La pena di morte è contraria al Vangelo?
Roma, 11 ottobre 2017, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
L’11 ottobre 2017, rivolgendosi ai partecipanti all’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Papa Francesco ha dichiarato che la pena di morte sarebbe
«inumana», che «ferisce la dignità personale», che è anche «contraria al Vangelo».
Tutti i filosofi, i teologi e i papi che hanno sostenuto la legittimità della pena di morte, prima dell’attuale Sommo Pontefice, avrebbero tradito il Vangelo?
1. « Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. » (1). Così si è espresso ultimamente Papa Francesco, in occasione del 25esimo anniversario della pubblicazione del nuovo Catechismo. Questa riflessione non è nuova. Questo discorso del mese di ottobre 2017 non fa che riprendere, riassumendole, le idee già largamente sviluppate dal Sommo Pontefice in una lettera del 2015 (2), la quale rinvia a due altri documenti del 2014 (3).
2. Francesco ritiene che il suo predecessore Giovanni Paolo II abbia già condannato la pena di morte nella Lettera Enciclica Evangelium vitae (al n° 56), così come nel Catechismo della Chiesa cattolica (al n° 2267) (4). Egli ingloba in questa condanna della pena di morte, quella dell’ergastolo che secondo lui è «una pena di morte mascherata» (5). Ecco perché il recente discorso dell’ottobre 2017 non intende promuovere una revisione del nuovo Catechismo del 1992. Egli sottolinea solo che questa riprovazione della pena di morte dovrebbe trovare nel Catechismo di Giovanni Paolo II «uno spazio più adeguato e coerente» con la finalità della dottrina, che deve essere posto ne «l’amore che non finisce». Se revisione dev’esserci, essa deve consistere nel fare avanzare la dottrina per poterla conservare e nel «tralasciare prese di posizione in difesa di argomenti che appaiono ormai decisamente contrari ad una nuova comprensione della verità cristiana». Questa posizione e questi argomenti conobbero il loro momento di gloria durante il periodo anteriore al concilio Vaticano II, ma essi ormai sono contrari alla «mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana».
3. Gli argomenti fondamentali che il Papa utilizza per giustificare questa evoluzione della coscienza (6), possono ricondursi a quattro.
Prima di tutto: «la vita umana è sacra perché fin dall’inizio, dal primo istante del concepimento, è frutto dell’azione creatrice di Dio, e da quel momento, l’uomo, la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso, è oggetto di un amore personale da parte di Dio […] La vita, soprattutto quella umana, appartiene solo a Dio. Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante.»
La prova che viene fornita è che Dio non ha voluto punire Caino per il suo fratricidio privandolo della vita. Da questo punto di vista, la pena di morte apparirebbe logicamente come contraria al quinto comandamento.
4. Secondariamente, infliggere la morte ad un colpevole non potrebbe equivalere ad una giusta pena, per due ragioni. Prima di tutto, la pena di morte non può giustificarsi come una «legittima difesa» da parte della società, per analogia con la legittima difesa personale; infatti, «quando si applica la pena di morte, si uccidono persone non per aggressioni attuali, ma per dei danni commessi nel passato», ed è per questo che la legittima difesa qui sarebbe senza oggetto, poiché si applicherebbe «a persone la cui capacità di recare danno non è attuale, ma che è già stata neutralizzata e che si trovano private della propria libertà».
Infine, la pena di morte non si può giustificare neanche come atto che ristabilirebbe l’ordine leso dall’ingiustizia, poiché «non si raggiungerà mai la giustizia uccidendo un essere umano». […] La pena di morte «non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta».
5. In terzo luogo, la pena di morte è contraria alla misericordia divina. «Con l’applicazione della pena capitale, si nega al condannato la possibilità della riparazione o correzione del danno causato; la possibilità della confessione, con la quale l’uomo esprime la sua conversione interiore; e della contrizione, portico del pentimento e dell’espiazione, per giungere all’incontro con l’amore misericordioso e risanatore di Dio».
In quest’ordine di idee, la pena di morte implica anche «un trattamento crudele, disumano e degradante, come lo sono anche l’angoscia previa al momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra l’emissione della sentenza e l’applicazione della pena».
6. In quarto luogo, «è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone» (7), poiché «esistono mezzi per reprimere il crimine in modo efficace senza privare definitivamente della possibilità di redimersi chi lo ha commesso» (8).
