USA: SCUOLA CATTOLICA RIMUOVE LE STATUE RELIGIOSE – MADONNA
E BAMBINO INCLUSI – PER ESSERE PIÙ “INCLUSIVA”.
Una scuola cattolica negli Stati Uniti ha deciso di rimuovere tutte le statue religiose, e anche icone e immagini di minor grandezza, così da diventare più inclusiva. Naturalmente un gesto del genere ha provocato reazioni da parte di alcuni genitori cattolici. Gli oggetti rimossi sono stati messi in un deposito. La notizia è stata data dal Marin Independent Journal. La scuola interessata è un istituto domenicano, intitolato a San Domenico.
Shannon Fitzpatrick ha scritto una mail al Comitato direttivo della scuola: “Articolare un fondamento inclusivo – ha scritto – appare con il significato di lasciar cadere oltre 167 anni di tradizione di San Domenico come scuola cattolica e di avere paura, e di vergognarsi di celebrare il proprio patrimonio e ciò in cui si crede”, ha scritto Fitzpatrick, il cui figlio, di otto anni, frequenta l’istituto.
Kim Pipki, la cui figlia ha lasciato San Domenico due anni fa, dopo la promozione dalla terza media, ha detto alcune delle statue sono state importanti anche per le famiglie che non sono cattoliche. “La statua principale, quella che ha indignato tutti, era quella di Maria con il Bambino Gesù”, ha detto Pipki. “Era al centro del cortile della scuola primaria”. Pipki ha raccontato che la scuola aveva una cerimonia nella quale i bambini ponevano una corona sulla statua di Maria. “Era meno parlare di Dio, e più trasmettere alcune tradizione. La gente è rimasta choccata che la statua sia stata messa in deposito”.
Amy Skewes-Cox, che dirige il Consiglio dei fiduciari della scuola di San ha detto che la delocalizzazione e la rimozione di parte delle 180 icone religiose della scuola era “completamente in conformità” con il nuovo piano strategico di San Domenico, approvato all’unanimità dal Consiglio dei fiduciari e dalle Suore domenicane di San Rafael lo scorso anno. Ha detto che almeno 18 icone rimangono, tra cui una statua di s. Domenico al centro del campus.
Suor Maureen McInerney, Priora generale delle suore domenicane di San Rafael, ha detto di non aver visitato il campus e di non voler entrare nei dettagli. “San Domenico è una scuola cattolica; accoglie anche persone di tutte le fedi” ha detto. “Sta facendo uno sforzo per essere inclusiva di tutte le fedi”.
Un obiettivo dichiarato del piano strategico è quello di “rafforzare l’identità di San Domenico come independent school” e articolare chiaramente il suo “fondamento spirituale inclusivo”.
San Domenico è stata fondata dalle Suore Domenicane nel 1850 come una scuola indipendente, cattolica — che significa che non è di proprietà o gestito da una parrocchia o un ordine religioso. “San Domenico è una scuola cattolica e una scuola indipendente,” ha detto la preside Cecily Stock, “ma stavamo scoprendo dopo aver fatto qualche ricerca che nell’opinione pubblica più ampia eravamo conosciuti come una scuola cattolica e non come una scuola indipendente. Vogliamo fare in modo che le potenziali famiglie siano consapevoli del fatto che siamo una scuola indipendente”.
Di 660 studenti che frequentano la scuola di K-12, 121 sono residenti e 98 di questi vengono da British Columbia, Beijing, Shanghai, Hong Kong, Messico, Corea, Thailandia e Vietnam. Gli studenti che frequentano San Domenico provengono da una varietà di sfondi religiosi oltre al cristianesimo: ebraismo, buddismo, induismo e islam.
Skewes-Cox ha detto, “Se camminate sul campus e la prima cosa che incontrare sono tre o quattro statue di San Domenico o San Francesco, questo potrebbe essere alienante per chi èdi un’ altra religione, e non abbiamo voluto aumentare quella sensazione.”
Stock ha detto che i genitori di alcuni possibili nuovi studenti che hanno visitato il campus hanno espresso preoccupazione per questo.
