Alcune riflessioni sul rito della Messa ecumenica
Nessun servo può servire a due padroni:
o odierà l'uno e amerà l'altro
oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro.
Lc XVI, 13
Quella che sino ad alcuni mesi fa era considerata un'operazione avvolta dal mistero sta prendendo forma: la creazione di un rito della Messa da usare per le celebrazioni interconffessionali, ossia per quelle Messe che oggi, in punta di diritto, sarebbero proibite, in ragione del divieto della communicatio in sacris con gli eretici.
Sappiamo bene che, de facto, queste celebrazioni sono non solo praticate in occasione della Settimana di preghiera per l'unità dei Cristiani, ma esse sono diventate da anni, anzi direi da decenni ormai delle realtà consolidate nelle nazioni in cui la presenza dei Cattolici è minoritaria o comunque non predominante: Germania, Svizzera, Belgio, Olanda ecc.
Lo scorso Marzo, Marco Tosatti ha espresso alcune puntuali valutazioni (qui), sulla base delle indiscrezioni trapelate, relative ad una commissione mista di Cattolici, Luterani e Anglicani legata al segreto, ma che si è recentemente saputo annoverare tra i propri membri due eretici notori quali il teologo Andrea Grillo, docente presso Pontificio Ateneo Sant'Anselmo e negatore della Transustanziazione, ed il benedettino dom Anselm Grün, di cui ho scritto pochi giorni or sono su questo blog (qui).
Tosatti a sua volta citava un articolo di Luisella Scrosati apparso su La Nuova Bussola Quotidiana (qui), in cui con lucidità encomiabile si anticipava ciò che poi si è puntualmente verificato:
Si è già data notizia dei movimenti sovversivi per rovesciare la quinta istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, Liturgiam Autenticham. [...] Per dissolvere definitivamente la liturgia cattolica è perciò necessario dare più libertà alle conferenze episcopali e togliere di mezzo – in gergo curiale “sfumare” – la sgradita recognitio, in gaudente accettazione della linea di devolution.
In un precedente articolo (qui), la Scrosati ha scritto:
Proprio nei giorni scorsi sarebbe avvenuto un incontro di lavoro riservato, fuori Roma, a cui dovrebbero aver preso parte oltre a Roche, il Sotto Segretario padre Silvano Maggiani, Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, e i vescovi Piero Marini e Domenico Sorrentino. Tutti nomi importanti della corrente liturgica post-conciliare.
Dopo aver tenuto all'oscuro di questi incontri clandestini il Prefetto del Culto Divino, Card. Sarah, il 9 Settembre è stato promulgato il Motu Proprio Magnum Principium, che realizza ciò che quel manipolo di carbonari aveva predisposto, evidentemente col preventivo assenso del Sedicente.
Il Card. Sarah, capo del Dicastero preposto alla materia liturgica, è quindi intervenuto il 1° Ottobre (qui) per precisare i criteri di interpretazione del Motu Proprio, ed il 22 Ottobre Bergoglio ha provveduto a sconfessare il Prefetto del Culto Divino, facendo pubblicare una sua lettera (qui) che contraddice l'interpretazione del Card. Sarah: è evidente che tale documento è stato preparato con l'aiuto dei fautori del Motu Proprio stesso.
Inutile ricordare che questo inaudito sgarbo istituzionale si aggiunge ad altri di non minor gravità, quali ad esempio la rimozione del Card. Burke da Prefetto della Segnatura Apostolica e l'ingerenza nelle dimissioni del Gran Maestro dell'Ordine di Malta a seguito dei provvedimenti disciplinari nei confronti del Grande Ospedaliere.
Come si vede, la devolution viene incoraggiata quando torna utile al perseguimento degli scopi della propria fazione, senza che l'autoritarismo del Gerarca conosca alcuna resipiscenza laddove esso serva a costringere al silenzio i renitenti.
Inutile ricordare che questo inaudito sgarbo istituzionale si aggiunge ad altri di non minor gravità, quali ad esempio la rimozione del Card. Burke da Prefetto della Segnatura Apostolica e l'ingerenza nelle dimissioni del Gran Maestro dell'Ordine di Malta a seguito dei provvedimenti disciplinari nei confronti del Grande Ospedaliere.
