Giovanni Maria Battista Vianney (Jean-Marie Baptiste Vianney) è il fiore all'occhiello della minuscola cittadina francese di Ars-sur-Formans, nel Rodano-Alpi, nella quale egli predicò e morì, lasciandosi dietro un'aura di santità che rese il paese una meta di pellegrinaggio molto popolare.
Quarto figlio di Mathieu Vianney e di Marie Béluse, contadini, nasce l'8 maggio 1786 a Dardilly (vicino a Lione); la sua infanzia è serena e dedita al lavoro e già alla devozione, almeno fino all'arrivo della Rivoluzione Francese che spazza via il clero refrattario (fedele al papato) per sostituirvi quello costituzionale (fedele allo stato e alla rivoluzione), in modo tale da distruggere l'opprimente influenza papale dell'Ancien Régime. In casa Vianney i preti perseguitati trovavano spesso rifugio e celebravano clandestinamente la messa nel fienile di famiglia, segnando così la visione religiosa del piccolo Giovanni che inculcherà ai suoi amici e fratelli la preghiera, l'amore per Dio e i concetti della fede. È la sorella Marguerite a descriverlo come “di carattere tenace ed amichevole”, “ma rigoroso”.
A diciassette anni esprime una forte vocazione, stroncata però dal padre, che vedendo i suoi figli morire uno dopo l'altro e i soldi finire non vuole perdere un altro aiuto nei campi e soprattutto non può pagargli gli studi: Giovanni dovrà aspettare i vent'anni per la notizia dell'apertura del piccolo seminario di don Charles Balley, curato di Ecully, che offre vitto e alloggio ai giovani di bassa estrazione. Balley inizialmente respinge la richiesta di Vianney di entrare nel suo collegio, ma, in seguito ad un loro colloquio, gli si affezionerà e vedrà in lui una passione e un fervore religioso sorprendente per un semplice converso. Gli anni di studio sono lunghi e complessi e Giovanni apprende a fatica, mostrando difficoltà specialmente nel latino; aiutato da Balley e riprese le speranze con un pellegrinaggio a Lalouvesc, riesce alla fine a diventare prete nel 1815 a ventinove anni, dopo aver disertato a Noës per sfuggire alla chiamata alle armi. S. Giovanni Maria Vianney è pertanto considerato uno dei migliori esempi di uomo scelto da Dio, nonostante davanti agli uomini egli fosse apparso inadatto: lapidem quem reprobaverunt aedificantes hic factus est in caput anguli (Ps. CXVII)
Trascorre i suoi primi due anni di sacerdozio a Ecully come vicario di Balley, il quale muore nel 1817, per poi venire finalmente trasferito come nuovo parroco ad Ars, svuotata di parrocchiani e ancora reduce dalla Rivoluzione e dal Terrore di Robespierre. Nei primi tempi la gente vede di malocchio l'anticonformismo e la severità del curato, mentre i sacerdoti delle altre comunità si fanno beffe di lui per la sua oscura origine e la sua debole preparazione religiosa. Sentendosi inadeguato, tre volte fugge dalla cittadina, per ritornarvi subito dopo.
Ma poi il paesello si trasforma: Giovanni a proprie spese compra nuovi paramenti sacri, fa ricostruire l'altare della chiesa, ridipinge personalmente le pareti e abbellisce il tabernacolo. Per combattere la grande ignoranza dei compaesani, soprattutto dei bambini, dà lezioni di catechismo e insegna loro a leggere e a scrivere; dona il mobilio della canonica e, secondo la sua perpetua madame Renard, sostituisce le buone scorte del suo cibo con delle vecchie. Tuttavia sono le confessioni e la lotta contro i vizi comuni che gli attribuiranno nazionalmente la fama di santo: Vianney rimaneva nel confessionale dieci ore o più al giorno e col tempo qualsiasi uomo di ogni condizione sociale andrà da lui a ricevere assunzioni e consigli. Riuscì nel meritorio intento di far fallire tutte le osterie di Ars spaventando i clienti a tal punto da convincerli a non entrarvi più e di domenica passava per le campagne a controllare non ci fossero contadini al lavoro che saltassero la messa; era però disposto a chiudere un occhio nel caso non si potesse abbandonare i campi per non rischiare di perdere il raccolto.
Giudicando il ballo un'usanza peccaminosa, corrompeva i musicisti perché non suonassero pezzi frenetici davanti ai cittadini e convinse il sindaco ad abolire le feste di paese. La chiesa, prima deserta, si riempie a poco a poco di fedeli.
Giovanni muore il 4 agosto 1859 a settantatré anni e il suo corpo rimane esposto dieci giorni prima di essere deposto nella Basilica a lui costruita; beatificato nel 1905, viene canonizzato da papa Pio XI nel '25 e, successivamente, nominato 'patrono di tutti i parroci'.
Omelia sul giudizio particolare del Curato d'Ars
Fratelli miei, potremmo mai meditare sulla severità del giudizio di Dio, senza sentirci penetrare dal più vivo timore? Pensate, fratelli miei, i giorni della nostra vita sono tutti contati; e per di più, ignoriamo l’ora e il momento preciso in cui il nostro sovrano Giudice ci citerà per comparire davanti al suo tribunale, e forse quel momento sarà proprio quello che meno immaginiamo, allorché saremo meno pronti a rendere un conto tanto temibile!... Vi assicuro, fratelli miei, che quando ci si pensa bene, ci sarebbe motivo di cadere nella disperazione, se la nostra religione non ci insegnasse che noi possiamo addolcire quel momento per mezzo di una vita vissuta in modo tale da nutrire fondati motivi di sperare che il buon Dio avrà pietà di noi. Stiamo bene attenti, fratelli miei, di non farci cogliere impreparati quando arriverà quel momento, come quell’amministratore di cui Gesù Cristo ci parla nel vangelo. Perciò, fratelli miei, vi mostrerò:
1° : che esiste un giudizio particolare, in cui renderemo un conto molto preciso di tutto il bene e di tutto il male che avremo fatto;
2° : quali sono i mezzi a nostra disposizione per prevenire il rigore di questo conto.
