ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 5 luglio 2017

Lo corrigeremo !?


Se la correzione la fa il popolo  


È cominciato tutto con i manifesti. Ricordate? Quelli comparsi improvvisamente nella notte tra il 3 e il 4 febbraio a Roma: « A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali... ma n’do sta la tua misericordia? ». Niente più di una pasquinata, ovviamente; ma, col senno di poi, possiamo forse ritenerli un’avvisaglia di ciò che sarebbe accaduto in seguito.
Passano le settimane e scorre un po’ di acqua sotto i ponti. 

In marzo, il 14, la Basilica di San Pietro ospita la celebrazione dei vespri anglicani. Un gruppetto di fedeli si riunisce allo sbocco di via della Conciliazione su piazza San Pietro – per chi è pratico dei luoghi: davanti alla libreria Ancora – per recitare un Rosario di riparazione, mentre, come riferiva Stilum Curiae , il blog di Marco Tosatti, anche altrove si tenevano analoghe iniziative. La partecipazione dei fedeli, però, per il momento è piuttosto scarsa.
Circa un mese dopo, in aprile, a Roma, di nuovo a pochi passi da piazza San Pietro, un gruppo di autorevoli studiosi, tutti laici, provenienti dai cinque continenti, si riunisce in un affollato convegno, e fa le pulci ad Amoris Laetitia. Gli interventi sono più che incisivi: i relatori non le mandano a dire. Il convegno non è promosso da nessun istituto, nessuna università, nessun prelato ispiratore; l’iniziativa nasce nel mondo della cultura, ed è espressione di un sentire diffuso tra i fedeli.
Passano altre settimane, e scorre altra acqua sotto i ponti, non solo quelli del Tevere.
In giugno, si tiene a Reggio Emilia un gaypride, cui gli organizzatori attribuiscono un particolare significato: pare che sia destinato a sollecitare l’introduzione del sedicente matrimonio egualitario.
Si costituisce un comitato spontaneo che promuove una processione di riparazione. La faccenda è recente, per cui la diamo per nota. L’aspetto saliente, come è emerso passo dopo passo, è stato la riluttanza della Curia non solo a supportare l’iniziativa, ma anche a condannare il gaypride; una riluttanza che non si giustifica, ahimè, nemmeno in funzione di qualche svarione probabilmente commesso dagli organizzatori nei rapporti con il Vescovo. Il quale Vescovo di Reggio Emilia è un buon Vescovo, uno di quelli che si sforzano di conservare la fede cattolica: avercene! Però quandoque bonus dormitat Homerus, e – al netto di un intervento della alte sfere CEI, che, si vocifera, potrebbe esserci stato... – in questa circostanza, forse, non si è fidato dei fedeli, non ha creduto che l’iniziativa fosse esattamente quella che chiedevano sia la mente, sia il cuore dei buoni cattolici: così le pecorelle, latitando il pastore, si sono organizzate in proprio, e il pastore, alla fine, in qualche modo ha dovuto rincorrerle.
E di gente da rincorrere, questa volta, ce n’era parecchia. Non solo a Reggio Emilia, come hanno dimostrato i filmati prontamente caricati suyoutube (ne trovate alcuniqui e qui), ma un po’ dappertutto, considerato quali e quante adesioni dirette o indirette ha avuto l’iniziativa. Che poi la cosa corrispondesse ad un sentimento comune, lo si è visto nelle settimane successive, quando iniziative analoghe si sono svolte in molte altre città sedi di gaypride: persino a Milano, pochi giorni fa.

