ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 ottobre 2017

Un vecchio metodo


SEMINARI E COMUNISTI INFILTRATI

Quanti preti di sinistra sono massoni ed ex agenti sovietici infiltrati nei seminari? Come ha fatto la Massoneria a travasare i suoi programmi nel movimento comunista mondiale e per mezzo di esso nei vertici della Chiesa 
Francesco Lamendola  


È piuttosto diffusa l’opinione che una tendenza “di sinistra” sia sempre esistita all’interno del mondo cattolico e della Chiesa stessa; che una parte dei cattolici e del clero, a torto o a ragione (a torto, secondo il nostro punto di vista), ritengano esistere una consonanza di fondo e una logica, naturale convergenza strategica, fra la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo e il Capitale di Karl Marx; e, inoltre, che si tratti d’un fenomeno assolutamente spontaneo, giusto o sbagliato che sia nel merito della questione, davanti al quale non si può fare altro che prenderne atto, più o meno come si prende atto del sole e della pioggia, o del succedersi delle stagioni. Vale tuttavia la pena di chiedersi se davvero si sia trattato di un fenomeno del tutto spontaneo e naturale; se i preti modernisti e i preti operai, o una parte di essi, non siano stati solo gli utili strumenti, diciamo pure gli utili idioti, di una manovra immensamente più vasta di quanto le loro menti “progressiste”, per quanto si credessero audaci, avrebbero mai osato immaginare.

