ORA TUTTO TORNA
Ci eravamo domandati, a suo tempo perché mai la Chiesa cattolica avesse deciso di eliminare la preghiera di esorcismo all’Arcangelo San Michele voluta dal papa Leone XIII al termine di ogni Santa Messa e recitata per 8 decenni
di Francesco Lamendola
Ci eravamo domandati, a suo tempo, perché mai la Chiesa cattolica avesse deciso di eliminare la preghiera di esorcismo all’Arcangelo San Michele, voluta dal papa Leone XIII al termine di ogni Santa Messa e recitata devotamente per otto decenni, fino a quando, con il Vaticano II, un apposito documento conciliare provvide a cassarla, precisamente l’istruzione Inter oecumenici, n. 48 del 26 settembre 1964 (cfr. l’articolo: A chi dava fastidio quella preghiera?, pubblicato su vari siti e attualmente consultabile sul sito del Circolo Cattolico Christus Rex, dove è stato inserito il 23 febbraio 2016).
Chi conosce un po’ la storia di quella preghiera, che è stata così bruscamente e inspiegabilmente soppressa sotto il pontificato di papa Montini, lo stesso che denunciava la presenza del fumo di Satana in Vaticano e che ricordava ai credenti, come atto di fede, l’esistenza di un essere personale la cui opera minacciosa insidia l’anima degli uomini e la loro amicizia con Dio (come facesse a conciliare le due cose, lui solo lo avrà saputo), sa che essa ebbe origine da una spaventosa visione dei diavoli all’assalto di Roma, che Leone XIII ebbe al termine della celebrazione di una Santa Messa, visione che lo lasciò visibilmente scosso e turbato e che lo spinse a scrivere personalmente e sull’istante, di getto, in pochi minuti (meno di mezz’ora), quella preghiera, prescrivendo che venisse recitata non solo a Roma, ma dovunque, da parte di tutti i sacerdoti celebranti, con il massimo fervore e la massima puntualità.
Coloro i quali hanno, oggi, un’età di almeno sessant’anni, la ricordano molto bene, anche se il nuovo clima instauratosi nella Chiesa dopo la cosiddetta riforma liturgica, approvata dallo stesso Montini, ha favorito il suo rapido oblio, tanto che moltissime persone ignorano che essa sia mai esistita, che rivestisse una particolare solennità e che ben sei successivi pontefici l’avessero confermata e mantenuta, considerandola ormai parte integrante della liturgia ordinaria della Santa Messa. Poi, appunto, le cose sono cambiate, quasi da un giorno all’altro; tradizioni plurisecolari sono state abbandonate; gli altari sono stati rimossi o girati al contrario (con relativo, irreparabile scempio architettonico); il latino è stato eliminato dalla liturgia (sebbene nessun documento conciliare abbia mai stabilito un provvedimento del genere); e da quella che padre Ermes Ronchi ha definito, con un misto di fastidio e disprezzo, la teologia della paura, la Chiesa di papa Bergoglio è passata alla pedagogia della misericordia, intendendo quest’ultimo concetto come la libertà di peccare impunemente, perché tanto, alla fine, Dio perdona ogni cosa; e anche la preghiera a San Michele Arcangelo è stata riposta in soffitta, fra i vecchi arredi inutili, destinati a coprirsi di polvere e ad essere mangiucchiati dalle tarme.
La preghiera a San Michele Arcangelo faceva parte delle cosiddette Preci Leonine, un corpo di orazioni istituito da Leone XIII il 6 gennaio 1884, da recitare obbligatoriamente dopo ogni santa Messa non cantata, che comprendeva tre Ave Maria, un Salve, Regina, un versetto, un responsorio e una colletta, cui venne aggiunta la preghiera a San Michele Arcangelo, nel 1886, ossia due anni dopo la visione terrificante avuta dal pontefice, il 13 ottobre 1884. Una piccola aggiunta venne poi apportata da san Pio X, nel 1904. Come si detto, vennero abolite nel settembre 1964, dopo aver fatto parte della liturgia ordinaria della santa Messa per ottantadue anni; se, però, si considera la città di Roma, esse erano in uso dal 1859, quando ancora esisteva lo Stato della Chiesa e il papa regnante era Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti.