Sappiamo tutti, fratelli miei, che saremo giudicati due volte: una volta, nel gran giorno della vendetta, cioè alla fine del mondo, in presenza di tutto l’universo. In questo giudizio, tutte le nostre azioni, sia buone che cattive, saranno manifestate agli occhi di tutti. Ma prima ancora di questo giorno terribile e infelice per i peccatori, noi subiremo un altro giudizio al momento della nostra morte, appena avremo esalato l’ultimo respiro. Sì, fratelli miei, possiamo dire che l’intera condizione dell’uomo può essere racchiusa in queste tre parole: vivere, morire, essere giudicati. E’ questa una legge fissa e invariabile per ogni uomo. Nasciamo per morire, moriamo per essere giudicati, e tale giudizio deciderà della nostra felicità o della nostra infelicità eterna. Il giudizio universale, davanti al quale dobbiamo tutti comparire, sarà soltanto la pubblicazione della sentenza particolare che sarà stata pronunciata nell’ora della nostra morte. Sapete tutti, fratelli miei, che Dio ha contato i nostri anni, e fra tutti questi anni che egli ha deciso di accordarci, ne ha segnato uno che sarà l’ultimo per noi; in quest’ultimo anno ha segnato l’ultimo mese; in quest’ultimo mese, ha segnato l’ultimo giorno; e, infine, in quest’ultimo giorno, l’ultima ora, dopo la quale non ci sarà più tempo disponibile per noi. Ahimè! che ne sarà di questo peccatore e di questo empio che ogni giorno si ripromettono una vita sempre più lunga? Si illudano pure finché vogliono, questi poveri disgraziati; ma dopo quell’ultima ora, non ci sarà più nessuna possibilità di ritorno, niente più speranza e niente più risorse! Nel medesimo istante, fratelli miei, (ascoltate bene voi che non temete di trascorrere i vostri giorni nel peccato!) nel medesimo istante in cui la vostra anima uscirà dal vostro corpo, ella sarà giudicata.
Ma, mi direte voi, lo sappiamo bene. Sì, ma non ci credete affatto. Ditemi, se lo credeste seriamente, come potreste resistere in uno stato che vi espone continuamente al pericolo di cadere eternamente nell’inferno? No, no, amico mio, tu non ci credi affatto, perché se tu ci credessi sul serio, non ti esporresti a un simile rischio. Tuttavia, arriverà il momento in cui il buon Dio applicherà il sigillo della sua immortalità e il marchio della sua eternità sul tuo debito, nel punto preciso in cui si troverà in quell’istante; e questo sigillo e questo marchio non saranno mai rotti. O momento terribile! ma tanto poco meditato! così corto e così lungo, che scorre con tanta rapidità e che trascina con sé una sequenza terribile di secoli! Che cosa dunque ci succederà, in quel momento fatidico, tanto capace di terrorizzarci? Ahimè! fratelli miei, accadrà che compariremo, ognuno in particolare, davanti al tribunale di Gesù Cristo, per essere giudicati e rendere conto di tutto il bene e di tutto il male che abbiamo compiuto.
Il giudizio particolare, fratelli miei, è così certo, che il buon Dio, per convincerci di esso, ha mostrato a parecchie persone dei segni quando ancora erano in vita, perché ci preparassimo a quel giorno. Racconta la storia che un giovane libertino era ormai assuefatto ad ogni genere di vizi; ma essendo stato istruito da una madre saggia, una notte, dopo una giornata trascorsa nei più grandi eccessi, durante il sonno fece un sogno. Si vide trasportato davanti al tribunale di Dio. Non si può descrivere la sua vergogna, la sua confusione e l’amarezza che la sua anima provò in quel momento. Quando si svegliò aveva una febbre ardente, era tutto sudato e fuori di sé, i suoi capelli erano divenuti tutti bianchi. “Lasciatemi solo, diceva effondendosi in lacrime a coloro che per primi lo videro in questo stato, lasciatemi solo perché ho visto il mio Giudice: ah! quanto è terribile! Quale Maestà! Da quanta gloria è rivestito! Ah! quali accuse e quante domande a cui non ho saputo rispondere! Tutti i miei crimini sono stati registrati, io stesso li ho letti. Ah! Quanto grande è il loro numero! Meno male che ne ho conosciuto tutta l’enormità! Ahimè! Ho potuto vedere un esercito di demoni che non aspettava che un segnale per trascinarmi nell’inferno. State lontani da me, falsi amici, non voglio rivedervi mai più! Come sarei felice se potessi, coi rigori della penitenza, placare un Giudice tanto terribile!... Mi dedicherò alla penitenza per il resto della mia vita. Ahimè! Ben presto mi toccherà comparirgli davanti senza alcun dubbio! Ahimè, forse avverrà oggi stesso!... Dio mio, perdonami!... Mio Dio abbi misericordia di me!...Ah! per favore, non permettere che mi perda, abbi pietà di me!... Farò penitenza per tutta la vita. Oh! quanti peccati ho commesso!... Oh! quante grazie ho disprezzato!... Oh! quanto bene avrei potuto fare e non l’ho fatto!... Dio mio, non gettarmi nell’inferno!”. Ma, fratelli miei, egli non si fermò solo alle parole. Trascorse tutta la vita facendo penitenza.