Esistono degli argomenti di ordine logico per nutrire un simile dubbio. Dopotutto, la Chiesa aveva resistito all’offensiva scatenata dalla Massoneria, a partire dal’Illuminismo, per un paio di secoli; era rimasta compatta, vogliamo dire, quanto meno sul piano dottrinale e pastorale. Solo in Francia, sotto i colpi di maglio della Rivoluzione del 1789 e la lacerazione prodotta dalla Costituzione civile del clero, si erano aperte delle serie falle in tale compattezza; non, però, a livello dogmatico, ma solo nell’atteggiamento di una parte del clero verso la società civile e lo Stato. In altre parole, per due secoli il clero cattolico aveva resistito a tutti gli sforzi della Massoneria per scompaginarlo dall’interno, mediante infiltrazioni sapientemente mirate e astutamente dissimulate, senza cedere di un millimetro sul piano dei principî, con la stessa determinazione mostrata davanti all’offensiva protestante nel XVI secolo. Il papa Clemente XII, nel 1738, aveva fulminato la scomunica contro la Massoneria e i suoi membri, con l’epistola In eminenti apostolatus specula; provvedimento che venne confermato e ribadito da tutti i pontefici successivi, e mai ufficialmente ritirato. Solo con Giovanni XXIII e soprattutto con Paolo VI si faranno strada delle tendenze apertamente favorevoli a riallacciare il “dialogo” con i massoni, e verranno allo scoperto vescovi possibilisti e sacerdoti proclamanti apertamente la loro fede massonica, come quel padre Rosario Esposito (1921-1997) del quale ci siamo occupati in un recente articolo (Il caso di padre Esposito mostra che la Massoneria si è già insediata dentro la Chiesa, pubblicato su Il Corriere delle Regioni in data 06/04/2016). Don Luigi Villa (1918-2012), comboniano, da parte sua, dopo anni di pericolose indagini in tutto il mondo, dietro mandato spirituale di padre Pio da Pietrelcina, era giunto alla conclusione che sia Giovanni XXIII, sia Paolo VI erano affiliati alla Massoneria e la stavano favorendo occultamente; scrisse anche una serie di libri per denunciare il fatto, che furono “silenziati” dalla grande stampa e dall’informazione ufficiale, e pubblicò la battagliera rivista Chiesa viva e altri periodici, che vennero sistematicamente sabotati e fatti chiudere dall’autorità episcopale. Ci rendiamo conto della gravità delle accuse di don Villa, eppure non ci risulta che le sue affermazioni abbiano ricevuto una smentita convincente; piuttosto, sono state ignorate, il che è assai diverso.
Dunque, a un certo punto, la strenua lotta della Chiesa contro la Massoneria s’indebolisce, va in affanno, s’inceppa: la svolta avviene dopo la conclusione del pontificato di Pio XII (che di don Villa aveva stima e che lo aveva incoraggiato), e si è manifestata in forma sempre più esplicita, per esempio attraverso ripetute dichiarazioni del cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, anche’egli favorevole al “dialogo” con i fratelli massoni, in nome di non si sa bene quale comunanza spirituale: quella gnostica e deista propria della Massoneria, evidentemente; non certo quella cattolica (e Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, avrebbe poi fatto un superlativo e imbarazzante elogio funebre del cardinale Martini, il 31 agosto 2012, come se fosse stato un confratello). Ebbene, proprio nello stesso momento, giunge alla ribalta il fenomeno della contestazione di sinistra nei seminari; emergono le figure dei preti contestatori - come don Lorenzo Milani, che se la prende coi cappellani militari, col servizio militare obbligatorio, con le professoresse che bocciano gli alunni impreparati -, e dei preti operai, i quali, benché certamente animati, in molti casi, da ottime intenzioni, nondimeno alimentano il clima di secolarizzazione all’interno della stessa Chiesa e di contestazione nei confronti dei vescovi “tradizionalisti”, additati al pubblico disprezzo per le loro posizioni retrive e per la loro sorda opposizione a un non meglio specificato”spirito del Concilio Vaticano II”, formula nella quale i preti, i teologi e tutti i cattolici di sinistra inseriscono idealmente tutte le riforme ulteriori che vorrebbero attuare, ma che il Concilio stesso ha tralasciato di fare, pur avendone avuta, a sentir loro, tutta l’intenzione.
È una strana coincidenza. La dura condanna della Chiesa contro la Massoneria si attenua e quasi scompare proprio quando, dall’interno della Chiesa, emerge una intera generazione di preti di sinistra, i quali introducono, nel loro stile pastorale, dei modi e dei contenuti che sono molto vicini agli ideali massonici: generica adorazione di un Dio inconoscibile; relativismo delle fedi e della morale; esaltazione e glorificazione dell’uomo quale soggetto della storia e artefice del progresso; generica fratellanza fra gli uomini, che equivale a una distruzione delle identità culturali, nazionali, religiose; cieca fiducia in una élite illuminata che dovrà prendere la guida dell’umanità e condurla felicemente verso i beati pascoli di un modo perfettamente unificato e pacificato. È lecito domandarsi se, per caso, il programma originario della Massoneria, d’infiltrarsi silenziosamente nella Chiesa cattolica e “addomesticarla” dall’interno, non abbia trovato una geniale applicazione per il tramite dell’ideologia marxista, penetrata così velocemente e così capillarmente nel tessuto della Chiesa e nella stessa teologia cattolica (basti pensare alla teologia della liberazione; e si tenga presente la vastissima diffusione delle logge massoniche nel subcontinente latino-americano), da far sorgere molti inquietanti interrogativi. Ma come avrebbe fatto la Massoneria a “travasare” i suoi programmi e i suoi obiettivi strategici nel movimento comunista mondiale, e a infiltrare, per mezzo di esso, i quadri e gli stessi vertici della Chiesa cattolica?
In effetti, non sono in molti a sapere che, durante gli anni della Guerra fredda, un numero considerevole di membri dei servizi segreti sovietici, giovani italiani, francesi, tedeschi, eccetera, tutti marxisti-leninisti dalla fede inossidabile, si sono abilmente infiltrati, oltre che nei gangli vitali della società civile dei Paesi membri della N.A,T.O., anche nelle file della Chiesa cattolica, a partire dal livello della formazione sacerdotale, ossia dai seminari e dai noviziati, con il preciso mandato di insinuare accortamente le idee del comunismo nella mentalità e nella pratica del clero, sfruttando anche il momento eccezionalmente favorevole creatosi a partire dagli anni ’60, con l’atmosfera elettrizzante del Concilio Vaticano II, con la comparsa della nuova figura del “prete operaio” e con le audaci “aperture” in senso progressista di teologi come Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Yves Congar, Hans Küng, Walter Kasper e altri.
Tale pratica di infiltrazione risaliva, in realtà, ancora più indietro nel tempo: rimontava addirittura a prima della Seconda guerra mondiale, quando l’Unione Sovietica di Stalin era come una enorme fortezza assediata da ogni parte, e i suoi servizi segreti si servivano di qualunque stratagemma, anche il più machiavellico, pur di reagire a tale isolamento e di portare il seme della controffensiva ideologica fin nel cuore delle democrazie occidentale e degli stessi stati fascisti, a cominciare dall’Italia di Mussolini, dove potevano servire nella duplice veste di quinte colonne dentro la Chiesa cattolica, e di agenti dello spionaggio politico in senso anticapitalista e antiborghese. I servizi di controspionaggio dei Paesi europei ne erano, naturalmente, a conoscenza; nel caso dell’Italia, la polizia segreta fascista, l’O.V.R.A., ne era perfettamente informata, anche se non è dato sapere se il governo fascista avesse “passato” alla Chiesa, o lasciato comunque filtrare verso di essa, quella parte d’informazioni che la riguardavano più direttamente.  
Quanti preti di sinistra sono massoni ed ex agenti sovietici infiltrati nei seminari?