Ci piace riportare la genesi della preghiera a San Michele con le parole di un grande sacerdote che è stato anche un grande esorcista e, quindi, un grande conoscitore del diavolo, il quale recentemente ci ha lasciati per tornare alla casa del Padre, don Gabriele Amorth (Modena, 1° maggio 1925-Roma, 16 settembre 2016), tratte da uno dei suoi libri più famosi, che ha avuto decine di edizioni, Un esorcista racconta (Bologna, Edizioni Dehoniane, 1990, 2010, pp. 37-40), affinché il lettore che on conosce bene questa vicenda possa farsene un’idea il più possibile esatta e precisa:
Molti di noi ricordano come, prima della riforma liturgica dovuta al concilio Vaticano II, il celebrante e i fedeli si mettevano in ginocchio alla fine di ogni messa, per recitare una preghiera alla Madonna ed una a S. Michele arcangelo. Riportiamo il testo di quest’ultima, perché è una preghiera molto bella, che può esser recitata da tutti con frutto:
“San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; contro la malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”.
Come è nata questa preghiera? Trascrivo quanto pubblicò la rivista “Ephemerides Liturgicae” nel 1955, pp. 58-59.
Padre Domenico Pechenino scrive: “Non ricordo l’anno preciso. Un mattino il grande Pontefice Leone XIII aveva celebrato la S. Messa e stava assistendone un’altra, di ringraziamento, come al solito. Ad un tratto lo si vide drizzare energicamente il capo, poi fissare qualche cosa al di sopra del capo del celebrante. Guardava fisso, senza batter palpebra, ma con un senso di terrore e di meraviglia, cambiando colore e lineamenti. Qualcosa di strano, di grande avveniva in lui.
Finalmente, come rivenendo in sé, dando un leggero ma energico tocco di mano, si alza. Lo si vede avviarsi verso il suo studio privato. I familiari lo seguono con premura e ansiosi. Gli dicono sommessamente: “Santo Padre, non si sente bene? Ha bisogno di qualcosa?”. Risponde: “Niente, niente”. Dopo una mezz’ora fa chiamare il Segretario della Congregazione dei Riti e, porgendogli un foglio, gli ingiunge di farlo stampare e di farlo pervenire a tutti gli Ordinari del mondo. Che cosa conteneva? La preghiera che recitiamo al termine della Messa insieme al popolo, con la supplica a Maria e l’infocata invocazione al Principe delle milizie celesti, implorando Dio che ricacci Satana nell’inferno”.
In quello scritto si ordinava anche di recitare tali preghiere in ginocchio. Quanto sopra, che era stato pubblicato anche nel giornale “La settimana del clero”, il 30 marzo 1947, non cita le fonti da cui è stata attinta la notizia. Risulta però il modo insolito con cui fu ordinato di recitare quella preghiera, che venne spedita agli Ordinari nel 1886. A conferma di quanto scrive P. Pechenino abbiamo l’autorevole testimonianza del card. Nasalli Rocca che, nella sua Lettera Pastorale per la quaresima, emanata a Bologna nel 1946, scrive:
Leone XIII scrisse egli stesso quella preghiera. La frase (i demoni) che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime” ha una spiegazione storica, a noi più volte riferita dal suo segretario particolare, mons. Rinaldo Angeli. Leone XIII ebbe veramente la visione degli spiriti infernali che si addensavano sulla città eterna (Roma); e da quella esperienza venne la preghiera che volle far recitare in tutta la Chiesa. Tale preghiera egli la recitava con voce vibrata e potente: la udimmo tante volte nella basilica vaticana. Non solo, ma scrisse di sua mano uno speciale esorcismo contenuto nel Rituale Romano (edizione 1954, tit. XII, c. III, pag. 863 e segg.). Questi esorcismi egli raccomandava ai vescovi e ai sacerdoti di recitarli spesso nelle loro diocesi e parrocchie. Egli lo recitava spessissimo lungo il giorno”.