Quanto sarà terribile quel momento, fratelli miei, per colui che non ha operato il bene ma che avrà fatto tanto male. Sì, fratelli miei, noi renderemo conto di tutte le nostre azioni, sia buone che cattive: tutto sarà manifesto, davanti al nostro Giudice, nell’istante in cui la nostra anima si separerà dal nostro corpo. Sì, fratelli miei, il buon Dio ci chiederà conto di ogni bene che abbiamo ricevuto da Lui. Voglio dire che ci sono i beni della natura, della fortuna e della grazia. Tutti questi beni saranno oggetto della resa dei conti. I beni della natura riguardano il corpo e l’anima; dovremo rendere conto dell’uso che abbiamo fatto del nostro corpo. Egli ci chiederà se abbiamo speso le nostre energie nel servizio del prossimo, se abbiamo lavorato per avere di che fare l’elemosina, per fare penitenza col nostro stesso lavoro, per poter fare qualche pellegrinaggio e visitare i luoghi che il buon Dio ha privilegiato ( come, ad esempio, Nostra Signora di Fourvière, san Francesco Règis, o altrove…). O se al contrario abbiamo impiegato la nostra salute e il nostro corpo, soltanto per correre dietro ai divertimenti, frequentando gli spettacoli, oppure abbiamo derubato il nostro prossimo, abbiamo lavorato nel santo giorno della domenica o in esso abbiamo fatto dei viaggi, invece di trascorrerlo nella preghiera, nell’amore del buon Dio, istruendo gli ignoranti, dando loro dei buoni consigli per condurli al buon Dio distogliendoli dal male, o se abbiamo letto libri cattivi, se abbiamo frequentato persone cattive o insegnato agli altri a fare il male. Ci chiederà conto, inoltre, se abbiamo usato il nostro corpo per imbrogliare sia nel vendere che nel comprare, per testimoniare il falso in tribunale, per provocare dei processi, per istigare gli altri a vendicarsi e a parlare male della religione, insegnando loro cose irriverenti sulla religione. Come sarebbe, ad esempio, se facessimo credere agli altri che la religione non è cosa buona, che tutto ciò che dice non è vero, che i preti si inventano quello che vogliono! Egli esaminerà ancora se per caso abbiamo impiegato la nostra intelligenza per comporre canzoni cattive che istigano contro la purezza, contro la stima del prossimo; se abbiamo comunicato agli altri le nostre cattive informazioni. Ci chiederà se abbiamo impiegato il nostro spirito per istruirci, o se per caso abbiamo peccato di vanità per la bellezza del nostro corpo, invece di ammirare in noi stessi la saggezza e la potenza di Dio. Inoltre Egli ci chiederà conto se ci siamo serviti della bellezza per attirare gli altri verso il male, come sarebbe se una persona si abbigliasse in maniera tale da attirare su di sé gli occhi di tutti. Il buon Dio esaminerà se abbiamo investito i nostri talenti, ricordandoci che siamo solo degli amministratori, e che se li amministreremo male, ciò ci sarà imputato come peccato. In quel giorno il buon Dio farà vedere ai padri e alle madri tutte le cose inutili che essi hanno comprato ai loro figli, cose che poi sono servite soltanto a perdere le loro anime; Egli mostrerà loro tutto il denaro sperperato nei divertimenti, negli spettacoli, nel ballo, e tutte le altre spese inutili. E poi ci mostrerà tutto ciò che avremmo potuto donare ai poveri, ma non lo abbiamo fatto.
Ahimè! Quanti peccati ai quali non avevamo mai pensato, e che neppure ora vogliamo riconoscere; ma li riconosceremo certamente in quel momento, quando sarà ormai troppo tardi!
Veniamo ora, fratelli miei, a un’altra resa dei conti che sarà molto più terribile, e cioè quella che riguarda le grazie ricevute. Il buon Dio comincerà a farci vedere tutti i benefici che ci ha accordato, facendoci nascere nel seno della chiesa cattolica, mentre tanti altri sono nati e sono morti al di fuori di essa. Ci farà vedere che, anche fra i cristiani, moltissimi sono morti senza avere ricevuto la grazia del santo Battesimo. Ci farà vedere per quanti anni, mesi, settimane, giorni, Egli ci ha conservato in vita, pur essendo nel peccato; se ci avesse fatto morire in quei momenti, saremmo stati precipitati nell’inferno. Ci metterà davanti agli occhi tutti i buoni pensieri, le buone ispirazioni, i buoni desideri che ci ha donato durante tutta la vita. Ahimè! Quante grazie disprezzate! Ci ricorderà tutti gli insegnamenti che abbiamo ricevuti e ascoltati durante la nostra vita; tutte le catechesi, tutte le letture messe a nostra disposizione per trarne profitto. Tutte le nostre confessioni, tutte le nostre comunioni, e tante altre grazie del cielo che noi abbiamo ricevuto. Quanti altri cristiani non ne hanno ricevuto neppure la centesima parte eppure sono diventati santi! Ma, fratelli miei, che ne è stato di tutti questi benefici e di tutte queste grazie, e quale profitto ne abbiamo fatto? Triste momento sarà quello del giudizio, per un cristiano che ha disprezzato la grazia, senza trarne profitto per nulla! Vedete ciò che ci dice san Gregorio: “Ah! amico mio, fissa la Croce e capirai così quanto è costato a un Dio meritarti la vita”. E’ per questo che sant’Agostino, quando meditava sul rendiconto che bisognerà dare per tutte quelle grazie ricevute e disprezzate, gridava: “Ahimè! sciagurato, cosa sarei dovuto diventare dopo tante grazie ricevute? Ahimè! temo molto di più per le grazie che ho ricevuto che per i peccati che ho commessi, benché siano tanto numerosi! Dio mio, quale sarà la mia sorte?”. Leggiamo nella vita di santa Teresa che, durante la sua ultima malattia, fu trasportata davanti al Giudizio di Dio; quando fu ritornata in se stessa, le fu chiesto come mai avesse tanta paura, dopo aver fatto tanta penitenza. “Ahimè! rispose, ho molta paura!”. Le fu chiesto se avesse paura della morte. “No”, rispose. Cos’era, dunque, che la faceva tremare di paura? “Ahimè! rispose, bisogna che la mia vita sia messa a confronto con quella di Gesù Cristo: ah! povera me, se vi si riscontrerà anche solo l’ombra del peccato!”.