Come si vede, la devolution viene incoraggiata quando torna utile al perseguimento degli scopi della propria fazione, senza che l'autoritarismo del Gerarca conosca alcuna resipiscenza laddove esso serva a costringere al silenzio i renitenti.
Faccio notare che nel frattempo, a Giugno, Mons. Gilfredo Marengo della Congregazione per il Clero, ha reso noto un working paper, con il quale - certamente con l'avvallo del Sedicente - ha vivamente raccomandato che la concelebrazione nei Collegi Romani sia da preferire alla celebrazione individuale della Messa. Questo subdolo documento, privo di qualsiasi valore giuridico ma dalla chiarissima moral suasion bergogliana, porta a compimento le norme postconciliari, e di fatto cancella un numero non indifferente di Messe, privando la Maestà divina della gloria ch'esse Gli tribuiscono, e depaupera dei benefici che da esse derivano alle anime dei vivi e dei defunti.
Non dimentichiamo che il Novus Ordo, in chiara opposizione alla dottrina cattolica, vieta la celebrazione di più Messe nella medesima chiesa e nello stesso momento, privilegiando quella distorta visione comunitaria, in nome della quale un solo Santo Sacrificio con molti concelebranti vale di più di molti Santi Sacrifici con un solo celebrante ciascuno. Anche questo - sia detto per inciso - dimostra che il motus bergogliano è sì in fine velocior, ma che è pur sempre iniziato con il Concilio: ci pensino coloro che deplorano gli eccessi del Sedicente ma non vogliono riconoscere le necessarie premesse, poste ben prima e sotto il pontificato di tutti gli immediati predecessori, nessuno escluso.
Ma torniamo alla Messa ecumenica. Va da sé che di Messa propriamente detta non si potrà più parlare: anzitutto perché questo termine è detestato dai Protestanti, che preferiscono adottare il termine Santa Cena (voce che compare in una delle preghiere eucaristiche che nel rito postconciliare si affiancano al Canone Romano); ed in secondo luogo perché la parola Messa, evocando l'odiato Concilio Tridentino, è inviso ai novatori, che preferiscono usare altre locuzioni quali celebrazione eucaristica o eucaristia, se non addirittura la stessa espressione luterana.
Terminologia a parte, nel momento in cui un rito deve soddisfare diverse comunità che professano dottrine opposte ed inconciliabili, esso dovrà necessariamente omettere quei punti che evidenziano tali discrepanze. Va da sé che chi paga le conseguenze di tale omissione non è certo la comunità protestante, ma quella cattolica, dal momento che tutte le denominazioni cristiane coinvolte in questa operazione direstyling ecumenico concordano nel rifiutare categoricamente tanto il sacerdozio ministeriale quando il valore sacrificale della Messa. Gli Ortodossi non sono coinvolti, essendo essi una Chiesa, ancorché scismatica ed eretica, ma pur sempre dotata della Successione Apostolica e di veri Sacramenti.
Ad essere equanimi, ci si potrebbe chiedere perché non siano le comunità luterane a fare un passo avanti, rinunciando alla menzione esplicita delle proprie convinzioni ereticali; ma è evidente che la finalità del cosiddetto dialogo ecumenico non è di convertire gli eretici, bensì di render tali anche i Cattolici; sicché non di dialogo si dovrebbe parlare, ma di monologo, in cui la Verità prima affermata fino al Concilio, poi taciuta nella liturgia riformata, ora è negata apertamente dalla setta bergogliana.
D'altra parte, la mutazione del Santo Sacrificio in una versione annacquata non è cosa recente: tutti i passi compiuti dagli eretici nel modificare il rito della Messa a proprio uso e consumo sono stati pedissequamente seguiti da quegli esperti che hanno, per stessa ammissione di Benedetto XVI, inventato a tavolino una liturgia in chiarissima e deliberata antitesi al venerando Rito Romano, di origine apostolica, invenzione chiarissimamente ammiccante ai fratelli separati. I quali, peraltro, non dovrebbero nemmeno esser chiamati fratelli, dal momento che non hanno per madre la Chiesa, e che per ciò stesso non possono aver Dio come Padre.