È anche interessante tener conto di un altro fatto, che arricchisce ancor più il valore di quelle preghiere che si recitavano dopo ogni messa. Pio XI volle che, nel recitare queste preghiere, vi si ponesse una particolar intenzione per la Russia (allocuzione del 30 giugno 1930). In tale allocuzione, dopo aver ricordato le preghiere per la Russia a cui aveva sollecitato anche tutti i fedeli nella ricorrenza del patriarca S. Giuseppe (19 marzo 1930), e dopo aver ricordato la persecuzione religiosa in Russia, così conclude:
“E affinché tutti possano senza fatica ed in modo continuato in questa santa crociata, stabiliamo che quelle preci che il nostro antecessore di felice memoria, Leone XIII, comandò che si recitassero dopo la messa dei sacerdoti e dei fedeli, siano dette a questa particolare intenzione, e cioè per la Russia. Di ciò i Vescovi e il clero secolare e regolare abbiano cura di rendere informati il loro popolo e quanti sono presenti al S. Sacrificio, né manchino di richiamare spesso quanto sopra alla loro memoria (“Civiltà Cattolica”, 1930, vol. III).
Ora, come è noto, o come dovrebbe essere noto almeno ai cattolici, la preghiera, qualunque preghiera, è formata da tre elementi: l’orante, le parole e l’intenzione. Dei tre elementi, il terzo è prevalente sul primo e sul secondo: nella messa nera dei satanisti, per esempio, parole e gesti liturgici sono ricalcati su quelli della santa Messa cattolica, ma con intenzione perversa e blasfema, il che fa di quelle preghiere delle invocazioni infernali; e il celebrante, molto spesso – ci tremano le vene e i polsi a dirlo - , è un sacerdote cattolico regolarmente consacrato, non un satanista che non è mai stato prete e che, indossando i paramenti sacri, finge soltanto di esserlo. Le parole delle Preci Leonine acquistano particolare significato alla luce dell’intenzione con cui erano recitate. Fino al 1929, cioè fino alla risoluzione del conflitto esistente fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, tale intenzione era rivolta alla soluzione della Questione Romana; poi, sotto Pio XI, alla libertà e sicurezza dei cristiani in terra di Russia (si ricordi che la Vergine Maria, a Fatima, nel 1917, durante la terza delle sue sei apparizioni, aveva chiesto la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato). L’aggiunta della preghiera a San Michele Arcangelo aveva un chiarissimo significato esorcistico. Leone XIII aveva una coscienza molto viva del pericolo rappresentato per i cristiani all’opera di satana, e seguiva con estrema attenzione e preoccupazione i progressi della massoneria, fuori e dentro la Chiesa. Egli ha anche composto personalmente un documento intitolato De exorcismis et supplicationbus quibusdam, un manuale di esorcismo e una raccolta di esorcismi in cui fu inserita anche la preghiera a san Michele Arcangelo. Quasi inutile precisare che anche questo documento è stato “opportunamente” rivisto e significativamente modificato dai solerti riformatori del Concilio Vaticano II, che intervennero anche sulla preghiera a San Michele, già abbreviata da Leone XIII al momento del suo inserimento nelle Preci Leonine, e poi ancora rivista e abbreviata rispetto al testo originale - ma non a quello del 1886 - nel 1902, allorché venne pubblicata una nuova edizione del Rituale Romano. Della preghiera, pertanto, esistono tre versioni; quella “lunga”, ossia quella originaria dell’ottobre 1884; quella “breve”, inserita nelle Preci Leonine nel 1886; e quella riformata del 1902; alle quali si aggiunge l’aggiornamento operato dal Concilio, nel 1964, che la tolse, insieme alle altre Preci Leonine, dalla Messa ordinaria.
Ora le cose si fanno chiare: e tutto torna…
di Francesco Lamendola
continua su:
L’istruzione della S.
Penitenzieria «Suprema ecclesiae bona»
(di P. Paolo M. Siano) Il gesuita spagnolo José Antonio Ferrer Benimeli (nato nel 1934) è da decenni notoriamente filo-massone, sostenitore della liceità dell’appartenenza di cattolici alla Massoneria sedicente regolare e tradizionale che si presenta come amica della Chiesa. In un volume degli “Ars Quatuor Coronatorum”, ossia gli Atti della prestigiosa Loggia Quatuor Coronati N° 2076 di Londra (la prima loggia di ricerca storica all’obbedienza della United Grand Lodge of England – UGLE), troviamo uno studio di padre Ferrer Benimeli intitolato «The Catholic Church and Freemasonry: an historical perspective» [cf. AQC 119 (2006), pp. 234-255].