Ma allora che cosa ne sarà di noi stessi, allorché Gesù Cristo ci rimprovererà il disprezzo e l’abuso che abbiamo fatto del suo Sangue prezioso e di tutti i meriti che ha acquistato per noi? “Ah! ingrato peccatore, Egli ci dirà, vigna infruttuosa, albero sterile, cos’altro avrei dovuto fare per la tua salvezza, più di quello che ho fatto? Non dovevo forse aspettarmi che tu portassi frutti buoni per la vita eterna? Dove sono le opere buone da te compiute? Dove sono le tue buone preghiere che mi avrebbero fatto piacere, che avrebbero toccato il mio cuore? Dove sono le tue buone confessioni? Dove sono tutte le buone comunioni che mi hanno fatto nascere nella tua anima e che dovevano, in certo senso, compensare tutti i tormenti che ho sopportato per la tua salvezza? Dove sono le penitenze e le lacrime che avresti dovuto spargere per cancellare i peccati commessi? Dove sono tutte quelle buone azioni che avresti dovuto compiere per corrispondere a tanti buoni pensieri, a tanti buoni desideri e a tante occasioni che ti ho fornito? Dove sono le Messe ben partecipate, con le quali avresti potuto darmi giusta soddisfazione per i tuoi peccati? Vai via maledetto! tu non hai prodotto che opere di iniquità, non hai fatto altro che rinnovare le sofferenze della mia passione e della mia morte. Vai via, allontanati da me, io ti maledico per tutta l’eternità! Vai via! nel giorno del giudizio universale io renderò pubblico tutto il bene che avresti potuto fare ma non hai fatto, e tutte le grazie che ti ho accordato e che tu hai disprezzato”. Ahimè! quali rimproveri, e quanti peccati ai quali non abbiamo mai pensato! Ahimè! quanto sarà terribile quella resa dei conti! Eccovi un esempio, a dimostrazione di ciò che si è detto finora.
Racconta san Giovanni Climaco, che un anacoreta, di nome Stefano, dopo aver vissuto una vita fra le più austere e le più sante, essendo ormai molto vecchio, cadde malato di una malattia della quale poi morì. La vigilia della sua morte, trovandosi di colpo fuori di sé, pur avendo gli occhi chiusi, gli parve di guardare a destra e a sinistra del suo letto, come se avesse visto qualcuno che gli voleva far rendere conto delle sue azioni. Si sentiva una certa persona che lo interrogava, e il malato rispondeva a voce alta, tanto che coloro che si trovavano nella stanza potevano ascoltarlo. Lo si ascoltava mentre diceva: “Sì, è vero, ho commesso questo peccato, ma per questo ho digiunato tanti anni”. Poi l’altra voce lo accusava di aver fatto un altro peccato, e il moribondo rispondeva: “No, è falso, non l’ho mai commesso”. In un altro momento lo si sentiva dire: “Si, lo confesso, quest’altro peccato l’ho commesso, ma il buon Dio è tanto misericordioso che me lo ha perdonato”. Era uno spettacolo terribile, ci dice san Giovanni Climaco, ascoltare quale conto preciso si richiedeva a questo solitario, di tutte le sue azioni. Ma, aggiunge il santo, la cosa più spaventosa era che quello fosse accusato anche di peccati che pensava di non avere mai commesso. Come mai, fratelli miei, un santo eremita, che aveva trascorso quarant’anni nel deserto, che aveva versato tante lacrime, non riusciva a riconoscere alcune accuse che gli erano rivolte!?... Questa cosa, riferisce san Giovanni Climaco, ci lasciò in una grande incertezza intorno alla sua salvezza.
Ma cosa ne sarà mai di un peccatore che, in quel momento, vedrà in se stesso soltanto male, senza nessuna azione buona? Momento terribile! Momento di disperazione! Non aver nulla su cui contare! Voi sapete bene che quel giudizio si svolgerà alla presenza di tre testimoni: il buon Dio che dovrà giudicare, il nostro buon angelo custode che mostrerà le buone opere che abbiamo fatto, e il demonio che manifesterà tutto ciò che abbiamo fatto di male in ogni istante della vita. Dalle loro testimonianze, il buon Dio ci giudicherà fissando la nostra sorte per tutta l’eternità. Ahimè! fratelli miei, quale deve essere mai il terrore di un povero cristiano che attende la sentenza del suo giudizio, e che, fra qualche minuto, si troverà all’inferno o nel cielo!
Narra un’altra storia che un santo abate, di nome Agatone, giunto ormai al termine della vita, se ne stava sempre con gli occhi fissi verso il cielo, senza mai muoverli. Gli altri confratelli gli dissero: “Dove credi di essere ora, padre mio?” – “Mi trovo alla presenza di Dio, da cui aspetto il giudizio.” – “Lo temi, forse?” – “Ahimè! non so se tutte le mie azioni saranno bene accette a Dio; io credo di aver adempiuto i comandamenti, ma i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini.” In quel preciso momento si mise a gridare: “Ahimè! sto entrando in giudizio!”. Ahimè! fratelli miei, quanti rimpianti avremo noi, per aver perso tante occasioni di salvarci, per aver disprezzato tante grazie che il buon Dio ci ha fatto per aiutarci a guadagnare il cielo, allorché vedremo che ormai tutto è perduto per noi, o, piuttosto, che tutte quelle grazie si volgeranno a nostra condanna!
