Finanze vaticane/1. Dov'è finito l'obolo di San Pietro?
Pubblichiamo questo articolo, comparso su La Verità il 4 luglio, a firma di Piero Laporta (www.pierolaporta.it). Alcune informazioni, se verificate, sarebbero sconcertanti. Addirittura si parla della destinazione dell'Obolo di San Pietro alla campagna elettorale di Hillary Clinton. E' solo una voce e lo stesso autore dell'articolo la considera tale. Non è invece una voce quella sulla destinazione dell'8 per mille, di cui si parlerà in un prossimo articolo concessoci dallo stesso autore. E' chiaro che la credibilità della Chiesa, agli occhi di tutti i fedeli che donano con il cuore, è messa fortemente a rischio.
Libero Milone è defenestrato il 20 giugno. Una settimana dopo papa Francesco congeda il cardinale George Pell. Coincidenza? Secondo taluni, la coincidenza non è del secondo fatto sul primo, bensì il contrario: sapendo quanto incombeva su Pell, si sono affrettati a defenestrare Milone, confidando che lo scandalo sul cardinale oscurasse quello sul manager.
Chi sapeva dell’imminente processo a Pell? Di certo l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, numero due della Segreteria di Stato, oltre al monsignor Adolfo Tito Yllana, nunzio apostolico in Australia.
La sala stampa convoca, alle 04.30 del mattino del 29 giugno, una conferenza stampa del cardinale Pell per le 08.30. Immaginate i capi servizio tirare giù dal letto i cronisti: niente di meglio della convocazione alle 04.30 del mattino per dare clamore alla notizia.
Pell annuncia di recarsi a Melbourne per rispondere, il 18 luglio, alle accuse di molestie sessuali, presumibilmente avvenute negli anni Settanta. Pell ribadisce la sua innocenza, come lo scorso ottobre, nel corso dell’interrogatorio da parte degli investigatori australiani convenuti a Roma. Sarebbe bastato un comunicato, dopo tutto. Molto strano, non è lo stilum romanae curiae, lo stile della Segreteria di Stato.Non è l’unica stranezza.
All’indomani della defenestrazione di Milone, sfuggì un’indiscrezione obliqua: lo cacciavano perché curiosava nell’Obolo di San Pietro, fondo personale per la beneficenza del papa. Indiscrezione estranea allo stilum romanae curiae, piuttosto a misura di rassicurare qualcuno circa quanto Milone stava per fare e che da quel momento in poi non avrebbe più potuto fare.
Non bastasse, dopo la versione “Obolo di San Pietro”, nella mattinata del 1° luglio la defenestrazione è stata motivata col “rifiuto di Milone di decurtarsi lo stipendio”, ovvero fumo negli occhi e conferma del peso della prima indiscrezione.
Fin dal pontificato di Benedetto XVI, Mons. Becciu è in dimestichezza con Libero Milone, 68 anni, professionista internazionale, noto in Europa quanto a Washington. A giugno 2015, papa Francesco, su indicazione di Becciu, lo incaricò di supervisionare conti e bilanci di tutti gli organismi, uffici e istituzioni della Santa Sede, incluso l’Obolo di San Pietro. Da sempre Milone s’avvale d’un collaboratore molto noto, Robert Gorelick.
A ottobre 2015, Milone denunciò la violazione del suo computer. A novembre furono arrestati e poi condannati monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui. Furono invece assolti i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, recettori dei documenti trafugati, secondo l’accusa.
Il processo, carente di trasparenza e di pari dignità fra accusa e difesa, non ha chiarito né come i documenti siano stati trafugati né il coinvolgimento reale delle parti in causa, accusati e presunte vittime.
Ancora una volta, s’è vagheggiato un “complotto contro il Papa delle riforme”. Ma rimane senza risposte perché al di là delle Sacre Mura hanno obliquamente dato a intendere che Milone pagava la sua curiosità sull’Obolo di San Pietro? Dopo tutto era parte della sua missione.
Se, come si vocifera, vi sono stati impieghi abnormi dell’Obolo di San Pietro nella campagna presidenziale di Hillary Clinton, è difficile che la Casa Bianca si cheti con la defenestrazione di Milone, il quale di certo non potrà più dare tali risposte e, tutto sommato, ha una rogna in meno.
Tiriamo le somme. Usciti di scena Milone e Pell, rimane padrona del campo la “banda dei maltesi”, come chiamano in Curia i sodali del maltese Joseph Zahra, uomo di punta della finanza vaticana, intorno al quale, solo per fare alcuni esempi, gravitano il maltese monsignor Alfred Xuereb, membro della segreteria particolare di Bergoglio; a questi si affianca il lussemburghese René Brülhart, presidente dell’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede (AIF), che ha posto alle dipendenze della Segreteria di Stato, di fatto quindi alle dipendenze del suo amico Becciu; inoltre i vertici dello IOR e, ancor più importante, dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), una montagna di miliardi, senza bilanci, senza rendere conto ad altri se non a chi ne assume il controllo, distribuiti fra vari conti segreti e società in Svizzera, Londra e New York.
A ben vedere, le riforme di papa Francesco disegnano governance funzionale in prospettiva ad avvicendare agevolmente gli uomini chiave di ieri con quelli di reale e pieno affidamento di domani. Secondo i bene informati, il siluramento del cardinale Gerhard Ludwig Müller, sostituito dal gesuita Luis Francisco Ladaria Ferrerera, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, è parte d’un disegno tentacolare della curia generalizia dei gesuiti per il controllo del Vaticano.
