E' NATO UN BAMBINO . . .
Si direbbe che sia sceso un velo di profonda mestizia sopra questo Natale del 2017: impossibile non vederlo. Eppure è nato e la sua storia non termina "sul legno della croce", diciamo perciò, con gli Angeli: È nato; alleluia !
di Francesco Lamendola
Eppure è nato.
Nonostante la nostra cattiveria, il nostro egoismo, la nostra indifferenza, ha scelto di farsi uomo fra di noi, di vivere in mezzo a noi, di morire per tutti noi.
Ancora in fasce, è sfuggito alla strage degli innocenti, come un bambino dei nostri giorni può sfuggire alla strage praticata mediante l’aborto: sono sei milioni i bambini che non sono nati per questa ragione, da quando la gloriosa “legge di civiltà” è stata introdotta nel nostro Paese, senza dubbio grazie anche al voto di non pochi sedicenti cattolici.
Quando si tenta di penetrare il pensiero abissale di Dio che si fa uomo per amore degli uomini, accettando di vivere pienamente la loro condizione umana e, pur conservando la natura divina, rinunciando ad usarla se non per fare del bene agli altri e infine per risorgere dalla morte cui la malvagità degli uomini l’ha condannato, e che Egli ha accettato, anch’essa, senza protestare e senza ribellarsi, bevendo l’amaro calice sino in fondo; quando si tentata di penetrare un tale pensiero abissale si è colti dalle vertigini e si deve rinunciare, è impossibile anche solo concepirlo, a stento lo si può accogliere per mezzo della fede. “A stento” in base alle nostre forze umane, naturalmente; vale a dire che lo si può e lo si deve accogliere, ma quando si è ricevuto il Suo stesso aiuto. Perché gli uomini, da soli, non arrivano neppure a sfiorare il mistero di Dio; di questo Dio che si fa uomo, che s’incarna in un bambino, che vive la nostra vita insegnandoci, però, come si deve vivere la vita buona per poter tornare al Padre celeste; e che, per farlo, quando le parole non bastano più, si serve del suo stesso corpo, della sua stessa vita, della sua stessa morte, per insegnarci l’ultima cosa e la più importante: il valore del sacrificio di sé come riparazione del male. Un concetto che per i cattolici era familiare e quasi ovvio, fino a qualche anno fa, ma che ora pare essere stato dimenticato, mentre la cultura profana non l’ha mai avuto (avevano provato a scrivere ”il valore riparatorio”, e poi “il valore riparativo”, ma il correttore automatico ha segnato queste parole come erronee: semplicemente, la cultura odierna non le riconosce, ossia non riconosce il concetto che esse designano).
Eppure è nato; e continua a offrirsi per noi, in riparazione dei nostri peccati, ogni volta che un sacerdote, che in quel momento non è più un pover’uomo, carico di peccati come chiunque altro, ma un alter Christus, celebra il Sacrificio della santa Messa. Che è un miracolo ancora più grande della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo – l’osservazione è di san Tommaso d’Aquino – perché quelle ebbero luogo una sola volta, questo si rinnova continuamente, ad ogni momento, in qualsiasi luogo, tutte le volte che il sacerdote alza la pisside con le ostie e il calice con il vino, e invoca Dio ripetendo le parole usate da Gesù nell’Ultima Cena: Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi, poi ripete la formula per il vino, e infine soggiunge: Fate questo in memoria di me. E, se è un vero sacerdote di Gesù Cristo, non si prende la libertà di modificare la formula e le parole stesse del Vangelo; non dice: …versato per tutti, ma dice: versato per molti, perché questo è quello che ha detto il nostro Signore, intendendo con ciò che la salvezza è offerta a tutti, però c’è anche chi non la vuole, chi la rifiuta.
Ma come possono aver chiaro, i cattolici di oggi e specialmente i più giovani, il concetto che la sofferenza e il sacrificio volontario di sé sono il cuore del cristianesimo e l’insegnamento più prezioso di nostro Signore Gesù Cristo, se il papa in persona, interrogato su questo punto da un bambino rimasto orfano, non ha saputo rispondergli altro che: Io non lo so; nessuno lo sa; e non credere a quelli che dicono di saperlo? Chi lo avrebbe immaginato, fino a qualche anno? Eppure, fino a questo punto la Chiesa, fondata da Gesù Cristo per trasmettere intatto il suo santo Vangelo, si è degradata e si è trasformata in una neochiesa, tutta umana, che sa quello che sa il mondo e che non sa più la Verità insegnatale da Dio. Ecco perché si direbbe che sia sceso un velo di profonda mestizia sopra questo Natale del 2017: impossibile non vederlo, impossibile fare finta che non ci sia. La tentazione dello scoraggiamento è grande.
