MIGRANTI: OCCORRE UN CAMBIO DI PARADIGMA
Naturalmente – ma cosa vi credevate? – Spagna e Francia chiudono i loro porti ai “migranti” africani, solo noi li accogliamo senza limiti. Macron: l’80 per cento dei “migranti” sono migranti economici (vero), vanno respinti o riportati indietro. Però il soccorso in mare è un obbligo assoluto, non potete esimervi, voi italiani. Ve lo chiede, anzi ve lo ingiunge l’Europa. Aggiunge un tocco di sapida demenza a questo circolo vizioso il nostro Gentiloni. Il quale da giorni se la prende non con Spagna e Francia o Germania, ma – indovinate? – con Ungheria e Polonia perché non accettano la loro quota di negri e musulmani estranei alla loro cultura a loro modo unica, ben conoscendo quel che accade in Germania e in Svezia. Pretende, il Gentiloni, che Varsavia e Budapest che vengano punite dalla UE con multe colossali. E l’Austria manda le truppe al Brennero per respingere i “migranti”…
Quando le cose sono così attorcigliate nell’assurdo, è segno che sulla questione dei migranti si adotta un paradigma erroneo. Urge un “cambio di paradigma”. Il nuovo paradigma è lì, del resto, con la massima evidenza: solo che non lo si vuol vedere.
Posto che il fenomeno delle masse africane che si accalcano sui gommoni non è affatto evento spontaneo; posto che ci sono attori finanziari che lo promuovono, in combutta con la criminalità organizzata, Stati esteri ed organizzazioni non governative “umanitarie” che pagano milioni per noleggiare le loro navi, con equipaggi di “volontari” stipendiati che usano spegnere i trasponder per non farsi identificare, eccetera – bisogna assumere finalmente questa ondata incessante e crescente per quel che è: un atto di guerra.
Capire la guerra ibrida
Guerra ibrida, naturalmente. Come quelle – o quella, perché è una unica guerra – che vediamo operare dagli Usa e dai suoi maggiordomi dal 2001, fatta di “armate convenzionali, tattiche irregolari, formazioni illegali, atti terroristici, violenza indiscriminata e attività criminali” con l’uso di “azioni clandestine per evitare l’attribuzione” di tali azioni e la loro retribuzione”, insomma false flag. In questa guerra il terrorismo islamico serve gli scopi di Israele; il nemico reale è il tuo alleato ufficiale; i media internazionali sono armi di propaganda e falsificazione e copertura; le migrazioni forzate sono già state definite “armi di migrazioni di massa”, e utilizzate senza scrupoli – spesso apposta per suscitare in voi la commozione “umanitaria” che serve per giustificare ai vostri occhi un altro intervento umanitario, ossia la destabilizzazione di altri stati per renderne le popolazioni profughe e disperate, sfollate e fuggiasche.
“Oggi sappiamo che la guerra più terribile può essere condotta solo in nome della pace, l’oppressione più terrificante solo in nome della democrazia, e la disumanità più abbietta solo in nome dell’umanità”. Carl Schmitt c’era arrivato 80 anni fa. Vogliate per favore, italiani, arrivarci anche voi adesso?
Una volta cambiato il paradigma – questa è guerra, non una pacifica migrazione – le risposte diventano più chiare.
Non si tratta più di obbligo di salvataggio in mare, ma di affondare naviglio nemico o comunque ostile. Tali sono i giganteschi gommoni fabbricati apposta per “non” tenere il mare dai criminali, riempiti di 500 illusi che hanno pagato 3-5 mila euro, sì poter chiamare il soccorso (con ricco telefono satellitare compreso nel prezzo) a pochi metri dalla costa libica, onde accorrano i “salvatori” pagati da Soros e da militanti germanici globalisti dopo aver spento trasponder a fatto segnali luminosi nella notte, ai delinquenti e alle loro vittime paganti.
