L'EUROPA SCIPPATA
È possibile scippare un continente? Non è solo possibile ma lo scippo è già in gran parte avvenuto. In meno di una generazione l’Italia si è svegliata in un altro Paese, che è di chi ci vuol venire una terra di facile conquista
di Francesco Lamendola
SCIPPARE: il vocabolario dà la seguente definizione: derubare qualcuno per la strada, passandogli accanto di corsa e strappandogli con violenza la borsa o un altro oggetto che porta addosso, come la collana, l’orologio, eccetera. Ora, la domanda che ci stiamo ponendo, e che si stanno ponendo, probabilmente, alcuni milioni di persone, forse anche alcune decine o centinaia di milioni di persone, è la seguente: è possibile scippare ai suoi legittimi abitanti un intero continente? Il continente, qualora vi fosse bisogno di precisarlo, è il nostro, cioè l’Europa; le vittime dello scippo, i suoi abitanti, cioè gli europei, di razza bianca e di religione, o quantomeno di tradizione, cristiana; gli scippatori, i milioni e milioni di africani, asiatici e altri stranieri, i quali, al ritmo di alcune migliaia al giorno, da alcuni decenni si stanno riversando, in una maniera o nell’altra, legalmente o illegalmente, pacificamente o con un certo grado di violenza, ma più spesso sfruttando la capacità d’impietosire e di presentarsi come “disperati” in fuga da ogni sorta di calamità, nel suo territorio; i mandanti di tutta l’operazione, quei signori dell’alta finanza internazionale, come i Rockefeller, o i Rotschild, o George Soros, aventi quale obiettivo il meticciamento del mondo intero e, nel caso specifico dell’Europa, la sostituzione della sua popolazione originaria, ormai invecchiata e decadente, con una popolazione nuova, tutta extra-europea e tutta non cristiana, per lo più islamica e anticristiana (benché questo dettaglio i capi della Chiesa cattolica non l’abbiano capito e s’illudano di poter assimilare e magari convertire queste masse di stranieri), che saranno schiavi-consumatori più utili ed efficienti; i complici che la rendono possibile, anzi, che la stanno in ogni modo agevolando, sono i nostri uomini politici, i nostri capi di governo e, ripetiamo, i vertici della Chiesa cattolica, nonché un buon numero di preti di strada e di fedeli laici, ovviamente progressisti e “umanitari”.
Oltre a loro, i ragazzotti e le ragazzotte delle sedicenti Organizzazioni umanitarie non governative, così preoccupati di “salvare vite” che, per evitare anche solo la possibilità che i barconi dei sedicenti profughi possano incappare in una burrasca, li vanno a prendere fin sotto le coste della Libia, con il mare piatto come l’olio, come un servizio taxi bene organizzato, o, almeno, così hanno fatto per mesi e anni, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, riversando nei porti italiani ogni genere di persone, magari prendendole in consegna direttamente dagli scafisti, mediante segnalazioni concordate, e poi restituendo loro cortesemente i barconi, affinché li possano utilizzare per un secondo e un terzo viaggio: oh, ma guai a parlar male di loro; guai a mettere in dubbio la loro buona fede; guai a dire che, se hanno tanto voglia di fare i generosi sfruttando la generosità e l’accoglienza altrui, e rifiutando, però, le regole stabilite dal governo che si prende in carico tutta questa gente, possono anche volgere la prua verso i loro rispettivi Paesi di provenienza, la Spagna, la Francia, la Germania, l’Olanda, e così via. Gli avversari di tutto questo, o, comunque, coloro che biecamente non vi si prestano, sono i populisti, i razzisti, gli egoisti, i cattivi e tutti quei falsi cristiani che non meritano di essere chiamati seguaci del Vangelo, perché non amano i loro fratelli bisognosi e sono talmente meschini da pensare che i poveri di casa propria, peraltro sempre più numerosi, dovrebbero avere quanto meno la precedenza rispetto a degli stranieri che non si sa chi siano, né da dove provengano, e nemmeno, assai spesso, che nome e quale cittadinanza abbiano, vista la loro propensione a fornire delle generalità false o, addirittura, a rifiutarsi di dichiararle, arrivando fino al punto di presentarsi, sui barconi, con i polpastrelli delle dita abrasi, per evitare di essere identificati mediante le impronte digitali: segno della loro più che probabile provenienza da qualche galera o da qualche violento misfatto rimasto impunito, ma comunque già segnalato alle autorità giudiziarie internazionali.
Scippare un continente! Ma come è possibile? Si tratta forse di fantascienza, oppure si deve intendere questa espressione come una battuta ad effetto, una semplice boutade? Via, lo sappiamo tutti che una cosa del genere non può avvenire: un continente non è mica una borsetta che si porta a tracolla, o una medaglietta che si porta intorno al collo! È semplicemente impossibile: è una cosa che non può accadere. Però, un momento: oppure lo può? Prima di rispondere, lasciamo scorrere lo sguardo sulle nostre città, sui nostri quartieri, lungo le vie e le piazze che abbiamo sempre conosciuto; poi fermiamoci a guardare le insegne dei negozi, le vetrine, entriamo nei bar, nelle trattorie, nei ristoranti, nei supermercati, nei bazar; indi saliamo a bordo degli autobus urbani, delle corriere locali, dei vagoni della metropolitana o delle ferrovie dello Stato, dei vaporetti: e osserviamo la gente che va a lavorare, la folla che si muove dalle periferie verso il centro, dalle zone rurali verso quelle urbane, e poi di nuovo, alla sera, la stessa folla che ritorna verso casa, che defluisce dalle fabbriche e dagli altri luoghi di lavoro; sostiamo davanti ai centri commerciali, nei pressi delle discoteche, attorno agli impianti sportivi, nei mercati rionali e settimanali, fra le bancarelle del pesce e quelle dei vestiti. Ebbene: saremo costretti a concludere, se abbiamo conservato sana la capacità di vedere, di capire e di ragionare, è che questi non sono più i nostri quartieri, non sono più le nostre città, non sono più i nostri negozi, le nostre corriere, le nostre stazioni ferroviarie, i nostri ristoranti; non sono nemmeno le nostre scuole, le nostre palestre, le nostre squadre dei calcio, o di pallavolo, o di pallacanestro; e questi non sono più i nostri campioni di atletica, i nostri negozianti, i nostri ristoratori, le nostre miss di questo o quel concorso di bellezza. In breve, ci accorgeremo – saremo costretti ad accorgerci - che niente è più nostro, e che noi, noi italiani, noi bianchi e noi cristiani, se per caso siamo battezzati e andiamo in chiesa, non siamo più che una variabile secondaria, e tutto sommato sacrificabile, nel quadro ormai estremamente variegato della popolazione che occupa lo spazio fisico della Repubblica italiana. Scopriamo che non è più nemmeno necessario essere italiani per avere la cittadinanza italiana, e che, con la prossima approvazione della legge sullo ius soli, un bambino straniero non dovrà più neanche fare domanda – i suoi genitori non dovranno neanche fare domanda – affinché abbia la cittadinanza italiana: gli verrà data automaticamente, per il solo fatto di essere nato entro i confini del nostro Paese. Confini che, di fatto, non esistono più, perché, di fatto, entra ed esce chi vuole, quando vuole e in qualsiasi quantità; ma dei quali ci si ricorda allorché si tratta di premiare, con la cittadinanza appunto, delle persone che non c’entrano niente, assolutamente niente, con la nostra civiltà, con la nostra cultura, con la nostra storia, con la nostra arte, con la nostra lingua, con la nostra religione, con le nostre tradizioni, con la nostra mentalità, con le nostre leggi. Persone che non c’entrano niente e che niente vogliono entrarci: per il semplice fatto che le nostre cose non interessano loro, anzi, sovente le disprezzano, mentre la sola ed unica cosa che gl’importa è di trovare una sistemazione, di avere una sicurezza economica, per quanto precaria (almeno all’inizio), insomma di avere il frigorifero pieno e qualche cosa da mandare a casa, in attesa di essere raggiunti dalle mogli (che metteranno incinte almeno quattro o cinque volte, al preciso scopo di soverchiare la nostra popolazione), dai figli, dai genitori, dai cugini e chissà da quanti altri parenti, amici e conoscenti. Tutto, da pare nostra, in nome dell’ospitalità, dell’accoglienza, della solidarietà e di altri nobili sentimenti, zuccherosi e a senso unico, perché nessuno si prende la briga di vedere se realmente si tratta di persone bisognose, cioè se realmente fuggono da situazioni insostenibili, o se, invece, vengono qui semplicemente perché si è sparsa la voce che l’Italia è accogliente, che l’Europa è generosa, che i cristiani sono abbastanza fessi da ospitare tutti, e da non capire che una tale generosità all’ingrosso viene accetta, sì, del resto come cosa pressoché dovuta, forse in riparazione dei crimini del colonialismo, e quindi senza neanche perder tempo a ringraziare, anzi, gettando in terra con disprezzo il patto della pastasciutta, se il menu dei centri di accoglienza non risulta soddisfacente; ma, nello stesso tempo, viene letta come una prova della loro debolezza, della loro paura, della loro volontà di arrendersi, di alzare bandiera bianca, di sottomettersi al primo che voglia prendersi il loro vecchio e stanco continente.