Eppure è nato: non si è lasciato sgomentare dalla consapevolezza che gli uomini, la grande maggioranza degli uomini, non avrebbero capito, né lo avrebbero riconosciuto: anzi, che avrebbero voluto metterlo a morte, e perseguitare a morte, poi, anche i suoi discepoli. È venuto lo stesso; ha compiuto ugualmente il suo gesto d’ineffabile amore, nonostante tutto. Dunque, non abbiamo il diritto di scoraggiarci, mai. Lo scoraggiamento è l’anticamera della tentazione, e la tentazione è l’anticamera del peccato. Dobbiamo reagire contro lo scoraggiamento, così si deve reagire contro la tristezza. Scoraggiamento e tristezza non sono sentimenti cristiani; il cristiano li combatte e li vince, con l’aiuto di Dio: perché sa che, da quando è nato quel Bambino, non vi è più ragione né di turbarsi, né di abbattersi.
Che cosa faremmo, adesso; che ne sarebbe di noi, che cosa saremmo noi, se quel Bambino non fosse mai nato? E come faremmo ad alimentare in noi la speranza, come potremmo ancora credere nel domani, mettere al mondo dei figli, scommettere sul futuro? Non saremmo altro che una massa di disperati, sempre più impegnati a sopraffarci a vicenda, a incrudelire sugli altri e su noi stessi. Perché l’uomo, chiuso nell’orizzonte della propria finitezza, entra in un corto circuito e diviene il peggior nemico di se medesimo: quelle energie in sovrappiù, che gli sono state donate affinché si elevi dalla sfera della vita materiale naturale a quella della vita soprannaturale, gli si ritorcono contro e lo spingono a volere sempre di più, a osare sempre di più, a insuperbire sempre di più: finché, reso pazzo dall’orgoglio, dalla lussuria e dall’avidità, imbocca fatalmente la strada dell’autodistruzione. Tutta la storia umana, se mai può insegnare qualcosa a qualcuno, insegna questo; e lo stesso vale per la vita delle singole persone. Là dove non brilla la consapevolezza del suo destino soprannaturale, l‘uomo regredisce allo stato bestiale e si spinge dove nessun animale oserebbe spingersi: a varcare il confine del suo stesso istinto di sopravvivenza. Cerca la morte, semplicemente; anzi, cerca la distruzione universale: ma non lo sa, e questo rende le sue pulsioni di morte ancora più pericolose. Somiglia a un bambino caparbio e viziato, il quale si sia impossessato di un coltello dalla lama estremamente tagliente e che meni dei fendenti all’impazzata, così, per il gusto di vedere quel che succede: prima o poi, è cosa certa, si procurerà con le sue stesse mani una ferita gravissima, forse mortale.
Qualcuno potrebbe osservare: Tanto, a cosa è mai servito? Che cosa è cambiato? La storia umana resta, comunque, una lunga sequela d’ingiustizie, crimini, orrori; e la storia dei singoli individui resta pur sempre la storia di passioni disordinate, di aspettative impossibili, di amare delusioni, di animosità e gelosie, e questo da che esiste l’uomo, o da che esiste la sua memoria: senza cambiamento, senza miglioramenti, senza alcuna possibilità di redenzione. E dunque, che Cristo sia venuto o che non sia venuto nel mondo, a vivere in mezzo agli uomini, a condividere ogni aspetto della loro condizione mortale, in che cosa è stato di giovamento per essi? Ecco: queste cose potrebbe pensare, e dire, un ateo; e simili interrogativi, simili dubbi, certamente, sono gli stessi che ogni tanto si affacciano anche alla coscienza del credente, nei momento di scoraggiamento. Per questo abbiamo detto che lo scoraggiamento è uno stato d’animo che non si addice al cristiano; che esso è anzi, potenzialmente, peccaminoso, nel senso che apre la strada all’incredulità e l’incredulità, a sua volta, apre la strada al peccato. La cosa migliore è quella di vincere quei dubbi con la preghiera e con la penitenza, ossia con le stesse armi che si adoperano quando ci si trova in presenza di qualunque altra tentazione: perché sono opera del diavolo, vengono dal diavolo e hanno lo scopo di allontanare l’uomo da Dio.