7. Aggiungiamo infine il motivo per il quale la reclusione a vita è una pena di morte «nascosta» o «mascherata». Il Papa vi vede un attentato alla speranza: «La pena dell’ergastolo, come pure quelle che per la loro durata comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà, possono essere considerate come pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della libertà, ma si cerca di privarlo della speranza» [8a]. E’ per questo che «In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più l’ergastolo» (9).
8. Per riassumere, la pena di morte è reputata «inammissibile», agli occhi di Papa Francesco, a causa del doppio argomento di autorità (essa è condannata dal nuovo Catechismo e dall’Enciclica Evangelium vitae) e a causa di un quadruplo argomento di ragione: perché porta pregiudizio al carattere sacro della vita creata, perché è ingiusta e inefficace per ristabilire la giustizia, perché costituisce un ostacolo alla misericordia e perché altri mezzi di repressione sono già sufficienti.
La pena di morte secondo la dottrina cattolica tradizionale (10)
9. E’ un fatto del tutto evidente che è sempre stata ritenuta giusto, anche nelle società più cristiane, salvo che per un certo numero di teorici in generale moderni, che l’autorità politica punisse con la morte certi crimini. E i dati della Rivelazione confermano su questo punto i dati naturali del senso comune.
Quando il Decalogo vieta di uccidere (11), sottintende: ingiustamente. Poiché vediamo che il Vecchio Testamento prescrive a più riprese la pena di morte (12). Su questo punto, il Nuovo Testamento non ha abolito il Vecchio. San Paolo, parlando dell’autorità politica evoca la spada, strumento della pena di morte: «poiché essa [l’autorità] è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (13).
E nella Città di Dio, Sant’Agostino commenta così questi passi della Scrittura: «La stessa autorità divina che ha detto: Tu non ucciderai, ha stabilito certe eccezioni al divieto di uccidere l’uomo. Dio ha ordinato allora, sia con la legge generale sia per precetto privato e temporaneo, che si applichi la pena di morte. Ora, questi il cui ministero gli è dato dall’autorità, non è veramente omicida, ma è solo uno strumento, come la spada con cui egli colpisce. Quindi, coloro che su ordine di Dio hanno fatto la guerra o coloro che hanno punito dei criminali nell’esercizio del potere pubblico, conformemente alle leggi divine, e cioè conformemente alla decisione della più giusta delle ragioni, costoro non hanno per niente violato il Tu non ucciderai.» (14).
10. Anche Papa Innocenzo III non fa che difendere una verità biblica e tradizionale quando propone agli eretici che vogliono rientrare nella Chiesa una professione di fede che dichiara, tra altre verità, che «il potere secolare può, senza peccato mortale, esercitare il giudizio di sangue, posto che esso castighi per giustizia e non per odio, con saggezza e non con precipitazione» (15).
Leone X condanna ugualmente l’affermazione di Lutero secondo la quale: «bruciare gli eretici è contrario alla volontà dello Spirito Santo» (16).
Leone XIII, quando condanna il duello, riconosce il diritto dell’autorità pubblica di infliggere la pena di morte (17).
Infine, Pio XII dichiara con una precisione estremamente rimarchevole: «Anche quando si tratta dell’esecuzione di un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. In questo caso è riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita, in espiazione della sua colpa, dopo che col suo crimine egli si è spossessato del suo diritto alla vita» (18).