Salviamo migliaia di vite
Sgombriamo subito l’argomento che, così, si farebbero morire centinaia di africani. Ritorciamo invece: quante centinaia di vite umane salverebbe una nostra azione militare di anti-guerra ibrida. Ma lo sapete quanti morti ha ha fatto, in naufragi senza numero, fra gli africani attratti dalla nostra misericordiosa accoglienza? Si calcola 30 mila morti nel Mediterraneo negli ultimi 15 anni, e il loro numero aumenta esponenzialmente: nel solo 2016 ne sono affogati, o uccisi dagli scafisti o asfissiati nelle stive, 4733; nei soli primi due mesi del 2017 ne sono morti già 485. E’ la nostra “carità” che li ha uccisi, il nostro “buon cuore”.
L’affondamento di un paio di questi mezzi – del resto fabbricati apposta per affondare, manderebbe il messaggio giusto per interrompere futuri flussi invasivi; per sospendere il gigantesco business dei criminali che fanno i miliardi; basterebbe a dissuadere altre centinaia dal mettersi in mare e nelle mani di criminali, sapendo che non sarebbero accolti e rifocillati ma mitragliati. Il gioco è finito, tale la voce che si spargerebbe in Africa, non vale la pena di mettersi in viaggio, farsi stuprare, taglieggiare e angariare.
Né vale l’obiezione che sarebbe orrendo sparare e affondare barconi e gommoni, perché si tratta di civili, donne, bambini, “minori non accompagnati” (ossia maggiorenni che si fingono adolescenti). Perché scusate, di grazia, da quando in qua nelle guerre ibride ci si fa scrupolo dei civili? Forse che Israele non bombarda periodicamente gli inermi assediati di Gaza, anche con fosforo bianco? E non ammazza forse un giorno sì e uno no innocui pescatori che osano superare le 7 miglia per gettare le reti? E mica i nostri Tg protestano mai. Forse che l’aviazione Usa, mentre fa finta di liberare Mossul dai suoi terroristi dell’IS, che ha addestrato ed armato, non ammazza centinaia di civili? Cento oggi, duecento domani, fra le macerie coi terroristi islamici: li chiamano “danni collaterali”, l’IS li usa come scudi umani. E noi, cosa aspettiamo? Utilizziamo le risorse tattiche ed etiche che ci offrono col loro esempio la sola democrazia del Medio Oriente e la Superpotenza Morale!
Naturalmente, i superstiti dei nostri mitragliamenti la nostra Marina li dovrebbe prendere a bordo. Ma una volta a terra, quelli di loro che non hanno diritto all’asilo andrebbero trattati come prigionieri di un conflitto bellico. Meglio ancora: come “enemy combatants”, per fare nostra un’altra geniale innovazione della civiltà giuridica statunitense. “Combattenti illegali” cioè, che non hanno diritto allo status di prigionieri di guerra secondo le convenzioni di Ginevra, possono essere sbattuti in lager di Guantanamo e Abu Ghraib a vita e senza capo d’accusa.
Non si provi a obiettare che questi naufraghi non hanno combattuto, non hanno preso le armi contro di noi: l’altissimo magistero etico e giuridico statunitense ci aiuta, estendendo la qualifica a chiunque abbia in qualche modo “sostenuto” i Talebani e Al Qaeda; e loro non hanno fatto da figuranti per i progetti di “grande sostituzione” di Soros e delle ONG? Nel 1945, vista l’impossibilità di “nutrire i milioni di soldati tedeschi che s’erano arresi al livello richiesto dalla Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra, insieme ai comandi britannici il generale supremo Eisenhower li mise in un’altra categoria inventata apposta: Surrendered Enemy Personnel(SEP), non titolati al vitto e all’alloggio previsto dalla suddetta Convenzione. Così ne lasciò morire, tenendoli alle intemperie e senza cibo, un 800 mila su 11 milioni, con netta coscienza morale.