Ma se è già così terribile dover rendere conto delle grazie che il buon Dio ci ha fatto per evitarci l’inferno, cosa sarà mai il dover essere esaminati e giudicati su ogni peccato che abbiamo commesso? Forse, per consolarvi, direte che non avete commesso quei tali peccati mostruosi, agli occhi del mondo. Ma che dire di tutti quei peccati interiori, fratelli miei?!... Ahimè! quanti peccati d’impurità, quanti desideri impuri, quanti pensieri di odio, di vendetta e d’invidia hanno girato nella vostra immaginazione durante una vita di trenta o quarant’anni, o forse di ottant’anni! Ahimè! quanti pensieri d’orgoglio, di gelosia, quanti desideri di vendicarsi, di nuocere al proprio prossimo, quanti desideri di ingannare! E che sarà, poi, quando si passerà ai peccati di azione?... Ahimè! quando il buon Dio prenderà il libro dalle mani dei demoni, per esaminare tutte quelle azioni di impurità, tutte le corruzioni, tutte le azioni turpi, tutti quegli sguardi impudichi, tutte quelle confessioni e comunioni sacrileghe, tutte quelle scappatoie e quei stratagemmi che abbiamo impiegati per sedurre quella persona… Ahimè! cosa diventeranno queste vittime dell’impurità!
Oh! quanto sarebbe meglio che il buon Dio le precipitasse nell’inferno ancor prima di morire, piuttosto che dover comparire dinanzi a un Giudice tanto puro! Con ogni probabilità il giudizio si terrà quando il moribondo è ancora sul suo letto e nella sua camera. Ahimè! questi poveri sciagurati che non hanno ormai maggiore ritegno e riservatezza degli animali, forse meno, vedranno la loro sentenza di condanna scritta sulle pareti della loro casa, come l’empio re Balthazar, o addirittura in ogni angolo della loro casa! Potranno mai negare, allorché Gesù Cristo, con il libro nelle mani, mostrerà loro il luogo preciso e l’ora in cui hanno consumato il peccato?! “Vai via, miserabile, dirà loro, ti condanno e ti maledico per sempre!”. Ahimè! fratelli miei, anche se il buon Dio offrisse loro il suo perdono, è certo che essi lo rifiuterebbero, tanto il peccato è capace di indurire i cuori! Ah! Gesù Cristo potrebbe rivolgere loro le stesse minacce che rivolse a quell’empio di cui parla un certo racconto.
Essendo sul punto di uscire da questo mondo, Gesù Cristo gli disse: “Se tu mi chiederai perdono io te lo concederò”. Ma no! quando ci si è rivoltati nel peccato durante la vita, non c’è più ritorno. “No!” gli rispose il moribondo. “Ebbene, continuò Gesù Cristo, versandogli sulla fronte una goccia del suo sangue prezioso, va pure: nel gran giorno del Giudizio questo sangue adorabile che tu hai disprezzato e profanato per tutta la vita, sarà il tuo marchio di condanna!”. Dopo queste parole, morì, e fu gettato nell’inferno. O terribile momento per un peccatore che non scorgerà in sé nulla di buono che gli faccia sperare di andare in cielo! Quel povero peccatore avrebbe voluto già trovarsi all’inferno, non sapendo che cosa rispondere. Morì e non poté dire altro che questo: “Si, ho meritato l’inferno, è ben giusto che vi sia precipitato; dal momento che ho tanto profanato quel sangue adorabile che tu avevi versato sull’albero della croce, per la mia salvezza”.
(Nel momento del giudizio) Gesù Cristo, tenendo sempre tra le mani il libro in cui sono scritti tutti i suoi peccati, esaminerà il povero peccatore su tutte le preghiere non fatte o fatte male, o forse, fatte covando odio e vendetta; ma che dico? forse addirittura con il cuore arso dal fuoco dell’impurità. No, no, Dio mio, non ti attardare più a esaminarlo, gettalo subito nell’inferno: è questa la grazia più grande che Tu gli possa fare, se vuoi fargliene ancora una, prima di gettarlo nel fuoco eterno. Sì, Gesù Cristo sfoglierà la pagina dove troverà scritti tutti i suoi giuramenti, tutte le sue imprecazioni, tutte le maledizioni che non ha mai cessato di vomitare nell’arco della vita, servendosi di quella stessa lingua e di quelle stesse labbra che tante volte sono state bagnate da quel sangue adorabile. Sì, fratelli miei, Gesù Cristo sfoglierà le pagine dove troverà scritte tutte quelle profanazioni del santo giorno della domenica. Ah! no, no, non ci saranno più scuse, tutto sarà chiaro ed evidente. Sì, Egli vedrà tutte le ubriacature che si sono prese in quel giorno santo; tutte le dissolutezze, i giochi, i balli, che hanno profanato quel giorno a Dio consacrato. Ahimè! quante Messe mancate o ascoltate male! Quante sante Messe, durante le quali non ci siamo occupati quasi per nulla del buon Dio! Ahimè! può darsi che durante quelle Messe abbiamo commesso più peccati che durante tutta la settimana!