E così, finalmente, arriviamo ad oggi, all’attualità. 
La vicenda che in questi giorni ci commuove, ci turba, ci coinvolge, ci indigna e, soprattutto, ci avvinghia al Rosario, è la vicenda del piccolo Charlie Gard e dei suoi coraggiosi genitori. Una vicenda drammatica e di cruciale importanza: tanto che mi sento davvero in imbarazzo, anzi quasi in colpa, a trattarla come un episodio fra gli altri, e a parlarne nel tono un po’ scanzonato che sto dando a queste righe.
Ma confido che vorrete perdonarmene. E che riserverete il vostro disappunto all’ineffabile comunicato con cui, quando la risonanza del caso lo ha reso inevitabile, la Pontificia Accademia per la Vita ha detto la sua. Un testo imbarazzante: roba che echeggiava l’indimenticabile “né con lo Stato, né con le BR” degli anni di piombo. Solo che in questo caso per non prendere posizione e per non stare con nessuno non si stava nemmeno con la famiglia Gard. Di più: ci si nascondeva addirittura dietro la foglia di fico dell’accanimento terapeutico. Confesso che non ho potuto non pensare ad Ap, 3, 15-16: « Scio opera tua, quia neque frigidus es neque calidus. Utinam frigidus esses aut calidus! Sic quia tepidus es et nec calidus nec frigidus, incipiam te evomere ex ore meo » (Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca).
Dopo di che, silenzio assoluto. Anche – soprattutto – dalle parti di Santa Marta.

Ebbene: a questo punto il popolo fedele ha iniziato ad agitarsi. In primo luogo sul piano spirituale: Rosari, digiuni, preghiere pubbliche e private, sante Messe. Poi, però, e con inatteso coraggio, ha preso l’iniziativa anche su un piano che potremmo definire pedagogico: ha provato ad insegnare ai pastori – a tutti, ma proprio tutti, di ogni ordine e grado, nessuno escluso... – a fare il loro mestiere. Anche alzando la cornetta del telefono, come risulta ormai accertato. Certo, oltre l’Arco delle Campane ci si imbatteva in una resistente, quasi ostinata, riluttanza, che all’inizio è stata solo un pochino scalfita da un tweet. Ma al popolo fedele il cinguettio non è bastato. E alla fine ha ottenuto ciò che gli viene spesso predicato: l’abbattimento di un muro – in questo caso, il muro del politicamente corretto, dietro al quale si gode la comodità dei discorsi che piacciono alla gente che piace– e la costruzione di un ponte – in questo caso, un ponte verso Charlie Gard e la sua famiglia. Ed ora possiamo pregare intensamente che questo ponte, gettato dall’insistenza del popolo nonostante la renitenza dei potenti (che la stampa amica si è subito affannata a presentare come i capofila della reazione popolare: un bel ribaltamento delle cose...), possa riconsegnare il piccolo Charlie alla cura amorevole dei suoi genitori. Un vero miracolo, come ha detto brillantemente suCampari & de Maistre Paolo Spaziani .

Sin qui i fatti – raccontati, s’intende, secondo il punto di vista di chi scrive.
Ed ora, rigorosamente separato dai primi, nella miglior tradizione britannica (quanto mai appropriata alla bisogna), qualche commento.

Il primo: appare sempre più evidente che la popolarità mediatica – al netto di quanto possa essere pompata da giornali e televisioni per ragioni di propaganda – non corrisponde necessariamente, anzi non corrisponde affatto, al sentire del e con il popolo cattolico. Se il perbenismo, che non è una peculiarità dei tempi correnti perché è sempre in auge, in qualunque epoca e in qualunque contesto, oggi gli impone di dirsi preoccupato per il riscaldamento globale e pensoso della custodia del creato, il popolo fedele, messo alla prova, dimostra di sapere bene che cosa è davvero importante, e quale alimento si attende e ha diritto di pretendere dai suoi pastori; e i pastori, messi anch’essi alla prova, possono constatare che la loro agenda non è quella del gregge, nemmeno quando tentano di accattivarselo con lo zucchero della misericordia senza conversione.

Il secondo: non occorre avere atteggiamenti insurrezionalistici per farsi sentire. Se il popolo cattolico manifesta con serena coerenza la sua fede, i pastori sono costretti a rincorrerlo. Da questo punto di vista, ciò che è avvenuto nelle scorse settimane dimostra che egli uomini di chiesa (attenzione: non mi riferisco a nessuno in particolare, sto parlando di un atteggiamento mentale ormai dilagante) si sono costruiti un sistema di (in)governo ecclesiale che appare autoreferenziale, ma che, in realtà, assume come riferimento i sistemi del potere dominante, adeguandosi ai suoi temi, ai suoi (dis)valori ed ai suoi criteri di azione, e che considera il popolo fedele un popolo di sudditi. Mi viene in mente quel passaggio di Evangelii Gaudium in cui leggiamo che il pastore « in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade ». È proprio così: con la non irrilevante differenza che, talora, a rimanere indietro non sono i fedeli, ma certi pastori; e che il fiuto del popolo non serve solo ad aprire nuove strade, ma a rimettere in rotta quelli che, alla ricerca di chissà quali scorciatoie, hanno deciso di deviare dalla via maestra.