Non sto a ripetere le solite tesi dell’Autore secondo cui le condanne della Massoneria da parte della Chiesa sarebbero dovute a ragioni politiche, ambizione, prepotenza, ignoranza, ecc. È sufficiente analizzare testi massonici per smentire il gesuita filo-massone. In questa sede mi interessa invece segnalare alcuni interessanti dati storici della relazione di padre Ferrer Benimeli. Eccoli.
Durante il Concilio Vaticano II, alla 31a e 71a Congregazione Generale (1962-1963), il vescovo di Cuernavaca, mons. Sergio Mendez Arceo (1907-1992), propone che la Chiesa muti atteggiamento verso la Massoneria… Nel 1967 i Vescovi di Francia auspicano lo stesso… Nel dicembre 1967 i Vescovi cattolici della Scandinavia permettono ai massoni che vogliono passare alla Fede Cattolica di non rinunciare alla Loggia.
Tra i Vescovi postconciliari “aperti” alla Massoneria: mons. Daniel Pézeril vescovo ausiliare di Parigi, l’arcivescovo di Marsiglia Mons. Roger Etchegaray, il card. Terence Cooke arcivescovo di New York, la Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles. Dopo il Concilio Vaticano II, anche i Gesuiti de “La Civiltà Cattolica”, in particolare padre Giovanni Caprile (1917-1993), mutano atteggiamento nei confronti della Massoneria (cf. p. 237).
Secondo P. Ferrer Benimeli, già nel 1972 il card. Franjo Seper (l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – CDF) facilita la possibilità della presenza di cattolici nelle logge massoniche… In Francia, in Gran Bretagna, in Italia, opera in quegli anni un rappresentante della Santa Sede, ossia (stando al Ferrer Benimeli) il salesiano don Vincenzo Miano (1910-1980), Segretario del Pontificio Consiglio per i non-credenti e consultore della CDF. Don Miano è incaricato di studiare i problemi posti dal can. 2335 e sostiene che quel canone riguarda solo i membri di associazioni che cospirano contro la Chiesa e contro i legittimi poteri (cf. p. 237).
Poi arriva la lettera del card. Seper, del 19 luglio 1974, con cui la Santa Sede, per la prima volta dal 1738, fa capire che ci possano essere logge che non tramano contro la Chiesa e i cui membri cattolici perciò non incorrono nella scomunica prevista dal can. 2335…
In effetti è anche grazie a quella lettera che molte Conferenze Episcopali (Inghilterra, USA, Canada, Francia, Scandinavia, Repubblica Dominicana, ecc.) “risolvono” in modo conciliante i problemi pastorali e di coscienza di quei cattolici che ritengono la loro appartenenza massonica compatibile con la Fede Cattolica… Quel documento del card. Seper sostiene che nella scomunica prevista dal can. 2335 incorrono solo i cattolici membri di logge che operano contro la Chiesa o contro la sua missione (cf. pp. 237-238).
Nel nuovo Codice di Diritto Canonico (CIC) del 1983 scompare il riferimento esplicito alla Massoneria, con grandissimo disappunto degli ambienti cattolici più “conservatori” che invece auspicavano la riconferma della scomunica antimassonica. Ma in data 26 novembre 1983 la CDF, guidata dal card. Ratzinger, promulga una dichiarazione in cui afferma che: permane l’incompatibilità tra Massoneria e Fede Cristiana, i cattolici massoni sono in peccato grave e non possono accedere alla S. Comunione. Il 23 febbraio 1985 L’Osservatore Romanopubblica un articolo non firmato in cui tale incompatibilità viene motivata con l’atteggiamento relativistico della Massoneria (cf. p. 238).