La celebrazione eucaristica che si sta preparando, anch'essa frutto in vitro di una commissione di sedicenti esperti - di cosa poi, se non di dissimulazione e inganno ai danni dei fedeli? - dovrà esser equivoca per sua stessa natura, dal momento che il Cattolico e l'eretico vi dovranno poter intendere le rispettive dottrine. E qui si giungerà al paradosso per cui l'adagio Lex orandi, lex credendi potrà essere applicato in virtù di una deliberata ambiguitas legis, dove appunto la norma della fede sia taciuta per consentirvi una generica adesione.
Sappiamo che ciò che costituisce l'essenza della Messa è il Sacrificio: la parte che lo precede è preparatoria, e quella che lo segue è di conclusione. Secondo la dottrina cattolica il Santo Sacrificio inizia con l'Offertorio e finisce con la consumazione delle Specie da parte del solo celebrante (Comunione), giacché la partecipazione alla Mensa Eucaristica da parte dei fedeli non è requisito essenziale. Nella vulgata conciliare, invece, vi sono una liturgia della Parola ed una liturgia eucaristica, che spesso vengono presentate come di pari dignità, almeno a giudicare dall'art. 7 dell'Institutio Generalis Missalis Romani (nella versione emendata del 1970):
Quell'espressione realmente presente riferita indistintamente all'assemblea, al ministro, alla Parola di Dio ed alle Specie Eucaristiche fa sorgere non poche perplessità, perché orecchia la formula Presenza Reale che viceversa è propria del Santissimo Sacramento dell'Altare. Anche qui, come si vede, le basi erano state poste sin dal Concilio.
Ed anche la Comunione dei fedeli, nel rito riformato, è considerata quasi indispensabile, al punto che il Messale di Paolo VI prevede una Messa cum populo ed una sine populo, come se su ogni Messa non si inchinassero adoranti anche la Chiesa trionfante e quella purgante.
Ora, i Protestanti negano che la Messa sia un Sacrificio, e ne rifiutano le finalità di adorazione, di rendimento di grazie, di espiazione e di impetrazione. Quindi, tacendo le finalità della Messa per far loro un favore ecumenico, è come se le si negasse, rendendo praticamente invalido il rito per difetto d'intenzione. Giacché l'intenzione richiesta da parte del celebrante ai fini della validità è di fare ciò che comanda la Chiesa, e nel momento in cui interviene un'intenzione esplicitamente opposta, anche la volontà implicita viene meno.
Rimane evidente che il punto di disaccordo con i Protestanti - il Sacrificio, appunto - comporta l'impossibilità di avere una Messa che sia tale per i Cattolici e contemporaneamente non lo sia per gli acattolici. La soluzione ideata dal gruppo di lavoro è quindi una sorta di placebo: il Cattolico dovrà esser indotto a ritenere che quella sia una Messa, ed il Luterano che non lo sia. Così da accontentare tutti. Anzi: accontentando gli eretici, perché per loro quel monstrum non era prima e non sarà dopo una Messa. L'effetto placebo, alla fine, varrà solo per gli illusi della neo-chiesa che, a furia di distinguo e di sofismi, si arrampicheranno sugli specchi come fecero quarant'anni or sono col Novus Ordo. Anche allora, se ricordate, l'oscuramento dottrinale era talmente palese, da suscitar scandalo nei Cardinali autori del Breve esame critico. Eppure vi fu chi non si peritò di scriver libelli in cui perorava la liceità di quell'orrore indecoroso approvato da Paolo VI, del quale si dovette correggere la ricetta - per usare una metafora - dopo aver sulla base di quella preparato una pietanza avvelenata. Buon senso avrebbe richiesto che si dovesse por mano anche al risultato, ma ciò avrebbe rappresentato una sconfitta per i Novatori ed un ritorno alla Messa di transizione, cosa che ovviamente non avvenne.