Sì, fratelli miei, Gesù Cristo sfoglierà le pagine dove troverà scritti tutti i crimini di quei figli ingrati che hanno disprezzato i loro padri e le loro madri, che li hanno maledetti, che gli hanno augurato la morte, per impadronirsi dei loro beni, che li hanno fatti soffrire nella loro vecchiaia… Sì, fratelli miei, Gesù Cristo sfoglierà le pagine e vi vedrà scritte tutte quelle ingiustizie e tutte quelle usure nelle vendite e nei prestiti. Sì, tutte queste rapine saranno poste alla luce del giorno. Ahimè! quel povero disgraziato sentirà leggersi ogni dettaglio della sua vita, e non riuscirà a trovare neppure una sola giustificazione. Ahimè! a cosa sarà ridotto quel povero orgoglioso che voleva sempre aver ragione, che disprezzava tutti, che si prendeva gioco di tutti? Mio Dio, in quale stato di disperazione lo ha ridotto questo esame! Sì, fratelli miei, finché siamo a questo mondo, non ci mancano mai i pretesti per sminuire i nostri peccati, se non riusciamo a nasconderli del tutto. Ma davanti a Gesù Cristo, fratelli miei, tutto questo non sarà più possibile. Egli farà in modo che ci convinciamo da soli di tutto il male che abbiamo fatto, e noi saremo costretti ad ammettere che tale è stata la nostra vita, e che è ben giusto che siamo condannati ad andare ad ardere nell’inferno, banditi per sempre dalla presenza del nostro Dio. Oh! sciagura spaventosa! Disgrazia senza speranza di riparazione! Oh! quanto è più saggio di noi colui che a queste cose pensa quand’è in tempo!
Ma ciò che finora si è detto, non è ancora tutto. Il demonio, che ha faticato durante tutta la nostra vita per la nostra dannazione, presenterà a Gesù Cristo un libro in cui saranno scritti tutti i peccati che noi abbiamo fatto commettere agli altri. Ahimè! quanto grande sarà il loro numero; ma purtroppo lo scopriremo solo allora. Ahimè! che ne sarà di quei padri e di quelle madri, di quei padroni e di quelle padrone, che tante volte hanno fatto saltare la preghiera ai loro figli o ai loro domestici, per paura di perdere qualche minuto per il loro lavoro? Quante volte non hanno permesso che il pastore del loro gregge andasse alla Messa? Quanti vespri, quante istruzioni, quante catechesi e quanti sacramenti le persone a loro affidate hanno trascurato, perché non gli è stato concesso il tempo necessario? Quante altre volte li hanno fatti lavorare di domenica, o si sono presi gioco di loro quando li vedevano compiere qualche pratica di pietà? E non è forse vero che alle volte gli hanno impedito di svolgerle? Quanti libertini hanno indotto i giovani a peccare, con le loro sollecitazioni e le loro promesse? Quante, fra le giovani donne, hanno indotto altri a fare cattivi pensieri, a sguardi impuri, con i loro modi affettati ed esibizionisti? Quanti ubriaconi hanno indotto altri a bere, trascorrendo le loro domeniche nei locali del divertimento, assentandosi dalle celebrazioni? Ahimè! quanti peccati si sono commessi nelle osterie, lasciandosi offrire da bere, pur essendo già ubriachi! Quante parole sconce e quante altre azioni impure, dal momento che in certi luoghi di divertimento tutto è permesso! E’ là che si fa scorrere dal cuore tutto il veleno dell’impudicizia, che inebria con i suoi sudici piaceri quasi tutti coloro che si trovano nel locale. Ahimè! quanto ci sarà da renderne conto! Quanti giovani derubano i loro stessi genitori, per andare a divertirsi nei locali! E chi ne porterà la colpa? Nessun altro se non i gestori degli stessi locali! Ahimè! quanti dubbi sulla religione essi hanno indotto negli animi dei loro clienti, spacciando loro ciò che avevano inventato per affievolire la fede nel cuore dei loro avventori! Quante calunnie contro i preti! Come se il difetto di uno solo rendesse cattivi tutti gli altri! Ahimè! quanti hanno cessato di frequentare i sacramenti, perché hanno incontrato persone empie che hanno raccontato loro tante falsità sulla religione, al punto da indurli a lasciar perdere tutto! Chi potrà mai contare il numero di anime che per colpa di quelli si sono perdute? Perciò gli sarà imputato come peccato e ciò sarà causa della loro condanna. Tutte le anime che essi hanno fatto dannare, verranno a chiedere vendetta in quel giorno! Ahimè! se il santo re Davide diceva di temere più per i peccati degli altri che per i suoi, che ne sarà mai di questi poveri disgraziati che hanno trascorso la loro vita procurando la perdita di tante povere anime, per mezzo dei loro cattivi esempi e dei loro discorsi malvagi? Ahimè! quale stupore, quando vedranno che tante anime sono state gettate nell’inferno per colpa loro!
Chi di noi, fratelli, non tremerà, pensando che il buon Dio non lascerà nulla senza esame, neppure le buone opere, per verificare se sono state fatte bene e per Lui solo. Ahimè! quante azioni da noi compiute, si sono ispirate unicamente al mondo, al desiderio di essere notati e di passare per brave persone! Quante buone azioni sono destinate a trovarsi senza alcun valore agli occhi di Dio! Ahimè! quanta ipocrisia, quanto rispetto umano hanno fatto perdere loro ogni merito! Fratelli miei, se i santi che erano colpevoli solamente di qualche piccolo errore, hanno tanto temuto quel momento, hanno fatto penitenze tanto dure e così a lungo, come potremo sperare che il buon Dio abbia pietà di noi? Ahimè! quanti, meno colpevoli di noi, cadono ogni giorno nell’inferno! Dio mio, non ci gettare nell’inferno! Piuttosto facci soffrire tutto quello che vorrai, durante questa vita. Non è difficile convincervi di come il buon Dio ci giudicherà rigorosamente… E cosa c'è da meravigliarsi? Un cristiano colmato di tanti benefici, che ha ricevuto tante grazie per salvarsi e a cui niente è mancato se non la sua stessa volontà, non è forse giusto che Dio lo esamini con un terribile rigore?