Nondimeno, per chi sia abbastanza forte da voler sfidare, entro certi limiti, la tentazione – sempre, sia chiaro, con l’aiuto di Dio, non certo da solo – ed abbia bisogno, contemporaneamente, di porsi sul terreno filosofico, per un suo bisogno personale di razionalità, si potrebbero suggerire queste risposte: E chi mai può asserire dove sarebbe, ora, la storia umana, se quel Bambino non fosse nato? Chi può dire dove sarebbe, a che punto sarebbe, la vita di ciascun singolo essere umano? Tu dici che, pur essendo nato, le cose non potrebbero andar peggio di così: ma chi te lo assicura? Al peggio non c’è fine: l’uomo, quando è in preda ai propri demoni della distruzione, è capace di sorprendere anche se stesso, spingendosi ad un grado di malvagità semplicemente impensabile. La storia è una sequela di orrori? Ma forse, se quel Bambino non fosse nato e se il fatto dell’Incarnazione non vi fosse stato, gli orrori della storia sarebbero stati, e sarebbero al presente, ancora peggiori. Forse ci sarebbero state dieci, cento, mille Hiroshima. Forse ci sarebbero state un milione di Auschwitz. Chi può dirlo? Chi ha mai potuto vedere e misurato il fondo della cattiveria umana? Quanto alla vita dei singoli esseri umani, chi lo sa quanta maggiore violenza, sopraffazione, infelicità; quanti tormenti, quanti suicidi, quante esistenze disperate non si sarebbero aggiunti a quelli che realmente ci sono stati e ci sono al presente? Chi lo sa quante volte la venuta di quel Bambino ha salvato delle anime dal naufragio, ha consolato dei cuori spezzati, ha asciugato le lacrime degli innocenti, ha restituito forza e speranza a chi pareva finito?Forse – anzi, senza dubbio, per il vero cristiano – proprio quel bambino ha fatto da parafulmine; ha attirato su di sé il peggio della natura umana; e, in tal modo, ha fatto sì che gli uomini contenessero, almeno in parte, tutto il male di cui sono capaci, e manifestassero nella loro vita, così come al livello della storia mondiale, almeno in parte, il bene di cui sono suscettibili. Ecco; questo si potrebbe rispondere a quelle domande, a quelle amare considerazioni di chi non crede, o di chi ha perso il dono e la virtù della speranza cristiana.
È nato un Bambino…
di Francesco Lamendola
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/chiesa-cattolica/3649-e-nato-un-bambino
CANTO DI NATALE ALLA MISERICORDIOSA. VIA DA QUI, CATTIVA!
SULLE ALI DI UNA LETTERA ANONIMA…
La storia di cui vi parliamo non è allegra. E a differenza del racconto di Charles Dickens a cui ci riferiamo nel titolo gli – anzi, le – Ebenezer Scrooge della nostra storia non sembra si siano pentite per niente, anzi. Il tutto si svolge nel Nord Italia, in un monastero femminile – di cui non faremo il nome – che “si porta”, quelli guidati da persone mediaticamente e letterariamente a la page. Una nostra amica di Twitter – che non conosciamo personalmente, ma con cui spesso condividiamo sui social riflessioni e opinioni – da due anni seguiva un percorso di spiritualità nel monastero.
Qualche giorno fa è andata al Monastero. Le hanno detto che non poteva continuare a seguire il percorso di spiritualità intrapreso, perché avevano ricevuto una lettera – anonima- dalla Svizzera, che riproduciamo, cancellando i nomi dei protagonisti – in cui si denunciavano i suoi messaggi twitter critici di alcune iniziative e posizioni della Chiesa e del Papa.
Dopo un primo momento di comprensibile sconcerto e dolore, perché la Superiora era sempre stata al corrente dei suoi dubbi e delle sue perplessità, la protagonista ci racconta: “Non mi sono mai nascosta, anzi chiedevo loro aiuto spirituale, ma il loro aiuto è stato : ‘meglio non continuare’ bocciata o quanto meno rimandata ; continuino a leggere Enzo Bianchi tranquille”. Perché in effetti sembra che i libri di Bianchi siano una delle letture praticate durante i pasti.
La reproba ha scritto una lettera alle suore: “La presente per ringraziare tutta la comunità……………..per avere accolto fraternamente me e la mia famiglia e di avermi così dato la possibilità di conoscere delle persone meravigliose come voi.