Scippare un continente! Ma come è possibile? Si tratta forse di fantascienza, oppure si deve intendere questa espressione come una battuta ad effetto, una semplice boutade? Via, lo sappiamo tutti che una cosa del genere non può avvenire: un continente non è mica una borsetta che si porta a tracolla, o una medaglietta che si porta intorno al collo! È semplicemente impossibile: è una cosa che non può accadere. Però, un momento: oppure lo può? Prima di rispondere, lasciamo scorrere lo sguardo sulle nostre città, sui nostri quartieri, lungo le vie e le piazze che abbiamo sempre conosciuto; poi fermiamoci a guardare le insegne dei negozi, le vetrine, entriamo nei bar, nelle trattorie, nei ristoranti, nei supermercati, nei bazar; indi saliamo a bordo degli autobus urbani, delle corriere locali, dei vagoni della metropolitana o delle ferrovie dello Stato, dei vaporetti: e osserviamo la gente che va a lavorare, la folla che si muove dalle periferie verso il centro, dalle zone rurali verso quelle urbane, e poi di nuovo, alla sera, la stessa folla che ritorna verso casa, che defluisce dalle fabbriche e dagli altri luoghi di lavoro; sostiamo davanti ai centri commerciali, nei pressi delle discoteche, attorno agli impianti sportivi, nei mercati rionali e settimanali, fra le bancarelle del pesce e quelle dei vestiti. Ebbene: saremo costretti a concludere, se abbiamo conservato sana la capacità di vedere, di capire e di ragionare, è che questi non sono più i nostri quartieri, non sono più le nostre città, non sono più i nostri negozi, le nostre corriere, le nostre stazioni ferroviarie, i nostri ristoranti; non sono nemmeno le nostre scuole, le nostre palestre, le nostre squadre dei calcio, o di pallavolo, o di pallacanestro; e questi non sono più i nostri campioni di atletica, i nostri negozianti, i nostri ristoratori, le nostre miss di questo o quel concorso di bellezza. In breve, ci accorgeremo – saremo costretti ad accorgerci - che niente è più nostro, e che noi, noi italiani, noi bianchi e noi cristiani, se per caso siamo battezzati e andiamo in chiesa, non siamo più che una variabile secondaria, e tutto sommato sacrificabile, nel quadro ormai estremamente variegato della popolazione che occupa lo spazio fisico della Repubblica italiana. Scopriamo che non è più nemmeno necessario essere italiani per avere la cittadinanza italiana, e che, con la prossima approvazione della legge sullo ius soli, un bambino straniero non dovrà più neanche fare domanda – i suoi genitori non dovranno neanche fare domanda – affinché abbia la cittadinanza italiana: gli verrà data automaticamente, per il solo fatto di essere nato entro i confini del nostro Paese. Confini che, di fatto, non esistono più, perché, di fatto, entra ed esce chi vuole, quando vuole e in qualsiasi quantità; ma dei quali ci si ricorda allorché si tratta di premiare, con la cittadinanza appunto, delle persone che non c’entrano niente, assolutamente niente, con la nostra civiltà, con la nostra cultura, con la nostra storia, con la nostra arte, con la nostra lingua, con la nostra religione, con le nostre tradizioni, con la nostra mentalità, con le nostre leggi. Persone che non c’entrano niente e che niente vogliono entrarci: per il semplice fatto che le nostre cose non interessano loro, anzi, sovente le disprezzano, mentre la sola ed unica cosa che gl’importa è di trovare una sistemazione, di avere una sicurezza economica, per quanto precaria (almeno all’inizio), insomma di avere il frigorifero pieno e qualche cosa da mandare a casa, in attesa di essere raggiunti dalle mogli (che metteranno incinte almeno quattro o cinque volte, al preciso scopo di soverchiare la nostra popolazione), dai figli, dai genitori, dai cugini e chissà da quanti altri parenti, amici e conoscenti. Tutto, da pare nostra, in nome dell’ospitalità, dell’accoglienza, della solidarietà e di altri nobili sentimenti, zuccherosi e a senso unico, perché nessuno si prende la briga di vedere se realmente si tratta di persone bisognose, cioè se realmente fuggono da situazioni insostenibili, o se, invece, vengono qui semplicemente perché si è sparsa la voce che l’Italia è accogliente, che l’Europa è generosa, che i cristiani sono abbastanza fessi da ospitare tutti, e da non capire che una tale generosità all’ingrosso viene accetta, sì, del resto come cosa pressoché dovuta, forse in riparazione dei crimini del colonialismo, e quindi senza neanche perder tempo a ringraziare, anzi, gettando in terra con disprezzo il patto della pastasciutta, se il menu dei centri di accoglienza non risulta soddisfacente; ma, nello stesso tempo, viene letta come una prova della loro debolezza, della loro paura, della loro volontà di arrendersi, di alzare bandiera bianca, di sottomettersi al primo che voglia prendersi il loro vecchio e stanco continente.
È possibile scippare un continente?
di Francesco Lamendola
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Il “migrante”: un nuovo idolo cui sacrificare la civiltà cristiana – di Guido Vignelli
di Guido Vignelli19/8/2017
Com’è noto, la neo-lingua mass-mediatica, ormai usata anche dalla politica, dal diritto e dal mondo ecclesiastico, suole lanciare parole nuove, oppure vecchie ma usandole in un senso fuorviante, che poi vengono imposte all’opinione pubblica al fine di giustificare una ideologia o un progetto sovversivi.
Fra le neo-parole oggi in voga spicca quella di “migrante”, che sembra costituire una specifica categoria di persone. Infatti, tale qualifica non identifica più l’emigrato, ossia chi ha lasciato la propria patria, né l’immigrato, ossia chi si è inserito in una nuova patria per viverci stabilmente; qui si tratta del “migrante”, di colui che alimenta il conseguente fenomeno epocale delle “migrazioni”.
Chi è mai questo “migrante”? Secondo i dizionari di lingua italiana, “migrante” è “l’animale che periodicamente abbandona il luogo in cui vive per trasferirsi in altri più convenienti”, come l’uccello migratore. Ma qui si tratta non di animali ma di uomini, per cui il “migrante” è l’esule che abbandona la propria patria, spesso definitivamente, per trasferirsi in un’altra, nella quale non è detto che voglia inserirsi né rimanere definitivamente.
Essendo participio presente del verbo migrare, la parola “migrante” suggerisce una qualifica provvisoria, precaria, non solo riguardo la dimora, la patria e la cittadinanza, ma anche riguardo la cultura, la civiltà, l’identità stessa dell’esule. Per definizione, il “migrante” è uomo in perenne ricerca e in continua evoluzione, che cambia periodicamente sede, un camaleonte che prende il colore – ma solo quello – dell’ambiente in cui vive. Egli quindi è nomade, ossia senza radici né dimora né patria stabile, un apolide che ha per motto “la mia patria è dove sto bene”; non di rado, egli rifiuta perfino di essere identificato e a questo scopo spesso cambia nome e patria di provenienza
Insomma il “migrante” coerente e consapevole si pone come il diverso, l’estraneo, che paradossalmente vuole restare tale ed essere accettato e accolto come tale. Pertanto, agli occhi della patria che lo ospita, egli si pone in una condizione indefinibile, molto difficile da regolarizzare e ancor più da inserire.
Un nuovo modello ideale
Non meraviglia quindi che questa condizione di “migrante” sia oggi elevata a modello ideale, da parte di una cultura postmoderna che odia tutto quanto riguarda l’identità, la stabilità, il radicamento, la continuità, l’eredità, la tradizione. Tale cultura infatti oppone al patriota l’apolide, al radicato lo sradicato, allo stanziale il nomade, al lavoratore stabile quello precario, al coniuge il partner temporaneo, alla famiglia la convivenza provvisoria. Si tratta di un modello d’uomo privato non solo del tempo, ossia della eredità storica, ma anche dello spazio, ossia del radicamento territoriale; un uomo che fa parte di una civiltà senza identità né certezze né sicurezze, quindi fluida, manipolabile e in perenne evoluzione.