11. San Tommaso (19) ha pensato che si possa perfettamente legittimare la pena di morte, anche nel diritto naturale, senza fare appello ai dati della Rivelazione soprannaturale. Questa legittimazione deriva da due princípi, assolutamente necessari l’uno all’altro. Il primo (20) è la necessità del bene comune. Come è possibile, per salvare il corpo, amputare un membro in cancrena che minaccia l’insieme, così si potrà, per il bene di tutti, amputare dal corpo sociale uno dei suoi membri particolari quando questi è un pericolo per tutti, se non altro che in ragione del genere di crimini che il suo esempio autorizza, se non sono sufficientemente puniti. Ma questo primo principio, sufficiente per l’amputazione di un membro del corpo fisico, incontra nella sua applicazione al corpo sociale una difficoltà che lo porrebbe in difetto, se non si facesse intervenire un altro principio che lo completa. Nel corpo fisico, infatti, solo la persona è soggetto di diritto, mentre le diverse membra del suo corpo gli appartengono, senza che abbiano il minimo diritto particolare. Se si considera che la persona non possa farne assolutamente quello che vuole, questo è perché qui il suo diritto è partecipato da quello di Dio e concerne l’utilizzazione delle sue membra in rispondenza con le loro finalità naturali. Ma ciò non toglie che, nel quadro di questa limitazione essenziale, tale persona è padrona di tutto mentre le membra non lo sono di niente. Di contro, nel corpo sociale, quelli che si designano analogicamente come «membri» della società, sono delle persone che hanno su se stesse e sulla loro vita corporale un diritto anteriore a quello che ha anche la società. Esse non fanno parte della società, che è un tutto ordinato, allo stesso modo che le membra fanno parte del corpo, che è un tutto fisico, poiché «l’uomo fa parte della comunità politica secondo tutto quello che egli è» (21). Questo bene, che è la loro vita, appartiene, dopo di Dio, innanzi tutto ad esse e non innanzi tutto allo Stato. Ne deriva che il diritto dello Stato non può prevalere sul loro diritto personale. Bisogna dunque fare intervenire un altro principio (22), secondo il quale, con il crimine l’uomo decade dalla sua dignità personale: «Con il peccato l’uomo si allontana dall’ordine prescritto dalla ragione; è per questo che egli decade dalla dignità umana che consiste nel nascere libero e nell’esistere per sé; in questo modo egli cade nella servitù che è quella delle bestie, di modo che si può disporre di lui secondo quanto è utile agli altri». Facendo uso della sua libertà contro la natura e contro Dio, egli in effetti esce dal quadro entro il quale il suo diritto si esercita autenticamente. Merita quindi un castigo dell’ordine stesso dei beni di cui usa malamente. Da quel momento, compete non solo a Dio, ma all’autorità umana privarlo non tanto del diritto alla vita – poiché questo diritto non dipende dall’autorità e il criminale l’ha già perso in ragione del suo crimine – ma del bene della vita corporale, sulla quale egli non può più rivendicare il suo diritto personale. Questo è ciò che dice esattamente Pio XII, riprendendo la riflessione di San Tommaso: «è riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita, in espiazione della sua colpa, dopo che col suo crimine egli si è spossessato del suo diritto alla vita».
12. La dottrina della Chiesa, confermata dai lumi della ragione teologica, stabilisce né più né meno che, in ragione della legge naturale, l’autorità pubblica ha il diritto di infliggere la pena di morte. Questo non significa che la stessa legge naturale esiga che l’autorità eserciti questo diritto, e ancor meno che essa determini dei casi in cui questo diritto si imporrebbe. In concreto, la pena di morte sarà sempre, nel quadro di una legislazione, una determinazione del diritto positivo umano, della legge civile, e quindi soggetta a modifica, evoluzione, limitazione. E’ dunque possibile, e non sarebbe illegittimo, sostenere che questo genere di pena non è opportuna in un dato contesto, e così reclamarne l’abolizione sul piano della legge umana civile. Ma resta il fatto che l’autorità pubblica ha sempre il diritto di mantenere la pena di morte o di ripristinarla se se ne fa sentire il bisogno. E se l’opportunità richiede di non esercitarla, compete alla stessa autorità la valutazione di questa opportunità.
Tuttavia, quelli che fanno valere i loro argomenti in favore della soppressione della pena di morte, abitualmente hanno il torto di voler provare che essa sarebbe contraria al diritto naturale o quanto meno, quando non hanno un’idea molto chiara di questo diritto (cosa che è frequente), contraria a quello che essi chiamano dignità della persona umana o valore incondizionato della vita.
Questi argomenti non sono quelli buoni: la pena di morte è conforme al diritto naturale. Altra cosa è la determinazione positiva di questo diritto, che ha luogo con la legge civile. Se non è illegittimo reclamare l’abolizione della pena di morte, sarebbe falso e condannabile farlo in nome dello stesso diritto naturale; o in nome del Vangelo e della carità, che non possono rinnegare questo diritto naturale.
Che pensare della visione di Francesco?
13. Essa non può appellarsi agli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Infatti, questi distingue tra la legittimità di principio della pena di morte e l’opportunità del suo esercizio, nel contesto delle società moderne. Il n° 56 di Evangelium vitae dice precisamente:
«È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.»