di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio

Già pubblicato il 01 Giugno 2016
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/contro-informazione/lo-smemorato-siberiano/1366-seminari-e-comunisti-infiltrati

SE LI CONOSCI LI EVITI       


    Augias e Pesce: se li conosci li eviti. «Inchiesta su Gesù» un libro-intervista nel senso che Augias fa le domande e Pesce dà le risposte. Come mai non si parla mai neppure in via d'ipotesi di Gesù Cristo come Figlio di Dio? 
di Francesco Lamendola  

 

Corrado Augias, nato a Roma nel 1935, è un giornalista scaltrito e molto noto al pubblico, poiché ha collaborato a importanti giornali nazionali, specialmente «La Repubblica», ha tenuto a lungo rubriche televisive (in particolare «Le Storie-Diario italiano», andata in onda, quotidianamente, per un decennio, dal 2003 al 2013) e, infine, ha pubblicato una quantità impressionante di libri, fra romanzi, inchieste e saggi, qualcosa come trentacinque volumi. Mauro Pesce, nato a Genova nel 1941, è un docente universitario specializzato in storia del cristianesimo, biblista e fondatore dell'Associazione italiana per lo studio del Giudaismo e del Centro interdipartimentale di studi per l'Ebraismo e il Cristianesimo; ha pubblicato una ventina di volumi, alcuni titoli dei quali possono dare un'idea del suo tipo di approccio storico-religioso: «Dio senza mediatori. Una tradizione teologica dal giudaismo al cristianesimo»; «Il cristianesimo e la sua radice ebraica»; «L'ermeneutica biblica di Galileo e le due strade della teologia cristiana»;  «Le parole dimenticate di Gesù»; e «Chi ha paura del Gesù storico?».
Insieme, essi hanno dato alle stampe un libro-intervista, nel senso che Augias fa le domande e Pesce dà le risposte, intitolato «Inchiesta su Gesù», pubblicato nel 2006 con gran battage pubblicitario e mediatico e presentato come un libro che, finalmente, quasi fosse la prima volta nella storia, fa un discorso di verità, aperto e coraggioso, su Gesù Cristo, la sua figura storica, il suo messaggio, la religione che a lui si ispira: un libro che non pretende di fare delle "rivelazioni", che non punta ad alcuna forma di scanalo, anzi, critica la superficialità del polpettone di Dan Brown «Il Codice Da Vinci»; ma poi procede citando teologi e biblisti come Han Küng e come Elaine Pagels, o come Harold Bloom (che è un critico letterario e non certo un biblista o un esperto di storia del cristianesimo) e perfino Voltaire (citato tre volte) e guardandosi bene dal richiamarsi alle massime autorità della teologia e della critica neotestamentaria di parte cattolica. Tommaso d'Aquino è citato una sola volta, e fuori contesto; Joseph Ratzinger è citato due volte, la prima per metterlo in una luce malevola (avrebbe mostrato "mancanza di delicatezza" verso i Giudei per la scelta del cardinale Lustiger, un ebreo convertito, per farsi rappresentare alla commemorazione del quarantennale della «Nostra aetate», il documento del Concilio Vaticano II che inaugurava il "disgelo" verso il Giudaismo; cosa che avrebbe tanto irritato il rabbino capo di Roma, da indurlo a disertare la cerimonia); la seconda, per fargli un processo alle intenzioni, attribuendogli scarsa propensione per il "dialogo" con il Giudaismo, inteso come riconoscimento a senso unico delle "colpe" dei cristiani, nonché una interpretazione non abbastanza giudaica, e tropo "cristiana", della figura e della predicazione di Gesù Cristo!
Sforzo costante di tutto il libro, molto ben dissimulato, è, da un lato, "recuperare" Gesù Cristo alla tradizione religiosa giudaica, senza residui e senza riserve, dall'altro, quello di offrire una chiave di lettura prevalentemente politica e sociale del suo messaggio, come una attesa della realizzazione del Regno di Dio sulla terra, in un prossimo futuro, e nella instaurazione della giustizia nei rapporti umani, insomma una "redenzione" tutta laica e immanente.