Infine, l’osservazione principale, che ispira il titolo di queste righe.

Da mesi è all’ordine del giorno il tema della correzione formale dei contenuti ambigui di Amoris Laetitia. Recentissimamente, un brillante commentatore ha invitato i Cardinali dei dubia a far presto, e credo che l’esortazione sia condivisa anche da larga parte del popolo di Charlie. Personalmente, mi fido, e molto, della saggezza dei quattro* Cardinali, e confido che sapranno decidere al meglio se e come approfittare – per dir così – della contingenza presente. Però la correzione è già iniziata, e non si è limita ai problemi di Amoris Laetitia. È iniziata in sordina, come dicevo, partendo da una sostanzialmente innocua pasquinata, e crescendo di giorno in giorno fino a diventare palese, concreta, diffusa, pervasiva; fino a toccare non solo e non tanto il piano nobilissimo della dottrina e della fedeltà al deposito della fede, ma proprio il piano scelto dai vertici per realizzare il loro programma: il piano della prassi, dell’azione concreta, dei gesti simbolici.

Una correzione non solo e non tanto formale, ma molto, molto più potente ed incisiva: una correzione popolare. E vi confesso che in questo vedo come una risposta alle preghiere dei tanti che, da mesi e mesi, stanno invocando con fede l’Auxiliatrix Christianorum. 

*È giunta la notizia della morte di uno dei quattro, il Cardinale Meisner, durante l'impaginazione dell'articolo. Una preghiera per un uomo morto in grazia di Dio.
di Enrico Roccagiachini
http://www.campariedemaistre.com/2017/07/se-la-correzione-la-fa-il-popolo.html
Ecumenismo conciliare: la dottrina degli Apostoli San Pietro e San Paolo rivisitata da Papa Francesco


Tutto è permesso in nome dell’ecumenismo conciliare: anche il revisionismo storico..
Allo scopo di promuovere il ritorno «alla piena comunione» tra ortodossi e cattolici, Papa Francesco rivisita alla sua maniera la dottrina degli Apostoli San Pietro e San Paolo. A sentirlo, l’uno sarebbe stato un precoce ortodosso e l’altro un moderno cattolico, questa divisione sarebbe sempre esistita sotto questa forma preconciliare, nata ante litteram anche se non riconosciuta, dell’«unità nella diversità»!

In occasione della venuta a Roma di una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, per prendere parte nella Basilica di San Pietro a Roma alla celebrazione della solennità del Santi Pietro e Paolo, del 29 giugno, l’attuale detentore del trono petrino ha esposto, con tale fine ecumenico, una rilettura innovativa del primo millennio del cristianesimo e della vita dei due discepoli di Cristo.
«Lo scambio di delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, in occasione delle rispettive feste patronali, accresce in noi il desiderio di ristabilire pienamente la comunione tra cattolici e ortodossi, che già pregustiamo nell’incontro fraterno, nella preghiera condivisa e nel comune servizio al Vangelo»

ha enunciato Jorge Mario Bergoglio ricevendo in Vaticano, il 27 giugno, i rappresentanti di Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli.
«L’esperienza del primo millennio, nella quale i cristiani d’Oriente e d’Occidente partecipavano alla stessa mensa eucaristica, da un lato custodendo insieme le medesime verità di fede e dall’altro coltivando varie tradizioni teologiche, spirituali e canoniche compatibili con l’insegnamento degli Apostoli e dei Concili ecumenici, è punto di riferimento necessario e fonte di ispirazione per la ricerca del ristabilimento della piena comunione nelle attuali condizioni, comunione che non sia uniformità omologata