Peccato che questa vicenda di vita, sia turbata proprio nel tempo a me caro del Santo Natale, da una vile lettera anonima pervasa di accuse discutibili e corredata da fogli che chiunque avrebbe potuto scrivere: non ricordo quegli scritti tranne uno (poiché tutto risale a mesi fa), inoltre neppure dal mio profilo riesco a verificare; in 5 anni ho scritto 115.000 pensieri nel mio blog, per cui hanno trovato veramente poco materiale per fantomatiche accuse, ed inoltre hanno pensato di inviare tutto ciò, tranne quello che di bello ed edificante pubblico ogni giorno riguardo ad arte, religione e letteratura. Sono mortificata, costernata, stupita, triste.
Vi rinnovo comunque i miei più sentiti Auguri. Buon Natale”.
Infine, abbiamo ricevuto un messaggio successivo: “P.s. ho ricevuto la risposta della suora alla mia missiva; dopo di che ho deciso di metterle nello spam e quando mi sarò ripresa andrò a vedere se esiste qualcosa di adatto a me dalle carmelitane Buon Natale caro Marco”.
Buon Natale anche a voi tutti, Stilumcurialisti…E che la misericordia dei misericordiosi se ne stia lontana da noi.
MARCO TOSATTI
Il Black X-mas
Gli auguri di Facebook
La “festa delle buone feste” e gli auguri per uno splendido inverno, segnali dalle profondità di una società morente.
Nelle civiltà pre cristiane il solstizio d’inverno, che segna il momento in cui la durata delle ore di luce riprende a crescere, assumeva il valore simbolico della vittoria della luce sulle tenebre, una per tutte la festività del “sol invictus” del mitraismo, e non essendo noto il giorno esatto della nascita di Gesù il cristianesimo adottò la stessa simbologia del trionfo della luce sulle tenebre per istituire la festa del Natale.
Che si trattasse di una celebrazione pagana o cristiana in ogni caso la presenza di qualcosa indicato come luce e tenebre, come bene e male era presente nella celebrazione di questo giorno, mai prima d’ora si era presentata la possibilità che non ci fosse nulla da festeggiare perché non c’è alcun riconoscimento di qualcosa di definibile come oggettivamente bene e male se non di ciò che viene considerato tale dall’opinione della maggioranza.
Ecco quindi che ci si trova di fronte ad una festa che diviene un contenitore vuoto riempibile solo come celebrazione commerciale di un rito di vendita collettivo nel quale ciascuno si impegna a trovare qualcosa da comprare per qualcun altro, dove il gesto dell’acquisto divenuto un “compro quindi sono” garantisce la certificazione dell’esistenza dell’individuo e qualifica l’appartenenza ad una comunità di relazioni personali.
Dal volantino della festa organizzata dalla scuola di Milano Italo Calvino è sparita la parola “Natale“.
Privato del significato cristiano e della valenza escatologica di lotta tra il bene e un male sempre più difficili da identificare, del solstizio d’inverno resta dunque solo il gelo che appare come l’unica cosa da festeggiare compatibile con le misurazioni scientifiche di una società pseudoscientifica. Il consumismo è stato a lungo indicato come la degenerazione del significato del Natale ma era in effetti una procedura di sostituzione da festa della natività con quella della morte della trascendenza come cifra antropologica e nella quale l’acquisto diventa consolazione e unico fine di un’umanità avviata alla mercificazione anche di se stessa.
La diffusione improvvisa e pervasiva del rituale del “Black Friday” si pone come abdicazione finale alla cultura egemonizzante dell’anglosfera e cadendo dopo il giorno del ringraziamento (la quarta domenica di novembre) si configura come l’inizio di un contro-avvento della festa che celebra l’orgia del consumo nella società della mercificazione.
E’ un Natale simile a quello descritto da Kubrick nel suo film testamento “Eyes wide shut” dove compaiono come protagonisti innumerevoli alberi di natale in assenza di qualsiasi riferimento cristiano, nella colonna sonora il termine “Natale” sarà presente solo fugacemente in un brano musicale intitolato “I Want a Boy for Christmas” che nel titolo evoca qualcosa di anti natalizio. La società di Eyes wide shut è permeata da una corruzione profonda, senza redenzione e senza speranze trascendenti dove la festa è solo un rito dove si celebra il dominio e il godimento sensuale che esalta l’associazione eros e thanatos dove inevitabilmente il secondo risulterà ultimo vincitore.
