IL SUGGELLO DEL FRANCOBOLLO
Il 31 ottobre scorso, a distanza d'un anno, allorché l'anno venne dedicato dal Vaticano (usurpato) alla commemorazione della Riforma luterana, lo stesso Stato della Chiesa (sotto occupazione profanatrice) ha emesso un francobollo intitolato il V Centenario della Riforma Protestante. Ai piedi di un Crocifisso di maniera stanno, da un lato, Filippo Melantone che mostra la Confessione di Augusta (testo ufficiale del protestantesimo al suo inizio) e, dall'altro lato, Martin Lutero che regge la Bibbia. Sullo sfondo: il profilo della città di Wittenberg. Il quadro commemorativo è completo. E carta canta, a dispetto della malizia dei prelati che non vogliono definire per iscritto la loro dottrina e concilierebbero, rendendola elastica, la vera dottrina con i loro detti e atti di manipolazione e di impostura. Quale più definitiva qualificazione dell'insegnamento bergogliano di questo soggetto filatelico?
Nei nostri ambienti, il fatto non è passato senza commento, ma non so se qualcuno abbia osservato che si tratta di una misura colma, oltre la quale è perfettamente inutile guardare. Qualunque cosa si faccia ancora da parte di Bergoglio e dei suoi satelliti - senza che si cospargano il capo di cenere per ravvedimento - sarà inezia degna di un non ti curar di lor, ma guarda e passa. Dio tradito coram populo, qualsiasi misericordia accordi agli autori di adulterazione del Vangelo in seno alla Chiesa, avrà giudicato l'enorme affronto recatoGli. Un novello Giuda ha venduto la Sposa di Cristo pertrenta denari. E se finora egli non se ne dispera, e sarebbe in tempo per pentirsi senza impiccarsi, il gesto rimane nella storia inaudito e incancellabile.
Quale sia stata l'empietà oltremodo sacrilega, sta pure sotto gli occhi di tutti. È la giustificazione dell'eresia e il rinnegamento della Chiesa, dei Vicari di Cristo, dei Concili che fulminarono di suprema autorità tale eresia luterana. Ci vuole forse di più per gridare al maggior delitto che si potesse commettere contro lo Spirito Santo, al peggior scandalo che si potesse dare ai credenti e al mondo intero, provenendo esso dal Trono di Pietro? Quando il Messia, gli Apostoli e i loro successori condannarono chi abusò, prima, del Vecchio Testamento, e poi, del Nuovo.
A questo punto non mette conto scendere nel dettaglio, né enumerare i vari errori spacciati per verità dal Vaticano II, dai suoi autori e dei successivi custodi di esso, né denunciare le attuali nefandezze commesse presso gli Altari. Questa misura colma sintetizza tutta l'opera diabolica precedente e contemporanea, come fu detto che il modernismo sintetizzava l'insieme delle eresie. Sennonché il modernismo ha scalzato il clero ortodosso e imperversa nel Luogo Santo.
Di fronte a tanta enormità non pochi tradizionalisti rimangono perplessi o turbati, domandandosi come Dio potrebbe astenersi dall'intervenire, dal castigare. Ma essi stessi sono colpiti dal castigo che non riconoscono, perché un castigo grande, evidente, un incendio di Sodoma e Gomorra sarebbe ancora una grazia, una luce, un evento miracoloso. Invece la massima punizione dell'empietà è lasciarla alle sue proprie tenebre. Un Diluvio spirituale si espande sulla terra, prodotto dagli stessi uomini apostati e dagli increduli fornicatori. In esso annegano le anime immeritevoli della Strage materiale, in esso naufragano le anime tiepide e dubbiose.
Piero Nicola
ALLARME DELL’ABATE FARIA. HA LETTO IN UN ARTICOLO CHE FORSE
IL PAPA HA CANCELLATO L’INFERNO, E LO RIVUOLE INDIETRO. SUBITO!
Come al solito devo scusarmi con l’Abate Faria, perché tardo sempre a pubblicare le riflessioni che mi manda. Ma fra una scomunica qua, anzi doppia, un’operazione anti-terrorismo della Polizia contro un camion-vela recante lo stendardo inquietante di San Wojtyla e un appello sui giornali a verificare se il papa è davvero il papa l’attualità preme e fa la prepotente.