Nella sua e-mail alla scuola, Fitzpatrick ha scritto che ha cominciato a preoccuparsi quando sono stati aboliti l’insegnamento che portava alla prima confessione e alla prima comunione. Stock ha detto che due anni fa la scuola ha iniziato ad offrire il Catechismo nel dopo scuola e poi l’anno scorso è stato abbandonato”. Stock ha detto, “negli ultimi anni abbiamo avuto un minor numero di studenti cattolici come parte della Comunità e un numero maggiore di studenti di varie tradizioni di fede. Al momento circa l’80 per cento delle nostre famiglie non si identificano come cattoliche”.
Invece di fare lezione agli studenti in teologia cattolica, San Domenico offre agli studenti informazioni in filosofia e religioni del mondo. “Si tratta di responsabilizzare ogni studente e dare loro le informazioni in modo da poter scoprire il proprio scopo, la propria verità,” ha detto Stock. “Crediamo che il modo migliore per capire la propria fede sia imparare riguardo alle fedi altrui.”
Mirza Khan, direttore della scuola di filosofia, etica e religioni del mondo, ha detto, “la filosofia di insegnamento domenica non è insegnare che c’è solo una verità. È favorire la conversazione intenzionalmente invitare i partecipanti che hanno prospettive diverse in un processo molto aperto di indagine filosofica e spirituale. Che è stata una lunga parte della tradizione domenicana.”
Khan, il cui padre e nonno erano maestri Sufi in India, ha ricevuto un grado di bachelor in religioni comparate al Bard College. Prima di diventare un insegnante presso San Domenico circa 10 anni fa, ha lavorato come assistente di ricerca di un professore all’Università ebraica di Gerusalemme.
È tutto molto bello e istruttivo. Ma perché continuare a chiamarsi “cattolici” se sembra una parola imbarazzante, di cui vergognarsi?
MARCO TOSATTI
Primo passo: rimuovere le statue. Secondo passo: rimuovere gli oppositori?
L’hanno chiamata “guerra delle statue”, ma sbagliano. Sbagliano perché sarebbe meglio definirla “guerra alle statue” in quanto i monumenti, per loro natura, sono neutrali e ostinatamente rifiutano di prendere le armi contro chicchessia. È il corto-circuito nel cervello umano che scatena la guerra ai mostri immaginari. In questo caso, i mostri sono i simboli sudisti, presi di mira dai cosiddetti benpensanti della sinistra americana, che in realtà hanno smesso di “benpensare” da tempo .
I nostri validi Guzzo e De Albentiis ci hanno spiegato in due articoli la storia di questa bizzarria “guerra alle statue”; ma il fenomeno continua e merita un approfondimento quantomeno per la sua portata simbolica . In nome di cosa quattro poveri cervelli traumatizzati dai fantasmi di un secolo e mezzo fa possono decidere di abbattere le statue in totale autonomia, come successo recentemente a Durham, North Carolina? I sinistrati si giustificano affermando che questi monumenti sono razzisti . La replica dei monumenti non è pervenuta: si sono ostinati nel loro statuario mutismo, e va da sé che questo è stato interpretato come un affronto bello e buono.
Il New York Times dedica all’argomento un ampio spazio, con tanto di mappa che indica le località nelle quali le statue razziste sono state abbattute; pallini tristemente grigi evidenziano i luoghi in cui questi monumenti sono ancora lì, beffardamente muti e sfacciatamente razzisti.