Non dimentichiamo che il Novus Ordo, in chiara opposizione alla dottrina cattolica, vieta la celebrazione di più Messe nella medesima chiesa e nello stesso momento, privilegiando quella distorta visione comunitaria, in nome della quale un solo Santo Sacrificio con molti concelebranti vale di più di molti Santi Sacrifici con un solo celebrante ciascuno. Anche questo - sia detto per inciso - dimostra che il motus bergogliano è sì in fine velocior, ma che è pur sempre iniziato con il Concilio: ci pensino coloro che deplorano gli eccessi del Sedicente ma non vogliono riconoscere le necessarie premesse, poste ben prima e sotto il pontificato di tutti gli immediati predecessori, nessuno escluso.
Ma torniamo alla Messa ecumenica. Va da sé che di Messa propriamente detta non si potrà più parlare: anzitutto perché questo termine è detestato dai Protestanti, che preferiscono adottare il termine Santa Cena (voce che compare in una delle preghiere eucaristiche che nel rito postconciliare si affiancano al Canone Romano); ed in secondo luogo perché la parola Messa, evocando l'odiato Concilio Tridentino, è inviso ai novatori, che preferiscono usare altre locuzioni quali celebrazione eucaristica o eucaristia, se non addirittura la stessa espressione luterana.
Terminologia a parte, nel momento in cui un rito deve soddisfare diverse comunità che professano dottrine opposte ed inconciliabili, esso dovrà necessariamente omettere quei punti che evidenziano tali discrepanze. Va da sé che chi paga le conseguenze di tale omissione non è certo la comunità protestante, ma quella cattolica, dal momento che tutte le denominazioni cristiane coinvolte in questa operazione direstyling ecumenico concordano nel rifiutare categoricamente tanto il sacerdozio ministeriale quando il valore sacrificale della Messa. Gli Ortodossi non sono coinvolti, essendo essi una Chiesa, ancorché scismatica ed eretica, ma pur sempre dotata della Successione Apostolica e di veri Sacramenti.
Ad essere equanimi, ci si potrebbe chiedere perché non siano le comunità luterane a fare un passo avanti, rinunciando alla menzione esplicita delle proprie convinzioni ereticali; ma è evidente che la finalità del cosiddetto dialogo ecumenico non è di convertire gli eretici, bensì di render tali anche i Cattolici; sicché non di dialogo si dovrebbe parlare, ma di monologo, in cui la Verità prima affermata fino al Concilio, poi taciuta nella liturgia riformata, ora è negata apertamente dalla setta bergogliana.
D'altra parte, la mutazione del Santo Sacrificio in una versione annacquata non è cosa recente: tutti i passi compiuti dagli eretici nel modificare il rito della Messa a proprio uso e consumo sono stati pedissequamente seguiti da quegli esperti che hanno, per stessa ammissione di Benedetto XVI, inventato a tavolino una liturgia in chiarissima e deliberata antitesi al venerando Rito Romano, di origine apostolica, invenzione chiarissimamente ammiccante ai fratelli separati. I quali, peraltro, non dovrebbero nemmeno esser chiamati fratelli, dal momento che non hanno per madre la Chiesa, e che per ciò stesso non possono aver Dio come Padre.
La celebrazione eucaristica che si sta preparando, anch'essa frutto in vitro di una commissione di sedicenti esperti - di cosa poi, se non di dissimulazione e inganno ai danni dei fedeli? - dovrà esser equivoca per sua stessa natura, dal momento che il Cattolico e l'eretico vi dovranno poter intendere le rispettive dottrine. E qui si giungerà al paradosso per cui l'adagio Lex orandi, lex credendi potrà essere applicato in virtù di una deliberata ambiguitas legis, dove appunto la norma della fede sia taciuta per consentirvi una generica adesione.
Sappiamo che ciò che costituisce l'essenza della Messa è il Sacrificio: la parte che lo precede è preparatoria, e quella che lo segue è di conclusione. Secondo la dottrina cattolica il Santo Sacrificio inizia con l'Offertorio e finisce con la consumazione delle Specie da parte del solo celebrante (Comunione), giacché la partecipazione alla Mensa Eucaristica da parte dei fedeli non è requisito essenziale. Nella vulgata conciliare, invece, vi sono una liturgia della Parola ed una liturgia eucaristica, che spesso vengono presentate come di pari dignità, almeno a giudicare dall'art. 7 dell'Institutio Generalis Missalis Romani (nella versione emendata del 1970):
[...] In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche.