Questo vale anche nel campo sessuale. Le “migrazioni” inseriscono nella nostra società usanze e modelli sessuali molto vari, labili e permissivi. Il “migrante” coerente dovrebbe praticare il nomadismo sessuale alla maniera del trans-gender, ossia passando periodicamente da un gender all’altro, assumendo varie e provvisorie identità sessuali, praticando il cosiddetto poliamore, secondo il modello del “perverso polimorfo” inventato da Freud. Non meraviglia quindi che la cultura dominante tenti oggi d’imporre nella nostra scuola un programma (dis)educativo che abitui le nuove generazioni all’idolatria del “diverso”, del “migrante” e del “nomade”, anche in campo sessuale.
In subordine, anche la categoria del “meticciato” ha assunto un valore ideale al fine di soppiantare non tanto quello dell’appartenenza etnica o della eredità razziale, quanto quello della identità culturale. Il “meticciato” infatti s’impone quando il fenomeno delle “migrazioni” favorisce quello dei matrimoni misti, ossia tra persone che hanno diversa cultura, morale e religione. Col tempo, ciò assicurerebbe l’imporsi di generazioni “meticce” che permetterebbero alla nostra società di diventare finalmente davvero pluralistica ed egualitaria, rendendo quindi impossibile la xenofobia e il razzismo.
In concreto, le qualifiche di migrante, nomade, trans e meticcio sono ormai state elevate dal livello di fatti evitabili e discutibili a quello di valori inevitabili e indiscutibili, perché rappresentano concreti modelli del “diverso”, il quale va accettato, difeso e favorito proprio in quanto estraneo, anche se ostile e pericoloso. Ciò ha spinto alcuni sociologi fanatici delle “migrazioni” a lanciare lo slogan della “solidarietà tra estranei”, la quale dovrebbe costituire il cemento della futura società multi-, ossia multi-etnica, multi-culturale e multi-religiosa (e multi-sessuale).
Tali qualifiche costituiscono i nuovi “valori non negoziabili” da tutelare, promuovere e imporre in tutti i campi con gli strumenti non solo dei mass-media e della cultura, ma anche della politica e del diritto. In nome di un “amore per il lontano” che soppianta l’evangelico amore per il prossimo, tali qualifiche vengono ormai presentate come segni di superiorità che trasformano alcune categorie sociali o sessuali in classi elette degne di essere favorite e anzi privilegiate rispetto a quelle ordinarie.
Chi non apprezza tali valori e categorie viene presentato come un integrista, uno xenofobo e forse anche un razzista da condannare, multare e reprimere per legge, sospendendogli il godimento dei diritti civili, i quali finiscono con l’essere relativizzati rispetto ai diritti assoluti appartenenti alle privilegiate categorie dei “diversi”.
Una nuova categoria di privilegiati
Stando così le cose, la qualifica di “migrante” non indica più la mera constatazione di una realtà di fatto, dovuta al fenomeno della immigrazione di massa, ma manifesta la creazione di un valore assoluto che non ammette condizioni (“senza se e senza ma”), che non tollera alcuna “discriminazione”, che si arroga tutti i diritti ma rifiuta i rispettivi doveri.
In concreto, si pretende che famiglie, tribù e comunità ospitate abbiano il diritto di far valere le proprie identità, certezze e sicurezze, anche a danno di quelle delle patrie ospitanti; all’opposto, paradossalmente, le patrie ospitanti non possono difendere le loro identità, certezze e sicurezze, anzi hanno il dovere di metterle in crisi, per non offendere né ostacolare quelle dei “migranti”. Qui la tanto strombazzata regola della “reciprocità” non vale più; agli ospitati spettano tutti i diritti ma nessun dovere, agli ospitanti invece tutti i doveri e nessun diritto. Dalla vecchia politica che impediva le “discriminazioni” per assicurare l’eguaglianza, si passa alla nuova politica che favorisce “discriminazioni positive” per assicurare la primazia dell’“estraneo”.
Ne deriva il fatto, ormai ampiamente constatabile, che il “migrante” è ormai una categoria talmente privilegiata da avere la precedenza assoluta su tutte le altre categorie sociali, da poter pretendere diritti negati ai cittadini della patria ospitante, da essere esentata dal rispettare quei valori, doveri e leggi civili che assicurano il bene comune della patria ospitante. Ricordiamoci lo slogan ripetuto da anni durante le manifestazioni extracomunitarie di piazza: “Siamo migranti, abbiamo diritti, ne abbiamo tanti, li vogliamo tutti!”
Insomma, nella moderna civiltà della desacralizzazione, il “migrante” sta paradossalmente diventando talmente sacro da risultare indiscutibile, indiscriminabile, impunibile; e, notoriamente, l’impunità produce arroganza e prepotenza. Aggiornando un vecchio detto popolare, possiamo allora ammonire: “chi ospitante si fa, l’ospitato se lo mangia”.
Ernesto Galli della Loggia, intervistato da Il Giorno (15-8-2017), ha spiegato che il fanatismo della Sinistra radicale in favore della immigrazione illegale e delle ONG che la facilitano è dovuta al fatto che l’intera Sinistra, essendo svanito il mito del “proletariato” e della “coscienza operaia”, si è inventata altre categorie di oppressi da liberare, ossia altre clientele da sfruttare per la sua lotta di classe: abbiamo così in genere il “discriminato-emarginato”, in specie il “migrante”, il negro, la donna, l’handicappato, l’omosessuale. Tutta questa mitologia era già presente negli scritti di noti intellettuali progressisti post-sessantottini e nei programmi dei loro movimenti, i quali progettavano di trasferire la lotta di classe dal campo economico a quello scolastico, a quello familiare e sessuale e a quello geopolitico (la contrapposizione tra Nord e Sud del mondo).
Un modello per gli extra-comunitari o per i comunitari?
Qui però emerge una contraddizione lampante che svela un nuovo e più sconcertante paradosso.
Come abbiamo fatto notare, agl’immigrati ospitati in Europa non si chiede di diventare nomadi spirituali ripudiando la loro identità e le loro radici, né di diventare camaleonti sociali adeguandosi alla civiltà occidentale e cristiana; al contrario, essi vengono esortati a mantenere la loro identità, non solo quella etnica e razziale, il che è inevitabile, ma anche quella culturale, politica, giuridica, soprattutto religiosa. Invece, è proprio agli Europei ospitanti che si chiede di rinunciare alla loro identità e civiltà per fare spazio a quelle degli ospitati.
Quindi, paradossalmente, non sono gl’immigrati che dovrebbero evolversi adeguandosi alle patrie ospitanti, ma sono gli ospitanti che dovrebbero evolversi in senso “pluralista” e “inclusivo”, adeguandosi al calderone multi-culturale, multi-giuridico e multi-religioso provocato dalla indiscriminata accoglienza degl’immigrati di varia provenienza. Ciò significa che la cosiddetta integrazione delle comunità ospitate avverrebbe al caro prezzo della dis-integrazione delle patrie ospitanti.
A questo punto, viene il sospetto che il modello ideale del “migrante”, propagandato dalla Sinistra, sia proposto non tanto alla gente ospitata quanto a quella ospitante, ossia proprio agli Europei: sono essi a doversi adeguare a quel modello, sacrificando a quell’idolo la loro identità, storia e tradizione. Abbiamo quindi una propaganda settaria che mira principalmente a svellere le radici culturali e sociali dell’Europa, a dissolvere quel poco che resta dell’identità cristiana nella civiltà occidentale. Insomma, il fenomeno pilotato della invasione “migratoria” non mira a costruire una futura civiltà “pluralista ed ecumenica”, ma a dissolvere la passata civiltà cristiana per sostituirla con una non-civiltà a carattere scettico e immorale, tribale e caotico.
Allora, appare ancor più evidente la malafede di coloro che insistono nel paragonare le passate emigrazioni di alcune genti europee (italiani, irlandesi, polacchi…) verso il vasto continente americano con le attuali “migrazioni” di genti afro-asiatiche verso il piccolo continente europeo. Quegl’intellettuali, politici ed ecclesiastici, in cerca di nuove giustificazioni e clientele, che si ostinano a fare un tale paragone, mentono sapendo di mentire, ossia, per usare una dimenticata formula teologica, “impugnano la verità conosciuta”, commettendo un peccato contro lo Spirito Santo.
https://www.riscossacristiana.it/il-migrante-un-nuovo-idolo-cui-sacrificare-la-civilta-cristiana-di-guido-vignelli/
SANTITÀ, QUELLA VIOLENZA NON È CIECA.