Leggiamo in una storia riportata da san Giovanni Climaco, un esempio che ci dimostra, in parte, la severità della giustizia di Dio verso il peccatore. Egli ci narra che un suo amico, di nome Giovanni Sabaita, gli aveva detto che in un monastero dell’Asia, c’era un tale che, notando che il superiore lo trattava con eccessiva bontà e dolcezza, pensava che ciò gli sarebbe stato di danno, e, per questo gli chiese di trasferirsi in un altro monastero. Essendo partito, la prima notte trascorsa lì, vide in sogno una persona che gli domandava conto delle sue azioni. Dopo un esame molto severo, si ritrovò debitore alla giustizia divina di una somma considerevole, e il buon Dio gli faceva notare che ancora egli non aveva fatto nulla per espiare i suoi peccati. Terrorizzato da questa visione, rimase altri tre anni in quel luogo, dove il buon Dio, volendo fargli espiare i suoi peccati, permise che venisse disprezzato e maltrattato da tutti. Sembrava che ognuno si incaricasse di farlo soffrire; ciò nonostante, non si lamentava mai. In un’altra visione, il buon Dio gli fece vedere che ancora non aveva saldato neanche un terzo del debito che aveva contratto verso la sua giustizia. Tutto pieno di spavento, si finse pazzo, e protrasse questo genere di vita per tredici anni; in seguito a ciò il buon Dio gli disse che ancora aveva pagato solo la metà del debito. Non sapendo più cosa fare, il poveretto trascorse il resto della vita implorando Dio perché gli usasse misericordia. Non metteva più né limite né misura alle sue penitenze. “Ah! Signore, diceva, non avrai forse pietà di me? Fammi soffrire tutto ciò che vuoi, ma perdonami!”. E fu così che, prima di morire, il buon Dio gli disse che i suoi peccati erano stati perdonati. Ebbene! fratelli miei, come oseremo sperare che i nostri peccati siano cancellati, solo perché li abbiamo confessati, e perché abbiamo chiesto perdono al buon Dio solo a parole? (Il santo intende dire che, anche dopo la confessione sacramentale, resta da scontare la pena per i peccati commessi; n.d.t.). Ahimè! quanti cristiani sono completamente ciechi, pensando di aver fatto tutto, quando ancora non hanno fatto niente, e se ne accorgeranno! Il buon Dio farà loro vedere ciò che i loro peccati meritavano, e le penitenze che per essi hanno fatto. E allora, ahimè! quanti cristiani perduti! Ma, fratelli miei, il giudizio particolare si svolgerà anche su un altro aspetto della vita cristiana. Sebbene ciò che ho detto finora sembra già essere molto severo, quello che sto per dire non è meno terribile. Voglio dire, che Gesù ci giudicherà su tutto quel bene che avremmo potuto fare, ma che non abbiamo fatto. Gesù metterà davanti agli occhi del peccatore tutte le preghiere che non ha fatto, ma che avrebbe potuto fare, e così pure, tutti i sacramenti che avrebbe potuto ricevere durante la sua vita. Quante volte in più avrebbe potuto ricevere il suo Corpo e il suo Sangue, se gli fosse importato di condurre una vita più santa? Gesù Cristo gli chiederà conto anche di tutte quelle volte che ha avuto l’idea di compiere qualche buona azione, ma poi non l’ha compiuta. Quante preghiere, quante messe, quante confessioni, quante penitenze, quanti doveri di carità avrebbe potuto rendere al prossimo! Quante rinunce durante i pasti o quante visite in meno (ai suoi conoscenti), e quante visite in più al Santissimo Sacramento, nel giorno di domenica! Ahimè! quante buone opere mancate, sulle quali subiremo il giudizio! Gesù Cristo ci chiederà conto perfino di tutto il bene che gli altri avrebbero potuto fare, se noi avessimo dato loro il buon esempio! Ah! Dio grande, che ne sarà di noi? Ma, voi mi chiederete, cosa dobbiamo fare per rassicurarci, in quel momento così triste per chi è vissuto nel peccato, senza pretendere di piegare la giustizia di Dio che i nostri peccati hanno così grandemente irritato? Vi rispondo subito. Anzitutto dobbiamo rientrare in noi stessi, e pensare seriamente che ancora non abbiamo fatto nulla che ci possa dare speranza in quel momento. Infatti, tutti nostri peccati sono scritti in un libro che il demonio presenterà a Dio per farci giudicare, per far conoscere a Lui i nostri peccati, anche quelli più nascosti (così scrive il santo, ma è un modo di dire, per farsi intendere meglio dai suoi uditori; Dio sa già tutto; n.d.t.). Poi dobbiamo restituire, sull’esempio di Zaccheo, tutto ciò che non è nostro; in caso contrario giammai potremo evitare l’inferno. Occorre nutrire un grande dolore per i nostri peccati, piangere su di essi come fece il santo re Davide, che pianse il suo peccato fino alla morte ed evitò di ricaderci. Bisogna umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, accettando tutto ciò che il buon Dio vorrà mandarci, non soltanto con sottomissione, ma con grande gioia. Infatti non c’è via di mezzo: o si piange in questo mondo o si piangerà nell’altro, là dove le lacrime non serviranno più a nulla, e la penitenza non riceverà alcun merito. Occorre, inoltre, non perdere mai di vista il pensiero che non conosciamo il giorno in cui saremo giudicati, e che se disgraziatamente fossimo trovati in stato di peccato, saremmo perduti per tutta l’eternità.