Quell'espressione realmente presente riferita indistintamente all'assemblea, al ministro, alla Parola di Dio ed alle Specie Eucaristiche fa sorgere non poche perplessità, perché orecchia la formula Presenza Reale che viceversa è propria del Santissimo Sacramento dell'Altare. Anche qui, come si vede, le basi erano state poste sin dal Concilio.
Ed anche la Comunione dei fedeli, nel rito riformato, è considerata quasi indispensabile, al punto che il Messale di Paolo VI prevede una Messa cum populo ed una sine populo, come se su ogni Messa non si inchinassero adoranti anche la Chiesa trionfante e quella purgante.
Ora, i Protestanti negano che la Messa sia un Sacrificio, e ne rifiutano le finalità di adorazione, di rendimento di grazie, di espiazione e di impetrazione. Quindi, tacendo le finalità della Messa per far loro un favore ecumenico, è come se le si negasse, rendendo praticamente invalido il rito per difetto d'intenzione. Giacché l'intenzione richiesta da parte del celebrante ai fini della validità è di fare ciò che comanda la Chiesa, e nel momento in cui interviene un'intenzione esplicitamente opposta, anche la volontà implicita viene meno.
Rimane evidente che il punto di disaccordo con i Protestanti - il Sacrificio, appunto - comporta l'impossibilità di avere una Messa che sia tale per i Cattolici e contemporaneamente non lo sia per gli acattolici. La soluzione ideata dal gruppo di lavoro è quindi una sorta di placebo: il Cattolico dovrà esser indotto a ritenere che quella sia una Messa, ed il Luterano che non lo sia. Così da accontentare tutti. Anzi: accontentando gli eretici, perché per loro quel monstrum non era prima e non sarà dopo una Messa. L'effetto placebo, alla fine, varrà solo per gli illusi della neo-chiesa che, a furia di distinguo e di sofismi, si arrampicheranno sugli specchi come fecero quarant'anni or sono col Novus Ordo. Anche allora, se ricordate, l'oscuramento dottrinale era talmente palese, da suscitar scandalo nei Cardinali autori del Breve esame critico. Eppure vi fu chi non si peritò di scriver libelli in cui perorava la liceità di quell'orrore indecoroso approvato da Paolo VI, del quale si dovette correggere la ricetta - per usare una metafora - dopo aver sulla base di quella preparato una pietanza avvelenata. Buon senso avrebbe richiesto che si dovesse por mano anche al risultato, ma ciò avrebbe rappresentato una sconfitta per i Novatori ed un ritorno alla Messa di transizione, cosa che ovviamente non avvenne.
In ogni caso, pare che l'unico modo di render digeribile questo rito ecumenico ai fratelli separati, sia di far sì che le parole della Consacrazione spariscano o siano modificate in modo da toglier loro qualsiasi anche remota valenza di formula sacramentale. Quella che i modernisti chiamano con disprezzo formula magica, come facevano appunto i Protestanti ai loro tempi.
L'ipotesi più probabile è che si rendano le parole di Nostro Signore come parte integrante di una narrazione, privata di qualsiasi segno esterno che dia loro un valore sacramentale. Senza andare a pescare l'Anafora nestoriana di Addai e Mari, a mio parere si dovrà semplicemente eliminare la genuflessione dopo l'Elevazione, e forse anche l'Elevazione stessa. Prassi, questa, che pare invalsa in quel di Santa Marta, dove il Sedicente non piega il ginocchio se non per lavare i piedi ai maomettani o ai galeotti.
Va precisato che la forma narrativa del nuovo rito ecumenico – che ricalca la Cena luterana – sarebbe solo un perfezionamento di quanto già avvenuto col Novus Ordo, il quale ha modificato anche la punteggiatura del Messale precedente, facendo sì che le parole della Consacrazione venissero a fare un tutt'uno con la narrazione dell'Ultima Cena.