«Pietro e Paolo – ha affermato Papa Francesco, rivisitando la storia a modo suo – discepoli e apostoli di Gesù Cristo, hanno servito il Signore con stili differenti e in modo diverso. Tuttavia, pur nella loro diversità, entrambi hanno dato testimonianza dell’amore misericordioso di Dio Padre, del quale ciascuno, a suo modo, ha fatto profonda esperienza, fino ad offrire in sacrificio la propria vita. Per questo, sin da antichissimi tempi, la Chiesa in Oriente e in Occidente [da notare che qui Francesco, rivolgendosi a degli ortodossi parla di una sola Chiesa in Oriente e in Occidente, come se essa avesse così perdurato nei secoli e nonostante lo scisma!] riunisce in una sola celebrazione la memoria del martirio di Pietro e di Paolo. È giusto infatti celebrare insieme la loro offerta per amore del Signore, che è allo stesso tempo memoria di unità nella diversità. Come voi ben sapete, l’iconografia rappresenta i due apostoli stretti in un abbraccio, profezia dell’unica comunione ecclesiale nella quale le legittime differenze debbono convivere

Nel contesto di questa visita ecumenica degli ortodossi in Vaticano, questo discorso ambiguo lascia passare il dubbio sull’unità di fede tra i due Apostoli: il primo Papa e l’Apostolo dei Gentili. Jorge Mario Bergoglio non si arrischia a negare apertamente l’unità di fede tra Pietro e Paolo, ma, da opportunista, egli lo sottintende parlando di «diversità» dottrinale e pratica tra i due pilastri della Chiesa nascente.
Utilizzando un linguaggio sfocato e impreciso, il Papa argentino suggerisce l’idea che tra i martiri Pietro e Paolo esistessero delle differenze dottrinali, teologiche e spirituali che sarebbero la fonte delle differenze tra gli odierni ortodossi e cattolici. Così da giustificare il suo messaggio ecumenico in una Tradizione rivisitata!
Una tale visione ecumenica della vita dei due Apostoli serve insomma a relativizzare e a minimizzare la profonda disunione dottrinale tra le due comunità cristiane.

Se è esatto che San Pietro e San Paolo hanno avuto ciascuno il proprio carisma, la propria personale spiritualità, dei doni specifici, dei cammini differenti per condursi a Cristo e testimoniarLo, tutti fattori che configurano la diversità degli Ordini e delle Congregazioni religiose in seno alla Chiesa cattolica, e ancora più esatto che l’insegnamento dei discepoli di Cristo si fondava su una stessa professione di fede, su l’unità della dottrina, su Una sola Chiesa, Santa, Cattolica e Apostolica. Cosa questa che non si verifica tra i cattolici e gli ortodossi eretici e scismatici, dal momento che questi ultimi negano certi dogmi della fede cattolica e il primato di Pietro.

San Pietro e San Paolo furono le due colonne della Chiesa romana nascente e non i precursori di due branche di una Chiesa postconciliare unite nelle diversità ortodosse e cattoliche, come lasciano supporre le insinuazioni contenute nel messaggio borgogliano.

di
 Francesca de Villasmundo


Pubblicato sul sito francese Medias presse info

Le immagini sono nostre


La chiesa è donna

Saranno le gentili signore, con i loro sorrisi e la loro chiamata, a salvare il messaggio cristiano
Preti pedofili ma forse no, ladri o incapaci ma chi lo sa, il Papa accasciato, questo sì, in cerca di salvezza, quella di una chiesa che barcolla sotto i colpi dei nemici, che magari sono più amici di altri, vallo a capire. Una scena densa di presente e futuro, di peccato, qualcosa che ci allontana dallo schifo piatto della politica, avvicinandoci a Dio e a Satana, il duo più fantastico di ogni epoca e pianeta e stella e universo tutto. I presuntuosi senza peccato fanno orrore, persino Dio peccò, e tanto, nel Suo infinito soggiorno nel Nulla Eterno, nella Sua esistenza che stentava ad esserci, finché ebbe il coraggio di nascere e ne combinò di tutti i colori. La chiesa vive nel peccato? Colpevole? Ma sì, ma sì, Dio ha dato l’esempio, occorre andare oltre, proporre qualcosa di nuovo, di grandiosamente peccaminoso. Bisogna tuttavia riconoscere che nonostante l’attuale batosta, la chiesa si è sempre comportata in modo magistrale, cinque secoli lo testimoniano, secoli di furibonda grandezza.