Che concludere da tutto quello che si è detto, fratelli miei? Anzitutto dobbiamo riconoscere di essere veramente ciechi, dal momento che nessuno di noi può dire di essere pronto a comparire davanti a Gesù Cristo, e che, malgrado questa certezza di non essere pronti, nessuno di noi fa un passo avanti verso il buon Dio, per assicurarsi una sentenza favorevole. O mio Dio! com’è cieco il peccatore! Ahimè! com’è deplorevole la sorte che lo aspetta! No, no, fratelli miei, non viviamo più come degli insensati, poiché nel momento in cui meno ce lo aspettiamo, Gesù Cristo busserà alla nostra porta. Beato colui che non ha atteso fino a quel momento per prepararsi! E’ questo che vi auguro…
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Il Rito Lionese
Il Santo Curato d'Ars ch'oggi festeggiamo usava, com'è naturale data la sua provenienza, celebrare col rito lionese. Si narra ch'egli avesse intenzione di recitare il Breviario Romano, per sentirsi più al resto della Chiesa, ma, essendo più lungo, avrebbe sottratto troppo tempo alla sua attività di confessore e predicatore. Andiamo ora ad approfondire brevemente la natura di questo antico rito della Chiesa Occidentale, di cui oggi si festeggia forse il più grande Santo che ne fe' uso.
Storia
Tale uso liturgico, proprio dell'Arcidiocesi di Lione, si forma attorno al IX secolo; conserva, in una struttura molto simile al rito romano, numerosi elementi propri dei riti gallicani in vigore fino a quell'età (anche se molti di essi sono andati perduti a causa della romanizzazione intentata da Carlo Magno). La sua prima stesura canonica risale all'850 e, passato indenne al Concilio Tridentino con la strenua difesa dei canonici della cattedrale di Lione e per effetto della bolla Quo primum tempore di S. Pio V (che permette la sopravvivenza dei riti vecchi d'almeno duecento anni), ha le sue prime modifiche nel corso del XVIII secolo, ad opera di Mons. de Montazet, il quale allineò il Messale lionese a quello parigino, più vicino al romano. Questa riforma fu peraltro assai contestata dal clero lionese e portò alla richiesta di decadenza del Montazet dalla carica di Arcivescovo di Lione, respinta tuttavia dal Parlement, che patteggiò a favore dell'Arcivescovo. Quest'ultimo fu anche autore di una riforma del Breviario lionese, in odore di giansenismo.
Durante la rivoluzione francese il clero lionese si occupò di una revisione in senso ortodosso di alcuni passi di quest'ultimo. Ulteriori riforme accorsero nel secolo seguente, con l'introduzione dell'accompagnamento musicale al canto sacro, che prima era sempre monodico e a cappella. Il Card. de Bonald promulgò nel 1876 il nuovo Messale Lionese; la successiva edizione è del 1904, con l'imprimatur del Card. Coullié, e ha un maggior numero di feste proprie diocesane; l'ultima edizione tipica è del 1956, essendo Arcivescovo il Card. Gerier.
Differenze tra Messa Romana e Messa Lionese (bassa)
- Il testo delle preghiere ai piedi dell'altare è leggermente differente. Ciò è riscontrabile in molti riti latini di secondo piano, particolarmente nel Confiteor.
- Conservazione delle sequenze, in massima parte abolite da S. Pio V per la loro origine alloctona.
- Utilizzo di un corporale a 15, anziché a 9 parti.
- L'ostia e il calice si elevano in un solo momento durante l'offertorio.
- Il celebrante incrocia le braccia in due momenti del Canone (l'Unde et memores e il Supplices te rogamus).
- Il chierichetto trasporta il Messale chiuso, e non aperto come nel rito romano.
Il Pontificale Lionese
La Messa Pontificale lionese è forse quanto di più sfarzoso si possa immaginare, con gran spiegamento di pompa liturgica e un numero enorme di ministri: almeno 36!, laddove la liturgia romana se celebrata al massimo della sua solennità non ne impiega più di 15, tant'è vero che gli stalli del coro della Cattedrale di S. Giovanni scendevano sin giù dai gradini del Santuario. Anche i ministri inferiori, poi, vestivano il manipolo, cosa riservata a chi ha avuto almeno l'ordinazione suddiaconale nel rito romano. Differenti erano anche i toni, rispetto al rito romano, nonché la maggior parte delle melodie.
Alcuni elementi di antica latinità che si sono mantenuti all'interno del pontificale lionese, e che viceversa sono scomparsi almeno a partire dall'XI secolo in quello che poi sarebbe stato codificato dal Concilio Tridentino come rito romano, si possono annoverare l'incensazione alla greca (a catena lunga), effettuata da un suddiacono, posto dietro l'Altare, durante la Consacrazione, nonché la concelebrazione sacramentale dei sei sacerdoti che assistono il Vescovo al Giovedì Santo, caso unico in tutta la liturgia latina (seppur simbolicamente conservatisi, i sei sacerdoti non concelebrano sacramentalmente in nessun altro luogo, come la teologia medievale ha prescritto, vedendo nell'unico celebrante la figura dell'unico sacerdozio di Gesù Cristo).
Il Rito Lionese oggi
La commissione bugniniana del Concilio Vaticano II pensò a riformare anche il rito lionese, ma nei fatti esso fu completamente sostituito dal rito romano moderno. Anche gli istituti che celebrano la liturgia tradizionale nell'arcidiocesi lionese (FSSPX e FSSP) sono di rito romano, e dunque il rito lionese di fatto non è più celebrato (la fraternità di S. Ireneo e alcuni canonici lionesi provarono a restaurare l'usanza, senza successo, negli anni Novanta), e ad oggi la ripresa della celebrazione in rito lionese tradizionale sarebbe assai difficile, dacché non esiste più alcun chierico vivente che abbia imparato in seminario tale rito.
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