HA UN NOME, CI VEDE BENISSIMO,
E MIRA LONTANO…
di Marco Tosatti
Maometto guida alla guerra
Ho letto oggi il tweet dell’account twitter di Papa Francesco sui fatti di questi giorni. Eccolo: “Prego per tutte le vittime degli attentati di questi giorni. La violenza cieca del terrorismo non trovi più spazio nel mondo”.
Ieri avevo letto alcune frasi pronunciate dal segretario generale della Cei, mons. Galantino, in una trasmissione televisiva, e rilanciate dal SIR, l’agenzia di stampa dei vescovi. “Le contrapposizioni non portano da nessuna parte e fanno soltanto vittime. Questo è vero anche nelle nostre famiglie”, ha detto il prelato. Mi è sembrato un po’ enigmatico. A chi si contrapponevano quei poveretti falciati sulle Ramblas? Ha continuato così, cito il SIR:
Ora qui mi permetto di dissentire, e con motivo. C’è una religione che nei suoi testi sacri, il Corano e gli Hadith, cioè i detti e i fatti di Maometto, in ben 123 (cento venti tre punti) incita esattamente a questo. (Controllate qui, se non mi credete).
Chi ha studiato, e letto testi e storia, e ha una certa esperienza di mondo, anche musulmano, sa benissimo, e ne è felice, del fatto che esistono sicuramente musulmani moderati. Ma si rende anche conto che a causa della sua struttura, e dell’intoccabilità che circonda il Corano, non contestualizzabile né storicizzabile, pena l’accusa mortale di blasfemia, chi ammazza gridando Allahu Akbar ha basi scritturali per farlo, che nessuna fatwa può cancellare.
Difficilmente può apparire (anche vista la storia del suo fondatore, e gli hadith, gesti e parole fondanti al pari del Corano) una religione di pace; o principalmente di pace. Come dicevamo prima, cento venti tre, (123) versi del Corano sono relativi a combattere e uccidere per la causa di Allah. Con obiettivo atei, miscredenti, associatori e, last but not least, chi sceglie un’altra religione.
E questo la rende una religione sicuramente diversa dalle altre: dal buddismo e dal cristianesimo sicuramente, anche se in entrambe le manifestazioni di violenza ci sono sempre state. Ma il Vangelo, testo fondante del cristianesimo, ci mostra Gesù che rifiuta di essere difeso a mano armata da Pietro, nel momento dell’arresto, prologo alla morte. Poi, che i cristiani come chiunque altro ne abbiano fatte di cotte e di crude, è un altro discorso; ma non si può dire che seguissero l’esempio e le parole del fondatore.
Quindi è evidente che l’islam ha un problema, e grosso, nel suo rapporto con la violenza. Ci voleva il coraggio e la lucidità intellettuale di Benedetto XVI, per porre il problema sul tappeto. Non si può chiedere ai suoi epigoni altrettanto coraggio e dirittura intellettuale. Ma le fiabe no, per favore. E, Santità, questa violenza non è cieca per niente. Ha un nome, è islamica. Ci vede benissimo, e mira lontano. I ciechi siamo noi…
Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: Stilum Curiae
Maometto guida alla guerra
Ieri avevo letto alcune frasi pronunciate dal segretario generale della Cei, mons. Galantino, in una trasmissione televisiva, e rilanciate dal SIR, l’agenzia di stampa dei vescovi. “Le contrapposizioni non portano da nessuna parte e fanno soltanto vittime. Questo è vero anche nelle nostre famiglie”, ha detto il prelato. Mi è sembrato un po’ enigmatico. A chi si contrapponevano quei poveretti falciati sulle Ramblas? Ha continuato così, cito il SIR:
Alla domanda su un uso della religione come “strumento di attacco culturale”, il presule ha risposto: “Quando non ce la faccio ad avere ragioni per dire all’altro che deve andare via, allora capita di ammantare tutto di religione e di ideologia. Questa è una strumentalizzazione della religione, perché la religione di per sé non permette di prendere a pedate l’altro”.
Ora qui mi permetto di dissentire, e con motivo. C’è una religione che nei suoi testi sacri, il Corano e gli Hadith, cioè i detti e i fatti di Maometto, in ben 123 (cento venti tre punti) incita esattamente a questo. (Controllate qui, se non mi credete).
Chi ha studiato, e letto testi e storia, e ha una certa esperienza di mondo, anche musulmano, sa benissimo, e ne è felice, del fatto che esistono sicuramente musulmani moderati. Ma si rende anche conto che a causa della sua struttura, e dell’intoccabilità che circonda il Corano, non contestualizzabile né storicizzabile, pena l’accusa mortale di blasfemia, chi ammazza gridando Allahu Akbar ha basi scritturali per farlo, che nessuna fatwa può cancellare.
Difficilmente può apparire (anche vista la storia del suo fondatore, e gli hadith, gesti e parole fondanti al pari del Corano) una religione di pace; o principalmente di pace. Come dicevamo prima, cento venti tre, (123) versi del Corano sono relativi a combattere e uccidere per la causa di Allah. Con obiettivo atei, miscredenti, associatori e, last but not least, chi sceglie un’altra religione.
E questo la rende una religione sicuramente diversa dalle altre: dal buddismo e dal cristianesimo sicuramente, anche se in entrambe le manifestazioni di violenza ci sono sempre state. Ma il Vangelo, testo fondante del cristianesimo, ci mostra Gesù che rifiuta di essere difeso a mano armata da Pietro, nel momento dell’arresto, prologo alla morte. Poi, che i cristiani come chiunque altro ne abbiano fatte di cotte e di crude, è un altro discorso; ma non si può dire che seguissero l’esempio e le parole del fondatore.
Quindi è evidente che l’islam ha un problema, e grosso, nel suo rapporto con la violenza. Ci voleva il coraggio e la lucidità intellettuale di Benedetto XVI, per porre il problema sul tappeto. Non si può chiedere ai suoi epigoni altrettanto coraggio e dirittura intellettuale. Ma le fiabe no, per favore. E, Santità, questa violenza non è cieca per niente. Ha un nome, è islamica. Ci vede benissimo, e mira lontano. I ciechi siamo noi…
EURISLAM
di Don Curzio Nitoglia
PrologoÈ appena uscito un interessantissimo libro di Danilo Quinto intitolato Eurislam. L’invasione dell’Europa e la caduta dei valori occidentali (1) (Cagliari, Arkadia Editore, 2017 (2)).
Autolesionismo europeo
L’autore ci mette in guardia dal pericolo che stiamo correndo di assecondare il piano di conquista dell’Occidente da parte dell’Islam, che si avvale della nostra “irrefrenabile volontà di autodistruzione” (D. QUINTO, cit., p. 11).
Questa volontà autolesionistica consiste, secondo Quinto, specialmente nella mancanza di incremento della nostra popolazione, che mette a rischio la sopravvivenza delle nostre società perché mentre gli islamici son prolifici, “noi non ci sposiamo più e, se ci sposiamo, non facciamo più figli (perché abortiamo e usiamo sistemi contraccettivi) o, se li facciamo, siamo costretti a mandarli all’estero (sono 120. 000 i giovani italiani che ogni anno lo fanno)” (cit., ivi).
Una Nazione è totalmente dipendente dalla sua demografia e può scomparire o trasformarsi radicalmente e molto rapidamente nel caso si verifichi un crollo del tasso di natalità, che è come una peste o una guerra. Ora l’Europa è scesa demograficamente in maniera costante e impressionante a partire dalla fine del Cinquanta. Essa ha scelto il suicidio demografico: “Nel 2016, per la prima volta nella storia, l’area dell’Unione Europea ha registrato più morti che nascite. Mai nella storia Nazioni prospere e pacifiche avevano ancora scelto di scomparire dalla faccia della terra. Eppure questo è ciò che gli europei hanno scelto di fare. […]. Se la demografia è il destino, l’Italia sta morendo. Letteralmente. A partire dal 1994, ogni anno il numero delle nascite è superato dal numero dei morti” (D. QUINTO, cit., p. 174 e 175).
Tuttavia le ragioni di carattere economico o morale sono la conseguenza dei princìpi. Una Nazione non muore per sole ragioni di carattere economico o etico, ma per mancanza di princìpi, che comporta la mancanza di valori.