Il primo punto si avvale di una serie incessante di luoghi comuni, ulteriormente ribaditi e rafforzati, il cui nucleo è il seguente: il cristianesimo, e la Chiesa cattolica in particolare, sono sempre stati anti-giudaici; hanno sempre discriminato gli Ebrei; hanno accettato malvolentieri l'instaurazione dei "diritti dell'uomo" nella modernità, poi, la fondazione dello Stato d'Israele. In compenso, a partire dal Concilio Vaticano II, hanno incominciato a fare doverosa ammenda dei loro atteggiamenti antisemiti, delle loro responsabilità e delle loro colpe, se non altro di omissione e di silenzio", rispetto all'Olocausto; solo che queste lodevoli iniziative sono tuttora tenacemente contrastate da uno “zoccolo duro" di anti-giudaismo presente nel cuore della Chiesa, da un persistente sentimento di ostilità, o almeno di diffidenza; da una mai sopita insofferenza venata di pregiudizi, e, in particolare, dalla vecchia accusa di "deicidio" rivolta al popolo ebreo nel suo complesso.
Dell'ostilità al cristianesimo dei Giudei, nemmeno una parola; del fatto che non solo Gesù, ma anche i suoi primi apostoli, siano stati perseguitati a morte dal Sinedrio, con ogni mezzo, legale e illegale (nel caso di San Paolo, un tentativo di farlo assassinare mentre i soldati romani lo scortavano da Gerusalemme a Cesarea, perché vi fosse giudicato), nulla; del fatto che, in tutte le comunità giudaiche sparse nell'Impero romano, e specialmente  a Roma, presso gli imperatori, i Giudei si siano serviti di ogni occasione per istigare la persecuzione dello Stato contro i cristiani, ancora nulla. Nulla sul fatto che i Giudei aprirono le porte ai Persiani e, poco più tardi, agli Arabi, quando le terre cristiane del Vicino Oriente dell'Egitto sfuggirono al controllo degli imperatori bizantini; e che in più occasioni si siano resi protagonisti, in prima persona, di giganteschi massacri di cristiani, come appunto a Gerusalemme, all'epoca della conquista sassanide. Nulla anche della ferma volontà di non integrarsi, di considerare tutti i Gentili, cioè i cristiani, come massa dannata, meritevole dell'Inferno e di ogni maledizione, come peraltro raccomanda, e, anzi impone, il «Talmud»; o del fatto che i Giudei, nell'Europa medievale, esercitassero l'usura in misura tale, da attirarsi l'odio delle popolazioni, non per ragioni religiose, ma economico-sociali. Allo stesso modo, non si accenna mai a una distinzione fra anti-giudaismo e anti-semitismo; si mescolano le due cose; si tace che le riserve della Chiesa cattolica verso il giudaismo erano di natura religiosa, né avevano a che fare con l'antisemitismo razzista, tanto è vero che i Giudei convertiti al cristianesimo venivano - e vengono - accolti senza riserve nell'ambito della cristianità, con pari diritti e doveri; e che alcuni grandi santi e personaggi insigni del cristianesimo sono stati dei Giudei convertiti, dallo stesso San Paolo alla luminosa figura di Edith Stein, monaca carmelitana perita ad Auschwitz.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, in verità meno fortemente sottolineato, si sostiene che Gesù non voleva altro, in fondo, che l'instaurazione di un regno di Dio che equivalesse al regno della giustizia e della pace sulla terra, come lo voleva qualunque giudeo osservante; che il «Padre nostro» non ha alcunché d’innovativo, ma è una preghiera che qualunque giudeo osservante avrebbe potuto recitare in perfetta coscienza; che il Sermone della Montagna, evidentemente, non ha quella valenza rivoluzionaria che gli è stata attribuita, se non, appunto, in senso politico e sociale.
Citiamo qualche estratto del libro, per mostrare le tesi precostituite che gli Autori si propongono di smerciare come moneta buona, ossia come disamina serena e spassionata, storicamente oggettiva e intellettualmente "onesta", cioè scevra di pregiudizi, scegliendo quasi a caso;dal momento che tutto il libro, dal principio alla fine, è un'opera "a tesi", spacciata, però, all'opposto, per una inchiesta disinteressata, neutra, equa e imparziale (da: C. Augias-M. Pesce, "Inchiesta su Gesù. Chi era l'uomo che ha cambiato il mondo" (Milano, Mondadori, 2006):