Quanto al n° 2267 del nuovo Catechismo (peraltro citato in Evangelium vitae), esso dice né più né meno che «Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.»Certo, non saremo noi a dire che questo insegnamento di Giovanni Paolo II si fa eco, in maniera totalmente soddisfacente, della Tradizione della Chiesa. L’eco è quantomeno indebolito, poiché la distinzione tra la legittimità di principio e l’opportunità dell’esercizio, se è presente, resta solo implicita e non viene detto che la pena di morte trae la sua legittimità dal diritto naturale, in ragione del doppio principio ricordato da San Tommaso d’Aquino. Ma qui si tratta solo di un’insufficienza ed essa non autorizza per niente la radicale messa in questione attuata da Papa Francesco.
14. Quanto ai quattro argomenti di ragione, alla luce dei principi ricordati da San Tommaso e ripresi da Pio XII, essi si rivelano inefficaci e sofistici.
Il primo si basa sulla dignità inammissibile della persona e sul carattere sacro e inviolabile della vita umana. Il che significa dimenticare che col peccato l’uomo perde la sua dignità e il suo diritto alla vita. Significa omettere la distinzione essenziale che esiste tra la dignità ontologica, inammissibile, e la dignità morale, che è perduta quando l’uomo fa un cattivo uso della sua libertà. «Se è un male in sé», dice San Tommaso, «uccidere un uomo che conserva la sua dignità, può essere un bene mettere a morte un peccatore, assolutamente come si abbatte una bestia; si può anche dire con Aristotele che un uomo cattivo è peggio di una bestia e più nocivo» (23). Quanto al carattere inviolabile della vita umana, significa dimenticare che, come ricorda Pio XII, l’uomo criminale, col suo crimine, si è già «spossessato del suo diritto alla vita».
15. Il secondo argomento parte dal fatto che la pena di morte non potrebbe essere una legittima difesa e non può ristabilire l’ordine leso dall’ingiustizia. Questo significa confondere la pena di morte e la legittima difesa. Ogni legittima difesa implica una pena di morte, ma la pena di morte non si riduce ad una legittima difesa, nel senso stretto della reazione di un aggredito nei confronti del suo aggressore, nel caso di un’aggressione attuale. La pena è il castigo meritato dal peccatore. E d’altra parte, essa può rivelarsi non solo difensiva, ma anche preventiva e dissuasiva.
Quanto alla giustizia, essa consiste precisamente nel rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto, e non solo nel riparare un danno materiale. La morte di un criminale non ripara materialmente il suo crimine (essa non risuscita le sue vittime), ma fa giustizia, poiché, quando colui che pecca portando pregiudizio all’ordine sociale accorda alla sua volontà un bene a cui essa non ha diritto, egli compensa per questo: vedendosi negato quello verso cui la sua volontà si rivolgerebbe per moto spontaneo: «Colui che col peccato ha seguito indebitamente la sua volontà, soffre qualcosa di contrario ad essa» (24). La privazione della vita costituisce in questo caso una giusta riparazione ed essa è richiesta dal bene comune dell’ordine sociale.
16. Il terzo argomento dimentica che la misericordia consiste nel rimettere la colpa commessa, ma non la pena. Il perdono sacramentale, d’altronde, è accompagnato da una penitenza e cioè da una pena volontariamente accettata. La pena di morte può esserne una e dare al condannato l’occasione per riscattarsi. Gli esempi di questo genere di situazione sono sufficientemente conosciuti, a cominciare da quello del buon ladrone.
17. Il quarto argomento potrebbe eventualmente portare a concludere che la pena di morte non è più opportuna, ma non che non è legittima.
Che dire di più?
18. Innanzi tutto, la visione dell’attuale Papa rappresenta un’empietà nei confronti di tutta la Tradizione della Chiesa, accusata di avere odiosamente tradito il Vangelo. Per seconda cosa, essa misconosce la gravità del peccato, che fa decadere la persona dalla sua dignità umana morale e merita il castigo proporzionato. Terza, essa trascura il primato del bene comune della società e della Chiesa, bene che è invece migliore di tutti i beni particolari. Quarta, essa confonde la legittimità di principio con l’opportunità di fatto e così fa dipendere il valore delle cose dall’evoluzione della coscienza del popolo cristiano. Quinta ed ultima, essa si allontana perfino dalla linea seguita fin qui dai suoi predecessori di dopo il Vaticano II.