Padre Ferrer Benimeli spiega che la dichiarazione CDF del 1983 e l’articolo de L’Osservatore Romano del 1985 si fondano sul documento del 23 aprile 1980 in cui i Vescovi tedeschi, dopo sei anni di dialoghi con la Massoneria regolare, sostengono l’incompatibilità tra Chiesa e Loggia e accusano quest’ultima di relativismo. Il gesuita spagnolo, come i massoni, nega che la Massoneria coltivi il relativismo.
Poi padre Ferrer Benimeli (che rimpiange gli anni ’60-’70 dell’aperturismo ecclesiale filo-massonico) segnala e contesta un altro documento che (a suo dire) in quegli anni ha sconvolto massoni e filo-massoni. È un documento forse poco conosciuto e poco citato dagli studiosi di Massoneria: si tratta dell’istruzione della Sacra Penitenzieria Apostolica, Suprema ecclesiae bona (Prot. n. 456/84, 15 julii 1984), riservata agli Ordinari diocesani e agli Ordinari religiosi, poi indirizzata loro nuovamente in data 14 marzo 1987 (Prot. 145/87). Ferrer Benimeli lamenta che quel documento collega le associazioni massoniche alle profanazioni eucaristiche (cf. p. 240).
Il testo latino della “Suprema ecclesiae bona” (Prot. 456/84) con la traduzione italiana a fronte è pubblicato su “Enchiridion Vaticanum, Supplementum 1 – Documenti Ufficiali della Santa Sede – Omissa 1962-1987”, EDB, 1991, n° 901-912, pp. 816-829.
Riporto la traduzione italiana del paragrafo riguardante la profanazione delle specie eucaristiche:
«In realtà l’odio contro la chiesa e nei confronti di Dio stesso, sia di uomini privati sia di associazioni, fa sì che anche in questo nostro tempo si commettano formalmente sacrilegi contro il ss.mo sacramento dell’eucaristia; e a questo riguardo bisogna ricercare accuratamente, anche nel governo esterno della chiesa, come prevenire, denunziare e punire questi mali2» (n° 905, p. 821).
Nella nota numero 2 (p. 821), leggiamo:
«Poiché spesso le profanazioni del ss.mo sacramento avvengono su istigazione di sètte, la connessione di idee offre l’occasione di ricordare alcune osservazioni sia sulle sètte in genere, sia in particolare sulla massoneria. Non esiste più la censura canonica come pena per l’adesione a questa setta, ma per la natura stessa delle cose bisogna distogliere i fedeli da questo genere di sètte, perché coltivano dottrine e prassi opposte alla verità e all’onestà dei costumi e sono inoltre ostili alla chiesa. La S. Congregazione per la dottrina della fede, con dichiarazione del 26 novembre 1983, ha ammonito che non possono accostarsi ai sacramenti coloro che appartengono ad associazioni massoniche».
Quanto affermato da quell’istruzione della Penitenzieria Apostolica trova una conferma assai esplicita nell’intervista rilasciata dal card. Edouard Gagnon (1915-2007) e pubblicata sulla rivista “30Giorni” nel numero di marzo 1991. Il card. Gagnon è convinto che la Massoneria, «più viva che mai», sia «una potenza del male», «una gravissima minaccia per la fede cattolica». Al riguardo il Card. Gagnon cita la sua esperienza personale:
«Quando ero in Canada, insegnante di Teologia morale, ero il canonista del cardinal Leger. Ed ho spesso dovuto trasmettere alla Penitenzieria apostolica di Roma la richiesta di togliere la scomunica a persone che avevano rubato ostie consacrate su ordine della Massoneria, che per questo furto le aveva ben remunerate. Alcune di loro, pentite, chiedevano perdono alla Chiesa».
Il giornalista dice al card. Gagnon: «Credevo che queste cose fossero effettuate solo dagli appartenenti a sette sataniche…». Il card. Gagnon risponde: «No, anche certi gradi della Massoneria fanno Messe nere. E accadeva in Canada, dove si dice che la Massoneria non è antireligiosa, e ci sono sacerdoti che ne fanno parte…» (cit. da E. Innocenti, Inimica vis, Roma 2015, pp. 238-239, nota 6).
Vale la pena rileggere il card. Gagnon e la Suprema ecclesiae bona. (P. Paolo M. Siano)
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