Li si aiuta a casa loro
Anzi, dirò di più:
“Aiutiamoli a casa loro” è uno degli effetti che si otterrebbe con l’affondamento decisivo di alcuni barconi e gommoni, in modo da interrompere il flusso dell’Arma di Migrazione di Massa. Il primo modo di aiutare l’Africa è infatti – prima ancora di andarvi a investire capitali – impedire l’emorragia di capitali, stagnare e tamponare il dissanguamento immane che questi “migranti” mal consigliati provocano ai loro paesi, alle loro economie nazionali. Ciascuno di loro ha speso dai 3 ai 5 mila dollari, a volte prendendoli a prestito…pensate, solo i 30 mila morti nel Mediterraneo (attratti dalla nostra “accoglienza”) , hanno speso 90 milioni di euro, li hanno sottratti all’Africa, e per cosa? Per nulla. Se non per rendere più ricca la delinquenza dei trafficanti di carne umana.
Ovviamente, una volta adottato il cambio di paradigma (questa è guerra) un trattamento bellico spetterebbe anche alle ONG e alle navi da loro noleggiate. Appena attracchino in uno dei nostri porti, le si sequestrerà come preda bellica; il personale a bordo sarà trattato da enemy combatant e alloggiato in appositi campi; se europeo o italiano, da sabotatore dello sforzo bellico e traditore di fronte al nemico, e retribuito secondo la legge marziale. La guerra ibrida non viene dichiarata, si fa, come avete visto, con l’aiuto di terroristi e di irregolari; anche la anti-guerra ibrida non occorre affatto sia proclamata sui tetti. Loro usano con molto profitto la cosche criminali. E noi non abbiamo la nostra Mafia nota in tutto il mondo, la nostra Ndrangheta così brava nell’assassinio, la favolosa Camorra esaltata dalla TV? Un accordo sottobanco del governo le indurrebbe forse a fare qualcosa di utile e patriottico verso quelle ONG e loro navigli. Anche qui non si farebbe che seguire l’esempio dell’Alleato americano: usò Cosa Nostra per facilitarsi l’occupazione della Sicilia, e poi ce la lasciò…
Voi magari direte: basta sognare ad occhi aperti, un governo italiano non farà mai cose del genere, non arriverà mai a cambiare paradigma. Ma no, invece. Non dispero affatto.
Solo pochi mesi fa, era tabù criticare le ONG; per aver ventilato che “c’è una regia dietro il record di sbarchi di migranti”, che le ONG sono d’accordo coi trafficanti e i loro finanziamenti sono poco chiari, un magistrato, Carmelo Zuccaro, è stato praticamente processato dal Consiglio Superiore della Magistratura e convocato in Senato a spiegarsi; i media progressisti hanno riempito di insulti Salvini che ha detto le stesse cose; Di Majo è stato accusato di caccia alle streghe; i media hanno nascosto finché hanno potuto la faccenda del trasponder spenti, atto di pirateria internazionale assai losco: Soros si è fatto ricevere da Gentiloni per bloccare tutto. Adesso però anche il governo progressista e globalista è andato “in Europa” a chiedere “rigide regole per le ONG” scafiste, con la minaccia, a chi non le rispetta di chiudere i porti italiani. Minaccia a vuoto, subito rientrata. Il nostro governo non ha ottenuto niente, né dall’Europa né dai nostri “amici ed alleati”. Come sempre.
Ma insomma, come vedete, a poco a poco anche la sinistra illuminata ci arriva. Col dovuto ritardo, fa sue alcune delle proposte di Salvini – ovviamente senza dirlo, perché così è la sinistra. Di lotta e di governo, soprattutto di governo: per restarci, farà anche politiche “di destra”, “leghiste”, “xenofobe”, “egoiste”, vedrete. Non mi stupirei che – col consueto ritardo culturale – un governo non-eletto de sinistra, finisse per scoprire che questa è guerra ibrida, e cambiare paradigma. Perché credetemi: se a dar l’ordine di silurare i barconi fosse un governo di sinistra, allora diventerà un atto non xenofobo e mostruoso, ma progressista, moralmente superiore, benefico e illuminato. “Li aiutiamo a casa loro” , “Salviamo migliaia di vite”, ci diranno. E’ da sempre che hanno capito che per avere i voti, il PD deve fare tutto: destra e sinistra insieme, accoglienza e “ora basta chiudiamo i porti”, maniere forti finalmente e CARA di Mineo. Secondo me Minniti, con la sua pelata mussoliniana sotto una faccia da questurino aduso ai “servizi”, è già pronto a candidarsi al cambio di paradigma.