19. Per i cattolici di oggi, si tratta sfortunatamente di uno scandalo in più, dopo la rimessa in questione della morale del matrimonio e la riabilitazione di Lutero.
NOTE
1 – Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mercoledì, 11 ottobre 2017.
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/
papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html
2 - Francesco, Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, del 20 marzo 2015.
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2015/documents/
papa-francesco_20150320_lettera-pena-morte.html
3 - Francesco, Lettera ai partecipanti al XIX Congresso dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale e del III Congresso dell’Associazione Latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia, del 30 maggio 2014
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2014/
documents/papa-francesco_20140530_lettera-diritto-penale-criminologia.html
e Discorso ad una delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, del 23 ottobre 2014
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/october/
documents/papa-francesco_20141023_associazione-internazionale-diritto-penale.html
4 - Lettera del 23 ottobre 2014.
5 – Lettera del 23 ottobre 2014 e Lettera del 20 marzo 2015.
6 – Sono specificati nella Lettera del 20 marzo 2015.
7 – Discorso del 23 ottobre 2014.
8 – Lettera del 20 marzo 2015.
[8a] - Lettera del 20 marzo 2015.
9 – Discorso del 23 ottobre 2014.
10 - Michel-Marie Labourdette, Cours de théologie morale, « La justice », pp. 100-105 (su 2a2ae, questione 64, articolo 2), Toulouse, 1960-1961; Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, t. I « La Hiérarchie apostolique», Desclée, 1955 (2a edizione rivista e aumentata), pp. 356-358.
11 – Esodo, XX, 13.
12 – Levitico, XX, 2; XX, 9-10; XX, 27; XXIV, 16-17.
13 – Romani, XIII, 4.
14 – Sant’Agostino, La Città di Dio, libro I, capitolo 21, Migne, t. XLI, col. 35.
15 – Innocenzo III (1198-1215), Lettera Ejus exemplo, indirizzata all’arcivescovo di Tarragona, del 18 dicembre 1208, DS 795.
16 – Leone X (1510-1522), Bolla Exsurge Domine, del 15 giugno 1520, DS 1483.
17 – Leone XIII (1878-1903), Lettera Pastoralis officii, ai vescovi di Germania e di Austria, del 12 settembre 1891, DS 3272. Il Papa dice in effetti che «le due leggi divine, quella che è stata proclamata alla luce della ragione naturale e quella che lo è stata dalle Scritture composte sotto l’ispirazione divina, vietano formalmente che qualcuno, al di fuori di una causa pubblica, ferisca o uccida un uomo».
18 – Pio XII (1939-1958), Discorso ai partecipanti al I Congresso Internazionale di Istopatologia del Sistema Nervoso, 13 settembre 1952.
https://w2.vatican.va/content/pius-xii/fr/speeches/1952/documents/
hf_p-xii_spe_19520914_istopatologia.html
19 – Summa Theologiae, 1a2ae, questione 94, articolo 5, ad 2; questione 100, articolo 8, ad 3; 2a2ae, questione 64, articolo 2.
20 – 2a2ae, questione 64, articolo 2, corpus.
21 – Summa Theologiae, 1a2ae, questione 21, articolo 4, ad 3.
22 - 2a2ae, questione 64, articolo 2, ad 3.
23 - 2a2ae, questione 64, articolo 2, ad 3.
24 - 2a2ae, questione 108, articolo 4, corpus.
di Don Jean-Michel Gleize, sacerdote della Fraternità San Pio X,
professore di ecclesiologia al Seminario Internazionale San Pio X di Écône
Pubblicato sul sito di informazioni della Fraternità
FSSPX Actualités, il 3 novembre 2017
L'immagine è nostra
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2213_Don_Gleize_Francesco_pena_di_morte.html
Padre Enrico Zoffoli e la pena di morte
di Fra Bonaventura
A Roma non sono mai mancati, né mancano oggi, buoni ed anzi ottimi sacerdoti cattolici. Merce rara forse, ma anche merce facilmente riconoscibile, se si ha un certo fiuto per le cose spirituali…
Tra di essi, accanto a vari altri parroci e religiosi, spicca nel secolo XX la figura del gran teologo passionista, padre Enrico Zoffoli (1915-1996).