Il problema, in fondo, è proprio nella loro presenza silenziosa. Sappiamo che i sinistrati occidentali hanno dalla loro stampa, televisioni e social media. All’apparenza, parrebbe che l’opposizione culturale possa, semmai, riunirsi in qualche circolo o vantarsi di avere qualche ramingo intellettuale. Invece, la reazione ha ancora un’arma molto forte: la storia. La storia parla non tanto dai libri di scuola (che possono essere facilmente manipolati), ma si manifesta essenzialmente nei monumenti, nei palazzi, nell’architettura urbana . Che sono muti, eppure parlano da sé. Lo sapevano bene i grandi monarchi del passato: Luigi XIV, quando creò Versailles per ingabbiare la nobiltà, la fece così superba da impressionare i dignitari stranieri e tanto da incutere un timore reverenziale al suo popolo. Luigi era lo Stato; e lo Stato, di riflesso, era tutto ciò che era ordinato da Luigi: monumenti, piazze e regge inclusi. Per questo, quando i massoni francesi riuscirono a scatenare la rivoluzione, come prima cosa se la presero con i monumenti che erano espressione del potere del re. Per questo, quando in Russia riuscirono a deporre lo zar, se la presero con i simboli dello zarismo. Per questo, in ogni paese nel quale si è combattuta o è stata imposta una rivoluzione, come prima cosa le menti della rivoluzione hanno deposto, distrutto o trasformato i simboli più evidenti del potere ormai tramontato .
Ed oggi, che rivoluzione stanno combattendo gli eroici demolitori di statue? O, meglio, quale rivoluzione stanno continuando? Proseguono, i nostri indefessi eroi, la guerra iniziata a metà Settecento dagli illuministi francesi contro la società, contro la storia e contro tutto ciò che possa ricordare la Chiesa, il suo potere e i suoi insegnamenti . Voltaire e i suoi allegri compagni sono stati i geniali autori di autentiche balle storiche per incriminare la Chiesa: hanno enfatizzato il fenomeno della caccia alle streghe, dell’inquisizione cattolica, dell’ignoranza del Medioevo cristiano. I loro seguaci hanno trucidato i preti e insanguinato mezza Europa con le rivoluzioni ottocentesche. Rivoluzioni che si sono evolute, che hanno cambiato bandiera ma che, essenzialmente, sono un’espressione dell’odio di talune menti contro i precetti della Chiesa. Che poi, a pensarci bene, è un odio contro se stessi: la propria cultura, la propria terra e la propria società sono talmente intrisi dal Verbo di Dio che volerlo estirpare è sostanzialmente un atteggiamento quantomeno masochista . O sbagliamo?
Eppure, questa rivoluzione “illuminata” prosegue da almeno due, trecento anni sotto forme diverse. Una di esse prende il nome di politicamente corretto, che poi è la veste contemporanea delle grandi dittature ideologiche del Novecento . Con una differenza abissale, però: le dittature del passato recente erano caratterizzate da un pensiero forte, che era ossatura e verbo del potere. Fascismo e nazismo, socialismo e comunismo, in sostanza, si fondavano su un’idea; idea magari genuina al suo inizio e totalmente degenerata nella sua evoluzione, fino a trasformarsi in innumerevoli disastri storici. Il politicamente corretto, invece, è l’assenza di un’idea forte . Usando l’espressione di Vattimo, il politicamente corretto è il “pensiero debole” per eccellenza, in quanto nient’altro è che una gabbia del pensiero sempre più stretta e sempre più soffocante . Pensieri alternativi sono eliminati, tacciati di “razzismo”, di “xenofobia”, di “omofobia”, e naturalmente di “fascismo” e “nazismo”, le categorie politiche alle quali il politicamente corretto si contrappone.
Ciò che è tollerato e che anzi è l’unica forma di pensiero ammessa dal politicamente corretto, è l’esasperata attenzione alle minoranze, siano esse etniche, sociali o sessuali . La giustificazione è che queste minoranze sono “deboli”, e pertanto vanno aiutate, inserite e finalmente equiparate e poste a modello. Ragionare al contrario (evidenziando quindi che anche le maggioranze esistono e meritano attenzione) è follia. È razzismo. È omofobia. È, in sostanza, politicamente scorretto. Ovviamente, la maggioranza prediletta contro la quale gli eroi della modernità si scagliano è, manco a dirlo, rappresentata dai cristiani . Ovviamente vanno bene tutti; piacciono poi particolarmente quei musulmani tagliatori di teste che con i cristiani ce l’hanno a morte e che sono i benvenuti, in Occidente, proprio per questo loro curriculum invidiabile. D’altronde, i paladini dell’Isis non sono forse anch’essi valorosi decapitatori di statue ed intrepidi bombaroli che se la prendono contro infedeli monumenti antichi?