Allo stesso modo assistiamo ad una festa del gelo che psicologicamente si proietta nelle luminarie delle città che sono sempre più riempite da luci blu azzurrine, i colori freddi sostituiscono sempre più quelli caldi le grandi vie non trasmettono più calore in contrapposizione al freddo climatico ma vi si adeguano in quanto quello è l’oggetto della celebrazione, una festa del gelo e del nulla che quindi e una non festa perché nulla vi è da festeggiare, nulla di divino ma solo uno scivolamento verso le caratteristiche della morte che sono proprio il nulla e il freddo.
Assume una coerenza quindi anche il pandoro ai bachi come celebrazione della decomposizione, della riduzione dell’Uomo ad animale con l’unico discutibile privilegio della consapevolezza di divenire un giorno alloggio per insetti buono solo come cibo per qualcun altro, batteri, vermi, o anche altri uomini, come quel pandoro.
Nel solstizio d’inverno nessuna vittoria della luce sulle tenebre da celebrare, solo il freddo e nervoso rituale di una società morente che rifiuta di prenderne coscienza in una sterile e sempre più triste rimozione collettiva.
“L’arte all’arte e il lupo alle pecore”. La storicità del 25 dicembre
Ricevuto, rilanciamo questo contributo di un nostro amico.
Per approfondimenti sul tema della data del 25 dicembre, rinviamo di recente anche a Clemente Sparaco, Dies Natalis Domini (Il Natale del Signore), in Riscossa cristiana, 18.12.2017.
Per approfondimenti sul tema della data del 25 dicembre, rinviamo di recente anche a Clemente Sparaco, Dies Natalis Domini (Il Natale del Signore), in Riscossa cristiana, 18.12.2017.
“L’arte all’arte e il lupo alle pecore”. La storicità del 25 dicembre
di Vito Abbruzzi
«L’artә a l’artә e u loupә e pekәrә», l’arte all’arte e il lupo alle pecore. È un detto tipicamente conversanese, per mettere a tacere chi pecca di saccenteria, ricordandogli che la ragione può vantarla solo il competente in materia. Un principio questo recepito in tempi recenti anche dalla scuola italiana, la cui didattica, oltre alle normali conoscenze e abilità, è volta all’acquisizione delle competenze. Infatti, oggi si parla di “didattica per competenze”. Ma questo principio, ahimè!, è ancora lontano dall’essere recepito proprio da molti docenti che o non si aggiornano o semplicemente non si confrontano con chi ne sa di più di loro. Ne deriva che la loro è unadidattica per stereotipi.
«Attenti agli stereotipi»! L’ammonisce – guarda caso – proprio Antonio Brusa, docente di Didattica della Storia all’Università di Bari, in un suo libro ad uso scolastico (L’atlante delle storie, vol. 1, ed. Palumbo, Palermo 2010, p. 51), ricordando, non tanto ai discenti quanto ai docenti, che «uno stereotipo è una convinzione falsa alla quale molti credono. Se ne trovano per ogni argomento. […] Ce ne sono, sorprendentemente, anche nelle conoscenze scientifiche. […] Dobbiamo liberarcene, se vogliamo capire […] e se vogliamo discutere con serietà» (ivi).
Gli stereotipi a cui il prof. Brusa fa riferimento sono quelli riguardanti «la storia della formazione dell’uomo», dicendo, a chiare lettere, a chi continua a sostenere il contrario anche e soprattutto nel mondo della scuola, che «siamo i fratelli, o i cugini delle scimmie, non i loro discendenti» (ivi).
Ma gli stereotipi riguardano anche il Cristianesimo, la cui storia è ancora insegnata sulla improbabilità dell’accadimento di certi eventi, che hanno di fatto cambiato la Storia. Mi riferisco al Natale e alla Pasqua, la cui narrazione apparterrebbe più al genere mitologico che a quello storico. E così si finisce col sostenere che Gesù non solo non è nato il 25 dicembre, ma forse non è mai esistito. Così anche la sua resurrezione: più presunta che reale. Ma su questo argomento ho già in mente un articolo di prossima pubblicazione: «La resurrezione di Cristo non è un pesce d’aprile», visto che quest’anno Pasqua sarà il 1 aprile.
Ho già ampiamente trattato su questo blog la questione del 25 dicembre e la sua fondatezza storica (v. qui, qui e qui). Non voglio annoiare ulteriormente, ma mettere in guardia proprio dagli stereotipi che, mitilogizzando la nascita del Cristo, danneggiano l’Insegnamento e conseguentemente l’educazione dei giovani, in nome di una emancipazione fasulla, che nega i principi cristiani su cui l’Occidente stesso è fondato.
Buon Natale.
Buon Natale.
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