baggianata, faccia il lettore.
Avvenire e Osservatore Romano sul punto non dicono nulla, e si capisce. Meno comprensibile la libera stampa laicista, cui sfugge che il Vaticano nulla ha svelato sinora circa il contributo al bilancio da parte di APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), l’agenzia preposta alla gestione degli immobili in Italia e all’estero; non solo immobili, tuttavia.
APSA ha quantità enormi e indefinite di miliardi, gestiti da sei società a Ginevra e da una a Londra, la British Grolux Investment Ltd., il cui capitale è interamente controllato da Profima S.A., Société Immobilière et de Participations, collocata in place du Molard 5, a Ginevra, mentre la sede legale è nella banca JP Morgan di New York. Tutto il sistema è nella galassia GoldmanSachs e Rothschild. Nulla è stato detto degli investimenti e dei consuntivi di queste società, né del loro allineamento nel bilancio del Vaticano.
«No – sembra di udirlo – IOR e APSA non sono istituzioni dello Stato Vaticano, bensì istituzioni della Santa Sede. La differenza è sostanziale.» Come darle torto, monsignore? Eppure fa effetto un’istituzione della Santa Sede con sede a… Ginevra, o in una banca di New York, una banca che, per quanto ne sappiamo, può aver finanziato anche la Superbomba; già, coi fondi della Santa Sede a Ginevra…
Il sistema richiama le «scatole cinesi» della finanza allegra coi denari all’estero, sottratti misericordiosamente ai controlli istituzionali, mentre la libera stampa laicista tromboneggia “papa rivoluzionario” e “IOR finalmente sulla lista bianca”. Per la precisione, lo IOR sulla lista bianca non c’è, ma APSA su quale lista è? Qual è il regista di tale commedia? Perché le famiglie italiane devono dare un miliardo di euro a costoro?
www.pierolaporta.it
Pubblicato sul quotidiano La Verità il 3 Maggio 2017 Pubblicato il 17 luglio 2017
di Piero Laporta
Il Messaggero di giovedì 27 arile ha titolato «Ecco i fondi per i migranti un miliardo va alla Chiesa», mentre scoppiava il caso delle connessioni oscure delle ONG. Secondo un documento del Senato tale miliardo è destinato all’«accoglienza» dei migranti. Cerchiamo di capirci qualcosa. Il Documento di Economia e Finanza 2017 comunica che il governo italiano, attraverso «l’8×1000», donerà un miliardo alla Conferenza Episcopale Italiana, CEI, per il sostentamento del clero e per il finanziamento delle opere caritatevoli, quindi anche l’accoglienza ai migranti Taluni possono obiettare: «Non lo Stato dona, bensì i cittadini che devolvono parte delle imposte alla CEI, secondo il Concordato sottoscritto a suo tempo da Bettino Craxi e dal Vaticano.»
Comunque sia, occorre capire alcuni ulteriori passaggi.Se questo miliardo non vi fosse, il Vaticano dovrebbe provvedere in proprio. È quindi appropriato tale regalo? Com’è gestito dai destinatari? Obiettano “sono soldi privati, la cui destinazione è liberamente sottoscritta da ciascun contribuente”. Certo, ma lo Stato italiano ha il dovere di sorvegliare l’uso del denaro, anche perché senza l’8×1000 potrebbe essere ridotto il carico fiscale sugli italiani, almeno su quanti hanno ancora uno stipendio, mentre si scoperchiano le pentole delle ONG e le connessioni transmediterranee.
A tale riguardo, la dice lunga la reazione viperina del quotidiano della CEI, Avvenire, e del ministro Andrea Orlando al monito del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro [leggi qui la sua audizione in Parlamento]. Improntati a cautela invece i titoli dell’Osservatore Romano, più consapevole che le isterie della politica e delle gerarchie religiose tradiscono rapporti inconfessabili. Ragione di più per valutare se la generosità dello Stato italiano sia opportuna.
Cominciamo osservando che il governo italiano pubblica il bilancio dello Stato in piena trasparenza e, come s’è detto, dona un miliardo al clero.