I simboli sudisti, poveretti loro, sono finiti incastrati in questo meccanismo di perverso odio contro se stessi e la propria cultura. Sono monumenti razzisti, al rogo, al rogo! E la cosa più patetica è che a mandare “al rogo” la storia della propria terra perché irriverente verso gli afroamericani, sono essenzialmente i bianchi : guardate con che animosità si scagliano contro la povera statua deformata.Guardateli. La prendono a calci e sputi. Ha fatto soffrire molto i discendenti degli schiavi neri. Che quel giorno, il giorno supremo della loro liberazione da quell’odioso simbolo del razzismo, erano assenti. Potevano avvertirli, almeno. E che diamine.
È evidente che il politicamente corretto, privo di idee da esprimere, non possa combattere se non contro le parole e i simboli. Per ora. In tutto ciò, infatti, quello che preoccupa non è il particolare clima di pazzoide caccia alle statue che imperversa negli States; preoccupa semmai il seguito: perché prima si fanno fuori i simboli, poi i cervelli non allineati . E noi sappiamo che le dittature del Novecento si sono macchiate di crimini inauditi nel nome di un ideale. Non sappiamo, invece, cosa potrebbe comportare la dittatura di un non-pensiero come il politicamente corretto; sorge il solo sospetto che, proprio perché privo di idee, incapace di reagire se non con l’arma giudiziaria e soprattutto privo di menti lucide ed allenate a pensare, il politicamente corretto si possa trasformare in qualcosa di ben più inquietante delle dittature passate . Speriamo di sbagliarci.
di Giorgio Enrico Cavallo
http://www.campariedemaistre.com/2017/08/primo-passo-rimuovere-le-statue-secondo.html
Il titolo dell’articolo era “2017: l’anno del bavaglio?” dove il punto interrogativo era poco più che una classica domanda retorica, siamo stati infatti facili profeti nell’annunciare che nei mesi successivi sarebbero state avviate iniziative volte a silenziare le voci dissidenti con i più svariati pretesti riconducibili a presunti buoni principi condivisibili da tutti. Chi non è contro le “fake news”? Certamente tutti vorrebbero evitare di essere influenzati da notizie false, solo che i principali autori dei fake news sono stati i grandi media, ma non sono loro però quelli finiti sotto accusa.
– Chi dissente è stato demonizzato e ridotto a tipo antropologico.
– Una nuova categoria di reati è stata inventata.
La Notte dei cristalli 2.0 è adesso possibile.
Il primo gennaio di quest’anno l’attività di Critica Scientifica riprendeva con un articolo che intendeva puntare l’attenzione su quello che veniva individuato come uno dei temi che sarebbero stati centrali nell’anno appena iniziato vale a dire quello della repressione della libera informazione, cioè quella libera di cercare la verità senza sottostare a linee imposte da editori o altri enti condizionanti.
Il titolo dell’articolo era “2017: l’anno del bavaglio?” dove il punto interrogativo era poco più che una classica domanda retorica, siamo stati infatti facili profeti nell’annunciare che nei mesi successivi sarebbero state avviate iniziative volte a silenziare le voci dissidenti con i più svariati pretesti riconducibili a presunti buoni principi condivisibili da tutti. Chi non è contro le “fake news”? Certamente tutti vorrebbero evitare di essere influenzati da notizie false, solo che i principali autori dei fake news sono stati i grandi media, ma non sono loro però quelli finiti sotto accusa.