Nonostante tutto vivacchiamo, si dice, ma non c’è più lo charme di un tempo, quando il principe Alessandro Ruspoli serviva il Papa con un fantastico occhio cieco. Le vocazioni diminuiscono, puntano addirittura a sparire, ma, forse, se ci si mette del nuovo pepe, il cattolicesimo può risorgere, e alla grande. L’eroismo dei cristiani nei paesi musulmani è sublime, ma non si può puntare tutto sulla morte dei martiri, anche perché non risorgono dalle nostre parti ma solo nell’aldilà. E l’insegnamento sublime che ci rilasciano non entusiasma più le nostre zucche abbacinate dal Calcioeterno. Di questo passo diventa un cattolicesimo estinto, meravigliosamente estinto, si fa ricordare nei secoli ma è pur sempre estinto. Si dirà: niente è più sacro e incredibilmente vero in saecula saeculorum del Nuovo Testamento. Verissimo, l’incredibile forza di Cristo sostiene il mondo, quello cristiano in particolare, nessuno come Lui ha mai detto cose tutte vere, nonostante tutte le porcate fatte da tanti la grandezza di Cristo è inoppugnabile. Eppure non basta, non basta più niente in questo mondo governato da Trump e Kim Jong-un, due potenze infere di potente lignaggio.

Detto questo, punterei sulle donne. Fino a ora sono pur sempre loro a tenere in piedi la baracca, loro a popolare tutt’oggi il deserto delle chiese. Ma c’è un ma. Tra i banchi delle chiese si vedono per lo più le cosiddette vecchiette o dei veloci segni della croce di turistica fattura. Manca la ragazza fiammeggiante che dal pulpito scuota la fede. Occorrono le donne che salvano, spronano, strizzano l’occhio. Le donne che non si accontentano di andare a sentire un vecchio prete claudicante, e nemmeno uno giovane, che comunque è sempre più raro e fa una certa strana impressione. Vogliono guardarti loro dall’altare, le donne, guardare te giovanotto e bell’uomo, vogliono parlare con te: se un tempo i bei vescovi, i Fabrizio del Dongo, facevano piangere di desiderio le donne, ora tocca a loro fare piangere noi, insultandoci e amandoci al contempo, mostrandoci l’inferno paradisiaco che ci attende là nella buia e fiammante sacrestia Post Missam, e allontanandolo da Satana con la loro grazia superiore. E lasciate che i gay vengano a noi, in chiesa, e dicano quel che hanno da dire, e che meraviglia tutto quel bel casino di parole audaci, e allora sì che in tal bordello il Papa è Papa, irrefutabilmente, e Cristo si riprende la sua gloria, ottusa dagli antipatici bestioni; e così Dio può smettere di annoiarsi. Le donne sull’altare? M’immagino i loro deliziosi sorrisi, e anche le smorfie e cattiverie di secoli da smaltire, e torneranno anche gli uomini, ah se torneranno quei pigri bastardi, tra i quali mi annovero. Pensate, uomini dell’occidente e dell’oriente, cos’era la chiesa quando eravate tutti dentro con i vostri spadoni, e oggi potete tornare ancora dentro grazie alle donne, al loro implacabile invito.

Solo così le chiese possono riempirsi e le donne fiorire di gloria, altro che mostrare i seni a Vasco Rossi. Sia lodato Cristo che salvando la Maddalena tradì se stesso e tutti! È ora, ora che si deponga il terrore e ci s’inoltri nel mistero, che va ben oltre quello consacrato: che accade davvero quando davvero un uomo e una donna s’incontrano davvero? Ogni cosa può accadere, tenendo conto che ci siamo un po’ tutti rotti i coglioni di menare il can per l’aia.



http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2017/07/05/news/la-chiesa-e-donna-143000/

Il cardinale di Hong Kong: Bergoglio fermati!







