Una parte significativa dei fedeli di rito greco della Sicilia è in sofferenza. Tanto in sofferenza da scrivere una lettera aperta al Pontefice; queste persone hanno scelto Stilum Curiae per renderla pubblica, nella speranza che il Pontefice li aiuti a trovare una soluzione. La pubblichiamo subito, e la facciamo seguire da qualche elemento di spiegazione.
Beatissimo Padre, dopo un biennio di continui ricorsi presso la Congregazione delle Chiese Orientali e dopo l’umiliazione del silenzio di essa, e dopo aver interpellato altri dicasteri della Santa Sede, senza avere mai ricevuto alcuna risposta, ricorriamo a Vostra Santità quale ultima istanza e quale Vescovo di Roma, che presiede nella carità a tutte le Chiese.
Noi crediamo che la Chiesa Orientale in Piana degli Albanesi alla luce della Orientalium Ecclesiarum del Vaticano II, del magistero ordinario dei Sommi Pontefici ( Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI) meriti RISPETTO e sia trattata quale membro vitale dell’Una Santa Cattolica ed Apostolica Chiesa.
La testimonianza di fedeltà lunga ben cinque secoli nata dal martirio in terra d’Albania è un segno dell’amore all’unità della Chiesa nella sua diversità. L’odierno Eparca, da Vostra Santità scelto, rappresenta una ferita ecclesiologica ed ecumenica.
Vostra Santità giustamente abbraccia e ricerca l’unità con i patriarchi ortodossi; il nostro Eparca purtroppo dà segni di disprezzare, ed umilia in Vostro Nome ,la Tradizione della Chiesa Orientale.
La cattolicità quindi, è messa in pericolo dai cattolici stessi. Un ritorno alla prassi orientale ortodossa, Santità, ci sembra essere l’unico mezzo per avere il giusto rispetto ed il diritto all’esistenza.
È per questo, santità, perché non vediamo nessun’altra soluzione, dopo due anni in cui abbiamo cercato con tutti i mezzi un dialogo che ci è stato negato, che chiediamo un Vostro intervento. Ci affidiamo a Voi, Santità, sicuri che saprete trovare la forma e il modo per ottenere che la nostra comunità possa tornare a un modus vivendi compatibile con la Tradizione orientale, che si è perpetuata fino ad oggi, e che purtroppo le azioni del vescovo Gallaro, coscienti ed incoscienti, stanno mettendo in pericolo gravissimo.
Santità, ci aiuti a restare cattolici!
I fedeli italo albanesi di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Mezzojuso, Contessa Entellina, eredi di padre Giorgio Guzzetta, i fedeli della concattedrale della Martorana di Palermo.
Per dare un punto di riferimento a persone che vivono sparse in un’area territoriale frammentata, è stato creato un gruppo-presidio culturale-religioso su Facebook,
un “Presidio” per la difesa delle tradizioni culturali e religiose degli Albanesi di Sicilia, gli arbëreshë. La loro storia comincia nel XV secolo, dopo le imprese di Giorgio Castriota, Scanderbeg, quando gli ottomani invadono il loro Paese. Intere comunità cristiane lo abbandonano e si trasferiscono in Calabria e in Sicilia.
Da allora e fino ad oggi la chiesa albanese in comunione con Roma celebra in rito bizantino, e la lingua liturgica è il greco. Ci sono due Eparchie; una a Lungro, in Calabria, e l’altra in Sicilia con centro a Piana degli Albanesi. Due anni fa, dopo vari anni di difficoltà, venne nominato un nuovo vescovo: Giorgio Gallaro, nato in Sicilia, ma emigrato negli Stati Uniti, dove è diventato sacerdote. Di rito latino, poi melchita. E infine viene mandato dagli Stati Uniti in una realtà che per lui è completamente nuova. E qui nascono le prime perplessità. “Non era mai capitato né nella storia della diocesi, né in quella di Lungro, che ci fosse un vescovo non appartenente all’etnia albanese”, ci dicono. “Di solito il vescovo deve essere albanofono, e di rito bizantino. Perché viene nominato vescovo americano, che dal rito latino passa al rito melchita, a quello ruteno e infine si converte al rito bizantino?”. È certamente qualche cosa a cui dovrebbe rispondere la Congregazione per le Chiese orientali, che è diretta, nei suoi tre massimi esponenti, dal cardinale argentino Sandri, da un gesuita e da un domenicano.
A quanto pare il vescovo, che inizialmente aveva destato qualche speranza di riuscire a ricomporre una situazione spesso conflittuale nel clero, non è riuscito a conquistare il cuore di una buona parte dei fedeli. La questione della liturgia, e della lingua creano disagio e scontento: “Ma è normale che il vescovo di Piana degli Albanesi non conosca il greco? È la nostra lingua liturgica. Come fa a celebrare? In italiano.” ci dicono e un altro aggiunge: “Poi c’è anche una parte in arbëreshë, anche questo viene ignorato”. Non solo. Le donne della comunità, quando ha preso possesso della diocesi, si sono messe al lavoro per adattare al suo fisico gli abiti liturgici preziosi del primo vescovo di Piana. “Per noi hanno un significato sia dal punto di vista culturale, che storico; è un lavoro che proviene dalle suore, che hanno fatto un lavoro bellissimo, con ricami d’oro. È una tradizione; c’è un’importanza liturgica. Non li ha mai messi. Si veste all’americana in un modo che fa rabbrividire”. Anche alcune scelte e spostamenti di parroci, molto amati dai fedeli, hanno causato altro scontento e frizioni. Così come il rifiuto del vescovo di accogliere una delegazione di fedeli, o la decisione di accorciare alcune liturgie che gli sembravano troppo lunghe. O il trasferimento in zone decentrate di alcuni sacerdoti che, come ci dicono, “hanno il carisma della voce”: importante per la liturgia, che ha molte parti cantate e salmodiate.
E poi ci sono stati episodi di frizione e protesta che hanno esasperato una situazione che dall’attesa iniziale è passata verso il disagio aperto e la contestazione. Una manifestazione di protesta di centinaia di persone davanti all’episcopio non ha smosso la situazione, così come non sono servite a nulla le lettere scritte da tutti i paesi dell’eparchia a Roma e in Vaticano scritte – in maniera spontanea, non concordata, ci dicono, e firmate – per chiedere un intervento che riporti l’armonia in questa comunità così particolare, e, stranamente, ancora così religiosa. Ci sono vocazioni locali, e per cinque paesi i sacerdoti sono una trentina (c’è anche clero uxorato).
“Abbiamo fatto una grossa manifestazione, molto civile, tranquilla, davanti alla Curia, chiedendo di venirci incontro, di ricevere una delegazione per parlare con lui; è andato a Palermo”. Egualmente, i fedeli della chiesa Martorana di Palermo non avevano accettato il trasferimento del loro parroco, che amavano: “Questi fedeli volevano incontrarsi con lui, e temporeggiava. Tutte donne davanti all’episcopio chiedevano ci apra! Ha chiamato i carabinieri”.
Insomma, ai fedeli disillusi non è rimasta che la strada di un appello al Pontefice, nella speranza che non resti inascoltato.
MARCO TOSATTI
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