Rinominate “fake news” le notizie scomode che, riportate da vari siti Internet, riescono ad aggirare il filtro dei grandi media, la prima campagna che è stata messa in atto ha puntato sull’istituzione di un ministero della verità che decidesse chi fosse reo di lesa verità e quindi punibile. Al riguardo ricordiamo la commissione voluta dalla presidenta Boldrini proprio per individuare le voci stonate e di cui abbiamo parlato il 7 febbraio scorso in “Fake news: siamo in guerra, nel senso pieno del termine“, tra i nomi interpellati quello di Paolo Attivissimo sbufalatore di professione targato CICAP, un ente che da sempre si occupa di sbufalare bufale di comodo e spesso banali facendo bene attenzione a non pistare piedi importanti. A stretto giro, il 16 febbraio, è stata poi presentata la proposta di legge 2688 intesa a colpire per via giudiziaria i siti web scomodi, vedi “DDL 2288: gli ultimi giorni della libera informazione“.
Quello che di nuovo è emerso nel frattempo è l’apertura di un fronte se possibile ancor più insidioso, quello della lotta contro i “discorsi di odio” che, tanto per restare proni alla provincializzazione, sono stati denominati nella lingua ufficiale dell’impero “hate speech”. Immancabilmente è stata sempre la Boldrini, vera pasionaria della lotta contro ogni libertà di espressione che non sia la sua, a promuovere la più importante iniziativa in questo senso, e anche di questa cosa ci siamo occupati quando il 24 luglio scorso è stato pubblicato “La Boldrini e la piramide scopiazzata. (quando il ridicolo precede la repressione)“.
Neanche il tradizionale riposo di agosto è stato osservato dai mastini dell’anti informazione libera, è infatti di questi giorni l’intervista rilasciata dal Ministro per la giustizia Andrea Orlando in cui si afferma che il prossimo traguardo dovrebbe essere la rimozione dei profili “sgraditi”, abbiamo letto bene “sgraditi”, forse una specie di lapsus freudiano in cui il ministro si è lasciato sfuggire la verità.
In poche righe troviamo la figura dell’ “odiatore”, quanto mai arbitraria, la rimozione d’autorità dei profili sgraditi, e la presenza delle immancabili ONG, veri centri di potere antidemocratici espressione di oligarchie insondabili.
Con la figura dello “odiatore” siamo giunti alla creazione di un tipo antropologico nuovo che precede la possibilità di farne l’oggetto dell’odio (quello vero), quello destinatario degli orwelliani due minuti di odio, una figura alla quale il Corriere della Sera ha adesso cominciato a dare un volto adatto ad essere odiato dagli odiatori politicamente corretti.
Un’immagine che, come più d’uno si è accorto, ricalca sinistramente quella usata per criminalizzare gli ebrei in epoca nazista:
Intanto viene segnalato dal quotidiano “La Verità” che il ministro orlando ha affidato a soggetti di parte non statali (ONG) e arbitrariamente scelti, il “controllo” delle attività sul web e la possibilità quindi di colpire le voci libere e sgradite. Ecco la lista dalla quale si evince la mancanza di intere categorie che risultano così esposte al giudizio di realtà avverse:
Ancor più interessante il fatto che una decina delle associazioni che avranno il compito di segnalare i “cattivi” sono ONG finanziate dalla Open Society Foundation di George Soros, come dire che quest’ultimo, il grande destabilizzatore politico degli ultimi 20 anni e finanziatore di colpi di stato ha ricevuto dal ministro Orlando il potere di controllare le voci dell’informazione libera:
Fonte LucaDonadel.it
Però l’iniziativa non è, e non poteva essere, solo nazionale, il 21 agosto sul Guardian è stato pubblicato un articolo in cui si parla apertamente della necessità di attuare una censura si Internet:
Ma sulle vere finalità di tutto questo ogni tanto qualcuno dice la verità, come Severgnini sul Corriere della Serail 16 agosto scorso che candidamente ammette che la campagna boldriniana contro lo “hate speech” è stata varata in vista delle prossime elezioni in Italia, non sia mai vinca la volontà popolare:
E come il già ricordato Attivissimo in un tweet nel quale delegittima il referendum sulla Brexit bollandolo come una “truffa” solo perché l’esito non è stato quello che la grande stampa auspicava, roba da scomodare il CICAP per questa affermazione:
E così alla disperata domanda della Botteri che all’indomani della sconfitta elettorale di Hillary Clinton, avvenuta contro la pervasiva propaganda a suo favore da parte di tutti i grandi media, prorompeva in un “Cosa succederà a noi giornalisti?”, adesso si cerca di dare una risposta rassicurante.