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DALL'AFRICA ARRIVANO PER LO PIÙ RIFUGIATI ECONOMICI, NON PROFUGHI. I MIGRANTI SEPARATI DALLE OPINIONI
Partire dai fatti. Dal fatto che gli stranieri che arrivano in Italia con natanti di fortuna non sono rifugiati, ma quasi tutti migranti economici. Che dopo gli accordi fra l’Unione Europea e la Turchia l’Italia è diventata il collo di bottiglia e l’accampamento di tutti gli emigranti illegali che da Africa e Vicino Oriente vogliono passare in Europa. Che i migranti di oggi non emigrano perché muoiono di fame, ma perché vogliono stare meglio e vivere come gli europei. Che non ce la fa più nemmeno la accogliente, progressista e multiculturalista Svezia, altro che le egoiste Austria e Ungheria, perché l’immissione smodata di stranieri nel sistema alimenta il lavoro nero e prosciuga le entrate fiscali. Che abbiamo fatto un accordo per la gestione del problema con un governo libico che è tenuto al potere da milizie che si finanziano col commercio dei clandestini. Che la Chiesa cattolica africana è contraria all’emigrazione di massa, e chiede di rimuovere le cause che spingono tanti giovani ad abbandonare il continente. Che non si era mai vista un’emigrazione di massa verso un continente dove il tasso di crescita del Pil è penoso e il paese di primo approdo (l’Italia) presenta un tasso di disoccupazione del 40 per cento fra i suoi giovani fra i 15 e i 24 anni, proprio la categoria più rappresentata fra i migranti. Che tantissimi emigrati, vista la malaparata dei centri di accoglienza italiani nei quali vengono confinati e della mancanza di lavoro in regola che li costringe all’accattonaggio o al lavoro in nero, vorrebbero tornare in patria ma non possono per la vergogna di aver fallito la loro chance. Che i paesi della grande crescita economica oggi sono proprio quelli africani, per i quali quest’anno sono previsti aumenti del Pil a tassi superiori al 7 per cento, ma ciò non basta a frenare l’emigrazione a causa della corruzione locale che si mangia tutto, con la complicità di molti poteri dei nostri paesi.
Ingressi in aumento
Anna Bono è sempre partita dai fatti, sia quando lavorava come ricercatrice in Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino che quando si confrontava con la realtà del Kenya, dove ha vissuto nove anni. Per questo i suoi libri, saggi e articoli sui temi dello sviluppo e dell’Africa non sono la lettura preferita di chi ama i proclami e le marce affollate di belle bandiere, ma con la realtà intrattiene un rapporto selettivo. Migranti!? Migranti!? Migranti!?, suo ultimo libro che fa seguito a Migrazioni, emergenza del XXI secolo. I numeri, i problemi, le prospettive, uscito due anni fa, probabilmente conoscerà lo stesso destino: piacerà ai fautori degli approcci fattuali, farà alzare le spalle a chi si accontenta delle affermazioni di principio o vede solo l’aiuola che è solito curare.
Anna Bono è sempre partita dai fatti, sia quando lavorava come ricercatrice in Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino che quando si confrontava con la realtà del Kenya, dove ha vissuto nove anni. Per questo i suoi libri, saggi e articoli sui temi dello sviluppo e dell’Africa non sono la lettura preferita di chi ama i proclami e le marce affollate di belle bandiere, ma con la realtà intrattiene un rapporto selettivo. Migranti!? Migranti!? Migranti!?, suo ultimo libro che fa seguito a Migrazioni, emergenza del XXI secolo. I numeri, i problemi, le prospettive, uscito due anni fa, probabilmente conoscerà lo stesso destino: piacerà ai fautori degli approcci fattuali, farà alzare le spalle a chi si accontenta delle affermazioni di principio o vede solo l’aiuola che è solito curare.
