DUE ANNI FA SUPPLICA AL PAPA SUL
MATRIMONIO. ORA QUASI 900MILA FIRME. IMBARAZZANTE (IMBARAZZATO?) SILENZIO DI
PIETRO.
Tuttora il coordinamento della “Supplica Filiale”, che rappresenta una coalizione di oltre 60 organizzazioni pro-famiglia e pro-vita dei 5 continenti, non ha ricevuto nemmeno una nota di avvenuta ricezione da parte della Santa Sede.
Straordinario, no? Specialmente se si tiene conto che l’onnipotente Segreteria di Stato risponde a tutti, comprese le coppie omosessuali, augurando ogni bene e facendo così qualche piccola gaffe. Ma ovviamente i cattolici non hanno diritto a risposta. Nel frattempo la supplica filiale è stata firmata da 1378 “firmatari qualificati”; cioè religiosi, religiose, vescovi, cardinali, accademici e studiosi: mentre la raccolta di firme fra i semplici fedeli ha raggiunto quasi le novecentomila adesioni (879.451, per l’esattezza).
Oggi il comitato che ha dato il via alla supplica filiale la ripropone, chiedendo al Pontefice regnante di rompere un silenzio che ormai oltre che paradossale sta diventando veramente straordinario, senza una possibile giustificazione che non sia l’imbarazzo. (Chi desidera aderirvi può firmare nel sito www.supplicafiliale.org).
Ma è rimasta senza risposta anche una seconda iniziativa: una “Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina, ricevuta dagli apostoli”, attendendo così ad un suggerimento di alte sfere ecclesiastiche. Non disponendo degli stessi mezzi logistici della prima iniziativa e trattandosi questa volta di un documento significativamente più esteso, il coordinamento ha pubblicato la Dichiarazione nel suo sito internet il 29 agosto 2016, in modo che chiunque potesse firmarla.
La Dichiarazione di Fedeltà ha raggiunto 35.112 firme, fra le quali si contano 3 cardinali, 9 vescovi, 636 fra sacerdoti diocesani e religiosi, 46 diaconi, 25 seminaristi, 51 fratelli religiosi, 150 religiose claustrali e di vita attiva, ai quali si devono aggiungere 458 laici fra accademici in genere, professori di teologia, insegnanti di religione, catechisti e agenti pastorali.
Il testo affermava fra l’altro che “una coscienza ben formata non può giungere alla conclusione
- che la sua permanenza in una situazione oggettivamente peccaminosa può costituire la sua migliore risposta al Vangelo, né che questo è ciò che Dio le sta chiedendo;
- che il sesto comandamento e l’indissolubilità del matrimonio sono semplici ideali da perseguire;
- che a volte non sia sufficiente la grazia per vivere castamente nel proprio stato, il che darebbe ad alcuni il “diritto” di ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia;
- che basta una coscienza soggettiva per auto-assolversi dal peccato di adulterio.
Insegnare e aiutare i fedeli a vivere in conformità a queste verità – aggiungono i firmatari – costituisce in se stessa una “eminente opera di misericordia e di carità”. Se la Chiesa consentisse l’accesso all’Eucaristia a chi si trova manifestamente in uno stato oggettivo di peccato grave, si comporterebbe come “proprietaria dei sacramenti” e non come la loro “fedele amministratrice”, incarico affidatole da Nostro Signore”.
Silenzio totale anche su questa rispettosa manifestazione di fedeltà. Infine “abbiamo la più recente manifestazione della volontà di Papa Francesco di restare in silenzio, permettendo così l’aggravarsi del clima di confusione”. E cioè , è la reticenza mostrata davanti alla “Correzione filiale per la propagazione di errori”, elevata a Sua Santità lo scorso 11 agosto da un gruppo di pastori di anime e accademici. Gruppo al quale ogni giorno si aggiungono nuovi e qualificati aderenti; attualmente la lista qualificata ha raggiunto 235 firme, mentre migliaia costituiscono la lista di appoggio popolare.
Non credo che saranno le ultime iniziative. Lo stato di confusione e divisione nella Chiesa non accenna a migliorare. Proprio ieri “La Fede Quotidiana” pubblicava un interessante intervista all’arcivescovo Henryk Muszynski, emerito di Gniezno in Polonia, e Primate Emerito della nazione oltre che ex presidente della Kep, la Conferenza Episcopale polacca. “Amoris Laetitia? Va letta in continuità col Magistero di San Giovanni Paolo e la Familiaris Consortio, è necessario un chiarimento”, diceva il presule.
E altri lo diranno, ancora e ancora, nell’immediato futuro.
Chi scrive ha seguito con attenzione lo sviluppo dell’operazione “Amoris Laetitia” dalla primavera del 2014, cioè da prima che la prima tranche del Sinodo fosse aperta. Ha pubblicato – grazie a indiscrezioni di ottima fonte e all’ingenuità di uno dei protagonisti del Sinodo – uno schema di quello che sarebbe stato l’andamento del Sinodo stesso, censurato e condizionato, fino al suo epilogo, e cioè un documento volutamente ambiguo. Molto era stato previsto dal think tank di papa Bergoglio. Ma forse non tutto. Forse si pensava che dopo un po’ di trambusto il gregge – cardinali, vescovi e soprattutto laici – si sarebbe rimesso quieto, a brucare l’erba dell’ambiguità preparata al vertice. Invece non è stato, non è così; e il pontificato di Bergoglio corre il rischio, al di là delle esibizioni da circo mediatico, di continuare a essere segnato e di passare alla cronaca per una straordinaria insincerità, per la mancanza di coraggio e chiarezza di chi non risponde e si limita a trovare epiteti (rigidi, rigidi…) per chi chiede una risposta semplice, chiara e convincente su un punto centrale della vita cristiana, l’eucarestia. Non fumosità.
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