Alan Guttmacher Frank, Presidente della Federazione americana Planned Parenthood è una figura centrale di quel movimento ideologico che ha inciso sulle politiche antinataliste mondiali, le quali rifiutano ogni dimensione soprannaturale e si fondano sulla assoluta autodeterminazione e autosufficienza dell’uomo. Secondo lui un efficace programma di contraccezione sarebbe stato in grado di apportare “un significativo contributo a un Nuovo Ordine Mondiale” (cit., p. 179). Inoltre C. Brock Chisholm, primo Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato che “per raggiungere un governo mondiale è necessario rimuovere dalle menti degli uomini la fedeltà alle tradizioni di famiglia, il patriottismo nazionale e i dogmi religiosi” (ivi) e molto tempo prima aveva detto: “occorre praticare la limitazione delle nascite e i matrimoni misti (tra razze differenti) e ciò in vista di creare una sola razza in un mondo unico dipendente da un’autorità centrale” (Intervista a Usa Magazine, 12 agosto 1955).
Come mai non riusciamo a vedere la realtà? si domanda l’autore, che risponde citando Solgenitsin: “Erriamo non perché la verità sia difficile da vedere. Essa è visibile a colpo d’occhio. Erriamo perché la bugia è più confortevole” (cit., p. 12).
I “rifugiati” non sono i “migranti”
Poi Danilo Quinto fa una distinzione che è fondamentale per capire bene quel che succede ed agire conseguentemente per la difesa e la salvaguardia della nostra civiltà e religione (greco/romana e cristiana). Essa è la seguente: i “rifugiati” sono coloro che fuggono da un Paese perché ivi perseguitati, ma costoro sono “solo una piccolissima parte di coloro che determinano l’islamizzazione dell’Italia e del continente europeo”, tali sono i “migranti”, che lasciano la loro Patria per islamizzare la nostra (cit., p. 26). Per cui si possono accogliere i “rifugiati” perché perseguitati nel loro Paese, a condizione che non vogliano dettar legge nel nostro, ma non si devono accogliere i “migranti” perché vengono per conquistarci, prima con l’arma demografica e poi con la scimitarra.
Inoltre occorre tenere bene a mente che l’Islam tende alla conquista delle terre straniere non solo direttamente con la guerra santa o jihad, ma anche indirettamente con l’immigrazione in esse. Quindi i migranti equivalgono, per l’islamismo, ad una sorta di jihadisti.
Erdogan, il leader turco, il 17 marzo del 2017 ha detto in un comizio pubblico al suo popolo: “fate almeno 5 figli, il futuro è vostro”. Infatti diventare più numerosi del nemico da abbattere o conquistare è uno dei modi di condurre una guerra di conquista.
Islamizzazione dell’Europa
Danilo Quinto cita (p. 34) uno dei maggiori islamologi contemporanei, Bassam Tibi (Les conditions d’un Euro-Islam, Parigi, Editions de l’Aube, 1995), che ha introdotto l’idea di una reale integrazione dei musulmani in Europa, assumendo il concetto liberale e illuminista della europeizzazione dell’Islam, da lui ritenuta in un primo tempo possibile, nel senso di una reale volontà dei musulmani venuti in Europa di diventare cittadini europei nel loro cuore e non solo a parole. Secondo Tibi l’Islam europeo deve accettare la nozione liberale della separazione tra Stato e Chiesa, che l’Islam non concepisce affatto perché nega anche la distinzione tra i due poteri. Secondo la Chiesa cattolica Stato e Chiesa sono distinti, ma non separati (come anima e corpo) e debbono cooperare in gerarchia di subordinazione del fine temporale a quello spirituale; secondo il liberalismo essi devono essere separati e lo Stato deve essere del tutto indipendente dalla Chiesa e da Dio; mentre secondo l’Islam i due poteri coincidono di modo che lo Stato islamico mette direttamente in pratica ciò che dice il profeta Maometto, ciò che si trova scritto nel Corano e ciò che predicano gli imam.
Tuttavia in un secondo tempo (2106) Tibi ha preso atto che la sua idea di possibile europeizzazione o assimilazione dell’Islam era fallita e infine ha riconosciuto che la natura dell’Islam è addirittura quella della volontà di islamizzare l’Europa, anche mediante una guerra di religione (cit.,p. 35).
Animalismo contro Cristianesimo
«Chi si chiede che cosa avverrà dei Cristiani europei, potrebbe sin d’ora rispondere con quello che avviene dei Cristiani che vivono nei paesi musulmani. È una sorte certa perché predetta dal Fondatore: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato Me. […]. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi” (Gv., XV, 18-20). […].
Sorpassato il Calvario degli orrori subiti durante il XX secolo, specialmente sotto i regimi comunisti, oggi è soprattutto negli Stati islamici che i Cristiani subiscono le più gravi persecuzioni. […]. Una vera strage che il mondo ignora, mentre organizza campagne con leggi da esaltati, a difese delle foche, dei cani, dei gatti, dei cavalli…, senza mai muovere neppure un dito per difendere esseri umani, la cui colpa è unicamente quella di voler testimoniare la propria fede nella religione cristiana» (cit., pp. 37-38).
Le colpe dell’Occidente
Padre Rebwar Basa, un iracheno ordinato sacerdote a Mossul, è stato contestato durante la sua conferenza al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini nell’agosto del 2016, perché stava raccontando in maniera non politicamente corretta quanto aveva visto in Iraq: i cristiani sono l’obiettivo principale della persecuzione scatenata dagli integralisti musulmani; in Europa si ha paura di parlare chiaramente per non urtare la sensibilità delle altre religioni; in Europa ci sono ragazzi che partono per la Siria e l’Iraq pronti a morire per l’Islam, mentre i cattolici non son pronti nemmeno ad andare abitualmente alla S. Messa domenicale.
Perché i cristiani sono i più perseguitati dall’Islam? Innanzitutto perché sono la religione più numerosa al mondo e questo infastidisce l’Islam; poi sono una minoranza nei Paesi in cui è in atto un tentativo di rendere l’Islam religione di Stato; infine essi erano presenti in quei Paesi prima che Maometto nascesse. Quindi il Cristianesimo diventa l’obiettivo principale su cui sfogare il proprio livore.
Certamente occorre specificare che le comunità cristiane più sofferenti (in Siria e in Iraq) sono quelle che stanno pagano il prezzo delle guerre scatenate dall’Occidente (e specialmente dagli Usa, Gran Bretagna e dalla Francia). In Iraq dopo la guerra del 2003 e l’invasione americana ogni genere di violenza si è abbattuta contro i cristiani da parte degli integralisti islamici, che sotto Saddam non esistevano in quel Paese. Sino al 2003 i cristiani irakeni erano circa un milione e mezzo, oggi sono appena 200 mila e l’Occidente non protesta. Ha demonizzato Saddam, ha divinizzato Bush, ma non ha speso una parola in difesa dei cristiani perseguitati (3).
In Siria la presenza cristiana è coeva agli Apostoli, ben tre secoli dopo la conquista musulmana la maggioranza della popolazione siriana era ancora cristiana. Prima della guerra del 2011, scatenata dagli Usa contro Assad, i cristiani siriani erano circa 2 milioni, molti di essi son stati uccisi o han dovuto lasciare la Patria. Giustamente Danilo Quinto nota che “l’esercito siriano di Assad [è] l’unico che con i russi combatte realmente Daesh” (cit., p. 44).
Bashar al Assad ha dichiarato che è l’Occidente ad avere sulla coscienza queste devastazioni e queste morti. Infatti secondo il Presidente siriano “è il popolo siriano che deve scegliere il proprio Presidente e decidere chi è il colpevole di questa guerra e delle sue conseguenze. Certo non le Nazioni Unite. E sappiamo qual è la causa: dal crollo dell’Urss, alcuni Paesi del Consiglio di Sicurezza, cioè Usa, Francia e Gran Bretagna, hanno usato l’Onu per affermare i propri interessi e rovesciare i Governi che non si allineavano ad essi. […]. Non tutti coloro che hanno lasciato la Siria lo hanno fatto a causa del terrorismo e delle distruzioni. Molti sono scappati per le difficoltà ulteriori portate dall’embargo decretato dall’Europa e dagli Usa, che ha reso ancora più difficile la vita della gente comune. Così l’embargo è diventato di fatto un alleato dei terroristi nello spingere i siriani a fuggire verso altri Paesi” (cit., p. 45).
