NON C'INDURRE IN TENTAZIONE
Preghiere della neochiesa. Il Padre nostro è l’unica preghiera che sia stata insegnata direttamente da Gesù, ma con l'Ave Maria dal 2008 sono cambiate. Dio non permette che alcuno sia tentato oltre la sua capacità di resistere
di Francesco Lamendola
Come è noto, il Padre nostro è l’unica preghiera cristiana che sia stata insegnata direttamente da Gesù Cristo, così come ce l’hanno tramandata fedelmente i Vangeli (padre Sosa Abascal non ce ne voglia). Ora, proprio su questa preghiera, oltre che sull’Ave Maria, si è abbattuta la scure della neochiesa modernista: infatti la nuova tradizione della Bibbia del 2008, voluta dalla C.E.I., modifica le parole:e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male, che i fedeli hanno recitato devotamente per duemila anni, cambiandole in quelle, più politicamente corrette, più innocue e inoffensive: e non abbandonarci alla tentazione. Insomma, la parola d’ordine è sempre la stessa: rassicurare, tranquillizzare, blandire, carezzare, piacere, e, soprattutto, includere: includere tutti, cristiani e non cristiani, cristiani veri e cristiani falsi, cattolici veri e cattolici taroccati, cioè modernisti, cioè eretici. La cosa importante è non scontentare nessuno (tranne i veri cattolici, ma quelli sono ormai una quantité négligeable, e di loro non importa più niente a nessuno, tanto meno al papa), non allontanare nessuno, non disgustare nessuno, riuscire simpatici, attraenti e dialoganti con chiunque, anche e specialmente coi peggiori nemici della Chiesa e di Gesù Cristo: i massoni, i radicali, i neomarxisti e tutto il codazzo degli adoratori dei feticci della modernità: ragione, progresso, scienza, tecnica, e così via.
La consegna, esplicita, è quella di raccogliere consensi, di puntare alla quantità, di far numero; e, per ottenere questo risultato, rimuovere dal sentiero tutti i sassolini, tutte le pietre, tutte le spine che potrebbero ferire i delicatissimi piedi degli uomini moderni, ai quali dispiace un linguaggio religioso troppo severo ed esigente. Non c’è alcun dubbio che Giovanni il Battista, con il suo stile di predicazione molto franco e aggressivo, sarebbe, dai neopreti e dai neoteologi della neochiesa, accompagnato al più vicino centro di salute mentale, per sottoporlo obbligatoriamente a una bella visita psichiatrica; e, francamente, dubitiamo assai che un trattamento diverso verrebbe riservato allo stesso Gesù Cristo, se un giorno venisse in incognito, come immagina Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore, per vedere come vanno le cose e a che punto sono arrivati i suoi cosiddetti seguaci.
Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza sull’espressione e non c’indurre in tentazione, che tanto fastidio dà al clero modernista e semi-protestante della neochiesa, al punto da averla voluta tradurre in altro modo, per rendere il “vero” pensiero di Gesù Cristo, lui che ne è il legittimo depositario, revisore e correttore. La “tentazione”, nel significato originario che ha nella Bibbia, è una prova: una prova voluta o permessa da Dio. Nel Libro di Giobbe, ad esempio, Dio concede al diavolo di tentare Giobbe, per mettere alla prova la sua fede e per mostrare al diavolo che nulla può contro un cuore puro e contro un’anima che confida in Lui. Più tardi, il concetto di “tentazione” assume un ulteriore significato, che non è in contrasto, ma è una semplice estensione del primo: quello di incitamento al male che parte dal diavolo, e che fa leva sulla concupiscenza presente nell’uomo. La tentazione diventa, allora, il momento privilegiato di una guerra ininterrotta che il diavolo conduce contro gli uomini per farli cadere e allontanarli da Dio: non più una situazione eccezionale, come quella di Giobbe, ma una situazione “normale”, come normale è la lotta fra il bene e il male che si svolge sia nel mondo, sia nel profondo dell’anima di ogni essere umano. Gesù Cristo, il Verbo incarnato, prima d’iniziare il suo ministero pubblico va nel deserto e accetta di essere tentato dal diavolo: ciò significa che, se la tentazione è un elemento costante e ineliminabile della condizione umana, cui nessuno può sfuggire, la tentazione è tanto più presente, temibile, subdola e insinuante in coloro che scelgono consapevolmente la via del bene. La vita dei grandi santi è letteralmente costellata dagli assalti del diavolo, talvolta perfino fisici, ma soprattutto morali: dubbi, crisi spaventose e perfino ossessioni e temporanee possessioni demoniache. La beata Mirjam di Gesù Crocifisso (1846-1878), piccola suora araba beatificata da Giovanni Paolo II nel 1983, conobbe perfino la possessione demoniaca: ed era un’anima santa.