Nel Messale tridentino, infatti, dopo il Qui pridie, viene evidenziata la separazione netta tra il racconto e il momento in cui il sacerdote, inchinato profondamente sull'Ostia prima e sul Calice poi, pronunzia lentamente e con devozione le parole della Consacrazione. Egli genuflette immediatamente dopo di esse, poi eleva le Specie, genuflette nuovamente e prosegue il Canone con l'Unde et memores. E si noti che il celebrante nonracconta l'Ultima Cena, ma ripete anche con i gesti ciò che fece Cristo.
Nel rito riformato, invece, non vi è separazione netta tra la narrazione e le parole della Consacrazione, ed è omessa la genuflessione che precede l'Elevazione, quasi che la Presenza Reale di Nostro Signore avvenissein virtù dell'ostensione ai fedeli, esattamente come accade nella Cena luterana.
E non basta. Nel Messale tridentino, l'esclamazione Mysterium fidei è inclusa nelle parole della Consacrazione del Vino, mentre nel rito riformato - proprio come in quello protestante - esse sono spostatedopo la narrazione della Cena, e il popolo risponde con l'acclamazione Annunciamo la tua morte, Signore,oppure Ogni volta che mangiamo ecc., seguendo anche in questo il rito che secoli prima si erano inventati gli eretici.
E' quindi da rilevare che già adesso, con il rito di Paolo VI, un Protestante può bellamente celebrare la Santa Cena usando il Messale in vigore, e che per compiere l'opera saranno sufficienti lievi modifiche gestuali o al massimo testuali, che verranno appena percepite dai fedeli, ormai abituati a tanti e tali cambiamenti arbitrari da non farvi più caso. E non sono io ad affermarlo: l'hanno confermato numerosi pastori evangelici che, sin dalla promulgazione del Novus Ordo, hanno tranquillamente ammesso che da quel momento - e solo da quello, si badi bene - era per loro possibile usare il nostro Messale per celebrare i loro riti.
Se poi vi dovesse essere una sostanziale variazione delle parole della Consacrazione, è probabile che almeno nella fase iniziale venga lasciata libertà di usare la formula consacratoria attuale, ch'è più che equivoca di per sé, senza bisogno di aggiunte o glosse.
L'uso della celebrazione interreligiosa si diffonderà col pretesto di sopperire alla mancanza di sacerdoti e di accorpare le comunità di una stessa zona, a prescindere dalla loro confessione. Una prospettiva agghiacciante, ma che in vista di un’ulteriore decremento del Clero e dei fedeli rivela l’astuzia dei gerarchi della neo-chiesa.
Si finirà poi col delegare ai pastori protestanti la celebrazione di un’unica Cena, senza la presenza di un sacerdote cattolico, o col permettere ai Cattolici di assolvere al precetto festivo assistendo alla Cena luterana, come avviene già ora con i riti degli Ortodossi e – più recentemente – con quelli della Fraternità San Pio X.
Faccio qui notare che, a mio parere, la presunta benevolenza mostrata da Bergoglio e da altri esponenti della Gerarchia attuale nei confronti della Fraternità può rivelarsi un'arma a doppio taglio: se infatti si consente ai fedeli cattolici di assistere alla Messa e ricevere i Sacramenti da una comunità che viene ufficialmente tutt'ora considerata scismatica - senza entrar nel merito della validità di tale giudizio, sia chiaro -, al tempo stesso si crea il precedente perché analoga deroga sia concessa, in determinate circostanze, anche ai ministri e ai seguaci di altre chiese scismatiche, tanto più che lo stesso Sedicente non fa mistero di considerar chiese vere e proprie anche le comunità prive del Sacerdozio ministeriale, come appunto le sette protestanti. Analogamente, il prospettato accordo dottrinale senza condizioni attualmente in stand by non è proprio senza condizioni, dal momento che implica il postulato che la materia dottrinale possa esser accantonata, in nome dell'unità, e questo può valere per la Fraternità solo come premessa ad altri accordi senza condizionecon gli eretici e gli scismatici.