Il beneficiato incassa, sebbene a tutt’oggi il Vaticano non sia in grado di esibire un bilancio attendibile degli ultimi due anni. L’inattendibilità è certificata dagli stessi organismi di controllo del Vaticano, poiché il Consiglio dell’Economia, retto dal cardinale Reinhard Marx, ha solo “preso atto” del bilancio 2015, negandogli però l’approvazione.
È appena il caso di ricordare che “il papa rivoluzionario” è sul trono da quattro anni, durante i quali ha offerto innumerevoli omelie sulla pulizia, sulla trasparenza, contro i ricchi e, neanche a dirlo, a tutela dei poveri. Tante buone intenzioni, mentre tale bilancio “non approvato” subisce pure l’inspiegabile supervisione di personaggi connessi ai servizi statunitensi. Neppure la repubblica del Venezuela è così sottomessa e priva di trasparenza finanziaria.
È giusto chiedersi perché i contribuenti italiani devono assoggettarvisi, sottraendo risorse alle proprie famiglie.
Prima di rispondere, notiamo che il Vaticano riferisce nel 2015 un deficit dimezzatosi rispetto ai 25,6 milioni del 2014, ma non spiega come questo sia ottenuto e, soprattutto, quali agenzie economiche abbiano contribuito, quali invece siano fuori dal computo e, pertanto, fuori dal controllo degli organismi internazionali preposti.
S. S. Benedetto XVI stabilì che i bilanci consuntivi del Vaticano fossero pubblicati non più tardi dell’estate dell’anno successivo. Col nuovo corso “rivoluzionario”, non si sa quanto Bergoglio ha incassato e quanto ha spesso da oltre due anni a questa parte.
La sala stampa del Vaticano sottolinea che le Politiche vaticane di Financial Management (VFMP) approvate da Papa Francesco il 24 ottobre 2014, fondate, a loro dire, sui Principi contabili internazionali per il settore pubblico (IPSAS) “sono saldamente in corso”. Davvero? O è un miracolo o una baggianata, faccia il lettore.
Avvenire e Osservatore Romano sul punto non dicono nulla, e si capisce. Meno comprensibile la libera stampa laicista, cui sfugge che il Vaticano nulla ha svelato sinora circa il contributo al bilancio da parte di APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), l’agenzia preposta alla gestione degli immobili in Italia e all’estero; non solo immobili, tuttavia.
APSA ha quantità enormi e indefinite di miliardi, gestiti da sei società a Ginevra e da una a Londra, la British Grolux Investment Ltd., il cui capitale è interamente controllato da Profima S.A., Société Immobilière et de Participations, collocata in place du Molard 5, a Ginevra, mentre la sede legale è nella banca JP Morgan di New York. Tutto il sistema è nella galassia GoldmanSachs e Rothschild. Nulla è stato detto degli investimenti e dei consuntivi di queste società, né del loro allineamento nel bilancio del Vaticano.
«No – sembra di udirlo – IOR e APSA non sono istituzioni dello Stato Vaticano, bensì istituzioni della Santa Sede. La differenza è sostanziale.» Come darle torto, monsignore? Eppure fa effetto un’istituzione della Santa Sede con sede a… Ginevra, o in una banca di New York, una banca che, per quanto ne sappiamo, può aver finanziato anche la Superbomba; già, coi fondi della Santa Sede a Ginevra…
Il sistema richiama le «scatole cinesi» della finanza allegra coi denari all’estero, sottratti misericordiosamente ai controlli istituzionali, mentre la libera stampa laicista tromboneggia “papa rivoluzionario” e “IOR finalmente sulla lista bianca”. Per la precisione, lo IOR sulla lista bianca non c’è, ma APSA su quale lista è? Qual è il regista di tale commedia? Perché le famiglie italiane devono dare un miliardo di euro a costoro?
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Pubblicato sul quotidiano La Verità il 3 Maggio 2017 Pubblicato il 17 luglio 2017
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