Gli strumenti necessari sono stati messi a punto:
- un nuvo tipo di reato – Fake news e hate speech
- un nuovo nemico della società è stato identificato: il contestatore del pensiero politicamente corretto è stato ridotto a tipo antropologico inferiore ed è stato segnalato.
- l’opinione pubblica è stata formata: il nemico è stato segnalato più volte affinché l’opinione pubblica non pianga troppo sul su destino.
- le vetrine virtuali dei siti indipendenti sono adesso indifese e possono essere infrante facilmente.
La Notte dei cristalli 2.0 è pronta.
BY ENZO PENNETTA ON
Il ministro Orlando vara il tavolo di lavoro “politicamente corretto”
Nell’odierna era della comunicazione l’informazione è una merce preziosa, rivestendo un ruolo delicato e fondamentale ai fini della costruzione e della conquista del necessario consenso politico. A tale riguardo, uno degli obiettivi primari delle lobbies e dei principali attori impegnati nell’arena politica è quello di facilitare e “addomesticare” tale processo, promuovendo un discorso “politicamente corretto”, ossia ideologicamente “sterilizzato”, il più possibile allineato a quelli che sono i particolari obiettivi dell’azione politica.
In tale scenario, tuttavia, se lo spazio “reale” è saldamente in mano ai cani da guardia del “politically correct”, sempre pronti ad azzannare ed aggredire chiunque si azzardi a dissentire o ad avanzare dubbi riguardo la bontà e veridicità del programma o della proposta politica di turno, non è cosi per lospazio “virtuale” dove le infinite maglie della rete rendono molto più difficile mettere la museruola alle tante contro voci provenienti dalla vasta galassia di siti internet, social network, forum e community varie.
A cercare di risolvere tale sempre più “scomodo” impasse, come riportato dal quotidiano “La Verità” in un articolo del 25 agosto, ci ha pensato niente di meno che il nostro ministro della Giustizia Andrea Orlando, il quale ha fatto sapere di avere dato vita ad un tavolo di lavoro con 51 organizzazioni non governative con il compito di monitorare e vigilare l’informazione in rete.
Alla base dell’iniziativa vi è il Codice di condotta europeo sull’illecito incitamento all’odio online, presentato dalla “Commissione Europea” lo scorso 31 maggio sulla base di un accordo stipulato su impulso di Italia e Germania, con i principali provider del web, Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube, al fine di “esaminare le segnalazioni riguardanti forme illegali di incitamento all’odio nei servizi da loro offerti, in modo da poter rimuovere tali contenuti o disabilitarne l’accesso”.
Sempre all’interno dell’accordo, rende noto il ministro in una lettera pubblicata sul sito “Byoblu”, “è previsto che le aziende informatiche si adoperino per rafforzare i partenariati con organizzazioni della società civile, per incoraggiare la segnalazione dei contenuti d’odio e per fornire formazione sulle migliori pratiche per lottare contro la retorica d’odio”.
Ma è soprattuto a livello nazionale che il progetto promosso dal ministro Orlando fa discutere, nonché indignare, per il fatto di avere costituito un tavolo di lavoro a “senso unico” che mette preventivamente alla porta tutti coloro non in linea con il dogma del “politicamente corretto” contemporaneo:
“A livello nazionale, spiega infatti Orlando, abbiamo avviato un tavolo di lavoro con le organizzazioni non governative per una strategia contro i discorsi d’odio online. Lo scopo che ci prefiggiamo con questo tavolo è quella di stimolare la nascita di un soggetto, non pubblico e non statale che, in alleanza con le piattaforme, possa costruire efficaci contronarrative rispetto alla propaganda d’odio.Questo il lavoro che si sta facendo per fare in modo che, accanto alle istituzioni e a integrazione della giustizia, ci sia un protagonismo e un ruolo attivo dei soggetti sociali che, alleandosi fra di loro, possono efficacemente far fronte comune contro la retorica dell’odio sul web e agire anche sui provider stessi per un’azione rapida in ogni situazione in cui il linguaggio della rete e dei social network possa costituire una reale minaccia o sia lesivo della dignità di un soggetto”.