Da Wikipedia prendiamo una stringata sintesi della vita, avendo controllato la veridicità delle affermazioni.
“Ordinato sacerdote il 29 aprile 1939 presso i padri Passionisti, si laurea in filosofia e inizia ad insegnare alla Pontificia Accademia di san Tommaso d’Aquino,
venendo nel frattempo nominato esaminatore dei candidati alle ordinazioni sacerdotali dei Passionisti e confessore presso il Vicariato di Roma. Successivamente insegnerà anche alla Pontificia Università Lateranense.
Predica in diversi luoghi di Italia missioni e corsi di cultura cattolica per sacerdoti e laici, avviando un cenacolo di studi teologici per giovani e adulti per la comprensione del Magistero della Chiesa.
Per oltre mezzo secolo scrive libri di filosofia, apologetica, spiritualità, teologia, agiografia e storia.
Il pensiero di Zoffoli è maggiormente influenzato da Tommaso d’Aquino e Teresa di Lisieux.
Nel 1958, dopo una visita a suor Celina Martin, l’ultima sorella allora vivente di santa Teresa di Gesù Bambino, viene incaricato di redigere una storia critica di san Paolo della Croce: l’opera finale, che richiederà dieci anni di lavoro, comprenderà oltre seimila pagine, da cui alcuni passi scelti verranno inseriti come preghiere liturgiche nel rinnovato Breviario Passionista.
Nel 1992 pubblica un Dizionario del Cristianesimo, che avrà una recensione positiva dell’Osservatore Romano il 16 aprile 1993.
Nei suoi libri uno dei temi più ricorrenti è quello del mistero eucaristico: nel cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, Zoffoli pubblica il libro La Messa è tutto, che verrà poi ristampato in forma di catechismo in séguito agli elogi ricevuti da diversi teologi”.
I suoi libri sono oltre 50 e la scienza teologica di padre Enrico fu pari alla sua pietà e al suo zelo. Tra gli ultimi testi pubblicati c’è proprio quel Dizionario del Cristianesimo (edizioni Sinopsis) da cui trarremo la riflessione del sacerdote sulla pena capitale.
Sappiamo peraltro che papa Francesco, il nostro dolce Cristo in terra, ha voluto correggere la dottrina cattolica sulla pena di morte, usando termini inequivocabili. “Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore” (31.10.2017). Secondo Francesco poi, “è necessario ribadire che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Precedentemente, papa Bergoglio aveva espresso opinioni del tutto simili a queste.
Ecco invece il pensiero del nostro teologo passionista, morto solo 20 anni fa, in odore di santità.
« PENA CAPITALE. Praticata in tutto il mondo antico, compresa nella legislazione mosaica, accettata dalla Chiesa di tutti i tempi, riconosciuta lecita all’unanimità da tutti, Padri e teologi, moralisti e canonisti. Innocenzo III la sostenne contro i Valdesi (Denz 795); i successori ne hanno confermato il magistero fino a Leone XIII (Denz 3272), Pio XI (Denz 3720), Pio XII (Allocuzione 23.2.1944). La pena capitale è stata sempre in vigore nello Stato Pontificio e nella stessa Città del Vaticano fino a Paolo VI.
Non c’è un solo passo del NT che autorizzi a dubitare della sua liceità; non c’è mai stato un solo autore di manuali di teologia dogmatica e morale che abbia sollevato obiezioni […].
La ragione è intuitiva: la difesa, fino alla soppressione dell’ingiusto aggressore, è lecita non solo al cittadino privato, ma anche e assai più ad un’intera Nazione » (Dizionario del Cristianesimo, Roma, 1992, pagina 386).
Che dire? Se Zoffoli ha ragione, e veramente il consenso dei Padri della Chiesa e del Magistero è costante e unanime, certamente papa Francesco è in errore. Se papa Francesco ha ragione invece, hanno torto i padri, i dottori della Chiesa (tra cui s. Tommaso, il Bellarmino e s. Alfonso), i sommi pontefici, il Catechismo del Concilio di Trento, il Catechismo detto di san Pio X, il Catechismo della Chiesa cattolica, etc. etc.
Tertium non datur.
Pubblicato 7 novembre 2017 |
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