«Il cristianesimo è un movimento sorto dopo Gesù e che, per molti versi, ne ha nascosto l'ebraicità, allontanando da lui le Chiese di oggi. Gli studi storici ne hanno dimostrato l'ebraicità, tuttavia questa conquista è spesso ignorata dai fedeli e, anche quando è conosciuta, non è percepita in tutte le sue conseguenze» (p. 23).
«Non c'è una sola idea o consuetudine, una sola delle principali iniziative di Gesù che non siano integralmente ebraiche» (p. 26).
«Forse il cristianesimo nasce addirittura nella metà del II secolo.  In quel momento portano il nome di "cristiani" quasi soltanto i non ebrei che credono in Gesù; il cristianesimo è la loro religione» (p. 201).
«Il Dio in cui Gesù mostra assoluta fiducia è il Dio ebraico che ha espresso la sua volontà nella Legge biblica. Per Gesù il cuore di questa legge sta nel Decalogo: lì Dio rivela ciò che in concreto si deve fare, su quelle norme esige assoluta obbedienza. 
Gesù aspetta l'avvento del regno di Dio che avrà luogo in due modi diversi. Quando arriverà il regno di Dio, si avrà un giudizio universale, ma anche un periodo intermedio in cui il messia regnerà e la terra sarà rinnovata: una specie di sogno utopico in cui le forze della natura diventeranno benefiche, ogni contrasto avrà fine. In seguito, questa idea del regno intermedio sembra essere rimasta solo in alcuni gruppi di seguaci, per poi essere trascurata dalla maggior parte dell'esperienza cristiana. Solo in certe correnti marginali del cristianesimo è di tanto in tanto riaffiorata nel corso dei secoli. Di ciò che Gesù ha lasciato fa quindi parte anche la smisurata speranza che il mondo possa essere redento in termini non solo teologici ma concreti, che il mondo cioè ossa davvero cambiare. Gesù era certo di questo rinnovamento e anche il grande mutamento non ebbe luogo, egli ha lasciati ai seguaci una speranza che ha continuato a incendiare il cuore degli uomini» (p. 220).