L’Abate Faria qualche giorno fa deve aver letto l’articolo di
Rosso Porpora in cui fra le altre cose si scriveva:
“Se è vero che Jorge Mario Bergoglio ha parlato talvolta dell’inferno (vedi ad esempio il “Convertitevi, ancora c’è tempo per non finire all’inferno!”, rivolto ai mafiosi durante l’incontro con ‘Libera’ del 21 marzo 2014), in diverse altre occasioni – specie recenti – l’ha addirittura implicitamente negato. Come il 23 agosto 2017, quando ha parlato dell’immagine della fine della storia come di “una immensa tenda dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro”, replicando l’11 ottobre 2017 quando ha rilevato che alla fine della storia c’è Gesù misericordioso e “tutto verrà salvato. Tutto”. Qui non si può non osservare che “tutto” comprende evidentemente “tutti”. Perciò niente inferno. Del resto, commentando il Vangelo della domenica come tradizione all’Angelus, Francesco ha preso l’abitudine di censurare i passi più duri, come – il 15 ottobre 2017 – il famoso “là sarà pianto e stridor di denti”. L’impressione che se ne trae è che Jorge Mario Bergoglio la parola ‘inferno’ non la pronunci volentieri (forse perché – come dice lui – è un po’ furbo o perché effettivamente ci crede poco?). E ciò non fa altro che accrescere la gran confusione dottrinale che regna tra i cattolici (tra i catto-fluidi, no… quelli bevono o fingono di bere tutto e il contrario di tutto!)”.
Si deve essere allarmato, l’Abate Faria. Perché mi ha scritto così:
“Mi si dice che all’inferno non va nessuno e che i diavoli, quindi, sono in cerca di nuova occupazione. Ora, perché negare alle persone il diritto di poter andare all’inferno? Cornelio Fabro diceva che uno dei problemi che più lo aveva intrigato, era quello della libertà. Ma se il mio comportamento non viene sanzionato da Dio per quello che è, nel bene e nel male, significa in definitiva che non sono libero, tutto è già deciso.
Ovviamente non ci si augura per nessuno di andare all’inferno, ma la mancanza di libertà è un inferno ancora più grande.
Se qualcuno mi dirà: vai all’inferno!, potrò aggiungere “almeno spero!”.
Abate Faria”.
Insomma, come direbbero a Roma: aridatece l’Inferno…
MARCO TOSATTI
LA MORTE VERRA' COME IL LADRO NELLA NOTTE: "MEMENTO MORI"... meditazioni sui Novissimi del p. Stefano Manelli, fondatore dei Francescani dell'Immacolata
Rev. p. Stefano M Manelli, Fondatore dei Francescani dell'Immacolata (FI).
MEDITAZIONE PER IL 9 NOVEMBRE.
Che cosa dire poi se si riflette che della morte noi non sappiamo «né il giorno né l’ora» (Mt 25,13)? San Paolo ci avverte che la morte «verrà come il ladro notturno» (1Ts 5,2). E per questo Gesù ci ha raccomandato con parole energiche: «Siate pronti! Perché nell’ora che non credete il Figlio dell’uomo verrà» (Lc 12,40).
E poco prima, Gesù aveva detto anche questa istruttiva parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?. E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio» (Lc 12,16-21).
Poco dopo, quindi, Gesù aggiunge con slancio ed enfasi: «Beati quei servi che il Padrone al suo arrivo troverà desti» (Lc 12,37). E in un’altra occasione, infine, ammonisce di nuovo con fermezza di parole: «Vegliate sopra voi stessi, onde non avvenga che i vostri cuori siano depressi dalle crapule e dalle ubriachezze e dalle cure della vita presente e improvvisamente vi venga addosso quella giornata» (Lc 21,34).
Questi, e altri ancora, sono i richiami energici e luminosi di
Gesù, il quale
ha avuto premura di parlarci della morte, per l’importanza vitale che essa ha quale porta di chiusura al mondo di quaggiù e di apertura al mondo dell’Aldilà di ogni uomo. Svegliamoci dalla nostra incoscienza e indolenza, dunque. Non è mai tempo di dormire, ma di stare desti e di operare il bene per essere trovati sempre
pronti a meritare l’ingresso nel Regno dei cieli al tempo stabilito da Dio.
Non è forse vero, invece, che noi, di solito, viviamo in balia delle nostre voglie, preoccupati di soddisfare più che sia possibile i gusti e gli istinti del nostro corpo?... che amiamo ubriacarci di sesso e di alcool, di fumo e di sport, di spettacoli e di canzoni, di rotocalchi e di fumetti, di mode indecenti e di avventure?..., oppure che ci lasciamo dominare dalle cure della vita presente solo per migliorare i guadagni, per avanzare nella carriera, per aumentare il benessere e i successi?...