Il primo fatto di cui curarsi è che mentre gli ingressi di irregolari diminuiscono a livello europeo, in Italia continuano ad aumentare. In Europa nel 2015 sono entrate illegalmente, via mare e via terra, 1.012.275 persone; nel 2016 si sono dimezzate a 503.700; nei primi quattro mesi del 2017, secondo Frontex, gli arrivi in Europa sono diminuiti dell’84 per cento rispetto ai dati confrontabili dell’anno scorso. In Italia, invece, gli arrivi irregolari sono stati 153.842 nel 2015 e 181.045 nel 2016, dato che sarà certamente battuto alla fine di quest’anno, perché il primo quadrimestre segna già un più 33 per cento rispetto a quello dell’anno scorso. La posizione dell’Italia si fa sempre più gravosa perché la nostra frontiera di mare è l’unica frontiera europea che non è stata sigillata: è spesso letale (già 1.889 morti per naufragio quest’anno al 18 giugno, 2.449 l’anno scorso nello stesso periodo), ma è anche l’unica via attraverso cui si riesce ad arrivare in Europa. Se si guardano i dati della Iom (Organizzazione internazionale per i migranti, ente Onu) si scopre che al 18 giugno per via di mare sono arrivate in Italia 69.382 persone, ma solo 8.323 in Grecia e 3.314 in Spagna.
Il secondo fatto che non si può ignorare è che i profughi rappresentano solo un’esigua fetta di quanti arrivano in Italia, anche se molti di loro fanno domanda per essere riconosciuti tali. L’anno scorso le domande sono state 123.482, quelle esaminate 90.473, quelle accolte solo 4.940. Altri però hanno ottenuto titoli per soggiornare in Italia attraverso il riconoscimento della protezione sussidiaria, che viene concessa a chi non può essere considerato profugo ma se torna da dove è venuto corre il rischio di subire un grave danno (11.200 persone), e attraverso il permesso per motivi umanitari, che ha la durata di un anno (18.801 persone). Tutti gli altri, e anche parte dei 35 mila circa delle tre categorie protette, vegetano all’interno del sistema di protezione e accoglienza italiano, una galassia di centri che di nome fanno Cara, Cpa, Cpsa, Cda, Cie, hotspot e hub regionali.
Il terzo fatto che merita di essere preso in considerazione è che nemmeno i paesi più attrezzati sono in grado di evitare gli effetti socio-economici negativi delle migrazioni odierne. Il caso della Svezia è molto chiaro. «Nel 2016 – scrive Anna Bono – il governo svedese ha ammesso di esser del tutto incapace di mantenere gli standard di ospitalità finora offerti agli immigrati. (…) In Svezia masse di immigrati svolgono lavori in nero e sottopagati e già se ne avvertono i danni economici e sociali. Le retribuzioni medie diminuiscono perché gli stranieri percepiscono stipendi pari a un quinto della media svedese. Quindi si contrae anche il gettito fiscale. Nel 2015 lo Stato ha perso quasi 8 milioni di dollari. Inoltre le imprese che pagano regolarmente i dipendenti risentono della concorrenza di quelle che assumono in nero. Statistiche governative dicono che a sette anni dal loro ingresso in Svezia solo il 60 per cento circa degli immigrati svolgono lavori regolari. “Stiamo creando un nuovo sottoproletariato – spiega Sten-Erik Johansson, direttore del sindacato dei lavoratori stranieri irregolari – che vivrà ai margini della società senza avere diritto alla pensione, ai permessi per maternità, a niente”». In conseguenza di ciò la Svezia ha annunciato un anno fa una politica di rimpatri forzati che non ha veramente attuato, ma che ha prodotto l’effetto di un crollo delle domande di asilo.