Mons. Giuseppe Nazzaro
Il vescovo di Aleppo Mons. Giuseppe Nazzaro nell’aprile del 2015 in un convegno alla Normale di Pisa sulla situazione siriana disse: “le ragioni della guerra in Siria sono le stesse di tutte le guerre: il petrolio, il gas, i soldi insomma. I ribelli (detti) ‘moderati’ sono stati prima fomentati e foraggiati dall’Occidente, poi, quando si sono trasformati in terroristi, sono stati combattuti. Come in Iraq o in Afghanistan. Il Presidente Assad non ha ceduto alle richieste occidentali di far passare un oleodotto e un gasdotto attraverso la Siria destinati al Mediterraneo perché voleva conservare queste risorse per il Paese. […]. Saranno i nostri pronipoti ad assistere e forse a morire per la nostra religione, che noi ci siamo dimenticati. La grossa differenza è che noi non abbiamo mai letto il Vangelo, i terroristi dell’Isis sanno a memoria il Corano. E non puoi pretendere di imporre la democrazia nella forma occidentale in Paesi che culturalmente e storicamente non la capiscono e non la capiranno mai” (cit., p. 53).
Monsignor Emil Shimoun Nona, per anni arcivescovo di Mossul in Iraq, il 10 agosto 2014, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera dichiarò: “le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e Cristiani occidentali nel prossimo futuro. […]. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri princìpi [liberali e democratici, ndr]. Se non lo capite in tempo diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra” (cit. p. 55).
Il 1° luglio del 2016 a Dacca (la capitale del Bangladesh) un commando di 9 jihadisti prende in ostaggio decine di persone in un Hotel. Tra di essi vi erano 9 italiani, squartati vivi, senza colpo di grazia, per 12 lunghe ore. Ma la cosa più sorprendente, che nota Danilo Quinto, è la seguente: “La sera dell’attentato di Dacca, in Italia si giocarono le partite di calcio, si continuò a guardare la televisione. I giocatori che rincorrevano la palla negli stadi, misero una fascia nera al braccio. Ci fu un minuto di silenzio. […]. Non ci si ribellò. Non si gridò contro l’inconcepibile. Eppure, tutti fummo sgozzati, quella sera. […]. Sì, questi sono i frutti di una cultura eretica, ma guai a dirlo! Siete razzisti, poco misericordiosi, crociati! Allora, camminiamo per strada e allontaniamo il pensiero che dietro chi accogliamo c’è un mondo di male e anche legami certi con i carnefici. Non si deve dire. Non è politicamente corretto. Alzatevi! Gridate dai tetti la Verità. Riappropriatevi delle vostre vite, della dignità stuprata di menti assopite grazie a una democrazia scialba e menzognera. Basta accogliere per cancellare quello che siamo” (cit., p. 64).
Lo “jus soli”, Aristotele e S. Tommaso d’Aquino
In Italia si cerca di promulgare una legge, chiamata “jus soli”, la quale permetterebbe a chi nasce in Italia anche se da genitori non italiani, di essere ipso facto cittadino italiano. Ora Aristotele (Politica, libro III, cap. 1, lezione 1) ripreso da S. Tommaso d’Aquino (S. Th., I-II, q. 104, a. 1) insegna che “si possono considerare come cittadini solo quelli che iniziarono ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal loro nonno”. Infatti se si accolgono indiscriminatamente tutti coloro che nascono in una Nazione, non avendo ancora essi un forte amore verso di essa, ciò potrebbe nuocere alla Nazione. Perciò possono essere considerati come cittadini integrati solo gli stranieri di terza generazione, cioè integrati nella Nazione a partire dal nonno. Ora in Italia ci ritroviamo invasi da alcuni milioni di musulmani, che non vogliono integrarsi e siccome l’Islam è una religione conquistatrice, forse, un giorno anche l’Italia potrebbe fare la fine dell’Iraq e della Siria.
Le previsioni del card. Biffi
Il cardinal Giacomo Biffi qualche tempo fa ha pubblicato due interessantissimi libretti (Islàm e Cristianesimo, 6 agosto 2000. La città di San Petronio nel terzo millennio, 12 settembre 2000) ed è stato uno dei primi ad aver scritto che il problema della migrazione di massa d’interi popoli musulmani (che non vogliono rinunciare alle loro tradizioni, anzi vogliono imporle) in Europa e in Italia è molto grave, drammatico e reale. Occorre, perciò, affrontarlo con realismo e coraggio.
Questa non è arabo-fobia, provocata dalla guerra bushista (2003) contro l’Iraq, poi (2011) la Tunisia, la Libia e l’Egitto e da quella israeliana contro la Palestina ed oggi la Siria (2012-2013), cioè contro i Paesi arabi laici e non teocratici, con il risultato di mandare al potere gli integralisti sciiti in Iraq, di rafforzare, dopo averla creata, Hamas in Palestina e di installare regimi di guerriglieri integralisti negli altri Paesi succitati.
L’Europa e l’Italia non sono diventate un deserto – continua il porporato – senza storia né tradizione, da popolare indiscriminatamente, senza rispettare il loro patrimonio culturale e spirituale che non deve andar smarrito, ma non è difeso proprio da coloro che dovrebbero farlo (i Governanti e i Chierici).
L’ebraismo in Israele è esclusivista e non vuole mescolarsi con gli arabi (come scrive Sergio Romano), mentre in Europa spinge alla società multi religiosa-etnica e culturale. Nel 1951 il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, chiese al Campidoglio di costruire gratuitamente una moschea nella Città santa del cattolicesimo (4), cosa che si è realizzata nel 1993, mentre in Israele ciò sarebbe impensabile (5). Mi sembra – pertanto – lecito domandarsi: tale “migrazione” o meglio invasione musulmana dell’Italia e dell’Europa da chi è stata chiesta, voluta e pianificata? E chi – supinamente – l’ha accettata?
Se i musulmani, continua Biffi, vogliono restare estranei e diversi per farci diventare come loro ed imporre l’Islàm dobbiamo difenderci. Il cardinale conclude: l’Europa o ridiventerà sinceramente e profondamente cristiana, o diverrà musulmana. Se non recupera le sue radici e la sua linfa non reggerà all’assalto. Solo la riscoperta del cristianesimo e la resurrezione della Cristianità potrà farci resistere all’attacco che (scriveva nel 2000 Biffi) non mancherà, e oggi (2013) è in atto sotto gli occhi di tutti. Speriamo che la drammaticità della situazione risvegli la sana ragione e la Fede, che sono obnubilate dai Governanti e dai Pastori.
Purtroppo debbo costatare (e “contro il fatto non vale l’argomento”) che il massimo teorico ed operatore della società multi-razziale culturale e religiosa (arrivando persino a baciare il Corano in pubblico) è stato Giovanni Paolo II, con la teoria dell’accoglienza indiscriminata, anche degli irregolari (o clandestini fuori della legge), continuato da Benedetto XVI e anche da Francesco I.
S. Tommaso d’Aquino e la natura dell’Islam
Il Dottore Angelico nella Summa contra Gentiles (lib. I, cap. 6) scrive: “Maometto, allettò i popoli con la promessa di piaceri carnali. Inoltre diede precetti conformi a queste promesse, sciogliendo le briglie alle passioni sensuali, in cui è facile farsi obbedire dagli uomini carnali. Inoltre le verità che egli insegnò sono mescolate a favole e a dottrine false. […]. Disse anche di essere stato inviato con la potenza delle armi. Inoltre a lui credettero inizialmente uomini rozzi e abitanti nei deserti e servendosi poi del loro numero, egli costrinse gli altri ad accettare la sua legge con la forza delle armi. Per di più egli guasta gli insegnamenti del Vecchio e del Nuovo Testamento con racconti inverosimili. […]. Quindi è evidente che coloro che credono in lui compiono un atto di leggerezza”.
Distinguere cultura araba da islamismo
Occorre distinguere la metafisica araba medievale e l’islamismo, che non sono la medesima cosa. Non tutto ciò che viene dal mondo arabo è nocivo, le sue nozioni matematiche, algebriche, architettoniche, mediche e scientifiche sono state riprese dall’Europa, la sua metafisica ha fortemente aiutato S. Tommaso d’Aquino a penetrare Aristotele e a sorpassarlo con la metafisica dell’essere mentre lo Stagirita si era fermata a quella della sostanza. I regimi panarabi, nazionalisti e sociali non sono l’Islam integrale, ma piuttosto il volto umano e civile della cultura araba moderna, laica e pronta a confrontarsi con la cultura della Vecchia Europa, dalla quale il partito Baath molto ha mutuato. In secondo luogo il sensismo illuministico britannico e il pragmatismo liberale americano sono totalmente incompatibili con la metafisica dell’essere (greco/romana/medievale scolastica) e con la civiltà europea che è greco/romana e cristiana e non “talmudico/cristiana”, formula che rappresenta una contraddizione nei termini. Infine il neo-conservatorismo americano che ha scatenato il “terrore infinito” in Medio Oriente è la negazione dei valori della Vecchia Europa. Per cui bisogna essere molto attenti a non equiparare islamismo e cultura araba, neo-conservatorismo atlantico e civiltà europea (6).