A 85 anni compiuti, si è mescolato nel corteo con il suo zainetto in spalla e un bel sorriso. Era allegro ieri il cardinale emerito Joseph Zen Ze-kiun, perché vedere migliaia di giovani in marcia
per la difesa della democrazia di Hong Kong (imperfetta ma caso unico in Cina) gli fa bene allo spirito. Ma il vecchio combattente oltre che per il futuro di Hong Kong è preoccupato anche per l’esito della trattativa tra Santa Sede e governo di Pechino, che si muove con lentezza e molti dubbi con l’obiettivo di riparare la rottura delle relazioni decisa dalla Cina comunista nel 1951. «Sento che tutti a Roma cantano osanna ottimisti su un prossimo accordo; io dico che però è necessaria una voce più cauta, perché molti in Cina stanno soffrendo».
Liste e nomine
Al centro dei colloqui, che sono diventati regolari, la questione della nomina dei vescovi in Cina e il controllo statale sulla religione. «È una calunnia dire che io sono contro il dialogo, io però avverto che noi cattolici non possiamo rinnegarci e venderci in nome di un’intesa a tutti i costi», spiega il cardinale al Corriere.
Da quanto è emerso, Pechino si accontenterebbe di presentare in Vaticano una lista di nomi graditi e lascerebbe al Papa l’approvazione finale dei vescovi: un compromesso che perlomeno metterebbe fine alle ordinazioni di vescovi «patriottici» scavalcando completamente la Santa Sede. Ma ultimamente ci sono stati diversi segnali di un rallentamento nella trattativa. Zen dice che questo gli ha ridato un poco di speranza, perché «sospetto che l’accordo sulla nomina dei vescovi sia già pronto, ma che Pechino ora non firma perché vuole tutto». Però, senza accordo, che cosa sarà dei milioni di cattolici costretti a pregare in segreto per non sottomettersi al controllo del Partito comunista e che farà il clero clandestino perseguitato? La questione è complicata, ragiona Joseph Zen. «I fautori dell’intesa a Roma sostengono che c’è il rischio di una Chiesa scismatica con ordinazioni di altri vescovi loro, della Chiesa patriottica. Io dico invece che non succederà perché a Pechino sanno bene che i vescovi irregolari non sono ben visti dal popolo». Il discorso si fa tagliente: «Comunque, una Chiesa scismatica conosciuta è un male minore di un Chiesa oggettivamente scismatica ma benedetta di fatto dal Papa con un accordo».
Il «pericolo di errore»
Il cardinale è cinese, conosce bene la mentalità dei politici di Pechino e ne ha parlato con il Santo Padre. «Quando gli ho detto che in Cina c’è già una Chiesa scismatica perché dipende dal governo, mi ha risposto “ma certo!”». Di Xi Jinping sua eminenza pensa che sia «un imperatore che ha ancora paura e non ha la saggezza di parlare alla gente di Hong Kong».
Zen vuole battersi ancora, ma sa che ci sono dei limiti. «Se ci fosse un accordo tra Vaticano e Pechino, ci sarebbe l’approvazione del Papa e io non potrei andare contro, perché sono salesiano e monarchico», sorride. E poi serio: «e perché il Santo padre rappresenta Gesù». Ma subito rilancia: «Però ora posso ancora criticare la trattativa sulle base delle voci che circolano e dico che c’è il pericolo di un grande errore: invitare il nostro clero fedele alla Santa Sede a venire allo scoperto in base a un cattivo accordo significherebbe imporre loro di accettare il controllo del governo. Si sentirebbero traditi, dopo anni di sofferenza, perché la Chiesa cattolica clandestina in Cina è nella posizione giusta».
«Ho scritto una lunga lettera al Papa», rivela Joseph Zen. «L’ho pregato di non ascoltare solo quelli che osannano l’ottimismo, perché a 85 anni ho pensato che fosse l’ultima occasione di rivolgermi a lui. E gli ho ricordato che la Chiesa clandestina non ha paura della prigione ma di un cattivo accordo; che in Cina la Conferenza episcopale è completamente controllata da Pechino e che il procedimento di scelta di un vescovo non può cominciare dall’indicazione di un governo ateo!».
Corriere della sera, 1 luglio 2017
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2017/07/il-cardinale-di-hong-kong-bergoglio-fermati/

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