Ma per capire meglio il concetto biblico della tentazione, e soprattutto quello neotestamentario, la cosa migliore è che andiamo a rileggerci la Lettera di San Giacomo (capitolo 1, 1-27; traduzione dalla Bibbia di Gerusalemme), nel quale troveremo la chiave per fugare eventuali fraintendimenti:
Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo, salute.
Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla
Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare mossa e agitata dal vento; e non pensi di ricever qualcosa dal Signore un uomo che ha l’animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni.
Il fratello di umili condizioni si rallegri della sua elevazione e il ricco della sua umiliazione, perché passerà come fiore d’erba. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco appassirà nelle sue imprese.
Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte.
Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi; ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento. Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature.
Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana. Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Dall’insieme del contesto emerge cosa si debba intendere quando si prega, con il Padre nostro, recitando le parole: … e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Non è Dio che induce in tentazione chicchessia, se con ciò s’intende che Egli voglia farci cadere e ci tenda, perciò, dei trabocchetti; piuttosto, Egli lascia a noi l’esercizio del dono più bello di cui abbia adornato la natura umana, la libertà del volere, perché, diversamente, Egli non sarebbe un padre amorevole, ma un tiranno. La libertà del volere presuppone l’esistenza della tentazione: dove non c’è libertà, non esiste neppure l’occasione perché di essa si possa fare un uso sbagliato. Adamo ed Eva erano figli di Dio, non suoi schiavi: avevano la libertà del volere, e fu per questo che caddero, e consumarono il Peccato originale, principio di ogni altro male e tribolazione per l’intero genere umano. Ecco, allora, che la tentazione ci appare, in un mondo di creature libere, fatte a immagine di Dio, come la condizione necessaria per mezzo della quale vengono messe in grado di scegliere, da se stesse, il proprio destino: la pace in questa vita e la beatitudine nell’eternità, oppure una vita disordinata quaggiù, e poi l’eterna dannazione. E di ciò non si può dare la colpa a Dio.
C’è, nelle ultime parole del brano di san Giacomo sopra riportato, un concetto capitale: la legge della libertà. La cultura moderna, post-cristiana e anticristiana, ci ha abituati a pensare la libertà come l’opposto della legge: se c’è la libertà non c’è la legge, mentre, se c’è la legge, allora non può esserci la libertà. Questo è un modo di pensare profondamente, radicalmente, anticristiano e, vorremmo dire, anche anti-umano, figlio dell’individualismo esasperato e dell’edonismo assoluto della cultura moderna. La libertà non è l’opposto della legge morale, ma la sua attuazione: è libero colui che fa ciò che è giusto, non colui che fa ciò che vuole. Colui che fa quel che vuole non è un uomo libero, ma un pazzo, una mina vagante, un pericolo per se stesso e per gli altri. Il fatto è che la cultura moderna concepisce l’esercizio della libertà come la rottura dei vincoli e delle norme, come lo strappare l’ancora dai doveri e dalle aspettative altrui, anche le più legittime, e recuperare una sorta d’”innocenza” russoviana che è, in effetti, a ben guardare, unicamente incoscienza, narcisismo ed egoismo sfrenato (si veda Le bateau ivre di Rimbaud). Non si può essere liberi contro qualcosa o qualcuno, si può essere liberi solo per qualcosa: e quel qualcosa non può che essere la norma morale. Libertà è fare quello che è giusto, quello che è giusto in modo assoluto; non giusto per me e ingiusto per gli altri, e nemmeno giusto per gli altri e ingiusto per me, ma ciò che è giusto in maniera assoluta. Ora, uno solo può essere giusto giudice al di sopra dei bisogni e dei desideri individuali, soggettivi e contrapposti: Dio. Senza la legge assoluta di Dio, il mondo precipiterebbe nel caos, perché ciascuno cercherebbe quel che è bene per sé, e lo chiamerebbe “giusto”, anche là dove stesse commettendo le peggiori ingiustizie a danno del prossimo (e magari, come accade non di rado, anche a danno di se stesso, beninteso senza rendersene conto).
«E non c’indurre in tentazione…»
di Francesco Lamendola Dell'11 Ottobre 2017
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