La cultura indo-cinese fu trasmessa in Europa proprio dall’islam (si pensi ai numeri “arabi” che in realtà erano indiani, ma che ci furono fatti conoscere dagli arabi, alla conoscenza dell’algebra, della trigonometria, del numero zero, all’invenzione della carta che rimpiazzò le costose pergamene, alla tecnica idraulica, alla scienza chimica e all’architettura orientale sconosciuta sin allora in Europa). Si pensi all’università al-Azhar nata nel X secolo nel Cairo in Egitto, alle scuole di pensiero (“madrasse”) nate nelle città di Bassora in Persia, di Baghdad nell’attuale Iraq, di Cordoba, Toledo e Granada in Spagna, di Palermo e Agrigento in Sicilia. Nell’813 a Baghdad fu fondata la “Casa della sapienza” sostenuta da al-Kindì (800-873), il primo filosofo musulmano vissuto a Bassora e a Baghdad, revisore delle prime traduzioni di Aristotele in arabo, e da al-Farabì († 950), il primo filosofo musulmano che ha insegnato a Baghdad e ha commentato la Metafisica e la Logica di Aristotele ed è stato ripreso da Avicenna ed Averroè, ma la “Casa della sapienza” fu avversata dal teologo al-Ashari nato a Bassora nell’attuale Iraq († 935), il quale si fondava sulla sola lettera eterna del Corano scritta nel tempo da Maometto. La “Casa della sapienza” era una scuola filosofica (“falasifà”, filosofia) e teologica (“kalàm”, teologia) islamica, che ha tradotto in arabo i classici greci e latini i cui manoscritti si trovavano in Bisanzio e li ha fatti conoscere all’Europa facendoli transitare attraverso l’Africa bianca, la Spagna e la Sicilia, grazie ai “warraqìn” o copisti di Baghdad dell’VIII secolo, ed ha fatto conoscere in Europa nel X/XII secolo, grazie ai filosofi (“falasifiti”) e teologi (“mutaziliti”) musulmani, Aristotele commentato da Avicenna nato a Bukarà in Persia († 1037) e Averroè nato a Cordova in Spagna († 1198). La filosofia araba aveva fatto passi da gigante in metafisica soprattutto sulla distinzione reale tra essenza ed essere, che non era stata chiaramente definita da Aristotele, e tramite la quale i filosofi arabi distinsero le creature (che ricevono l’essere nella loro essenza finita) dal Creatore (che è il suo stesso essere per essenza). Tuttavia il teologo e sufi al-Gazalì nato a Tus in Persia († 1111) condannò in blocco ogni speculazione filosofica e teologica e divenne il maestro più ascoltato dall’islam. Perciò, mentre Avicenna e Averroè non avranno più alcun influsso notevole sullo sviluppo del pensiero arabo islamico, la cultura araba si fermò alla sola conoscenza letterale del Corano e della Sunna (la vita di Maometto o “tradizione”) e conobbe nel XII/XIII secolo con al-Gazalì e la distruzione di Bagdad la fine del suo splendore e l’inizio di un impoverimento speculativo. Si pensi che le prime traduzioni di Aristotele in ebraico risalgono a Gabirol detto anche Avicebron († 1058) e quelle in latino a Severino Boezio († 524), ma solo per la Logica e non per la Metafisica, e poi tra il 1260-70 al domenicano Guglielmo di Moerbeke, che rivide e tradusse tutte le opere di Aristotele dietro richiesta di San Tommaso d’Aquino († 1274), il quale le commentò. Come si vede l’islam ha conosciuto sin dall’inizio una lotta culturale tra fondamentalismo teologico (al-Hasan e al-Gazalì) e approfondimento speculativo filosofico, lotta che si rinnova oggi nella guerra del fondamentalismo ideologico militare e politico contro il nazionalismo sociale. Non sarebbe giusto presentare l’islam solo come fondamentalismo o solamente come speculazione, cultura e nazionalismo sociale-politico. Esso ha entrambi gli elementi e nel tempo remoto ha prevalso quello fondamentalista, che ha impoverito la sua cultura originaria, come oggi il radicalismo ideologico islamista sta gettando nel caos Paesi che avevano raggiunto un certo grado di civiltà e di benessere non trascurabile (v. l’Iraq, la Libia, l’Egitto e la Siria per non parlare dell’Iran) (7).
Secondo p. Reginaldo Garrigou-Lagrange “S. Tommaso si mostra versatissimo nella filosofia araba ed ha visto esattamente quello che c’era in essa di giusto e di falso. Sembra, come ritiene anche mons. Martin Grabmann (8) e De Wulf (9) che abbia stimato più Avicenna che Aristotele” (La Sintesi tomistica,, Brescia, Morcelliana, 1952, p. 15).
La distruzione di Baghdad nel 1258 ad opera dei Mongoli aveva segnato la fine della cultura araba, che nel Mille e Millecento ha conosciuto il suo periodo d’oro (con pensatori e capi spirituali o “imàm” profondi supportati da Stati forti e centralizzati) e dopo il 1258 è decaduta da cultura cosmopolita a religiosità popolare, rurale e regionale tenuta viva dalle confraternite (“turuq”), che hanno diviso interiormente il mondo arabo, ulteriormente spezzettato geo-politicamente, dopo la caduta dell’impero ottomano (1917), dall’Inghilterra e dalla Francia.
Però l’introduzione tardiva della modernità filosofica soggettivista, relativista e razionalista nei Paesi islamici, non conciliabile con la loro tradizione religiosa, generò un turbamento traumatico nelle popolazioni del vicino e medio Oriente, anche a causa del colonialismo anglo-francese, il quale non è stato accettato dal mondo arabo perché più propenso a sfruttare economicamente che a civilizzare e ad evangelizzare.
Padre de Foucauld e le colpe dell’Occidente
Padre Charles de Foucauld (1858-1916), missionario in Algeria e Marocco, aveva spiegato bene alle autorità francesi il pericolo di un colonialismo principalmente materiale e sfruttatore non apportatore di cultura e Vangelo, incapace di conquistare le menti e le volontà degli arabi: «Occorre che l’annessione geografica e materiale sia seguita da quella spirituale» (R. BAZIN, Charles de Foucauld. Esploratore del Marocco, eremita nel Sahara, Milano, Paoline, 2005, p. 283). In breve occorre portare agli arabi il Vangelo, che possiede il potere di cambiare le anime nel profondo, e non il solo benessere materiale poiché gli arabi sono ancora immuni dal razionalismo illuministico e sono tuttora profondamente ordinati al Trascendente, perciò disprezzano l’ateismo e l’agnosticismo. Purtroppo l’Europa moderna (ad eccezione dei missionari inviati dalla Chiesa e non supportati dal potere statale laicista) ha portato nel mondo arabo la cultura illuminista, agnostica, lo sviluppo tecnologico e non è stata accettata dagli arabi, anzi è stata pian piano odiata e non del tutto ingiustamente.
Il Nuovo Ordine Mondiale e l’invasione dei migranti
Danilo Quinto (cit., p. 165) cita il Presidente ungherese Viktor Orban, che nel giugno del 2016 disse: “George Soros fa opposizione al governo sostenendo gruppi non governativi, che vogliono rigettare la posizione dell’esecutivo sulla questione dei migranti. […]. La gente non appoggia le politiche dei governi europei sui migranti, nonostante il sostegno finanziario che le ONG ricevono da George Soros, che sta cercando di causare problemi”.
Il Giornale del 6 marzo 2017 ha riportato che molti gruppi legati a Soros finanziano le navi soccorso dei migranti gestite da organizzazioni umanitarie (Médicins sans frontières, Save the children…). Soros ha stanziato 500 milioni di dollari per favorire l’arrivo di migranti in Europa e specialmente in Italia.
In Italia Emma Bonino promuove campagne a favore dell’accoglienza del maggior numero possibile di migranti. Danilo Quinto commenta: “è davvero paradossale che chi ha operato e opera, con tenace ostinazione, per la promozione dei sistemi contraccettivi, della legge sull’aborto […], contro l’obiezione di coscienza dei medici che non vogliono praticare gli aborti […], invochi ora il declino demografico per perorare l’afflusso dei migranti nel nostro territorio” (cit., p. 167). Quindi conclude: “uno Stato colabrodo, che non promuove più la scuola professionale e la formazione dei giovani, per garantire un lavoro certo, e non garantisce i diritti di assistenza degli anziani, deve sopravvivere grazie a milioni di persone estranee alla nostra cultura, alla nostra tradizione e alla nostra identità. A guardar bene, uno Stato con queste caratteristiche è uno Stato già morto, che si vuole definitivamente seppellire” (cit., p. 168).