Insomma: i cristiani hanno "scippato" Gesù all'ebraismo e si sono serviti di lui per “costruire” una religione tendenzialmente anti-giudaica. Strano: avevamo sempre saputo che fu il Giudaismo a rifiutare Gesù, e che fu il Sinedrio a volerne la morte di croce. O si tratta di dettagli irrilevanti? Eppure è stato Gesù a osservare che la pietra, rifiutata dai costruttori, è diventata la pietra d'angolo. E quanto al fatto che l'aver "nascosto" l'ebraicità di Gesù (ma chi mai si è sognato di negare, o adombrare, il fatto che Gesù era ebreo?), avrebbe allontanato i cristiani da lui, dalla sua vera figura e dal suo vero messaggio, travisandolo in senso, appunto, "cristiano" (paolino? o, come azzardano gli Autori, di san'Ireneo di Lione?), come mai, allora, i Giudei lo hanno sempre percepito come estraneo e blasfemo rispetto al loro credo? Se Gesù era così "ebreo", così ligio alla Legge mosaica, perché mai i Giudei hanno voluto farlo morire? Resterebbe un mistero inspiegabile. La verità è completamente diversa: Gesù, pur essendo ebreo, predicò una Lieta Novella che andava molto al di là degli orizzonti, mentali, religiosi ed etici, del Giudaismo: «Voi avete sentito che è stato detto... ma io vi dico»: ecco il Discorso della Montagna; ecco l'essenza del cristianesimo. Che è realmente un'altra cosa, rispetto al Giudaismo. E non occorre certo aspettare la seconda metà del II secolo, cioè un secolo e mezzo dopo la morte di Gesù, per trovare i cristiani: i cristiani sono già lì, fra coloro che ascoltano le parole di Gesù.
Questo per quanto riguarda l'ebraicità di Gesù, della quale altra volta ci siamo occupati (cfr. il nostro articolo: «Gesù ebreo? No, grazie», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 29/09/2010, e ripubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 09/12/2014). Per quanto riguarda la sua attesa di una "redenzione" del mondo che sarebbe avvenuta non solo in termini teologici, ma concreti, e insomma che il mondo potesse davvero cambiare, non si può non notare la disinvoltura con cui gli Autori sottintendono che un "vero" cambiamento è sempre e solo un cambiamento concreto, e che un cambiamento di tipo spirituale e morale è solo, evidentemente, e nel migliore dei casi, un "mezzo" cambiamento. Ma era questa la prospettiva di Gesù? Rispondere in senso affermativo, significa fare di Gesù un agitatore politico e sociale: interpretazione vecchia, vecchissima, anche se "rinverdita" (abusivamente) dalla sottocultura sessantottina, che voleva fare di Gesù un precursore di Ernesto Che Guevara; ma ormai non più presa sul serio quasi da alcuno studioso (semmai, da certi sedicenti teologi, progressisti e di sinistra: i cosiddetti “teologi della liberazione”). Augias e Pesce hanno preteso di offrirci una "nuova" lettura dell'uomo Gesù, ma essa è, in realtà, fatta di cascami di cose vecchie e screditate.
E infine, sommessamente, ci permettiamo di fare una piccola, indiscreta domanda: come mai non si parla mai, nel loro libro, neppure in via d'ipotesi, neppure per rispetto a un paio di miliardi e passa di abitanti del pianeta Terra, di Gesù Cristo come Figlio di Dio? Nel libro, si dà semplicemente per scontato che ciò sarebbe assurdo e indegno di una indagine seria; basta vedere come è trattato il discorso sulla paternità di Giuseppe e sulla verginità di Maria: più o meno come avrebbe potuto trattarlo un philosophe deista e anticristiano del XVIII secolo; meglio ancora: più o meno come lo ha trattato il filosofo pagano Celso, lui pure anticristiano arrabbiato, fin dal II secolo (cfr. il nostro articolo: «Gesù Cristo, as you like it, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 03/03/2015, e su «Il Corriere delle Regioni» il 04/03/2015). Tanto è vero che si cita perfino Voltaire, e sia pure per criticarne l'antisemitismo e per adoperarlo, vecchio trucco del mestiere, per negare ipocritamente la sua credibilità come storico della religione; ma intanto accreditando e passando per buona la sua idea che il Gesù storico e il Gesù della Chiesa cattolica siano due figure molto diverse tra loro.
Insomma: Augias e Pesce, se li conosci, li eviti. 

Augias e Pesce: se li conosci, li eviti

di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio

continua su:

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.