Il quarto fatto che ancora pochi conoscono è che la grande maggioranza dei migranti africani non rappresenta gli strati più poveri della popolazione, ma quelli entrati in contatto con il mondo globalizzato attraverso la vita delle realtà urbane africane e le nuove tecnologie della comunicazione disponibili anche ai piccoli redditi. Il miraggio dell’eldorado europeo li attira e li mette in viaggio come negli anni Novanta i programmi delle tv italiane spingevano decine di migliaia di albanesi all’emigrazione. Dice il ministro per i senegalesi all’estero Souleymane Jules Diop: «Qui la gente non parte perché non ha niente, se ne va perché vuole di meglio e di più». Parte anche Ibrahim Ba, morto nel canale di Sicilia insieme ad altri 700 migranti nell’aprile 2015 per il ribaltamento della barca su cui viaggiava. Grazie alle rimesse del padre dalla Francia, aveva potuto creare un’azienda con tori da monta, ma nonostante le più che buone condizioni economiche non aveva potuto resistere alla tentazione di emigrare in Francia.
Soldi ne arrivano, ma nulla cambia
«È nelle città, tra queste masse urbane, che chi emerge, chi ne ha i mezzi matura il progetto di emigrare, se necessario clandestinamente», si legge nel libro. «Lo sviluppo economico, seppure modesto, moltiplica le persone in grado e desiderose di farlo: come spiegano i ricercatori dell’Icmdp (ente per lo studio delle migrazioni creato dai governi di Svizzera ed Austria, ndr) sia perché aumentano le persone che dispongono dei mezzi per farlo sia perché cresce il desiderio di emigrare. “Un maggiore accesso all’informazione e gli accresciuti contatti con altri stili di vita (ricchi e/o occidentali) grazie all’educazione, ai mass media e alla pubblicità modificano la concezione della vita, aumentano la propensione al consumismo e ad acquistare beni materiali”». A ciò si aggiungano gli incontri coi turisti bianchi, che agli occhi degli africani appaiono tutti ricchissimi, e fanno immaginare un mondo dove il benessere è alla portata delle persone comuni.
«È nelle città, tra queste masse urbane, che chi emerge, chi ne ha i mezzi matura il progetto di emigrare, se necessario clandestinamente», si legge nel libro. «Lo sviluppo economico, seppure modesto, moltiplica le persone in grado e desiderose di farlo: come spiegano i ricercatori dell’Icmdp (ente per lo studio delle migrazioni creato dai governi di Svizzera ed Austria, ndr) sia perché aumentano le persone che dispongono dei mezzi per farlo sia perché cresce il desiderio di emigrare. “Un maggiore accesso all’informazione e gli accresciuti contatti con altri stili di vita (ricchi e/o occidentali) grazie all’educazione, ai mass media e alla pubblicità modificano la concezione della vita, aumentano la propensione al consumismo e ad acquistare beni materiali”». A ciò si aggiungano gli incontri coi turisti bianchi, che agli occhi degli africani appaiono tutti ricchissimi, e fanno immaginare un mondo dove il benessere è alla portata delle persone comuni.
Di fronte a tutto ciò, le persone ragionevoli di ogni schieramento politico evidenziano la necessità di favorire lo sviluppo socio-economico dei paesi africani come via maestra per contenere un’emigrazione altrimenti deleteria sia per chi parte che per chi riceve. Gli uni propongono piani Marshall per l’Africa, gli altri chiedono che si metta fine allo «scambio ineguale», ma entrambi sembrano non avere coscienza di un altro fatto scomodo che Anna Bono non si esime di evidenziare: soldi in Africa ne arrivano, ma le cose a livello generale continuano a non cambiare. Nel 2014 (ultimo dato disponibile) sono entrati in Africa 662 miliardi di dollari di investimenti esteri diretti, 135 di aiuti internazionali e 443 di rimesse dei migranti. Ma nel febbraio scorso l’Onu ha lanciato l’allarme per una carestia dovuta alla siccità che quest’anno colpirà 20 milioni di africani, mentre un quarto dei 65,6 milioni di profughi e sfollati del mondo a causa di conflitti si trovano in Africa, e la corruzione continua ad avere la stessa incidenza di sempre: uno studio del 2002 dell’Unione Africana indica che la corruzione si porta via il 25 per cento di tutto il Pil africano. Tutti problemi da far tremare le vene ai polsi, e rispetto ai quali una solo cosa è certa: la soluzione dei mali africani non sta nell’emigrazione.
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