Le prossime riforme delle strutture finanziarie vedrebbero in primo piano il gesuita Gael Giraud, con l’economo dei gesuiti, Thomas McClain, il cui assistente, Ansel Ekka, fa spola fra Roma, Ginevra, Londra e New York
Libero Milone è defenestrato il 20 giugno. Una settimana dopo papa Francesco congeda il cardinale George Pell. Coincidenza? Secondo taluni, la coincidenza non è del secondo fatto sul primo, bensì il contrario: sapendo quanto incombeva su Pell, si sono affrettati a defenestrare Milone, confidando che lo scandalo sul cardinale oscurasse quello sul manager.
Chi sapeva dell’imminente processo a Pell? Di certo l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, numero due della Segreteria di Stato, oltre al monsignor Adolfo Tito Yllana, nunzio apostolico in Australia.
La sala stampa convoca, alle 04.30 del mattino del 29 giugno, una conferenza stampa del cardinale Pell per le 08.30. Immaginate i capi servizio tirare giù dal letto i cronisti: niente di meglio della convocazione alle 04.30 del mattino per dare clamore alla notizia.
Pell annuncia di recarsi a Melbourne per rispondere, il 18 luglio, alle accuse di molestie sessuali, presumibilmente avvenute negli anni Settanta. Pell ribadisce la sua innocenza, come lo scorso ottobre, nel corso dell’interrogatorio da parte degli investigatori australiani convenuti a Roma. Sarebbe bastato un comunicato, dopo tutto. Molto strano, non è lo stilum romanae curiae, lo stile della Segreteria di Stato.Non è l’unica stranezza.
All’indomani della defenestrazione di Milone, sfuggì un’indiscrezione obliqua: lo cacciavano perché curiosava nell’Obolo di San Pietro, fondo personale per la beneficenza del papa. Indiscrezione estranea allo stilum romanae curiae, piuttosto a misura di rassicurare qualcuno circa quanto Milone stava per fare e che da quel momento in poi non avrebbe più potuto fare.
Non bastasse, dopo la versione “Obolo di San Pietro”, nella mattinata del 1° luglio la defenestrazione è stata motivata col “rifiuto di Milone di decurtarsi lo stipendio”, ovvero fumo negli occhi e conferma del peso della prima indiscrezione.
Fin dal pontificato di Benedetto XVI, Mons. Becciu è in dimestichezza con Libero Milone, 68 anni, professionista internazionale, noto in Europa quanto a Washington. A giugno 2015, papa Francesco, su indicazione di Becciu, lo incaricò di supervisionare conti e bilanci di tutti gli organismi, uffici e istituzioni della Santa Sede, incluso l’Obolo di San Pietro. Da sempre Milone s’avvale d’un collaboratore molto noto, Robert Gorelick.
A ottobre 2015, Milone denunciò la violazione del suo computer. A novembre furono arrestati e poi condannati monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui. Furono invece assolti i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, recettori dei documenti trafugati, secondo l’accusa.
Il processo, carente di trasparenza e di pari dignità fra accusa e difesa, non ha chiarito né come i documenti siano stati trafugati né il coinvolgimento reale delle parti in causa, accusati e presunte vittime.
Ancora una volta, s’è vagheggiato un “complotto contro il Papa delle riforme”. Ma rimane senza risposte perché al di là delle Sacre Mura hanno obliquamente dato a intendere che Milone pagava la sua curiosità sull’Obolo di San Pietro? Dopo tutto era parte della sua missione.
Se, come si vocifera, vi sono stati impieghi abnormi dell’Obolo di San Pietro nella campagna presidenziale di Hillary Clinton, è difficile che la Casa Bianca si cheti con la defenestrazione di Milone, il quale di certo non potrà più dare tali risposte e, tutto sommato, ha una rogna in meno.
Tiriamo le somme. Usciti di scena Milone e Pell, rimane padrona del campo la “banda dei maltesi”, come chiamano in Curia i sodali del maltese Joseph Zahra, uomo di punta della finanza vaticana, intorno al quale, solo per fare alcuni esempi, gravitano il maltese monsignor Alfred Xuereb, membro della segreteria particolare di Bergoglio; a questi si affianca il lussemburghese René Brülhart, presidente dell’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede (AIF), che ha posto alle dipendenze della Segreteria di Stato, di fatto quindi alle dipendenze del suo amico Becciu; inoltre i vertici dello IOR e, ancor più importante, dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), una montagna di miliardi, senza bilanci, senza rendere conto ad altri se non a chi ne assume il controllo, distribuiti fra vari conti segreti e società in Svizzera, Londra e New York.
A ben vedere, le riforme di papa Francesco disegnano governance funzionale in prospettiva ad avvicendare agevolmente gli uomini chiave di ieri con quelli di reale e pieno affidamento di domani. Secondo i bene informati, il siluramento del cardinale Gerhard Ludwig Müller, sostituito dal gesuita Luis Francisco Ladaria Ferrerera, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, è parte d’un disegno tentacolare della curia generalizia dei gesuiti per il controllo del Vaticano.
Le prossime riforme delle strutture finanziarie vedrebbero in primo piano il gesuita Gael Giraud, con l’economo dei gesuiti, Thomas McClain, il cui assistente, Ansel Ekka, fa spola fra Roma, Ginevra, Londra e New York
di Piero Laporta
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