Il piano massonico
Il 7 settembre 2015 ben 28 Obbedienze Massoniche europee pubblicano una Dichiarazione rivolta alle istituzioni comunitarie in cui invitano i governi europei ad accogliere i migranti, superando gli egoismi nazionali; secondo la Dichiarazione massonica “la tragedia dei migranti deve considerarsi il crogiolo di rinascita e rinnovamento del sogno europeo, fondato sulla solidarietà e sulla fraternità”.
Quinto commenta che l’identità dell’Europa è nata con la filosofia greco/romana di Socrate, Platone, Aristotele e Seneca, la quale si basava sulla “cura dell’anima”, ma siccome ha smarrito la sua filosofia originaria ora si trova in uno stato comatoso. Senza la sua filosofia l’Europa diventa una mera entità geografica che potrà essere integrata da qualsiasi valore o potenza e nel caso specifico dalle “pratiche abortive ed antinataliste e da un’accoglienza sconsiderata a coloro che sono oggetti del traffico degli esseri umani. […]. Non si scardinano i princìpi per puro divertimento o a caso. Si scardinano perché l’eliminazione di quei princìpi favorisce l’affermazione di un nuovo potere anti-umano e quindi anti-cristico. Eliminare Dio dalla storia dell’uomo, non è cosa facile, però” (cit., p. 171 e 173).
Conclusione
Danilo Quinto chiude così il suo libro: “viviamo il paradosso di un Occidente che da un lato decreta l’embargo nei confronti della Russia - unico baluardo al mondo, oramai, della Cristianità - e, dall’altro, collabora economicamente e fa affari con i Paesi musulmani, che nella quasi loro totalità negano ai loro cittadini cristiani la dignità di persone” (cit., p. 192).
Aveva ben visto nel lontano 1936 Esseb Bey quando scriveva: “Il cavaliere di Maometto, batte di nuovo, come tredici secoli or sono, alla porta dell’Europa. Con rara energia, sfruttando magistralmente la debolezza dell’avversario, egli ha saputo costruire un nuovo mondo… Simbolo di questo nuovo mondo sono e restano i cavalieri del deserto, la lontana città della Mecca, la legge del Corano, la parola del profeta e il grido magico che tutto comprende: Allauh Akbar!” (Allah ist Gross, Vienna, 1936).
Raccomando lo studio del libro di Quinto in cui non si mena il can per l’aia, in cui con una grande onestà intellettuale e un vero rigore scientifico si citano le fonti e gli autori di ciò che viene detto senza stravolge fatti e detti, non si falsificano le notizie, ma le si espone e solo dopo le si commenta.
Saggiamente Gabriele Gatti nella sua Introduzione al libro di Quinto ha scritto: “abbiamo occhi e orecchie, ma non vogliamo vedere e ascoltare perché siamo resi ciechi e sordi dalla demagogia, dal populismo e dal buonismo. Non resta che augurare al lettore buona lettura e rammentare che quest’opera non è un incitamento all’odio, ma un invito a prendere coscienza (e conoscenza) della situazione che stiamo vivendo, aprendo gli occhi e ponendoci all’ascolto” (p. 9).
NOTE
1 - Occorre sempre distinguere l’Occidente atlantico, (ossia la cultura liberale, protestante e talmudica americana) dalla Vecchia Europa, che si fonda sulla metafisica di Platone e Aristotele, sull’etica di Seneca, sul Diritto Romano ed è stata perfezionata dalla Patristica e dalla Scolastica. Purtroppo l’Europa odierna ha rinnegato le sue radici culturali e spirituali e si è appiattita sul modello del pragmatismo liberista americano, divenendo un’appendice dell’Occidente atlantico. È, quindi, da rigettare un certo anti-arabismo sociale occidentalmente atlantico di marca neoconservatrice, che non è anti-islamismo teologico e che è apertamente filo- sionista e filo-americanista.
2 - Il libro consta di 200 pagine e costa 16 euro, può essere ordinato a Arkadia Editore info@arkadiaeditore.it ; tel. 070. 68. 48. 663.
3 - Si noti che i pochi Paesi guidati da capi musulmani laici, nazionalisti, non integralisti, sono stati destabilizzati dalle guerre occidentali mosse contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003, la Libia di Gheddafi , la Tunisia di Ben Alì e la Siria di Bashar al Assad nel 2010, le quali hanno, se non creato, almeno favorito il fenomeno del Califfato islamico. L’Europa poteva discutere con costoro, i Cristiani godevano una certa libertà di esistenza, ma l’Occidente li ha combattuti ed ha provocato il caos nel mondo intero.
4 - Lo stesso ELIO TOAFF lo racconta nella sua autobiografia Da Perfidi giudei a Fratelli maggiori, Milano, Mondadori, 1987.
5 - Per esempio, un militare israeliano ha ucciso oggi (21 giugno 2013), con una raffica di mitra, al Muro del Pianto un palestinese che aveva gridato: “Allah è grande”.
6 - Per approfondire questi temi cfr. C. NITOGLIA, Islam, metafisica medievale araba e filosofia moderna ebraica, Reggio Emilia, Edizioni Radio Spada, 2014 edizioniradiospada@gmail.com .
7 - Sull’argomento si può leggere con profitto H. CORBIN, Storia della filosofia islamica, Milano, Adelphi, 1973; E. BERTOLA, La filosofia ebraica, Milano, Vita & Pensiero, 1947; ID., Ibn-Gebirol (Avicebron), Milano, Vita & Pensiero, 1953; A. G. RIBB, L’islamismo. Una introduzione storica, Bologna, Il Mulino, 1970; G. C. ANAWATI – G. VAIDA (a cura di), La filosofia araba, in “Storia della Filosofia”, vol. V, Milano, Vallardi, 1976; E. GILSON, La filosofia nel Medioevo, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1973, cap. VI, par. 1, La filosofia araba, pp. 415-443; B. MONDIN, La Scolastica musulmana, in “Storia della Teologia”, Bologna, ESD, 1996, vol. II, pp. 192-210, Id., La Metafisica islamica del medioevo, in “Storia della Metafisica”, Bologna, ESD, vol. II, 1998, pp. 336-394.
8 - M. GRABMANN, I Commentari di S. Tommaso d’Aquino sulle opere di Aristotele, Lovanio, 1914; ID., I divieti ecclesiastici di Aristotele sotto Innocenzo III e Gregorio IX, in “Miscellanea Historiae Pontificiae”, n. 5, Roma, 1941.
9 - M. DE WULF, Histoire de la philosophie médiévale, Firenze, 1944-1949, 3 volumi.
Luigi Bisignani: "Papa Francesco scaricato dalla
Caritas e anche dal delfino Luis Antonio Tagle"
A predicare lo ius soli, in Italia, sono rimasti soltanto in due: Paolo Gentiloni e Papa Francesco. Lo sottolinea Luigi Bisignani in un commento su Il Tempo, in cui ricorda come entrambi, premier e Pontefice, siano stati messi all'angolo dai loro rispettivi apparati di comunicazione, "che hanno anticipato interventi previsti per momenti successivi". Quelli sullo ius soli, appunto. Ma i riflettori dell'Uomo che sussurrava ai potenti sono puntati, soprattutto, su Francesco, del quale scrive: "Oltre alla solita contrarietà della Curia, si è trovato ad affrontare il silenzio, nuovo ed inaspettato, non soltanto della Caritas italiana ma, soprattutto, di quella internazionale presieduta dal cardinale filippino Luis Antonio Tagle, considerato oggi il suo destino". Insomma, un Papa scaricato da tutti.
"Non è comunque un mistero che lo ius soli non attiri simpatie in Vaticano - riprende Bisignani -: il più tifoso della materia, monsignor Gian Carlo Perego, da capo della Fondazione cattolica Migrantes è stato spedito a fare il vescovo di Ferrara". Infine, un significativo retroscena. Secondo quanto scrive Bisignani, "a chi gli sussurra che sull'immigrazione bisogna andarci piano il Papa rilancia, potenziando il nuovo contestato Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, che addirittura guida ad interim perché ancora non ha trovato un prelato sufficientemente misericordioso per dirigerlo". L'isolamento è dunque quasi totale.
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