Quale spazio rimane, allora, per pensare e prepararci a quel giorno in cui ci toccherà andare «là dove tutti sono incamminati» (Gs 23,14)? Non è forse stoltezza il nostro vivere dimentichi di una verità così certa come la morte, incuranti di essa, impegnati come siamo ad ammassare beni su questa terra «dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano», invece di provvedere ad ammassare «tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non
scassinano e non rubano» (Mt 6,19-20)?...
Essere sempre pronti alla morte...
Che cosa significa essere sempre pronti a morire bene? Significa, anzitutto e soprattutto, vivere sempre con la grazia di Dio nell’anima. Ciò vuol dire, compiere fedelmente i propri doveri di stato, evitando sempre il peccato mortale, perché ogni peccato mortale fa perdere la grazia di Dio, ossia fa morire l’anima, poiché la grazia di Dio è la vita dell’anima, il peccato è la “disgrazia” dell’anima.
«La morte, ma non peccati», diceva il piccolo san Domenico Savio. Verissimo. E se capita la disgrazia di cadere nel peccato mortale è necessario immediatamente pentirsi, chieder perdono a Dio e confessarsi al più presto possibile. C
ommettere un peccato mortale è una pazzia, ma voler restare in peccato mortale, dopo averlo commesso, è la massima follia. E se la morte ci cogliesse proprio allora? Che sappiamo noi del suo arrivo che può essere improvviso e fulmineo?... Non si sente forse parlare con frequenza di incidenti stradali mortali, di arresti cardiaci e di infarti fulminanti?...
1. San Giovanni Bosco...
San Giovanni Bosco diceva ai suoi giovani che lui era sempre pronto a confessarli appena cadevano in peccato mortale ed essi potevano presentarsi a lui in qualsiasi ora del giorno o della notte, anche alle 2.00 di notte, per rimettersi subito in grazia di Dio con la confessione. Nella vita di san Giovanni Bosco, infatti, leggiamo che un giorno egli era preoccupato perché un giovane caduto in colpa grave non si dava pensiero di confessarsi. Il Santo scrisse su un foglietto queste parole: «Se tu questa notte morissi?...», e glielo mise sotto il guanciale. Quando il giovane andò a letto vide lo scritto e rimase colpito dalla frase scritta da san Giovanni Bosco. Sulle prime avrebbe voluto rimandare a domani la confessione, ma si accorse subito che non riusciva a dormire; allora si alzò dal letto, andò nella camera di don Bosco e si confessò, tornando quindi serenamente al riposo.
“Essere sempre pronto”, inoltre, significa andare incontro a sorella morte con fede gioiosa, con speranza ferma, con carità ardente. Così, infatti, doveva essere pronto ad andare incontro alla morte san Paolo che scriveva: «Per me il morire è un guadagno» (Fil 1,21), e ancora più quando affermava: «Bramo di morire per essere con Cristo» (Fil 1,23).
2. Sant’Ignazio di Antiochia...
Sant’Ignazio di Antiochia arrivò a scrivere una lettera commoventissima ai fratelli cristiani di Roma per scongiurarli di non far nulla al fine di impedire il suo martirio: «Quando avrò la felicità di essere dilaniato dalle belve feroci? [...]. Io sono pronto a tutto, purché possa presto godere Gesù Cristo!». E sull’arena il Santo avanzò felice e radioso verso le belve per farsi sbranare, e così raggiungere Cristo Gesù.
3. San Francesco d’Assisi...
Che cosa dire, poi, di san Francesco d’Assisi? Il Poverello crocifisso, stando alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, in Assisi, nella sua agonia volle che i frati gli cantassero quella strofe del Cantico delle creature che parla della morte dicendo al Signore: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale».
4. Santa Caterina da Siena...
Ricordiamo anche santa Caterina da Siena, la quale, morendo, disse: «Consolatevi con me, perché lascio questa terra di pene e vado al luogo della pace, in Cielo».
5. Santa Teresa di Gesù Bambino...
Santa Teresa di Gesù Bambino morì guardando il crocifisso e dicendo le sue ultime parole d’amore: «Mio Dio, io vi amo!».
6. Santa Madre Teresa di Calcutta…
Così insegna, difatti, la santa Madre Teresa di Calcutta: «Al momento della morte non saremo giudicati dalla quantità di lavoro che avremo fatto, ma dal peso d’amore divino che avremo messo nel nostro lavoro.Questo amore deve risultare dal sacrificio di se stessi e deve sentirsi fino a causare sofferenza».
Questa è la morte cristiana di chi ama a fa amare Dio a costo anche di grandi sacrifici. Questa è la grazia ultima, preziosissima, da chiedere instancabilmente alla nostra divina Madre e Mediatrice di tutte le grazie: è da questa grazia che dipenderà la nostra eternità nel Regno dei cieli.
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