La lista delle Ong che avranno il ruolo di controllare e denunciare eventuali comportamenti sospetti è lunghissima e comprende soggetti impegnati in prima linea su tutti i principali “fronti caldi” del momento: dall’islam e l’immigrazione, fino a rom, gay e gender. Tra le sigle convocate al tavolo di lavoro vi sono infatti Amnesty international, l’Unione forense per la tutela dei diritti umani, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite, la Comunità Sant’ Egidio, l’ Associazione 21 luglio, l’Unione delle comunità islamiche italiane, la Confederazione islamica italiana, la Comunità religiosa islamica italiana, il Centro islamico culturale d’ Italia, Arcigay, Arcilesbica, Rete Lenford, circolo Mario Mieli, associazione Gaynet, circolo Pink di Verona, tutte organizzazioni accomunate dal fatto di essere fortemente sbilanciate a favore della loro specifica “causa politica”.
Quanto sia dura e spietata l’odierna legge del “politicamente corretto” lo ha sperimentato direttamente sulla propria pelle l’ingegnere Google James Damore silurato, pochi giorni fa, per aver osato sollevare alcuni dubbi riguardo le attuali politiche interne dell’azienda di Mountain View in materia di “gender gap”.
L’imperdonabile colpa di Damore è stata quella di aver messo in circolazione, seppur in via riservata, un documento di dieci pagine nel quale invitava l’azienda a non ignorare, nelle politiche di inclusione e gestione del personale, il determinate fattore biologico. Secondo l’ormai ex dipendente Google, è infatti proprio nella naturale predisposizione biologica che va ricercata la spiegazione della presenza inferiore di donne rispetto agli uomini nell’industria tecnologica. A difenderlo, Damore ha chiamato l’avvocata indiana Harmeet Dhillon che ha così espresso le ragioni del suo assistito:
L’imperdonabile colpa di Damore è stata quella di aver messo in circolazione, seppur in via riservata, un documento di dieci pagine nel quale invitava l’azienda a non ignorare, nelle politiche di inclusione e gestione del personale, il determinate fattore biologico. Secondo l’ormai ex dipendente Google, è infatti proprio nella naturale predisposizione biologica che va ricercata la spiegazione della presenza inferiore di donne rispetto agli uomini nell’industria tecnologica. A difenderlo, Damore ha chiamato l’avvocata indiana Harmeet Dhillon che ha così espresso le ragioni del suo assistito:
“Sono nata in India, sono una donna, certo credo che la diversità sia un valore per le aziende ma non mi piace la diversità in nome del politicamente corretto, in cui finisci per punire persone che non hanno colpe. Anche gli uomini bianchi hanno i loro diritti”.
CARATTERI DISTINTIVI
Due sembrano dunque essere i caratteri distintivi della nuova religione laica del “politicamente corretto”: relativismo e totalitarismo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il credo “politically correct” è infatti intrinsecamente relativista in quanto esso è guidato ed “illuminato” non dalla ragione, rettamente intesa, ovvero dall’ “intelligenza del reale”, ma dalla contingente e sempre mutevole “ragion politica”. In tale prospettiva, il suo obiettivo non è quello di raggiungere la verità, quanto quello di promuovere il discorso di turno dominante.
In secondo luogo, il pensiero unico “politicamente corretto” è fortemente totalitario poichè, paradossalmente, in nome del principio di non discriminazione finisce con l’imporre con la forza il suo intollerante diktat in materia di diversità ed inclusione. Il Codice di condotta della Commissione europea in materia di haters online e il relativo tavolo di lavoro delle 51 Ong individuate dal ministro Orlando, ne rappresentano, in tal senso, un mirabile ed emblematico esempio nel tentativo di estendere il controllo dell’informazione dal mondo reale al sempre più popolato e “fastidioso” mondo virtuale.
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