E questa osservazione vale non solo per la Fraternità San Pio X - che per onestà occorre riconoscere alquanto tiepida verso le profferte bergogliane, se non nei suoi vertici, quantomeno nei suoi membri - ma anche e soprattutto per gli entusiasti del Summorum Pontificum, i quali cadono nella trappola loro tesa, proprio nel momento in cui riconoscono al Sedicente l'autorità apostolica nel lasciar sopravvivere le comunità conservatrici. Poiché se egli ha la potestà di conceder tolleranza ai tradizionalisti, non si vede perché non dovrebbe averla quando agisce analogamente in favore di altri gruppi di opposto sentire. O quando, ad un certo punto, dovesse abolire il Summorum Pontificum, come già si ventila da più parti.
Non a caso, nel numero dei critici dell'attuale inquilino di Santa Marta non si possono certo annoverare esponenti degli istituti conservatori, dalla Fraternità San Pietro all'Istituto del Buon Pastore, dai Canonici di Cristo Re ai monaci di Fontgombault, i quali mantengono un basso profilo e tacciono prudentemente dinanzi alle iniziative di Roma, ben consci che se dovessero metterglisi contro avrebbero i giorni contati.
Ed è pur vero che le perplessità di Andrea Grillo sull'ἅπαξ rappresentato dal Motu Proprio rispetto allo spirito conciliare hanno una loro ragionevolezza, dal momento che la legittimazione postuma della liturgia tradizionale pare irragionevole, poiché mette in luce l'insanabile eterogenesi dei fini delle due forme di celebrazione, l'una protesa a Dio in senso trascendente, l'altra prona in un'immanenza che si contenta di lusingare la comunità.
Tra l'altro, il ricatto insito nell'accettazione del Summorum Pontificum è evidente, soprattutto ora: esso concede tolleranza ad una forma straordinaria del Rito romano a patto che si riconosca completa legittimità alla sua versione imbastardita, detta ordinaria. Cosicché chi pretendesse di abolire o limitare questa, vedrebbe venir meno per ciò stesso le ragioni che hanno autorizzato in deroga la riesumazione di quella.
In pratica, la piège innescata dal Motu Proprio è perfettamente coerente con la volontà di una convivenza degli opposti, tipica della mentalità conciliare hegeliana, per la quale il bene può esser accettato come male minore solo se esso riconosce pari diritti a ciò che gli si oppone.
Coerenza vorrebbe che i veri Cattolici rifiutassero con sdegno tale mentalità, preferendo le catacombe e la persecuzione ad una legittimazione che ripugna a chi non può ammettere la convivenza di bene e male. Ricordiamo che Giuliano l'Apostata, nel ripristinare i culti pagani, inizialmente concesse pari diritti alla vera Religione e a quelle false, salvo poi perseguitare i Cristiani che non potevano veder parificato il vero Dio agli idoli. Se anch'essi si fossero accontentati della tolleranza, sarebbero scomparsi nel pantheon romano, proprio come sono destinati all'estinzione i Cattolici di oggi. I quali, per l'esiguità del loro numero e lo scarsissimo appoggio da parte della Gerarchia, paiono più che altro objets de curiosité da confinare nellawunderkammer conciliare, che non soldati di Cristo pronti a dar la vita per il loro Re.
Quanto ai semplici fedeli, nel momento in cui li si abitua all'idea che anche i sacerdoti possono sposarsi introducendo i viri probati e che vi possono essere donne ammesse agli Ordini con le diaconesse - sempre con la solita ridicola farsa ad experimentum - non sarà difficile che siano essi confusi tra chi è cattolico e chi non lo è, visto che nella predicazione e nella liturgia le differenze saranno praticamente indistinguibili. E visto che ormai siamo abituati a veder Papi e Cardinali e Vescovi celebrare funzioni assieme agli Anglicani, ai Luterani, ai Valdesi e via elencando, non certo da oggi.
Questo ovviamente è ciò che, umanamente parlando, si può ipotizzare sulla base dell'attuale trend sempre più esplicito della neo-chiesa.
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